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Attacco missilistico: gli S-300 hanno funzionato e gli USA sospendono i voli sulla Siria
aprile 10, 2017 Lascia un commento

Attacco USA: gli S-400 hanno funzionato
Infosdanyfr 09/04/2017

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Dal lancio dei 59 missili Tomahawk contro un aerodromo di Homs, una domanda continua ad emergere in ogni analisi: 23 dei 59 missili da crociera degli Stati Uniti hanno colpito il bersaglio. E il resto? Cos’è successo agli altri 34 Tomahawk sparati dalle due navi da guerra statunitensi dispiegate nel Mediterraneo? La risposta sarebbe nel video diffuso da al-Alam: la contraerea siriana intercettava e distruggeva 34 missili Tomahawk prima che raggiungessero la base aerea Shayrat. L’informazione evidenzia il decreto della presidenza siriana per intercettare e abbattere i missili degli Stati Uniti fin dal primo minuto dell’attacco. Altri analisti indicano il ruolo dei radar russi che sarebbero subito entrati in azione dopo il lancio del primo missile. Si tratta degli S-300 siriani o degli S-400 russi schierati in Siria? Perché nascondere questa “risposta pungente” e riferirla due giorni dopo l’attacco? Il video pubblicato da fonti militari siriane dimostra una cosa: se la Siria e l’alleata Russia ne hanno evitato la diffusione a poche ore dagli attacchi degli Stati Uniti, lo era per evitare un’escalation. Ma con l’intensa campagna di minacce a Siria e Russia non ci sarebbe forse motivo di non rivelare “le debolezze missilistiche degli Stati Uniti” e “la potenza della difesa aerea siriana“.
Gli Stati Uniti annunciarono, tramite il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer, di non avere preavvertito la Russia dell’attacco contro il territorio siriano. All’inviata di Fox News, il portavoce diceva che “non avemmo alcun contatto con la leadership politica russa“, il che significa che gli Stati Uniti in realtà volevano “anticipare” i russi. Ma la sorpresa non sembra “esser andata bene!” Gli analisti dicono ancora che la Russia, le cui navi da guerra tornano nel Mediterraneo, ha dimostrato moderazione evitando una “guerra balistica” che poterebbe alla “guerra nucleare”.


Le forze siriane disperdono gli aerei da combattimento
Infosdanyfr 09/04/2017

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La Syrian Arab Air Force ha deciso di rischierare i propri aerei da combattimento per impedire di essere distrutti da nuovi attacchi con missili da crociera. I caccia Mikojan MiG-29SM sono stati trasferiti ad Humaymim. Altri velivoli d’attacco venivano sparsi su vari aeroporti secondari. Damasco ha tratto insegnamento da iraniani e iracheni. Durante la seconda guerra del Golfo, nel 1991, l’Iraq trasferì i suoi migliori aerei da combattimento in Iran, con cui fu in guerra fino al 1988. Questi velivoli non furono mai restituiti. Il 16 gennaio 1991 gli Stati Uniti scatenarono una grande guerra aerea contro l’Iraq, dal risultato controverso. L’Iraq poi avrebbe fatto ricorso a uno stratagemma molto vecchio con esche a basso costo che le forze della coalizione di Washington si affrettarono a bombardare con missili e munizioni dal valore in peso d’oro. L’attacco con i missili da crociera degli Stati Uniti su ordine di Trump contro una base aerea siriana, ha molte incognite.
Il destino dei missili Tomahawk “perduti”, 30 unità su 59 sparate dalle navi di superficie dell’US Navy dal Mediterraneo orientale, rimane un enigma. Il resto dei missili colpì una zona di 300-4000 metri presso la base al-Shayrat; solo 10 missili Tomahawk raggiunsero un hangar fortificato della base, distruggendo un radar e 7 aerei da combattimento, per lo più Mikojan MiG-23 non operativi. 10 civili e 4 soldati furono uccisi nella città omonima adiacente alla base attaccata.

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Gli USA hanno paura di bombardare la Siria dopo che la Russia ha interrotto le comunicazioni
Le missioni di bombardamento degli Stati Uniti sulla Siria sono crollate dopo l’attacco missilistico del 6 aprile
Marko Marjanovic, Russia Insider 10/04/2017

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Colpendo le forze siriane il 6 aprile con missili da crociera, gli Stati Uniti dimostravano ‘determinazione’. Tanta ‘determinazione’ che ora temono di sorvolare la Siria per timore che i russi li abbattano.
Ufficiali degli USA hanno detto al New York Times: “La task force statunitense che combatte lo Stato islamico ha drasticamente ridotto gli attacchi aerei sui terroristi in Siria, mentre i comandanti valutano se le forze del governo siriano o degli alleati russi hanno intenzione di rispondere all’attacco con i missili da crociera degli Stati Uniti sulla base aerea siriana, della scorsa settimana, dicono gli ufficiali statunitensi”. A parte la dimostrazione di quanto sia duro Trump, l’attacco degli Stati Uniti ha tolto agli ascari degli USA in Siria il supporto di cui godevano prima, mentre la battaglia per Raqqa s’intensifica. Gli USA adesso si limitano ai soli attacchi essenziali, scortandoli con costosi caccia F-22 (il Belgio nel frattempo ha sospeso le operazioni).
L’insicurezza degli Stati Uniti non è solo causata dall’attacco con i missili da crociera, ma più specificamente dalla reazione russa. Subito dopo, i russi sospendevano la linea telefonica di “deconflitto” con gli statunitensi, che ora devono indovinare le intenzioni dei russi. Non v’è stato un simile calo degli attacchi aerei siriani e russi. Infatti numerosi attacchi alle posizioni dei terroristi venivano riportati nel fine settimana. È interesse russo e statunitense che la linea di deconflitto sia ripristinata, ma gli statunitensi ne hanno un bisogno più urgente e i russi vi faranno leva. Lungi dal potenziare il prestigio degli Stati Uniti, l’attacco del 6 aprile e le sue conseguenze si ridimensionano agli occhi degli osservatori più attenti.

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Le icone rosse indicano le operazioni russe, quella blu le operazioni statunitensi.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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, perché la Bindi non si rivolge a Monti e Napolitano?
Conflitto mondiale in arrivo? Meyssan: no, è solo teatro


10/4 • segnalazioni

E’ ufficiale: non si capisce più niente, della pericolosa tensione che sta scuotendo il mondo, con epicentro – tanto per cambiare – il Medio Oriente. Sul “Giornale”, Marcello Foa si allarma seriamente: Donald Trump avrebbe appena mobilitato 150.000 riservisti: «Per fare cosa? Un attacco in grande stile alla Siria? Colpire prima Damasco e poi Teheran? In Corea del Nord? Purtroppo la sciagurata svolta di Donald Trump – che si è arreso ai neoconservatori facendo propria l’agenda strategica che in campagna elettorale aveva promesso di combattere – autorizza qualunque ipotesi. Anche quella più drammatica e sconvolgente di una guerra alla Russia di Putin». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, offre (da mesi) una lettura diversa: quella di Trump, «membro della cordata anti-Bush», sarebbe sempre stata soltanto una tragica farsa, che rivela la guerra interna, ai piani alti, tra gli oligarchi del pianeta: «Sanno che le risorse energetiche stanno finendo, quindi sgomitano per conquistarsi un posto in prima fila da cui sperano di attuare un Piano-B, ciascuno il suo». E, a proposito di “teatro”, dalla Siria un reporter come Thierry Meyssan avverte: l’offensiva anti-siriana, e quindi anti-russa, è solo apparente, affidata a missili “di cartone”, appositamente fuori bersaglio.
Se sul suolo siriano sono potuti cadere 59 Tomahawk, scrive Meyssan su “Megachip”, è solo perché Mosca ha “spento” le batterie degli S-400, i suoi missili anti-missile, consentendo cioè a Trump di compiere la sua “performance teatrale”, che rappresenta un disperato tentativo di recuperare consenso interno, dopo i recenti rovesci. Non la pensa così Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan, che – in campagna elettorale – difese la dignità delle istanze di Trump (la distensione con la Russia) denunciando il bellicismo “politically correct” della Clinton, strumento dei “falchi” neocon. Per Craig Roberts, quella di Trump non è cosmesi tattica: si tratta di una svolta vera e propria, che dimostrerebbe la resa del neopresidente all’establishment di Washington, quello che lavora per il “regime change” anche a Mosca, dove spera di rovesciare Putin, che è sotto assedio da anni: la guerra in Siria, quella in Ucraina, le sanzioni alla Russia. Meyssan, al contrario, sostiene che la partita non è ancora chiusa: le «troppe, strane incongruenze» dell’affaire siriano dimostrerebbero che il gruppo di Trump, sottobanco, sta giocando una sfida doppia: cercare di tener buoni i neocon, con concessioni di facciata per salvare la sua poltrona (e forse la sua stessa vita), e sparigliare le carte mettendo in crisi, alla fine, il “partito dell’Isis”, che ha il cervello a Washington e i tentacoli in Medio Oriente.
Secondo Meyssan, Trump non ha «improvvisamente cambiato bandiera». Al contrario, asarebbe in corso una complessa pretattica. Lo dimostrerebbero svariati indizi. Tanto per cominciare, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’argomento di un attacco chimico perpetrato da Damasco non era sostenuto dal rappresentante del segretario generale, che infatti ha sottolineto «l’impossibilità, in questa fase, di sapere come questo attacco avrebbe potuto aver luogo». L’unica fonte sono gli “Elmetti Bianchi”, «vale a dire un gruppo di Al Qaeda a cui l’M16 britannico sovrintende ai fini della sua propaganda». Inoltre, aggiunge Meyssan, «tutti gli esperti militari sottolineano che i gas da combattimento devono essere dispersi tramite tiri d’obice e mai, assolutamente mai, tramite bombardamenti aerei». L’attacco americano alla base siriana? «Si è caratterizzato per la sua brutalità apparente: i 59 missili Bgm-109 Tomahawk avevano una capacità combinata equivalente a quasi il doppio della bomba atomica di Hiroshima. Tuttavia, l’attacco è stato anche caratterizzato dalla sua inefficienza: sebbene vi siano stati dei martiri caduti nel tentativo di spegnere un incendio, i danni sono risultati essere così poco importanti che la base funzionava nuovamente già all’indomani».
Per Meyssan, è inevitabile constatare sia il fatto questa operazione «è solo una messa in scena: in questo caso, possiamo capire meglio il fatto che la difesa aerea russa non abbia reagito». Ciò implica che «i missili anti-missile S-400, il cui funzionamento è automatico, sono stati disattivati volontariamente in anticipo». Motivazione? «Tutto è accaduto come se la Casa Bianca avesse immaginato uno stratagemma inteso a condurre i suoi alleati in una guerra contro gli utilizzatori di armi chimiche, vale a dire contro i jihadisti. Infatti, fino ad oggi, secondo le Nazioni Unite, i soli casi documentati di uso di tali armi in Siria e in Iraq sono stati attribuiti a loro». Nel corso degli ultimi tre mesi, continua Meyssan, gli Stati Uniti hanno rotto con la politica del repubblicano George Bush Jr. (che firmò la dichiarazione di guerra del “Syrian Accountablity Act”) e di Barack Obama (che sostenne le “primavere arabe”, ossia la riedizione della “Grande rivolta araba del 1916”, organizzata dai britannici). «Tuttavia – aggiunge Meyssan – Donald Trump non era riuscito a convincere i suoi alleati, in particolare tedeschi, britannici e francesi». E ora, «saltando su quel che sembra essere un cambiamento radicale nella politica Usa, Londra ha fatto molte dichiarazioni contro la Siria, la Russia e l’Iran. E il suo ministro degli esteri, Boris Johnson, ha cancellato la sua visita a Mosca».
Ma attenzione, ragiona Meyssan: «Se Washington ha cambiato la sua politica, per quale motivo il segretario di Stato Rex Tillerson ha tuttavia confermato la sua visita a Mosca? E perché dunque il presidente Xi Jinping, che si trovava a essere ospite del suo omologo statunitense durante il bombardamento di Chayrat, ha reagito in modo così molle, laddove il suo paese ha fatto uso per ben 6 volte del suo diritto di veto al fine di proteggere la Siria al Consiglio di sicurezza?». Non solo. «In mezzo a questo unanimismo oratorio e a queste incongruenze di fatto – osserva Meyssan – il vice consigliere del presidente Trump, Sebastian Gorka, moltiplica i messaggi che vanno in direzione contraria. Assicura che la Casa Bianca considera sempre il presidente Assad come legittimo e i jihadisti come il nemico». Gorka, spiega Meyssan, «è uno stretto amico del generale Michael T. Flynn che aveva concepito il piano di Trump contro i jihadisti in generale e Daesh in particolare». Come dire: non fatevi incantare dal “teatro” in corso: la verità è molto lontana dalla versione che campeggia nelle prime pagine. All’Onu, la Bolivia ha persino formulato il sospetto che l’attacco coi gas, in Siria, non sia neppure avvenuto. Tempo fa, la Russia esibì la sua potenza missilistica con il lancio di missili Kalibr, supersonici e “invisibili”: partiti da navi nel remoto Mar Caspio, centrarono al millimero tutti gli obiettivi. Il 7 aprile, dal vicinissimo Mediterraneo, gli Usa hanno sparato 59 Tomahawk su una base aerea, senza nemmeno danneggiarne la pista. Strano, no?
E’ ufficiale: non si capisce più niente, della pericolosa tensione che sta scuotendo il mondo, con epicentro – tanto per cambiare – il Medio Oriente. Sul “Giornale”, Marcello Foa si allarma seriamente: Donald Trump avrebbe appena mobilitato 150.000 riservisti: «Per fare cosa? Un attacco in grande stile alla Siria? Colpire prima Damasco e poi Teheran? In Corea del Nord? Purtroppo la sciagurata svolta di Donald Trump – che si è arreso ai neoconservatori facendo propria l’agenda strategica che in campagna elettorale aveva promesso di combattere – autorizza qualunque ipotesi. Anche quella più drammatica e sconvolgente di una guerra alla Russia di Putin». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, offre (da mesi) una lettura diversa: quella di Trump, «membro della cordata anti-Bush», sarebbe sempre stata soltanto una tragica farsa, che rivela la guerra interna, ai piani alti, tra gli oligarchi del pianeta: «Sanno che le risorse energetiche stanno finendo, quindi sgomitano per conquistarsi un posto in prima fila da cui sperano di attuare un Piano-B, ciascuno il suo». E, a proposito di “teatro”, dalla Siria un reporter come Thierry Meyssan avverte: l’offensiva anti-siriana, e quindi anti-russa, è solo apparente, affidata a missili “di cartone”, appositamente fuori bersaglio
 
posted by Antonio Maria Rinaldi
LA VERA “POLPETTA AVVELENATA” SEMPRE TACIUTA DEL DIVORZIO TESORO-BdI di A.M.Rinaldi



Per troppo tempo la classe dirigente politica italiana e la stessa letteratura economica di regime, hanno colpevolmente taciuto sull’importanza di quella decisione con cui il Tesoro, guidato allora da Beniamino Andreatta, “sollevò” la Banca d’Italia di Carlo Azelio Ciampi, dall’obbligo “d’intervento” nelle aste dei titoli pubblici finalizzato per calmierare i tassi d’interesse. Provvedimento che generò, con l’esplosione dei tassi d’interesse corrisposti sui titoli pubblici lasciati alla sola determinazione dei mercati, l’era dei c.d. “bot people” che sottrassero risorse vitali all’economia reale e a danno della ricchezza collettiva per quella dei detentori dei titoli.

Le stesse aziende trovavano più conveniente investire la liquidità in titoli di Stato che in investimenti produttivi e innovazione e le finanze pubbliche assunsero lo scomodo ruolo di distribuire un dividendo che nessuna attività industriale avrebbe ragionevolmente mai potuto erogare.

A distanza di 36 anni da quella decisione è possibile fare una obiettiva analisi tirando le somme degli effetti che ebbe sull’incremento dello stock di debito pubblico, che raddoppiò nel giro di appena 14 anni principalmente per l’aumento vertiginoso dei tassi d’interesse, e che condannò i cittadini e il sistema delle imprese a un sempre maggior drenaggio fiscale per sopperire alla mancanza della funzione di prestatore dello Stato. (Elaborazione propria su dati Banca d’Italia)

Fu l’inizio di una lunga serie di cessioni di Sovranità del nostro Paese e che condizionò negativamente la nostra adesione a Maastricht. L’elevato debito, rispetto ai parametri imposti dal Trattato istitutivo della UE, non ci permise di avere il giusto potere contrattuale che invece un grandissimo Paese industriale come il nostro avrebbe dovuto e potuto ottenere. Iniziò l’era della deindustrializzazione italiana pianificata e voluta da chi non aveva a cuore gli interessi del Paese ma quelli dei gruppi dominanti e delle multinazionali che iniziavano a guardare l’Italia come un enorme outlet dove venire a fare shopping a buon mercato.

In verità non fu un divorzio, ma un vero e proprio matrimonio d’interesse celebrato sull’altare del neoliberismo, e la risposta consenziente, praticamente già concordata, di Ciampi del 6 marzo 1981 alla lettera di Andreatta del 12 febbraio precedente, ne è la conferma (in fondo si riportano gli originali). Quindi una scelta prettamente politica ma mascherata abilmente da una “tecnica” i cui effetti li stiamo ancora oggi subendo negativamente.

Ma la vera e propria “polpetta avvelenata” dell’accordo Tesoro-Banca d’Italia non fu tanto la “non più obbligatorietà” d’intervento sul mercato primario, cioè all’atto dell’emissione dei titoli di Stato per la copertura finanziaria dello Stato, in quanto l’Istituto d’emissione sarebbe rimasto comunque “libero” di intervenire, ma l’indicazione in diversi metodi tecnici da adottare, introducendo un nuovo meccanismo per le aste competitive marginali. Questo aspetto sempre taciuto è la vera causa del disastro di quella nefasta decisione.

Questo nuovo sistema avrebbe infatti consentito agli operatori, con marginali quantitativi sapientemente non acquistati (non sapremo mai chi lo suggerì al duo Andreatta-Ciampi), di ottenere tassi altissimi su tutto l’ammontare dell’emissione sebbene già assegnati precedentemente a tassi inferiori!

Nella pratica, ad esempio, se una emissione per 100 Mld di lire di BTP veniva soddisfatta al 5% per 97 Mld e i restanti residui 3 Mld a 5,5%, tutti e 100 Mld venivano assegnati alla fine allo stesso tasso del 5,5%! Praticamente il “paradiso” per le banche d’affari grazie a questo “regalino” tecnico voluto dai vertici del Tesoro e Banca d’Italia. Chi vi scrive a quei tempi era responsabile operativo presso la direzione generale titoli di una banca italiana, e lo stupore suscitato dal nuovo meccanismo di asta competitiva marginale che favoriva smaccatamente il mercato, fu enorme suscitando si da subito molte perplessità.

La funzione di prestatrice d’ultima istanza della Banca Centrale era venuta meno e l’operatività fu relegata al solo mercato secondario, dove notoriamente è ben più difficile e arduo controllare la dinamica dei tassi d’interesse. Di fatto inizia nel luglio del 1981, data esecutiva dell’accordo, il trasferimento dal potere dello Stato di creare base monetaria per soddisfare il fabbisogno pubblico alla sola determinazione del mercato diventandone di fatto suo ostaggio. Con quella nefasta decisione si preferì il giudizio dei mercati a quello dei cittadini!

Fu il primo tangibile passo verso l’abdicazione di uno dei basilari principi su cui si basa uno Stato Sovrano: il potere di monetizzare almeno parte del debito e determinare autonomamente, senza condizionamenti, le proprie politiche economiche e monetarie. Come ragionevolmente è possibile gestire in modo ottimale il proprio debito pubblico se si è privati di uno degli strumenti indispensabili? Tutte le Banche Centrali emittenti mondiali rivendicano questa prerogativa a pieno supporto delle proprie politiche economiche e nell’interesse della collettività. Traspare chiaramente che fosse nelle precise volontà di chi realizzò l’accordo, una vera e propria “congiura fra il ministro e il governatore”, estraniando dalla condivisione e dal coinvolgimento “i classici canali della dialettica democratica”. Il provvedimento infatti non passò dal Parlamento o dal governo ma fra le scrivanie di Andreatta e Ciampi.

La decisione del divorzio, come già detto, fu una scelta politica e non tecnica: bisognava iniziare a dimostrare di appartenere alle “regole” europee e il prezzo da pagare era il modello neo liberista di riferimento, dove tutto doveva essere lasciato alla determinazione dei mercati nella convinzione-presunzione che solo i mercati, senza la presenza attiva dello Stato, avrebbero autoregolato in modo ottimale il sistema finanziario. Ma sappiamo benissimo che questo non è avvenuto e non poteva avvenire: anzi i mercati, enfatizzati sempre più dall’evoluzione della globalizzazione senza nessuna regolamentazione, hanno provocato disastri inimmaginabili e difficilmente sanabili. Solo il ruolo degli Stati, per mezzo delle proprie piene Sovranità, avrebbero potuto concretamente sostituirsi a questo modello errato, mentre si è fatto di tutto, e la costruzione monetaria europea ne è il più tangibile esempio, per favorire interessi di parte a scapito della collettività con il paradosso che quando i primi hanno avuto problemi i secondi sono stati chiamati nel risolverli!

Speriamo presto la Storia faccia giustizia!

Antonio M. Rinaldi

Lettera originale di Andreatta a Ciampi:





Risposta in originale di Ciampi a Andreatta:



 
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“CONTRO LA RUSSIA, LA UE DECIDE UN NUOVO GASDOTTO. DA ISRAELE”
Maurizio Blondet 11 aprile 2017 1


C’è un giornale tedesco online, Deutsche Wirtschft Nachrichten, che apparentemente è minacciato dalla Kancelleria di chiusura in base alle nuove leggi liberticide di cui Mutti è la più dura promotrice non solo in Germania, ma ovviamente in Europa. Nel piattissimo e normalizzato panorama mediatico tedesco, è un giornale da leggere e da difendere, magari abbonandosi.

I titoli di oggi sono di per sé capaci di fornire un quadro limpido e completo della situazione geopolitica, senza inutili “rumori di fondo” mediatici distraenti (il che è raro) e bastano a capire perché disturba :



Contro la Russia: UE favorisce nuovo gasdotto da Israele

“La Commissione Europea, Israele e altri tre paesi dell’UE hanno deciso la costruzione di un gasdotto.Questo è volutamente inteso come alternativa al gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2 gasdotto nel Mar Baltico. A sorpresa, la UE ha dichiarato che ritiene il progetto “East Med” meglio appropriato all’Unione. Quindi le probabilità diminuiscono il Nord Stream 2, che vuole nella UE solo la Germania e l’Austria.

“La Commissione europea e Israele, e i tre paesi dell’Unione europea, Italia, la Grecia e Cipro hanno chiesto la costruzione del gasdotto per portare il gas naturale verso l’Europa, riporta l’EUobserver. A tal fine, i rappresentanti delle società interessate e i governi hanno firmato lunedì un accordo a Tel Aviv. Nei piani, gas dai campi israeliani e cipriota saranno portati nel Mediterraneo per la Grecia e l’Italia. Il ministro dell’Energia israeliano Yuval Steinitz ha detto in occasione del lancio del progetto di Tel Aviv che il gasdotto dovrebbe essere completata nel 2025, se possibile, ancor prima”.

(MB. Qui sono interessanti anche le mappe:
























Questa mappa non è su DWN. Serve a ricordarci il vero motivo per cui “Assad must go” e la Siria va smembrata: per sostituire la Russia, come fornitore energetico dell’Europa, con arabi del Golfo finanziatori di Daesh e, oggi apprendiamo, Israele. da cui il titolo seguente:


Merkel: “Assad non può restare presidente della Siria”
“E’ avvenuto in Italia, alla riunione del G7. A cui sono stati ammessi con l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo a discutere sulla situazione in Siria. (…) Angelino Alfano ha voluto una sessione speciale sulla Siria dove ha voluto partecipassero anche il ministro degli Esteri della Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Giordania e Qatar dovrebbe.



“Arabia Saudita e gli Stati del Golfo finanziare la maggior parte dei mercenari islamici che agiscono in contrasto con il diritto internazionale sul territorio della Siria. L’Arabia Saudita è il più stretto alleato dell’Occidente e porta alla anche lo Yemen una guerra illegale.”.

[MB. La UE che dà del mostro ad Assad, su ordine americano tratta con i mostri veri. Il DWN lo dice chiaro]

Regno Unito chiede nuove sanzioni contro la Russia
…Tuttavia tra i paesi dell’Unione europea non c’è grande entusiasmo per nuove sanzioni. L’argomento dei contrari è che sarebbe dannoso schiacciare ancora di più la Russia all’angolo. Ciò rafforzerebbe le relazioni con Assad in Siria, piuttosto che indebolirle. In particolare, l’Italia rifiuta le sanzioni, secondo il FT. L’Italia ha con le stazioni precedenti grandi difficoltà, perché c’è stato tra la Russia e l’Italia un fiorente commercio. Ora è a un punto morto e l’economia italiana ne è colpita duramente, data la crisi atuale.

…. Finora, la cancelliera Merkel è sempre stato una fortissima sostenitrice delle sanzioni.Ultimamente aveva invocato nuove sanzioni dopo i combattimenti ad Aleppo, insieme a Gran Bretagna e Francia.A quel tempo gli italiani avevano respinto l’aggravamento. (Alfano è poi riuscito a far naufragare il proposito di Londra).

UE “invita” l’Ungheria a resistere a Orban
La Commissario Ue alla Giustizia Věra Jourová ha fatto appello agli ungheresi, secondo EUobserver chiamandoli alla “resistenza a Orban” . Lui sta per far chiudere la Central European University, università privata aperta a Budapest e finanziata da GEroges Soros, su direzione americana.


Soros e la UE uniti nella lotta
“In Ungheria e in Polonia ci sono stati “tendenze preoccupanti”, ha detto il commissario di origine ceca. Le libere elezioni potrebbero produrre governi non liberali. Per questo la magistratura è particolarmente importante. “Sono i giudici indipendenti, che devono compiere il miracolo

(MB. Vera Jourova è commissaria nella UE alla “eguaglianza di genere”, insomma alla sovversione della natura. Non è dunque strano che concepisca i suoi compiti nell’Unione Europea come sovvertitrice, invocando alla rivolta, lei non votata da nessuno,contro un governo eletto] .

Nuova minaccia di crisi: Putin sta perdendo la pazienza con Erdogan
“…la minaccia di cancellazione dei voli charter causerebbe notevoli danni economici Turchia: Dopo il lancio del getto a causa delle sanzioni, il numero di visitatori russi era la Turchia, secondo Bloomberg è sceso a 866.000 nel 2016 e anno2014 la cifra era di 4,5 milioni di visitatori.

Se tra la Turchia e la Russia scoppiare una nuova era glaciale, la situazione in Siria sarebbe peggiorare in modo significativo: L’aeronautica turca sta attualmente coordinando le loro operazioni con i russi controllare efficacemente il sogno d’aria.Se c’è un incidente, perché la Turchia non è più coopera è, la NATO sarebbe coinvolto in conflitto, perché avrebbero nei confronti della Turchia obblighi certa solidarietà.

Iniziato il primo treno merci dal Regno Unito alla Cina
















altri titoli:
 
posted by Fabio Lugano
POPOLARE DI VICENZA: VIOLA FELICE E CONTENTO DELLE PERDITE ENORMI DEGLI AZIONISTI





Cari amici

ieri il Consigliere delegato Dott.r Viola ha annunciato, con sua soddisfazione , il risultato della transazione che ha coinvolto gli azionisti BPVI e VB ed ha annunciato il “Lauto” pagamento delle rimborso ai soci.



Per quanto riguarda BPVI la situazione è riassunta nei seguenti numeri: ha aderito il 70% degli azionisti a cui era stato proposta la transazione. Ora dato che questa platea corrispondeva a circa l’85% degli azionisti abbiamo un’adesione complessiva sul capitale della banca del 59%. Un buon risultato ? Forse si, forse no.

Allora con questa mossa la nostra banca ha eliminato le cause relative a 1.280.000 circa di patrimonio. Ed il restante patrimonio ? Non parliamo di quattro soldi, ma di una cifra corrispondente, a bilancio del 31/12/2015 era pari ancora a 2,5 miliardi. I restanti 1.220.000 ? Son tutte cause potenziali?

Registriamo che poi a fronte di un versamento per 195 milioni l 59% dei soci complessivi la Banca ha chiamato i membri dei CdA precedenti a rispondere per 1,5 miliardi. A queste rivalse bisognerà aggiungere quelle non altrettanto grasse, ma più facilmente riscuotibili, dovute delle società di revisioni e dai sindaci, per cui è facile che la cifra complessiva arrivi ai 2 miliardi, più di quanto iniettato da Fondo Atlante. Dato che nell’atto di transazione si escludeva la possibilità dei soci che l’hanno accettata di fare azioni o rivalersi su amministratori , sindaci o dipendenti della banca, questi soldi rimarranno in mano all’azionista che controlla il 99,56% del totale , cioè FONDO ATLANTE, mentre agli azionisti che hanno accettato l transazione andrà neanche lo 0,20% di quei rimborsi. Si assiste al curioso ed incredibile fenomeno per cui i danni sono stati portati ai precedenti azionisti ed i rimborsi vanno all’attuale. Incredibile, nevvero ?

Per questi motivi, personalmente, ho accolto con un certo disappunto il tono trionfalistico dell’annuncio del CdA sull’accettazione della transazione. Infatti:

  • tutto questo è stato fatto, per l’ennesima volta, sulla pelle degli azioni storici, spesso clienti;
  • non ha risolto in modo definitivo proprio nulla, perchè sono ancora in piedi cause per centinaia di milioni;
  • si assiste all’ennesima ingiusta puntata in cui cifre vengono deviate dal legittimo percettore ad un’altra destinazione.
Una gioia totalmente fuori luogo. Invece che un bollettino di vittoria il CdA avrebbe dovuto emettere un annuncio funebre. Qui giace l’azionista truffato. Sarà molto complesso riportarlo in pancia alla Banca, dopo un trattamento come quello riservatogli, per , eventualmente, passarlo alla banca, magari tedesca, che se lo papperà.

Sul bilancio 2016 e sulle vicende del salvataggio scriveremo in seguito, dato che la materia è talmente ampia da richiedere almeno altri due, se non tre articoli. Qui voliamo soltanto ricordare che le risorse finanziarie per le due banche venete si stanno avvicinando ai 20 miliardi complessivi, se aggiungiamo le ricapitalizzazioni. Per ottenere alla fine cosa ?

  • Una banca vuota, in cui una buona fetta dei clienti se ne è andata ed un’altra se ne andrà a scadenza delle obbligazioni, delle polizze o dei titoli;
  • Comunque un bagno di sangue sociale con tagli potentissimi ai dipendenti.
Il tutto per aver proseguito due anni su una strada sbagliata ed illusoria. E non è ancora finita….

Grazie ed alle prossime puntate


Seleziona lista (o più di una):
 
Euro crisis aprile 14, 2017 posted by Maurizio Gustinicchi
DE MICHELI (PD): “AUSTERITY E FISCAL COMPACT? SIAMO NOI A VOLERLI, NON LA UE”

L’onorevole De Micheli del PD, quella dei profondi concetti macroeconomici:



ieri mattina ad Omnibus, ha avuto il coraggio di pronunciare le seguenti parole:

“sfatiamo un mito, noi NON FACCIAMO LE MANOVRE DI PADOAN E METTIAMO di nuovo SUI TRATTATI IL FISCAL COMPACT perche’ ce lo chiede l’Europa, LE facciamo perche’ LO VOGLIAMO NOI DEL PD IN QUANTO CI CREDIAMO”



Questa è la manovra che ci aspetterà a settembre per il 2018:

 
Mediobanca: nessuno peggio di UnipolBanca oggi in Europa
Scritto il 13/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


«Questo non è uno scoop», premette Paolo Barnard, che però prende nota di «cosa pensano i nipotini di Enrico Cuccia, a Mediobanca, della banca più marcia d’Europa, per non parlare d’Italia». Tutto questo è «divertente», perché così uno «impara cosa davvero sta dando coliche seriali ai vertici del Pd, e non sono Renzi, Bersani o Grillo: è Unipol Banca, cioè il disastro finanziario più irrimediabile del Belpaese». In premessa, il giornalista fa una precisazione “per la zia Marta”, ricordando che le grandi banche si dividono in due categorie: quelle di tipo A, «pericolose per risparmiatori e correntisti (quasi tutte)», e quelle di tipo B, «definite come pericolo “sistemico”», e cioè «banche talmente grandi che, se falliscono, si portano dietro uno o due continenti». In Italia, aggiunge Barnard, «la banca “sistemica” più fallita è Unicredit, sprofondata all’ultimo posto in Ue dopo Hscb, Bnp, Ing, Swedbank, Ubs, Lloyds, Commerzbank, Deutsche Bank, Intesa, Credit Suisse e tutte le altre». Ma, torniamo alle banche del gruppo A, quelle dove «ci smenano» i piccoli risparmiatori, le famiglie e le piccole e medie aziende, Mediobanca ne cita addirittura 114. E «ci dice che la più rottamata, la più marcia, la più pezzente è appunto Unipol Banca».

Come fa Mediobanca a dirlo? «I nipoti di uno come Cuccia sanno fare il loro mestiere», scrive sempre Barnard, sul suo blog. «C’è un indice che si chiama come una roba da petrolio, il Texas Ratios, che invece misura quanto potenziale hanno le bancheper coprire i crediti marci (quelli emessi ma che non riavranno mai). Se l’indice supera il 100%, significa che quella banca con tutta la sua ricchezza arriva appena a coprire i buchi neri che ha. Non le rimane neppure un centesimo in cassa. Auguri». Ben 114 banche italiane, dunque, secondo Mediobanca «volano molto al di sopra del 100% Texas Ratio, ma Unipol Banca svetta con un… 380%», mentre Unicedit «vacilla con solo il 92% Texas Ratio». Unipol Banca, quella che precipita al 380% del rating, è stessa banca dello storico “facci sognare” di Massimo D’Alema e Piero Fassino a Giovanni Consorte, nella prospettiva che il progenitore del Pd, il mutante Pds-Ds, avesse anch’esso una qualche specie di banca, «anche se non proprio controllata, ma vicina».

Ecco la fine che ha fatto quel sogno: il 380% di Texas Ratio «per la loro ammiraglia putrida». E il fatto è che, «se ’sto cadavere collassa, si porta con sé eserciti di elettori-risparmiatori-aziende del Pd (fessi, se lo meritano), e il Pd lo sa e si sta ca… (finisce per gando) addosso». E questa sinistra politically correct, si domanda Barnard, sarebbe quella che merita di gestire il paese? L’autore de “Il più grande crimine”, l’esplosivo saggio che già nel 2010 ricostruiva la genesi dell’Eurozona in termini criminologici prima ancora che finanziari, oggi ricorda che «le condizioni di disastro economico per cui i crediti di Unipol Banca non saranno ripagati le ha create proprio il Pd», cioè il partito che – anche nelle sue versioni precedenti – si è sempre prostrato di fronte al vero potere, i signori dell’Eurozona.

«Questo non è uno scoop», premette Paolo Barnard, che però prende nota di «cosa pensano i nipotini di Enrico Cuccia, a Mediobanca, della banca più marcia d’Europa, per non parlare d’Italia». Tutto questo è «divertente», perché così uno «impara cosa davvero sta dando coliche seriali ai vertici del Pd, e non sono Renzi, Bersani o Grillo: è Unipol Banca, cioè il disastro finanziario più irrimediabile del Belpaese». In premessa, il giornalista fa una precisazione “per la zia Marta”, ricordando che le grandi banche si dividono in due categorie: quelle di tipo A, «pericolose per risparmiatori e correntisti (quasi tutte)», e quelle di tipo B, «definite come pericolo “sistemico”», e cioè «banche talmente grandi che, se falliscono, si portano dietro uno o due continenti». In Italia, aggiunge Barnard, «la banca “sistemica” più fallita è Unicredit, sprofondata all’ultimo posto in Ue dopo Hscb, Bnp, Ing, Swedbank, Ubs, Lloyds, Commerzbank, Deutsche Bank, Intesa, Credit Suisse e tutte le altre». Ma, torniamo alle banche del gruppo A, quelle dove «ci smenano» i piccoli risparmiatori, le famiglie e le piccole e medie aziende, Mediobanca ne cita addirittura 114. E «ci dice che la più rottamata, la più marcia, la più pezzente è appunto Unipol Banca».

Come fa Mediobanca a dirlo? «I nipoti di uno come Cuccia sanno fare il loro mestiere», scrive sempre Barnard, sul suo blog. «C’è un indice che si chiama come una roba da petrolio, il Texas Ratios, che invece misura quanto potenziale hanno le banche per coprire i crediti marci (quelli emessi ma che non riavranno mai). Se l’indice supera il 100%, significa che quella banca con tutta la sua ricchezza arriva appena a coprire i buchi neri che ha. Non le rimane neppure un centesimo in cassa. Auguri». Ben 114 banche italiane, dunque, secondo Mediobanca «volano molto al di sopra del 100% Texas Ratio, ma Unipol Banca svetta con un… 380%», mentre Unicedit «vacilla con solo il 92% Texas Ratio». Unipol Banca, quella che precipita al 380% del rating, è stessa banca dello storico “facci sognare” di Massimo D’Alema e Piero Fassino a Giovanni Consorte, nella prospettiva che il progenitore del Pd, il mutante Pds-Ds, avesse anch’esso una qualche specie di banca, «anche se non proprio controllata, ma vicina».

Ecco la fine che ha fatto quel sogno: il 380% di Texas Ratio «per la loro ammiraglia putrida». E il fatto è che, «se ’sto cadavere collassa, si porta con sé eserciti di elettori-risparmiatori-aziende del Pd (fessi, se lo meritano), e il Pd lo sa e si sta ca… (finisce per gando) addosso». E questa sinistra politically correct, si domanda Barnard, sarebbe quella che merita di gestire il paese? L’autore de “Il più grande crimine”, l’esplosivo saggio che già nel 2010 ricostruiva la genesi dell’Eurozona in termini criminologici prima ancora che finanziari, oggi ricorda che «le condizioni di disastro economico per cui i crediti di Unipol Banca non saranno ripagati le ha create proprio il Pd», cioè il partito che – anche nelle sue versioni precedenti – si è sempre prostrato di fronte al vero potere, i signori dell’Eurozona.

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andrea
Partecipante
febbraio 13, 2017 posted by Ingegner Caustico

QUANTO SVALUTEREBBE LA NUOVA LIRA?

Preso atto che resta da spegnere solo una candelina prima della fine dell’euro, è ora di fare qualche riflessione in merito a quanto inevitabilmente accadrà e di sfruttare l’occasione per mettere alla berlina certe affermazioni aberranti rilasciate da alcuni giornalisti “economici”, istituti bancari in palese conflitto d’interesse e professori universitari di economia (in gran parte bocconiani o affini, ma non solo). A titolo esemplificativo e non esaustivo si potrebbero citare:
•Lorenzo Pinna: il potere di acquisto dell’italiano medio subirà un tracollo dal 30% al 50% […].Ma un 30-50% di svalutazione della nuova lira non renderà almeno più competitivo il nostro sistema industriale permettendoci di rimetterci rapidamente in piedi? Non è detto.
•Tonia Mastrobuoni: la lira subirebbe sicuramente una svalutazione molto pesante rispetto all’euro. Un rapporto della banca d’affari Ubs che si esercita proprio sull’ipotesi di uscita dall’Eurozona di un Paese come l’Italia, ritiene probabile, in questo caso, un crollo della lira del 60 per cento. Vuol dire che gli stipendi e le pensioni varrebbero improvvisamente il 60 per cento in meno.
•Affaritaliani.it: tra le varie argomentazioni contro l’opportunità di un’uscita dell’Italia dall’Euro primeggia quella secondo cui il passaggio alla nuova valuta, con una conseguente svalutazione immediata della stessa (le stime vanno dal 20% al 40%) […] Del resto, se un ritorno alla lira rendesse di colpo tutti i mutui più pesanti del 30-60% di fatto le banche si ritroverebbero con più o meno la totalità dei mutui emessi inesigibili o in sofferenza: è assurdo pensare che il passaggio venga gestito senza porre rimedio a un aspetto di questo genere, ovvero senza la conversione istantanea dei contratti alla nuova valuta.
•Giorgio Lunghini: nelle condizioni date, il primo effetto sarebbe la svalutazione della nuova moneta nazionale. La perdita di competitività nei confronti della Germania è ora del 30%, e questa sarebbe la soglia minima; tuttavia i movimenti valutari potrebbero determinare una svalutazione del 50-60%. La conseguenza immediata sull’inflazione sarebbe di circa il 15%, e si innescherebbe una rincorsa salari-prezzi-cambio: con un tasso di inflazione nell’ordine del 20% l’anno e con una perdita salariale insopportabile.
•Marcello Esposito: oggi, se la nuova lira si svalutasse anche “solo” del 30-50 per cento rispetto all’euro, il debito pubblico sarebbe insostenibile.
•Giuseppe Turani: la moneta italiana si svaluta ancora, ormai siamo al 70 per cento. Il prezzo delle marmellate inglesi nei supermercati ha raggiunto prezzi proibitivi, gli smartphone sono spariti dalla circolazione e sono riapparsi, estratti da scatoloni in soffitta, certi vecchi Nokia. In un mese 3456 aziende italiane vengono comperate dall’Islanda: costano il 70 per cento in meno, grazie alla svalutazione della lira.
•Famiglia Cristiana: la svalutazione della lira rispetto al cambio di 1936,27 lire, si calcola, oscillerebbe dal 50 al 70 per cento. I capitali fuggiranno all’estero più di quanto lo stiano facendo. Metter su un’impresa in Italia non converrà più per via dell’incertezza monetaria. E non serve illudersi che la moneta debole favorirà le esportazioni, perché questo avverrà anche con i Paesi dell’ex Eurozona, con un micidiale effetto competitivo.
•Lorenzo Bini Smaghi, Franco Bruni, Marcello De Cecco, Jean-Paul Fitoussi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Antonio Padoa Schioppa, Fabrizio Saccomanni, Gianni Toniolo: reintrodurre la lira significherebbe imporre ai cittadini italiani la conversione dei loro risparmi nella nuova moneta, destinata a perdere di valore nei confronti dell’euro. Gli italiani subirebbero dunque una svalutazione dei risparmi. Inoltre, la conversione dall’euro alla lira non potrebbe modificare le condizioni dei prestiti contratti dai residenti italiani nei confronti del resto del mondo. La svalutazione della lira determinerebbe quindi un aumento del valore dei debiti verso l’estero degli italiani, ponendo imprese e famiglie di fronte al rischio di insolvenza, con effetti a catena sul resto del sistema economico. […] L’uscita dall’euro rafforzerebbe la parte meno competitiva del Paese, quella meno aperta all’innovazione (cioè artigiani e piccole e medie imprese – ndr) e maggiormente arroccata a difesa di privilegi che non hanno più ragione di essere. Sarebbe una fuga all’indietro verso una società più chiusa e introversa che danneggerebbe soprattutto i più giovani e le fasce più deboli della società.

Mi chiedo seriamente come sia possibile che persone “del mestiere” possano sostenere tesi così “dilettantesche” senza provare un minimo di imbarazzo. Lancio una sfida a lorsignori: confrontiamo le previsioni sopra riportate con quelle del sottoscritto e vediamo chi ha ragione. Tra poco più di un anno, quando non ci sarà più l’euro e saremo tornati alle valute nazionali, avremo il responso.
E’ noto dalla letteratura scientifica che, in occasione dello sganciamento di una valuta “debole” da un’unione monetaria, il cambio tende a recuperare la competitività perduta. Un primo elemento da tenere sott’occhio potrebbe essere il differenziale del tasso d’inflazione accumulato dal 1999 (anno dell’effettivo aggancio valutario) al 2015 (la Banca Mondiale non fornisce dati più recenti). Esaminiamo, ad esempio, quello tra Italia e Germania:

elaborazione su dati della Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.DEFL.KD.ZG?locations=IT&name_desc=true)

L’inflazione italiana è cresciuta del 37% a fronte di quella tedesca che ha avuto un incremento più contenuto, pari al 21%. Il differenziale si attesterebbe quindi attorno al 16-17%, ma tale valore, da solo, non riesce a cogliere l’”anomalia” tedesca: un paese con partite correnti veramente pazzesche!

(http://it.tradingeconomics.com/germany/current-account-to-gdp)

A partire dal 2001, infatti, le partite correnti teutoniche sono andate in positivo ed hanno avuto un’impennata inarrestabile che sta sfiorando la soglia del 10% del prodotto interno lordo (per fare un confronto, nel 2015 quella italiana era del 2,2%, mentre quella cinese del 2,7%). Questo abnorme richiesta di moneta tedesca tenderebbe a farla apprezzare in quanto, per la legge della domanda e dell’offerta, se tutti vogliono un determinato bene, il suo valore tende ad aumentare. Anzi, aumenterebbe se non fosse in un rapporto di cambi fissi che le impedisce di fare ciò che la legge di mercato impone.
Una stima più accurata del differenziale di competitività tra paesi deve però tenere conto di due aspetti: non solo il tasso di inflazione, ma anche il tasso di cambio in quanto entrambi concorrono a determinare la convenienza, per un operatore economico, ad acquistare in un paese piuttosto che in un altro. Per avere una valutazione spannometrica del deprezzamento della nuova lira rispetto al nuovo marco (ma sarebbe più corretto parlare di apprezzamento del nuovo marco rispetto alla nuova lira), si può allora fare riferimento al REER (Real Effective Exchange Rate) o tasso di cambio effettivo reale che rappresenta il prezzo relativo dei beni nazionali in termini di beni esteri. E’ una media pesata di tutti i tassi di cambio bilaterali principali misurata in base al valore degli scambi effettuati tra i paesi. Maggiore è l’interscambio commerciale e maggiore è il peso (secondo l’ultimo calcolo, che risale al 2015, sul cambio effettivo dell’euro a 19 valute, l’euro/renminbi pesa per il 22,18%, l’euro/dollaro per il 15,92%, e l’euro/sterlina per il 12,99%, l’euro/yen per il 6,69% e l’euro/zloty per il 6,40%). Perché è un tasso “reale”? Perché tiene conto del differenziale di inflazione fra i due paesi. Facciamo un esempio: se la moneta di un paese si svaluta del 10% e contestualmente l’inflazione cresce del 10%, il tasso di cambio reale non varia perché l’aumento dei prezzi interni compensa la svalutazione e l’acquirente estero non noterà alcuna variazione di prezzo. Essendo quotato certo per incerto, un apprezzamento del tasso di cambio effettivo reale vuole dire che i beni nazionali diventano meno convenienti (perdita di competitività), un suo deprezzamento vuole dire che i beni nazionali diventano più convenienti (aumento di competitività). Vediamo come stanno le cose:

elaborazione su dati Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=en&pcode=tsdec330&plugin=1)

La valuta tedesca (linea blu) è sottovalutata rispetto al suo valore reale quindi i prezzi tedeschi sono artificiosamente scontati (e quindi più competitivi), mentre la moneta italiana (linea rossa) risulta sopravvalutata e quindi i nostri prodotti sono soggetti ad una sorta di dazio che ne incrementa il prezzo per gli operatori esteri (quindi sono meno competitivi). Il differenziale si attesta intorno al 27%. Poiché, come detto in precedenza, in caso di sganciamento valutario si tende a recuperare la perdita di competitività accumulata, la svalutazione della nuova lira rispetto al nuovo marco dovrebbe attestarsi indicativamente intorno al 27%, quindi nella banda d’oscillazione del 25-29%.
E rispetto alle altre valute? Poiché il tasso di cambio effettivo reale della valuta italiana è sopravvalutato indicativamente dell’11% e poiché l’euro, anche a seguito del quantitative easing, si è notevolmente svalutato negli ultimi anni (per non parlare del buco deflazionistico nel quale si è cacciata l’eurozona), questi due effetti dovrebbero tendere a compensarsi parzialmente (almeno rispetto ai paesi non aderenti alla zona euro).

elaborazione su dati Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=en&pcode=tsdec330&plugin=1)

L’euro, a partire dal 1999, ha deprezzato il suo tasso di cambio effettivo reale indicativamente del 4%, perciò la nuova lira dovrebbe svalutare in termini reali indicativamente dell’8% (questo effetto di parziale compensazione non si avrebbe rispetto tutti i paesi, ma solo con quelli che non hanno l’euro). Potremmo perciò indicare una banda di oscillazione dal 6 al 10% rispetto alla media pesata dei nostri partner commerciali. Nulla di paragonabile al 60 o 70% paventato da certuni!!!!
Discorso opposto varrebbe per il nuovo marco che, ad esempio rispetto al dollaro o al renminbi, dovrebbe rivalutare per un duplice aspetto: in quanto moneta sottovalutata all’interno dell’euro e in quanto l’euro è leggermente sottovalutato rispetto al suo valore effettivo, quindi non saremmo tanto noi a svalutare, sarebbero i tedeschi a rivalutare!!!

Segnatevi queste cose, tra poco più di un anno vedremo chi è il vero dilettante.

di Claudio Barnabè
 
Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
Scritto il 03/12/16 • nella Categoria: Recensioni Condividi


C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?
Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.
Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.
Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?
Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.
Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».
Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.
Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.
(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?

Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è anche nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.

Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi. E anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.

Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li capovolgono in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?
 

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