Val
Torniamo alla LIRA
Un vero affare, “virtualmente senza rischi” e che promette di fruttare utili aggiuntivi compresi tra 250 e 390 milioni.
Questo senza tenere conto “dell’enorme potere di fissazione dei prezzi che Intesa Sanpaolo eserciterà in Veneto”.
Gli analisti non hanno dubbi: l’istituto guidato da Carlo Messina è il vero vincitore dell’operazione con cui il governo domenica,
per evitare il bail in, ha sancito la messa in liquidazione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca e la vendita a Intesa di sportelli, dipendenti e attivi al prezzo simbolico di 1 euro.
Mettendo in aggiunta sul piatto una dote da 17 miliardi di denaro pubblico, pari all’1% del pil italiano.
Ca’ de Sass, che non a caso ha chiuso la seduta a Piazza Affari con un guadagno del 4,2%,
smentisce di aver ricevuto un “regalo” e avverte che il passaggio parlamentare del decreto pubblicato in
Gazzetta ufficiale domenica non dovrà comportare alcuna modifica tale da “rendere più onerosa” l’operazione. Pena,
come previsto da una clausola risolutiva ad hoc, “l’inefficacia del contratto”.
Insomma: non intende spendere un centesimo di più rispetto al famoso euro.
Il conto, 5,2 miliardi di esborso immediato più 12 di garanzie, lo pagheranno i contribuenti italiani.
Che “erano tutti azionisti senza saperlo”, ironizza via Twitter l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli.
Mentre i parlamentari M5S attaccano: “Intesa si prende al prezzo di un cappuccino la parte buona di due banche chiave
in un territorio strategico e il governo ci mette subito oltre 5 miliardi e 12, forse, più avanti.
Un vero affare, complimenti a Carlo Messina. Non altrettanto al governo italiano e agli organi di vigilanza“.
Secondo il capogruppo del Movimento in Regione Veneto, Jacopo Berti, il costo per lo Stato rischia di essere ancora più alto
perché “c’è il nodo risarcimenti per gli azionisti truffati da queste banche che potrebbe pesare sulle nostre spalle”.
“Regalo? No, un impegno”.
Ma lo Stato verserà subito 5,2 miliardi – Intesa e il governo si spalleggiano nel negare qualsiasi “regalo”.
Chi lo dice “fa solo cattiva propaganda”, ha detto il premier Paolo Gentiloni.
Mentre il presidente della banca Gian Maria Gros-Pietro al Gr1 ha sostenuto:
“Chi dice che Intesa è stata avvantaggiata non ha compreso il meccanismo”,
perché “la parte sana degli attivi non è sufficiente a pareggiare i passivi”.
“Intesa prende a suo carico depositi e obbligazioni senior delle due banche venete, parliamo di circa 20-30 miliardi”,
ha continuato. “Il prezzo di un euro è un prezzo simbolico. In realtà le attività che noi riceviamo
non sono in grado di coprire l’impegno che prendiamo. I debiti che queste due banche hanno non vanno a carico dei contribuenti”.
Nel decreto del governo si legge però che Intesa riceverà dallo stato un “supporto finanziario” per “un importo massimo di 3.500 milioni”,
“risorse a sostegno delle misure di ristrutturazione aziendale per un importo massimo di 1.285 milioni”
con cui accompagnerà all’uscita circa 4mila bancari e altri 400 milioni come garanzia sui crediti in bonis che Intesa si porta a casa.
Il tutto a carico del “fondo salva risparmio” creato lo scorso dicembre per le banche in difficoltà.
A questi esborsi immediati vanno aggiunte garanzie a copertura del rischio di retrocessione dei crediti che non risultino in bonis,
fino a 6,3 miliardi, e fino ad altri 4 per i crediti “attualmente in bonis ma ad alto rischio”.
Questo senza tenere conto “dell’enorme potere di fissazione dei prezzi che Intesa Sanpaolo eserciterà in Veneto”.
Gli analisti non hanno dubbi: l’istituto guidato da Carlo Messina è il vero vincitore dell’operazione con cui il governo domenica,
per evitare il bail in, ha sancito la messa in liquidazione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca e la vendita a Intesa di sportelli, dipendenti e attivi al prezzo simbolico di 1 euro.
Mettendo in aggiunta sul piatto una dote da 17 miliardi di denaro pubblico, pari all’1% del pil italiano.
Ca’ de Sass, che non a caso ha chiuso la seduta a Piazza Affari con un guadagno del 4,2%,
smentisce di aver ricevuto un “regalo” e avverte che il passaggio parlamentare del decreto pubblicato in
Gazzetta ufficiale domenica non dovrà comportare alcuna modifica tale da “rendere più onerosa” l’operazione. Pena,
come previsto da una clausola risolutiva ad hoc, “l’inefficacia del contratto”.
Insomma: non intende spendere un centesimo di più rispetto al famoso euro.
Il conto, 5,2 miliardi di esborso immediato più 12 di garanzie, lo pagheranno i contribuenti italiani.
Che “erano tutti azionisti senza saperlo”, ironizza via Twitter l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli.
Mentre i parlamentari M5S attaccano: “Intesa si prende al prezzo di un cappuccino la parte buona di due banche chiave
in un territorio strategico e il governo ci mette subito oltre 5 miliardi e 12, forse, più avanti.
Un vero affare, complimenti a Carlo Messina. Non altrettanto al governo italiano e agli organi di vigilanza“.
Secondo il capogruppo del Movimento in Regione Veneto, Jacopo Berti, il costo per lo Stato rischia di essere ancora più alto
perché “c’è il nodo risarcimenti per gli azionisti truffati da queste banche che potrebbe pesare sulle nostre spalle”.
“Regalo? No, un impegno”.
Ma lo Stato verserà subito 5,2 miliardi – Intesa e il governo si spalleggiano nel negare qualsiasi “regalo”.
Chi lo dice “fa solo cattiva propaganda”, ha detto il premier Paolo Gentiloni.
Mentre il presidente della banca Gian Maria Gros-Pietro al Gr1 ha sostenuto:
“Chi dice che Intesa è stata avvantaggiata non ha compreso il meccanismo”,
perché “la parte sana degli attivi non è sufficiente a pareggiare i passivi”.
“Intesa prende a suo carico depositi e obbligazioni senior delle due banche venete, parliamo di circa 20-30 miliardi”,
ha continuato. “Il prezzo di un euro è un prezzo simbolico. In realtà le attività che noi riceviamo
non sono in grado di coprire l’impegno che prendiamo. I debiti che queste due banche hanno non vanno a carico dei contribuenti”.
Nel decreto del governo si legge però che Intesa riceverà dallo stato un “supporto finanziario” per “un importo massimo di 3.500 milioni”,
“risorse a sostegno delle misure di ristrutturazione aziendale per un importo massimo di 1.285 milioni”
con cui accompagnerà all’uscita circa 4mila bancari e altri 400 milioni come garanzia sui crediti in bonis che Intesa si porta a casa.
Il tutto a carico del “fondo salva risparmio” creato lo scorso dicembre per le banche in difficoltà.
A questi esborsi immediati vanno aggiunte garanzie a copertura del rischio di retrocessione dei crediti che non risultino in bonis,
fino a 6,3 miliardi, e fino ad altri 4 per i crediti “attualmente in bonis ma ad alto rischio”.