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Da "Enel.it"
Petrolio
Riserve di petrolio: per quanto tempo, ancora?
Per quanto tempo potremo basare i nostri consumi energetici sul petrolio? È una domanda ancora senza risposta, ma sono in molti a ritenere che il picco di produzione sia dietro l’angolo
In una situazione in cui quasi ogni giorno il prezzo del greggio fa segnare quotazioni record, è normale che tutti si chiedano quando finirà la corsa al rialzo. Ma se è questa la domanda più ricorrente, l’interrogativo cruciale continua ad essere un altro: quanto durerà ancora il petrolio? Questa domanda rimbalza da decenni da una parte all’altra del Pianeta senza che alcuno sia in grado di offrire risposte precise, cioè basate su dati documentabili.
È certo che un giorno il petrolio commercialmente disponibile finirà, ma quanto questo giorno sia vicino è impossibile dirlo, e questa incertezza getta un’ombra pesante sul futuro energetico dell’umanità. I pessimisti (e sono i più) delineano scenari di un vero e proprio medioevo energetico: la fine dell’era del petrolio, a loro giudizio, ci coglierà comunque impreparati e alle prese con problemi che non si sono mai affrontati nelle moderne società industriali. Gli ottimisti, che pure non mancano, sono convinti che di petrolio ne resti quanto basta, seppure non più a buon mercato, per consentire una transizione “morbida” verso nuove tecnologie energetiche.
Ma andiamo per ordine e chiediamoci innanzitutto quale sia oggi il peso reale del petrolio nello scenario energetico.
Un primato in declino solo in valori percentuali
Stando agli ultimi dati disponibili forniti dalla British Petroleum, nel 2004 il petrolio ha coperto nel mondo circa il 35,3% dei consumi complessivi di energia primaria, confermandosi ancora largamente al primo posto tra le fonti energetiche, davanti al carbone (24,6%) e al gas naturale (20,7%). Tale quota è tuttavia in diminuzione, avendo perso due punti rispetto all’anno precedente, quando era attestata al 37,3%. Ma il calo percentuale, che interessa soprattutto i Paesi industrializzati OCSE, non deve trarre in inganno perché, in valori assoluti, i consumi di petrolio continuano a crescere parallelamente alla domanda globale di energia.
Ad esempio trenta anni fa - al tempo del primo shock petrolifero - il petrolio copriva circa il 45% dei consumi globali di energia; oggi il 35%. Tuttavia, siccome nel frattempo i consumi globali sono aumentati del 66%, si consuma oggi molto più petrolio di allora. E la domanda continuerà a salire, per soddisfare le crescenti esigenze dei popolosi Paesi in via di sviluppo: Cina e India innanzi tutto. Infatti, secondo l’IEA (International Energy Agency) nel 2030 si consumeranno nel mondo circa 42 miliardi di barili di petrolio/anno, contro i circa 28 miliardi di barili/anno attuali (1 barile = 159 litri).
Resta in piedi, pertanto, il quesito di prima: fino a quando l’evoluzione dell’offerta di petrolio sarà in grado di soddisfare una domanda che si mantiene comunque crescente?
L’incertezza sulle riserve
Per rispondere occorrerebbe un elevato grado di chiarezza sulla consistenza reale delle attuali riserve accertate e stimate,intendendo con il primo termine la quantità di idrocarburi che si ritiene possa essere estratta– a costi economicamente sostenibili - da giacimenti già scoperti, e con il secondo termine (riserve stimate o probabili) le quantità stimate sulla base di dati geologici e di ingegneria di giacimento, ma non ancora accertate. Senza mettere in conto, dunque, le “risorse” o “riserve possibili”, necessariamente ancora più aleatorie, relative a giacimenti di cui si sospetta l’esistenza – con diversi gradi di affidabilità - che sono ancora da scoprire.
Anche la determinazione delle riserve accertate e stimate, tuttavia, è fortemente condizionata da incertezze tecniche ed economiche. Le prime derivano dal fatto che i volumi di idrocarburi contenuti nei giacimenti sono stimati quasi esclusivamente attraverso dati ottenuti con metodi indiretti (ad esempio le proprietà fisiche delle rocce nei pozzi), essendo molto costosi i metodi diretti che richiedono attività di perforazione. Le seconde includono, in particolare, la difficoltà di poter prevedere l’andamento futuro dei costi di estrazione e dei prezzi di vendita.
A queste incertezze valutative si sommano, poi, le reticenze e le informazioni volutamente inesatte cui ricorrono spesso sia le grandi compagnie petrolifere sia i Paesi produttori. Le ragioni di questo comportamento – ben conosciuto tra gli addetti ai lavori - sono essenzialmente di natura economica o finanziaria. Le compagnie petrolifere, ad esempio, possono essere interessate a diminuire la stima delle proprie riserve per ragioni di cautela fiscale o, al contrario, possono essere propense ad aumentarla quando si tratta di raccogliere capitali tra gli investitori. D’altra parte i Paesi produttori dell’OPEC possono essere indotti a “gonfiare” le proprie riserve per mantenere le proprie quote di mercato, considerato che le quote di produzione sono di regola attribuite in base al rapporto tra produzione e riserve accertate.
Con il fiato sospeso in attesa del picco di produzione
In questa situazione, ricca di incertezze oggettive e di informazioni inattendibili, ogni tentativo di far luce sulla durata delle riserve petrolifere deve essere accolto quantomeno con cautela. Secondo l’autorevole BP Statistical Review, le riserve provate di petrolio ammontavano a fine 2003 a 1.146,3 miliardi di barili, equivalenti a 156,7 miliardi di tonnellate, valore che, rapportato alla produzione annua corrente, dà luogo ad una durata di 41 anni.
Ma anche prendendo per buoni questi valori, è evidente che questa previsione di durata non può che subire continui aggiustamenti in relazione, soprattutto, all’evoluzione della domanda e a nuovi possibili ritrovamenti. In effetti, più che chiedersi quanto dureranno ancora le riserve, come è portato a fare l’osservatore comune, bisognerebbe chiedersi, come fanno gli esperti, quando si arriverà a quel picco di capacità produttiva che segnerà l’inizio della discesa ineluttabile verso la fine dell’era del petrolio. Quando questo picco sarà superato, l’offerta di petrolio, infatti, sarà sempre meno in grado di soddisfare la domanda in costante ascesa e quindi i prezzi tenderanno ad impennarsi anche rispetto ai valori attuali, che già sembrano elevatissimi.
Gli studiosi più pessimisti danno questo picco ormai per imminente e lo collocano tra il 2007 e il 2010. Alcune compagnie petrolifere, come la Total, hanno fissato tale data tra il 2020 e il 2030. Tra questi due orizzonti si colloca un gran numero di previsioni diverse, come ad esempio quelle dell’ASPO (Association for the Study of Peak Oil, un’associazione di studiosi che riunisce geologi specializzati nel settore petrolifero), secondo cui il famoso picco di capacità produttiva sarà raggiunto tra il 2010 e il 2015.
Altri analisti fanno invece notare che in tutto il Medio Oriente (l’area ove è concentrato la gran parte delle riserve mondiali) i costi di produzione sono davvero bassi (tra i 3 e i 6 dollari/barile tutto compreso, cioè considerando anche esplorazione e sviluppo) se confrontati a quelli del Mare del Nord (15-16 dollari/barile). Ma se si utilizzassero in Medio Oriente le tecnologie sviluppate per pompare greggio dal Mare del Nord, allora le riserve medio-orientali probabilmente raddoppierebbero. E non va dimenticata la presenza di abbondanti risorse di idrocarburi “non convenzionali” (sabbie e scisti bituminosi, particolarmente abbondanti in Canada e Venezuela), che ancora sono economicamente non competitive, ma che hanno riserve stimate a quasi quattro volte quelle accertate di petrolio.
La conclusione cui si giunge con ragionevole certezza è che il petrolio – come materia prima - continuerà ad essere prodotto e venduto per ancora svariati decenni. Non finirà tra venti, trenta e nemmeno sessanta anni. Quello che invece è probabilmente già finita è l’epoca del petrolio a buon mercato. Ci sarà, ma sarà sempre più raro, sempre più conteso sui mercati internazionali, a costi sempre più alti.
Uno scenario per niente tranquillizzante, soprattutto per un Paese con il nostro, fortemente dipendente dagli idrocarburi di importazione, che impone di non attendere oltre nel mettere a punto e nel varare misure utili, se non altro, ad attenuare gli effetti della “crisi petrolifera crescente” con cui in ogni caso dovremo convivere.
Quintino Protopapa
Petrolio
Riserve di petrolio: per quanto tempo, ancora?
Per quanto tempo potremo basare i nostri consumi energetici sul petrolio? È una domanda ancora senza risposta, ma sono in molti a ritenere che il picco di produzione sia dietro l’angolo
In una situazione in cui quasi ogni giorno il prezzo del greggio fa segnare quotazioni record, è normale che tutti si chiedano quando finirà la corsa al rialzo. Ma se è questa la domanda più ricorrente, l’interrogativo cruciale continua ad essere un altro: quanto durerà ancora il petrolio? Questa domanda rimbalza da decenni da una parte all’altra del Pianeta senza che alcuno sia in grado di offrire risposte precise, cioè basate su dati documentabili.
È certo che un giorno il petrolio commercialmente disponibile finirà, ma quanto questo giorno sia vicino è impossibile dirlo, e questa incertezza getta un’ombra pesante sul futuro energetico dell’umanità. I pessimisti (e sono i più) delineano scenari di un vero e proprio medioevo energetico: la fine dell’era del petrolio, a loro giudizio, ci coglierà comunque impreparati e alle prese con problemi che non si sono mai affrontati nelle moderne società industriali. Gli ottimisti, che pure non mancano, sono convinti che di petrolio ne resti quanto basta, seppure non più a buon mercato, per consentire una transizione “morbida” verso nuove tecnologie energetiche.
Ma andiamo per ordine e chiediamoci innanzitutto quale sia oggi il peso reale del petrolio nello scenario energetico.
Un primato in declino solo in valori percentuali
Stando agli ultimi dati disponibili forniti dalla British Petroleum, nel 2004 il petrolio ha coperto nel mondo circa il 35,3% dei consumi complessivi di energia primaria, confermandosi ancora largamente al primo posto tra le fonti energetiche, davanti al carbone (24,6%) e al gas naturale (20,7%). Tale quota è tuttavia in diminuzione, avendo perso due punti rispetto all’anno precedente, quando era attestata al 37,3%. Ma il calo percentuale, che interessa soprattutto i Paesi industrializzati OCSE, non deve trarre in inganno perché, in valori assoluti, i consumi di petrolio continuano a crescere parallelamente alla domanda globale di energia.
Ad esempio trenta anni fa - al tempo del primo shock petrolifero - il petrolio copriva circa il 45% dei consumi globali di energia; oggi il 35%. Tuttavia, siccome nel frattempo i consumi globali sono aumentati del 66%, si consuma oggi molto più petrolio di allora. E la domanda continuerà a salire, per soddisfare le crescenti esigenze dei popolosi Paesi in via di sviluppo: Cina e India innanzi tutto. Infatti, secondo l’IEA (International Energy Agency) nel 2030 si consumeranno nel mondo circa 42 miliardi di barili di petrolio/anno, contro i circa 28 miliardi di barili/anno attuali (1 barile = 159 litri).
Resta in piedi, pertanto, il quesito di prima: fino a quando l’evoluzione dell’offerta di petrolio sarà in grado di soddisfare una domanda che si mantiene comunque crescente?
L’incertezza sulle riserve
Per rispondere occorrerebbe un elevato grado di chiarezza sulla consistenza reale delle attuali riserve accertate e stimate,intendendo con il primo termine la quantità di idrocarburi che si ritiene possa essere estratta– a costi economicamente sostenibili - da giacimenti già scoperti, e con il secondo termine (riserve stimate o probabili) le quantità stimate sulla base di dati geologici e di ingegneria di giacimento, ma non ancora accertate. Senza mettere in conto, dunque, le “risorse” o “riserve possibili”, necessariamente ancora più aleatorie, relative a giacimenti di cui si sospetta l’esistenza – con diversi gradi di affidabilità - che sono ancora da scoprire.
Anche la determinazione delle riserve accertate e stimate, tuttavia, è fortemente condizionata da incertezze tecniche ed economiche. Le prime derivano dal fatto che i volumi di idrocarburi contenuti nei giacimenti sono stimati quasi esclusivamente attraverso dati ottenuti con metodi indiretti (ad esempio le proprietà fisiche delle rocce nei pozzi), essendo molto costosi i metodi diretti che richiedono attività di perforazione. Le seconde includono, in particolare, la difficoltà di poter prevedere l’andamento futuro dei costi di estrazione e dei prezzi di vendita.
A queste incertezze valutative si sommano, poi, le reticenze e le informazioni volutamente inesatte cui ricorrono spesso sia le grandi compagnie petrolifere sia i Paesi produttori. Le ragioni di questo comportamento – ben conosciuto tra gli addetti ai lavori - sono essenzialmente di natura economica o finanziaria. Le compagnie petrolifere, ad esempio, possono essere interessate a diminuire la stima delle proprie riserve per ragioni di cautela fiscale o, al contrario, possono essere propense ad aumentarla quando si tratta di raccogliere capitali tra gli investitori. D’altra parte i Paesi produttori dell’OPEC possono essere indotti a “gonfiare” le proprie riserve per mantenere le proprie quote di mercato, considerato che le quote di produzione sono di regola attribuite in base al rapporto tra produzione e riserve accertate.
Con il fiato sospeso in attesa del picco di produzione
In questa situazione, ricca di incertezze oggettive e di informazioni inattendibili, ogni tentativo di far luce sulla durata delle riserve petrolifere deve essere accolto quantomeno con cautela. Secondo l’autorevole BP Statistical Review, le riserve provate di petrolio ammontavano a fine 2003 a 1.146,3 miliardi di barili, equivalenti a 156,7 miliardi di tonnellate, valore che, rapportato alla produzione annua corrente, dà luogo ad una durata di 41 anni.
Ma anche prendendo per buoni questi valori, è evidente che questa previsione di durata non può che subire continui aggiustamenti in relazione, soprattutto, all’evoluzione della domanda e a nuovi possibili ritrovamenti. In effetti, più che chiedersi quanto dureranno ancora le riserve, come è portato a fare l’osservatore comune, bisognerebbe chiedersi, come fanno gli esperti, quando si arriverà a quel picco di capacità produttiva che segnerà l’inizio della discesa ineluttabile verso la fine dell’era del petrolio. Quando questo picco sarà superato, l’offerta di petrolio, infatti, sarà sempre meno in grado di soddisfare la domanda in costante ascesa e quindi i prezzi tenderanno ad impennarsi anche rispetto ai valori attuali, che già sembrano elevatissimi.
Gli studiosi più pessimisti danno questo picco ormai per imminente e lo collocano tra il 2007 e il 2010. Alcune compagnie petrolifere, come la Total, hanno fissato tale data tra il 2020 e il 2030. Tra questi due orizzonti si colloca un gran numero di previsioni diverse, come ad esempio quelle dell’ASPO (Association for the Study of Peak Oil, un’associazione di studiosi che riunisce geologi specializzati nel settore petrolifero), secondo cui il famoso picco di capacità produttiva sarà raggiunto tra il 2010 e il 2015.
Altri analisti fanno invece notare che in tutto il Medio Oriente (l’area ove è concentrato la gran parte delle riserve mondiali) i costi di produzione sono davvero bassi (tra i 3 e i 6 dollari/barile tutto compreso, cioè considerando anche esplorazione e sviluppo) se confrontati a quelli del Mare del Nord (15-16 dollari/barile). Ma se si utilizzassero in Medio Oriente le tecnologie sviluppate per pompare greggio dal Mare del Nord, allora le riserve medio-orientali probabilmente raddoppierebbero. E non va dimenticata la presenza di abbondanti risorse di idrocarburi “non convenzionali” (sabbie e scisti bituminosi, particolarmente abbondanti in Canada e Venezuela), che ancora sono economicamente non competitive, ma che hanno riserve stimate a quasi quattro volte quelle accertate di petrolio.
La conclusione cui si giunge con ragionevole certezza è che il petrolio – come materia prima - continuerà ad essere prodotto e venduto per ancora svariati decenni. Non finirà tra venti, trenta e nemmeno sessanta anni. Quello che invece è probabilmente già finita è l’epoca del petrolio a buon mercato. Ci sarà, ma sarà sempre più raro, sempre più conteso sui mercati internazionali, a costi sempre più alti.
Uno scenario per niente tranquillizzante, soprattutto per un Paese con il nostro, fortemente dipendente dagli idrocarburi di importazione, che impone di non attendere oltre nel mettere a punto e nel varare misure utili, se non altro, ad attenuare gli effetti della “crisi petrolifera crescente” con cui in ogni caso dovremo convivere.
Quintino Protopapa