Portogallo

tontolina

Forumer storico
ANCHE IL PORTOGALLO HA IL SUO “PODEMOS”



ANCHE IL PORTOGALLO HA IL SUO ?PODEMOS? : il Moralista

Podemos fa scuola e sbarca in Portogallo. Lo scorso 14 dicembre a Lisbona si è tenuta la prima assemblea generale (Assembleia Cidadã) di un movimento che intende seguire le orme del partito di Pablo Iglesias. A guidarlo è una giovane psicologa, Joana Amaral Freitas, classe 1975, ex esponente della formazione di sinistra Bloco de Esquerda, con la quale, peraltro, è stata eletta in parlamento nel 2003.
Dicono di non essere un franchising del più noto movimento spagnolo, ma dal nome che hanno scelto — Juntos Podemos — e dal simbolo che riecheggia quasi alla lettera il cerchio di Podemos, si evince chiaramente che è quello il modello cui vogliono fare riferimento. Sul piano politico, però, il neonato movimento portoghese ci tiene a sottolineare la sua “equidistanza dalla destra e dalla sinistra”, e in ciò, evidentemente, sta la principale differenza con i cugini spagnoli, che invece hanno deciso di collocarsi nella stessa famiglia della greca Syriza e degli altri partiti della Sinistra Europea. Un’esigenza elettorale?

Necessità di distinguersi dalla sinistra tradizionale portoghese che non mostra al momento grande appeal?
Può darsi, anche perché i temi che Juntos Podemos agita nel Paese sono assolutamente sovrapponibili a quelli che in Europa agitano quasi tutte le forze della sinistra di alternativa, più o meno radicale, a cominciare dalla critica severa ai programmi di austerità imposti dalla Troika.
Sarà anche per questo che in una recente intervista il suo leader, di fronte ad un’allusione ironica del giornalista sul rapporto di Juntos Podemos con il più noto movimento spagnolo, abbia risposto che «è meglio essere chiamati alunni di Podemos che essere i migliori alunni dell’Europa».
A parte l’approccio antiliberista alle questioni economiche e sociali, alla condanna dell’austerità assurta in Europa a metodo permanente di governo, l’altro elemento che caratterizza il movimento di Amaral Freitas è l’accento che viene messo sul tema della lotta alla corruzione ed ai privilegi dell’ establishment politico. In questo le affinità con alcune forze populiste, anti-casta, europee sono più marcate, decisamente evidenti. Il segno che la crisi ha travolto non soltanto diritti e conquiste sociali, ma anche vecchi modelli di contrapposizione politica allo status quo.
L’assunto è questo: i cittadini hanno perso fiducia nella politica e nei governati perché i loro privilegi stridono con le condizioni materiali di vita della gente comune, a maggior ragione dall’inizio della crisi. È necessario perciò, secondo la giovane psicologa, “conquistare il consenso politico sulle questioni dove maggiormente c’è consenso e sensibilità sociale, come è il caso, per esempio, della lotta contro la corruzione “. Quando si dice realismo politico!
Le elezioni politiche sono previste in Portogallo fra settembre e ottobre 2015, e per questo appuntamento Juntos Podemos sta lavorando alacremente. Il primo passo, in ogni caso, sarà quello di raccogliere le 7500 adesioni che la legge impone per poter ricevere l’accreditamento da parte del Tribunale Costituzionale.

Un obiettivo che sembra a portata di mano, visto l’interesse che l’iniziativa sta suscitando soprattutto tra i giovani. Più difficile sarà centrare i temi di maggiore impatto sull’opinione pubblica, per competere efficacemente nel mercato del voto, ma su questo terreno potranno giocare a favore della nuova forza politica sia le condizioni generali del paese, su cui gravano rabbia e disincanto, che l’eco del probabile successo di Podemos in Spagna. Nel frattempo cresce la loro presenza sui social network e si amplia la partecipazione alle loro discussioni mediante la piattaforma digitale “Airesis” che hanno da poco creato.


Il Paese sta vivendo una stagione molto difficile, segnata dagli effetti del combinato disposto di crisi ed austerità. Si ricorderà che nel 2011 il governo di Lisbona aveva sottoscritto un “memorandum” con la Troika – aiuti finanziari in cambio di riforme “strutturali” di segno neoliberista – che ha comportato sacrifici enormi per il popolo, senza effetti di ristoro significativi per i conti pubblici e l’economia reale. Due dati su tutti: il debito pubblico lambisce il 130% del Pil dal 107% che era nel 2011, la disoccupazione ha sfondato il tetto del 13%.
Il programma di “salvataggio” si è chiuso alla vigilia delle elezioni europee del maggio scorso, le quali hanno restituito un quadro politico non corrispondente più agli attuali rapporti di forza in parlamento.
Il partito del premier in carica di centrodestra Coelho (Psd – Partito Socialdemocratico) ha registrato una sonora sconfitta, di cui si sono avvantaggiati soprattutto i socialisti, che hanno saputo ben cavalcare la rabbia dei ceti popolari dopo tre anni di austerità. E’ stata bocciata la politica economica di questi anni e la sottomissione del governo ai diktat della tecnocrazia europea. Un assaggio di quello che potrebbero riservare le elezioni politiche del prossimo autunno.
Juntos Podemos è consapevole del vantaggio che tale situazione comporta per una forza che si proclama estranea al sistema e alternativa all’Europa della Troika. “Siamo figli delle grandi manifestazioni del settembre 2012”, hanno dichiarato in questi giorni, legando, anche simbolicamente, la loro iniziativa politica alle piazze anti-austerità degli anni scorsi. Come Podemos, d’altronde, che ha nel suo dna l’acampada di Puerta del Sol del maggio 2011.
Una cosa è certa comunque: nell’Europa che cambia il Portogallo è pronto a fare la sua parte.
Luigi Pandolfi
Fonte: http://www.scenariglobali.it/europa/760-anche-il-portogallo-ha-il-suo-podemos.html
 
Portogallo sotto la lente. Crisi, Lisbona prossima fermata?
Dopo sei anni di crisi e tre sotto il piano di salvataggio della Troika, il Portogallo ha un debito pubblico pari al 129% del Pil. Dopo le riforme e i sacrifici sociali, ha un tasso di disoccupazione all’11.2%. Dopo anni vissuti con istituti sottocapitalizzati e con in pancia miliardi di crediti deteriorati, ha un sistema bancario fragile, potenzialmente in grado di innescare un effetto “a spirale”che inghiottirebbe banche e governo. L’Europa ha cancellato la multe per «deficit eccessivo», ma entro il 15 ottobre Lisbona dovrà presentare «misure efficaci» all’Ue. Il 21 ottobre l’agenzia di rating Dbrs ha in agenda la revisione del giudizio sul Portogallo ed è l’unica ad assegnare ancora al Paese un punteggio sopra il cosiddetto investment grade
Portugal_pray.jpg


«Giace l’Europa, sui gomiti appoggiata/ giace da Oriente a Occidente, scrutando/ e le occultano romantici capelli/ occhi greci, rimembrando./ Il gomito sinistro è arretrato;/ il destro è ad angolo disposto./ Quello che dice Italia ov’è appoggiato;/ questo dice Inghilterra ove, discosto,/ la mano regge su cui posa il volto./ Scruta, con sguardo sfingeo e fatale,/ l’Occidente, futuro del passato./ Il volto con cui scruta è il Portogallo». I versi sono di Fernando Pessoa, raccolti in “Messaggio”. Era il 1934, raccontava così il suo Portogallo alla cesura tra passato e futuro.
Ottant’anni dopo, la cronaca del Paese iberico segue la narrazione dell’emergenza economica, dell’austerità, del pareggio dei conti. Lisbona scalpita, tenuta al guinzaglio di un’Europa che non è più la stessa, un’Europa alla quale si unì ormai trent’anni fa. Tutti guardano al Sud e non al cuore dell’Europa.

Pessoa.jpg

Fotografia di un Paese fragile
Dopo sei anni di crisi e tre (2011-2014) sotto il piano di salvataggio della Troika (Ue, Bce, Fmi) da 78 miliardi di euro, il Portogallo ha un debito pubblico pari al 129% del Pil. Dopo le riforme, i tagli e i sacrifici sociali, ha un tasso di disoccupazione all’11.2%, e registra un aumento sistematico di chi non studia né lavora. Dopo anni vissuti con istituti sottocapitalizzati e con in pancia miliardi di crediti deteriorati, ha un sistema bancario fragile, potenzialmente in grado di innescare un effetto “a spirale” che inghiottirebbe banche e governo, come spiega anche Bloomberg.
Lisbona non ha risanato il bilancio secondo i paramentri europei, ma per ora è stata graziata dall’Ue insieme alla Spagna: niente multe.
Intanto, il governo socialista guidato da Antonio Costa, è al lavoro con un piano varato a dicembre 2015, per smantellare le misure di austerità e ristrutturare il welfare sociale, nonostante la crescita rallentata. Per il premier, «il futuro non è lavorare di più e avere meno vacanze. Il futuro è investimenti, istruzione, scienza, innovazione e tecnologia».

Schermata-2016-08-26-alle-10.13.26.png

Lisbona sorvegliata speciale
Entro il 15 ottobre Lisbona dovrà presentare «misure efficaci», pari allo 0,25% del Pil. Dovrà quindi impegnarsi a ridurre il deficit entro il 2016. Le raccomandazioni sono quelle snocciolate del Consiglio Europeo che, su proposta della Commissione, ha deciso di cancellare le multe contro Portogallo (e Spagna) per «deficit eccessivo» rispetto ai paletti europei (4,4% contro il 3% richiesto), come già evidenziato il 7 luglio scorso. Il 27 luglio, dopo lunghe discussioni e divisioni interne, la Commissione aveva infatti scelto di abbandonare il bastone del rigore e lasciare tempo al governo portoghese per rimediare, perché – come già notato a fine maggio da Pierre Moscovici, commissario agli affari economici – «non è il momento giusto, politicamente ed economicamente, per fare questo passo».

Euroscetticismo, «sfide sociali» e «sforzi prolungati negli ultimi sei-sette anni» – per usare le parole del vicepresidente Dombrovskis – avevano convinto i burocrati di Bruxelles a cambiare strategia. «L’approccio punitivo non è il migliore in un momento di dubbi dei cittadini nei confronti dell’Unione europea», aveva spiegato ancora Moscovici, secondo il quale arrestare la retorica dell’Ue dell’austerity e delle bacchettate «era la decisione migliore» perché una multa sarebbe stata «poco credibile e poco efficace».

L’Europa, già alle prese con la Brexit, i mercati nervosi e il crescente malcontento anti-Bruxelles, il 7 luglio aveva preferito rimandare qualsiasi decisione sui conti portoghesi, passando la palla all’Ecofin. In quel momento si erano ben distinte le posizioni in seno alla Commissione: da un lato gli intransigenti, guidati dal tedesco Guenther Oettinger, dall’altra i fautori di una linea morbida, in primis l’Italia e la Francia, interessate a non creare un precedente pericoloso che si potrebbe sempre ritorcere contro.

«Il Portogallo e la Spagna non hanno assolto agli obblighi di bilancio che essi stessi si erano imposti e credo che, se la Commissione vuole mantenere la propria credibilità sul rispetto delle regole di bilancio, allora dobbiamo decidere le sanzioni», aveva detto Oettinger alla “Bild”. E a presiedere l’Ecofin c’era proprio lo slovacco Petr Kazimir, considerato un “falco” pro-sanzioni, ovvero contrario all’Europa dei «due pesi e due misure».

A fine giugno le pressioni arrivavano da più fronti. Il Fondo monetario internazionale, per bocca della direttrice Christine Lagarde, aveva chiesto esplicitamente «chiarezza» e negoziati immediati per definire meglio il divorzio Londra-Bruxelles, per evitare di «alimentare l’incertezza». Sempre a ridosso della riunione Ue, mentre le Borse si dimostravano sempre più altalenanti, Moody’s aveva iniziato a tagliare l’outlook di Barclays, Hsbc, Lloyds, Banking Group, Santander Uk e Rbs.

In più, i primi di luglio la stampa aveva rilanciato le dichiarazioni (poi smentite) del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, secondo il quale se il Portogallo non si fosse attenuto alle direttive europee, avrebbe dovuto accedere a un nuovo programma del fondo salva-Stati (Esm). In ogni caso, riguardo ad avvertimenti mai contraddetti e frecciate a Lisbona, Schaeuble non si era risparmiato già prima: «Il Portogallo farebbe meglio a non allarmare i mercati ancora di più, alimentando le voci sul fatto che vuole invertire il cammino preso. Sarebbe molto pericoloso», aveva detto a febbraio.

In questo contesto sopra illustrato, che fare? Sanzionare oppure lasciar perdere? La proposta arrivata sul tavolo dei commissari riguardava una multa minima, praticamente simbolica, tra lo 0,01% e lo 0,03%. Alla fine, però, l’incertezza strisciante, e la paura legata all’ascesa dei populismi del dopo Brexit, ha convinto l’Ue a non percorrere una strada troppo pericolosa. E pare che anche la Germania di Schaeuble si sia convinta.

Bandiere-in-marcia.jpg

Esame d’autunno tra debito e banche in difficoltà
Il 21 ottobre l’agenzia Dbrs ha in agenda la revisione del giudizio sul Portogallo. L’appuntamento è importante per due motivi. Primo: Dbrs è l’unica ad assegnare a Lisbona un punteggio pari a Bbb con prospettive di stabilità, cioè un giudizio ancora sopra il cosiddetto investment grade, ovvero il livello di investimento. Secondo: Fergus McCormick, che dell’agenzia canadese è responsabile, qualche giorno fa aveva innervosito i mercati e messo sotto pressione i titoli portoghesi, dichiarando che, nonostante l’outlook stabile, le pressioni su Lisbona stanno aumentando. A detta sua, il governo potrebbe non riuscire a fare approvare le misure necessarie richieste dall’Ue. Tutto ciò, rende de facto gli esperti di Dbrs «più timorosi sulle prospettive per la crescita che sembra allentare il passo».

Il punto cruciale è il seguente: se Lisbona dovesse perdere il giudizio positivo di Dbrs, così preoccupata dal programma anti-austerity di Costa, non sarebbe più idonea per il programma di stimoli della Banca centrale europea.

Il Portogallo, come abbiamo visto, è sotto la lente dell’Ue, ma anche dei mercati. Le banche sono il terzo anello debole del Paese iberico. La crisi potrebbe vivere il suo atto secondo se cedesse il sistema bancario, avvitato tra la crescita rallentata, i tassi di interesse al ribasso, la gestione dell’implosione della prima banca del Paese (la Caixa Geral de Depòsitos, che detiene quasi il 30% dei depositi portoghesi), e la trattativa per vendere Novo Banco.

A maggio il quotidiano spagnolo “El Pais” aveva scritto che, per sopravvivere, CGD aveva bisogno di un’iniezione di capitale da 4 miliardi di euro, pari al 2,5% del Pil. A giugno il Fondo Monetario internazionale aveva rilevato che il «sistema bancario portoghese continua a operare in un contesto impegnativo». Ad oggi, il governo portoghese è impantanato in una laboriosa trattativa con Bruxelles per stabilire i termini del piano di ricapitalizzazione statale, che potrebbe variare da 2 a 5 miliardi.

A tutto ciò si aggiunge la questione della cessione della good bank Novo Banco, nata dall’implosione di Banco Espirito Santo, che potrebbe – scrive il FT – «determinare il prossimo futuro del sistema bancario portoghese». A dicembre 2015, la Commissione europea aveva dato l’ok agli aiuti di Stato per NB, ovvero al prolungamento delle garanzie per un valore nominale di 3,5 miliardi. Insieme a Novo Banco, l’esecutivo Ue aveva acceso la luce verde per 3 miliardi di sostegno statale al Banco Internacional do Funchal (Banif), piccolo istituto con sede a Madeira.

Staremo a vedere. Nonostante siano già arrivate quattro offerte, l’affare Novo Banco non è ancora stato chiuso. La scadenza è comunque fissata per agosto 2017.

Oltre l’austerity c’è di più
Visti i conti, osservate le banche e le agenzie di rating, del Portogallo un altro potenziale terreno di instabilità è la politica. Croce e delizia del Paese – a seconda delle fonti – il premier socialista Antonio Costa ha ripristinato i giorni festivi soppressi, è pronto ad aumentare il reddito minimo da 505 a 600 euro entro il 2019, ha promesso di ribaltare il trend di tagli alle pensioni e ai servizi pubblici, è risalito al 50% della compagnia aerea Tap privatizzata dal precedente governo. Ha tutta l’intenzione di ridurre il deficit di bilancio (dal 4,4% al 2,2% nel 2017), senza colpi di forbice agli stipendi o alle pensioni. Come? L’aumento delle tasse al momento non è in discussione.

Nonostante i mercati, la paura delle sanzioni europee e gli impegni da rispettare entro ottobre, finora il mantra è stato “voltare pagina, no all’austerità” perché i miglioramenti economici del 2015 arrivati con il rigore «non sono reali».

Uscito sconfitto alle elezioni del 4 novembre 2015 dal primo ministro uscente Pedro Passos Coelho, Costa è riuscito comunque a formare un governo con il sostegno esterno di due partiti di sinistra: i post-trotskysti del Bloco de Esquerda (per la rinegoziazione del debito) e la coalizione verdi-comunisti (il Pcp è tra i più euroscettici).

A nemmeno un anno dall’inizio del suo lavoro, Costa ha ammesso al “Jornal de Noticias online” che sul piano pratico le cose potrebbero andare diversamente e che potrebbero essere preparate «delle misure da tenere in riserva e da usare solo se sarà necessario».

Al momento i fatti raccontano che a febbraio la finanziaria portoghese anti-rigore à la Costa ha passato l’esame della Commissione Ue. Rispetto alla prima bozza presentata a gennaio il governo socialista ha dovuto aggiungere qualche misura in più, per evitare la stroncatura europea. «Niente di politico» dietro la procedura, ha chiarito la Commissione. «Un dialogo costruttivo, senza dover rimandare indietro la bozza di bilancio e doverne chiedere una nuova, ha portato all’adozione di misure ulteriori del valore complessivo di 845 milioni di euro, che salvaguarderà la stabilità delle finanze pubbliche del Portogallo. La Commissione non guarda l’orientamento politico di un governo ma le regole», ha aggiunto.
 
Quanto sono euroscettici i portoghesi?



Appena ricevuta notizia di una possibile multa per il Portogallo a fine primavera, il premier Costa aveva messo in guardia l’esecutivo europeo: eventuali nuove sanzioni non avrebbero fatto altro che infervorare il sentimento euroscettico, visti «i risultati del referendum nel Regno Unito e l’impatto che ha avuto sull’Unione europea».

L’appartenenza all’Unione europea per il Portogallo è politicamente fuori discussione (nonostante nella coalizione di governo ci siano i comunisti euroscettici di Jeronimo da Sousa). Sono le condizioni economiche che probabilmente andrebbero rinegoziate. Il sentimento di sfiducia nell’Ue, secondo i dati pubblicati Eurobarometer Gallup riportati da Cambridge Scholars, è al 51% tra i portoghesi: un trend abbastanza comune ai membri storici dell’Europa unita. Ciò che si è trasformato in diffidenza è l’entusiasmo per il progetto comunitario, da sempre evidente in Portogallo, in Grecia e in Italia.

Il premier Costa non chiede assolutamente il divorzio da Bruxelles, anzi ha bollato la Brexit come una «stranezza britannica». Il cambio di passo è sulle condizioni economiche che l’Europa impone ai suoi membri, specialmente ai più esposti che sono diventati negli anni delle «cavie da laboratorio». Il messaggio lanciato da Costa e dal suo governo socialista che si oppone all’austerità di Bruxelles, da tempo ormai chiamata “riforme”, è fin troppo chiaro.

Del dibattito sulle riforme e sul debito pubblico, le cronache politiche portoghesi sono ancora piene, ma almeno l’austerity con Costa – come ha notato Ramires Serrano su “Open Democracy”- non è più egemone.

Il problema, però, è sempre lo stesso. Per i mercati e i principali interlocutori economici internazionali un governo socialista fa paura, perché rallenterebbe la crescita e allontanerebbe gli investimenti (i dati sono di Berenberg Bank – Bloomberg, che ha messo a confronto il Portogallo con la cugina iberica. Socialisti o meno, neanche i conti spagnoli sono in salute).


Portogallo_politici.jpg
 
Ora che al governo ci sono M5S e Lega, due partiti assolutamente contrari alle politiche di austerity e favorevoli a un rilancio della crescita attraverso investimenti pubblici e spese in deficit, l'Italia potrebbe pensare di seguire la strada del Portogallo, la cui ripresa è diventata uno dei pochi esempi di successo nel Sud d'Europa.
Tra i cosiddetti PIIGS, dopo la disastrata Grecia, il Portogallo era forse quello messo peggio all'apice della crisi del debito sovrano. Senza poter ricorrere ai vantaggi fiscali dell'Irlanda - che con una corporate tax ultra bassa del 12,5% si può permettere di attirare investimenti aziendali - il Portogallo è riuscito a ottenere una crescita sostenibile dopo anni di austerity imposta dalla Troika,
grazie a un incremento delle esportazioni e a un maggiore consolidamento fiscale.
Sono due obiettivi che anche l'Italia dovrebbe puntare a raggiungere. Il governo, nato da un'alleanza tra socialisti e comunisti, ha fatto ricorso a misure liberali per rilanciare l'economia, ma queste sono state accompagnate da una serie di cuscinetti sociali, che hanno garantito welfare per tutti anche a sostegno dei meno abbienti e dei disoccupati (sulla falsa riga di quanto vorrebbe fare il M5S).
coelhofig5.png

Il tasso degli investimenti lordi delle aziende non finanziarie in Portogallo rispetto all'UE a 28 (media mobile a 4 anni)[/caption] È stato aumentato il salario minimo e sono state ridotte le tasse, sono stati aumentati gli stipendi del settore pubblico ed è stata migliorata la protezione sociale per le famiglie più povere.
Una grande differenza programmatica tra i due paesi è che con la flat tax Salvini ha intenzione di abbassare le tasse dei più ricchi, invece il Portogallo ha imposto una sorta di tassa patrimoniale sulle case con un valore superiore ai 600 mila euro.
Il Portogallo era in coda all'Europa e ora si trova in testa in ambiti come lavoro e Pil.
Il governo Costa è stato in grado di migliorare il mercato del lavoro stimolando la domanda.
In un delicato gioco di equilibri, il primo ministro è riuscito a soddisfare le domande della troika, abbassando il deficit di bilancio ai minimi dal 1974.
coelhofig2.png

Il programma di aiuti esterni è stato prolungato nel 2014, ma il segreto è stato quello di stimolare l'economia prima di attuare le riforme rigide dal punto di vista fiscale come invece è toccato fare alla Grecia. La percentuale di disoccupati, che era balzata sopra il 18%, è ora inferiore alla media Ue (7,8%). Il paese ha un tasso di crescita del Pil molto vicino al 3%. Il cambiamento però non è arrivato da un giorno all'altro, bensì dopo quasi vent'anni di riforme.
coelhofig1.png



Portogallo: rinascita resa possibile da 20 anni di riforme

Come riconoscimento per i risultati ottenuti, il ministro delle Finanze portoghese Mário Centeno è stato nominato alla guida dell'Eurogruppo. Questo la dice lunga sulla credibilità della ripresa economica ottenuta. Lui stesso in un lungo articolo di analisi economica pubblicato in settimana spiega come il Portogallo è riuscito a "girare l'angolo". "Dopo aver attraversato un quasi boom, una contrazione e poi una grave recessione, in meno di venti anni, l'economia del Portogallo è riemersa con una forza ritrovata. Sono state attuate "riforme strutturali importanti nell'ultimo ventennio che hanno interessato aree chiave come l'istruzione, le competenze dei lavoratori, gli investimenti, l'orientamento verso l'export, il mercato del lavoro, l'intermediazione finanziaria e i conti pubblici". Gli effetti positivi di queste riforme sono stati "accentuati dai tentativi di alimentare la domanda" e sono aumentati nel corso del tempo.
coelhofig7.png

Persino l'ex ministro delle Finanzae tedesco Wolfgang Schaüble, uno dei massimi critici delle politiche dei socialisti portoghesi, oggi tesse le lodi del lavoro svolto da Centeno. E pensare che soltanto due anni prima il falco fiscale della Germania avvertiva che le "politiche economiche voodoo" del paese sarebbero state fallimentari e avrebbero portato il paese a ricorrere a un altro programma di aiuti esterni)
Dopo aver visto con i propri occhi il baratro, il Portogallo vuole assicurarsi che non si verifichi mai più quanto avvenuto all'apice della crisi del debito europea.
Per questo sta cercando di fare processi nel processo di consolidamento fiscale.
Il paese deve ancora riuscire a fare due cose fondamentali: ridurre il debito pubblico, che rimane molto elevato - al 120% del Pil - e a rafforzare un settore bancario ancora troppo fragile e vulnerabile a shock esterni. Sono problemi annosi che ha anche l'Italia. Ma una volta ottenuti i tassi di crescita sperati, ai livelli del Portogallo di oggi, potrebbero essere affrontati con maggiore serenità.
coelhofig3.png


È stato aumentato il salario minimo e sono state ridotte le tasse, sono stati aumentati gli stipendi del settore pubblico ed è stata migliorata la protezione sociale per le famiglie più povere. Una grande differenza programmatica tra i due paesi è che con la flat tax Salvini ha intenzione di abbassare le tasse dei più ricchi, invece il Portogallo ha imposto una sorta di tassa patrimoniale sulle case con un valore superiore ai 600 mila euro.

Il Portogallo era in coda all’Europa e ora si trova in testa in ambiti come lavoro e Pil. Il governo Costa è stato in grado di migliorare il mercato del lavoro stimolando la domanda. In un delicato gioco di equilibri, il primo ministro è riuscito a soddisfare le domande della troika, abbassando il deficit di bilancio ai minimi dal 1974.


coelhofig2.png

Il programma di aiuti esterni è stato prolungato nel 2014, ma il segreto è stato quello di stimolare l’economia prima di attuare le riforme rigide dal punto di vista fiscale come invece è toccato fare alla Grecia. La percentuale di disoccupati, che era balzata sopra il 18%, è ora inferiore alla media Ue (7,8%). Il paese ha un tasso di crescita del Pil molto vicino al 3%. Il cambiamento però non è arrivato da un giorno all’altro, bensì dopo quasi vent’anni di riforme.


coelhofig1.png

Portogallo: rinascita resa possibile da 20 anni di riforme
Come riconoscimento per i risultati ottenuti, il ministro delle Finanze portoghese Mário Centeno è stato nominato alla guida dell’Eurogruppo. Questo la dice lunga sulla credibilità della ripresa economica ottenuta. Lui stesso in un lungo articolo di analisi economica pubblicato in settimana spiega come il Portogallo è riuscito a “girare l’angolo”.

“Dopo aver attraversato un quasi boom, una contrazione e poi una grave recessione, in meno di venti anni, l’economia del Portogallo è riemersa con una forza ritrovata. Sono state attuate “riforme strutturali importanti nell’ultimo ventennio che hanno interessato aree chiave come l’istruzione, le competenze dei lavoratori, gli investimenti, l’orientamento verso l’export, il mercato del lavoro, l’intermediazione finanziaria e i conti pubblici”. Gli effetti positivi di queste riforme sono stati “accentuati dai tentativi di alimentare la domanda” e sono aumentati nel corso del tempo.


coelhofig7.png

Persino l’ex ministro delle Finanzae tedesco Wolfgang Schaüble, uno dei massimi critici delle politiche dei socialisti portoghesi, oggi tesse le lodi del lavoro svolto da Centeno. E pensare che soltanto due anni prima il falco fiscale della Germania avvertiva che le “politiche economiche voodoo” del paese sarebbero state fallimentari e avrebbero portato il paese a ricorrere a un altro programma di aiuti esterni)

Dopo aver visto con i propri occhi il baratro, il Portogallo vuole assicurarsi che non si verifichi mai più quanto avvenuto all’apice della crisi del debito europea. Per questo sta cercando di fare processi nel processo di consolidamento fiscale. Il paese deve ancora riuscire a fare due cose fondamentali: ridurre il debito pubblico, che rimane molto elevato – al 120% del Pil – e a rafforzare un settore bancario ancora troppo fragile e vulnerabile a shock esterni.

Sono problemi annosi che ha anche l’Italia. Ma una volta ottenuti i tassi di crescita sperati, ai livelli del Portogallo di oggi, potrebbero essere affrontati con maggiore serenità.


coelhofig3.png

Ricevi aggiornamenti su Eurozona Lasciaci la tua e-mail:
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto