POTETE USCIRE MA NON DOVETE USCIRE, PERCHE' SE USCITE QUANDO POTETE USCIRE, POI E' COLPA VOSTRA SE NON VI PERMETTIAMO PIU' DI POTER USCIRE

Poverini, ridotti male male male..... mandiamo loro un pacco di capsaicina.
L’ingrediente principale dei peperoncini piccanti è anche uno degli ingredienti più efficaci per il sollievo dal dolore.
Quando si applicano per la prima volta, le creme con capsaicina causano un formicolio caldo o una sensazione di bruciore.
Questo migliora nel tempo.
Potrebbe essere necessario applicare queste creme per alcuni giorni fino ad un paio di settimane prima di notare sollievo dal dolore.
Ahahahahah


Da "Chi li manda a casa i governi, un banchiere?
Ma di che cazzo stanno parlando questi qua?
Se vinciamo noi, questa cosa cambierà!",

siamo passati a
"Ci siamo fatti mandare a casa da un banchiere e ci governeremo anche assieme".#IoVotoNO pic.twitter.com/frhGBarTJO
— Marce¤¤¤Vann¤¤ (@MarceVann) February 9, 2021

La reazione degli utenti: “Io dico no al macellaio della Troika”.

“Reato penale e abuso della credulità popolare per chi lo commette. Emorroidi per chi lo subisce”.

“Adesso arriveranno i cercatori di peli nell’uovo a dire: “Eh, ma non abbiamo vinto noi. Non abbiamo mica il 99,9% del Parlamento, purtroppo”.

Momenti differenti diranno”.
 
Tratto dal libro di Roberto Menia “10 febbraio. Dalle foibe all’esodo”. La storia di Giuseppe Cernecca
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«Lapidato con i sassi delle tue doline, ogni pietra ha una voce, il tuo lamento che chiede perché».

Mario Varesi, un poeta dell’esilio, dedicò questi versi alla vicenda di Giuseppe Cernecca, lapidato dai titini.

La sua colpa? Essere italiano.

La sua storia fu resa nota dalla figlia Nidia, esule da Gimino, donna coraggiosa la quale nel 1992 promosse,
con la sua denuncia, che andammo a presentare assieme presso il tribunale di Trieste,
l’apertura del processo “Foibe”, svoltosi poi a Roma contro i capi titini responsabili delle stragi nell’Istria e a Fiume.

Di quel processo, osteggiato dentro e fuori dai nostri confini,
restano le belle pagine scritte da un magistrato che alla giustizia credeva davvero, Giuseppe Pititto,
e di un avvocato che è un patriota d’altri tempi, Augusto Sinagra.


Nidia Cernecca si era portata per tutta la vita un ricordo tormentoso:
lei aveva sei anni e stava giocando con sua sorella Daria nel giardino di casa;
entrò un uomo, vestito con pantaloni alla zuava, stivaloni, pistola, frustino e berretto con la stella rossa,
che annunciò con fierezza alla mamma l’assassinio di suo padre, minacciandola di morte se avesse cercato di recuperarne il corpo.

Ma solo da adulta aveva saputo qual era il suo nome e soprattutto che viveva ancora, tra Rovigno e Zagabria.

La Jugoslavia era finita, la Croazia era da poco indipendente, ma Ivan Motika, il boia di Pisino, era ancora un uomo influente che faceva paura.

Nidia lo andò ad affrontare fuori di casa sua ma quello fuggì.

Poi ci riprovò e, davanti ad una telecamera Rai che credeva spenta,
egli rispose di essere stato sì un giudice popolare ma di non aver mai fatto male a nessuno.

E concluse sprezzante: “Istriani carne venduta”…

Nidia allora andò a cercare quello che gli avevano detto essere l’assassino materiale di suo padre:
si chiamava Martin Tomassich e viveva cieco in una casa di riposo.

Lo affrontò all’improvviso, mentre questi stava steso a letto:
“Lei ha ucciso il mio papà, Bruno Cernecca?”.

“Sì” rispose lui, con gli occhi bianchi e senza emozione.

“Ma era Motika il giudice…” aggiunse.


Tomassich morì qualche anno dopo e anche Motika andò al Creatore prima che il processo istruito a Roma potesse giudicarlo.

Certo non riposa in pace.

Nidia ricorda di suo papà sole le carezze: era un uomo buono, impiegato comunale a Gimino,
non credeva potesse bastare questo per finire ammazzato.

Fu arrestato da tre partigiani slavi mentre stava ritornando da un viaggio a Trieste,
fu portato al Comando titino, interrogato, bastonato e seviziato.

Era moro ma a seguito di quelle percosse, raccontò un testimone, incanutì in una notte.

Il “processo popolare” sentenziò per lui la pena di morte.

Racconta Nidia: “Mia madre lo vide passare sotto casa trascinato da una catena per buoi.
Aveva sulle spalle la croce del suo calvario: un pesante sacco di pietre col quale lo avrebbero lapidato.
Tra calci, insulti e percosse lo hanno fatto camminare per cinque chilometri, fino al bosco di Monte Croce,
nell’intrigo della foresta della Draga, in quella valle che finisce nel fiordo di Leme.
Lì, tra i cespugli, c’è un ciliegio selvatico dove la mano di un pastore ha inciso sulla corteccia la tragica data del 3 ottobre, ancora visibile.
Legato a quell’albero lo hanno massacrato e poi decapitato.
La sua testa fu portata da un orologiaio di Canfanaro per estrargli due denti d’oro.
Preso l’oro la gettarono a calci sulle rotaie della vecchia ferrovia istriana”.


Nidia conservò il suo diario di quei giorni, lo usò per scriverci un suo libro.

In esso racconta il calvario dell’Istria e della sua famiglia:

“Il papà lapidato. Lo zio 33 Roberto ucciso per un feroce seppur fatale errore dai tedeschi.
Lo zio Corrado Smaila gettato in foiba dopo che gli erano stati tolti gli occhi, ci raccontarono che era impazzito.
Lo zio Gaetano Cernecca, fratello di papà, gettato nella foiba.
L’avevano arrestato assieme al fratello Dante che avevano rimandato a casa, dicendogli che a loro bastava il fratello.
Lo zio Mario Ghersi, marito della zia Elvira Cernecca, sorella del papà, gettato nella foiba di Vines.
Gli zii Attilio ed Ettore Marzini, cugini della mamma, gettati in foiba, dopo che erano stati tolti loro gli occhi”…


Conobbi anche Leo Marzini, esule a Trieste, figlio di Attilio e nipote di Ettore.
Anche lui fece la sua denuncia alla Procura a seguito di quella di Nidia.

A casa sua mi fece vedere le fotografie spaventose che conservava di quei corpi riesumati da una cava di bauxite a Villa Bassotti nel Comune di Pisino.

Li aveva riconosciuti sua madre: erano nudi, le mani legate con il filo spinato ed erano stati loro tagliati i genitali e levati gli occhi.
Leo aveva vent’anni allora e tanto coraggio.

I Marzini erano di Pedena e lui andò dal capo partigiano di quel paese,
Giovanni Runco, accusandolo di essere un assassino.

Egli negò e rispose che erano stati giudicati e condannati da Motika.

“Allora portami da lui!” lo sfidò.

E quello così fece.

Raccontò Leo Marzini: “Ci recammo verso sera in un bosco, nelle vicinanze di Villa Lucchesi.
Motika spuntò da dietro gli alberi, da solo e prima di parlare pretese che il mio accompagnatore si allontanasse.
Aveva un mitra Beretta a tracolla, la pistola alla cintola, la bustina con la stella rossa sul capo.
Gli chiesi il motivo per il quale erano stati uccisi mio padre e mio zio.
Mi rispose prima in croato, poi in un italiano perfetto.
Non fece nulla per negare le sue responsabilità e si limitò a dire, con gentilezza sfacciata, che forse si era trattato di un errore.

Concluse il suo discorso con la frase:
“Caro compagno, ti consiglio di andare via di qui e di fare il partigiano in Italia”.

Evidentemente considerava che l’Istria non fosse già più Italia.


Ma era solo l’ottobre del 1943…
 
Israele è forse il Paese che, più di tutti nel mondo, sta dando l'esempio di come si può sconfiggere il Covid-19 in tempi rapidi e veloci
perché è quello che finora ha somministrato più vaccini in proporzione alla popolazione rendendolo un laboratorio a cielo aperto:
l'83% degli ultrasessantenni è già stato vaccinato almeno con la prima dose con un picco del 93% tra i settantenni.

Da questa settimana, poi, il vaccino è disponibile dai 35 anni in su oltre che agli adolescenti tra i 16 e i 18 anni.

Ed è sempre Israele che è balzato agli onori delle cronache per un'altra ragione:
è lì che si sta sperimentando un nuovo farmaco contro il Coronavirus che sarebbe efficace nel 96% dei casi trattati.

Il nuovo trattamento, in fase di sviluppo a Tel Aviv, ha completato con successo gli studi di fase 1
aiutando pazienti moderati a gravi con Covid-19 a riprendersi rapidamente dalla malattia.

I ricercatori affermano che questa nuova medicina modera la risposta immunitaria ed aiuta a prevenire la tempesta mortale di citochine:
29 dei 30 pazienti trattati in questa maniera hanno lasciato l'ospedale entro 3-5 giorni come riportato dal Times of Israel.

Il numero è ancora piccolo ma senz'altro molto significativo:
in pratica l'effetto "prodigioso" è stato osservato in quasi tutti i malati:
tutti e 30 si sono ripresi e 29 di loro in modo molto rapido.

”È un enorme passo in avanti", affermano entusiasti dall'ospedale Ichilov.

Il nome tecnico è EXO-CD24 ed il suo ideatore, il Prof. Nadir Arber, ha spiegato che il farmaco è "efficace e poco costoso":

il ruolo principale è quello di combattere la famosa "tempesta di citochine",

una reazione immunitaria potenzialmente letale all'infezione da Coronavirus

che si ritiene sia responsabile di gran parte dei decessi associati alla malattia.



La cosa particolare è che si tratta anche di un farmaco inalatorio,
viene cioè somministrato direttamente nel lume delle vie aeree,
ottenendo un livello di concentrazioni consistenti e riducendone al minimo gli effetti collaterali.

"Il farmaco si basa sugli esosomi (vescicole) che vengono rilasciati dalla membrana cellulare e utilizzati per la comunicazione intercellulare.
Arricchiamo gli esosomi con proteine 24CD. Questa proteina è espressa sulla superficie della cellula
e ha un ruolo noto e importante nella regolazione del sistema immunitario",

ha spiegato il dottor Shiran Shapira, direttore del laboratorio del Prof. Nadir Arber, che ha ricercato la proteina CD24 per oltre due decenni.

"La preparazione viene somministrata per inalazione, una volta al giorno, solo per pochi minuti, per cinque giorni", ha aggiunto sul quotidiano Israel21c.


"EXO-CD24 è un farmaco a base di esosomi: tecnicamente viene definito come 'extracellular vesicle' (ev) drug.

Gli esosomi esistono in natura nel nostro organismo e sono piccole sfere - nanosfere con diametro inferiore a 150 nm -
deputate al trasporto di sostanze di vario tipo tra una cellula da cui hanno avuto origine ad un’altra cellula, anche lontana,
alla quale hanno il compito di “recapitare” il contenuto loro affidato", spiega Renato Bernardini,
Professore ordinario di Farmacologia all'Università di Catania e membro del Consiglio Superiore di Sanità.

Grazie alla tecnologia, il professore ci dice che oggi è possibile isolare gli esosomi in laboratorio per manipolarli opportunamente,
caricarli con la sostanza voluta e rimetterli a “viaggiare” nell’organismo.

"Nei laboratori dell’Ichilov hospital di Tel Aviv, gli esosomi sono stati 'caricati' ed 'arricchiti' con una particolare proteina,
conosciuta come cd24, espressa da molte cellule del sistema immunitario, di cui media numerose funzioni.
L’idea è quella di somministrare la cd24 veicolata dagli esosomi per raggiungere in modo mirato alcune cellule
e sopprimerne l’eccessiva attività pro-infiammatoria in corso di un’infezione da Sars-Cov-2".
 
Commenti su nuovi governo?
Ministero finanza daniele franco, un tecnico....la dice lunga a differenza
 
Quando ho letto i nomi, le palle mi sono cadute a terra ed hanno iniziato a rotolare a valle.........non hanno ancora finito di rotolare.

Draghi ha letto la nuova squadra di ministri, composta da 8 tecnici e 15 politici (8 donne e 15 uomini).

Le quote delle figure politiche riguardano:

4 per i 5 Stelle,

3 per il Partito democratico,

3 per la Lega,

3 per Forza Italia,

1 per Liberi e uguali e

1 per Italia Viva.


Lo scacchiere sarà così formato:

ai Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà;

all'Innovazione tecnologica Vittorio Colao;

alla Pubblica amministrazione Renato Brunetta;

agli Affari regionali Mariastella Gelmini;

al Sud Mara Carfagna;

alle Politiche giovanili Fabiana Dadone;

alle Pari opportunità e alla Famiglia Elena Bonetti;

alle Disabilità Erika Stefani;

al Turismo Massimo Garavaglia;

agli Esteri Luigi Di Maio;

al Viminale Luciana Lamorgese;

alla Giustizia Marta Cartabia;

alla Difesa Lorenzo Guerini;

all'Economia Daniele Franco;

allo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti;

alle Politiche agricole Stefano Patuanelli;

alla Transizione ecologica Roberto Cingolani;

alle Infrastrutture Enrico Giovannini;

al Lavoro e alle Politiche sociali Andrea Orlando;

all'Istruzione Patrizio Bianchi;

all'Università Cristina Messa;

ai Beni culturali Dario Franceschini;

alla Salute Roberto Speranza.


Come sottosegretario alla presidenza del Consiglio verrà proposto Roberto Garofoli
 
“Nasce il governo del Vorrei ma non posso…”.

In effetti, Super Mario, come uno chef stellato è stato costretto a cucinare col cibo in dispensa.

Ma sono pietanze avanzate, che agli italiani già sono risultate indigeste.
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Tanto per capire il menu, restano al loro posto Luigi Di Maio, Luciana Lamorgese, Dario Franceschini, Roberto Speranza.

E questo potrebbe bastare per capire che i superpoteri di Draghi hanno potuto poco contro l’avidità di Pd e M5s.


Alla fine, il presidente del Consiglio incaricato ha consegnato a Mattarella una lista dei ministri che è una insalata mista bizzarra.

Cibo di qualità, come i tecnici di primo piano che ha inserito.


Nella squadra Draghi entrano 4 ministri pentastellati e sono tutte riconferme (anche se in alcuni casi in ruoli diversi) del Conte 2:
Federico D’Incà
torna ai Rapporti con il Parlamento e
Di Maio viene appunto confermato alla Farnesina.
Stefano Patuanelli migra dal Mise all’Agricoltura e
Fabiana Dadone dalla pubblica amministrazione alle Politiche giovanili.


Tre i ministri dem.
Due conferme con Lorenzo Guerini alla Difesa e
Dario Franceschini alla Cultura (ma “perde” il Turismo).
New entry Andrea Orlando, vicesegretario del Pd, come ministro del Lavoro.

Tre anche i ministri in quota Lega:
Giancarlo Giorgetti
allo Sviluppo Economico,
Erika Stefani
al ministero per le politiche della disabilità e
Massimo Garavaglia al Turismo.


Anche per Forza Italia la delegazione è composta da tre ministri:
Renato Brunetta alla Pubblica Amministrazione,
Mara Carfagna
al Sud e
Maria Stella Gelmini agli Affari regionali.

Leu vede invece confermato Roberto Speranza alla Salute.

Per i renziani di Italia Viva torna al governo Elena Bonetti
nello stesso ruolo del Conte 2 ovvero Pari opportunità e Famiglia.


Molto atteso era il tecnico all’Economia. Come preventivato, Draghi ha scelto Daniele Franco.

Il direttore generale della Banca d’Italia è anche presidente dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni-IVASS dall’1 gennaio 2020.

Vanta una lunga conoscenza con Mario Draghi nata certamente negli uffici di Palazzo Koch,
dove il premier ha ricoperto il ruolo di governatore dal 2005 al 2011.

Ricordato non solo per la sua lunga carriera ma anche per essere stato considerato uno dei nemici dai pentastellati
ai tempi del governo gialloverde quando, a loro dire, ha tentato di intralciare la partenza del Reddito di Cittadinanza
facendo continui richiami sulle coperture quando era al Tesoro.
 
Nel giorno clou del premier incaricato Mario Draghi, Vittorio Feltri irrompe con la sua consueta dose di cinismo
condito con ironia tagliente e politicamente scorretta.

Su Twitter il direttore di Libero coglie appieno il punto della questione,
ossia il rapporto tra Draghi e i partiti che lo sostengono in una maggioranza monstre,
orfana soltanto di Fratelli d’Italia.


Scrive Feltri: “Tutti si chiedono quanto durerà il governo Draghi. Durerà finché il premier non si romperà i coglioni di questi partiti“.
 
Attenti al Vaticano: da lì derivano le svolte, nella politica italiana, compresa la caduta di Conte e l’ascesa di Mario Draghi,
subito celebrato come salvatore della patria (ruolo persino facile, dopo l’inguardabile governo dell’ex “avvocato del popolo”).

I veri king-maker?

Sono loro, i gesuiti: nel 2020 hanno progressivamente emarginato l’ala non gesuitica
dell’alleanza curiale “progressista” che nel 2013 portò all’elezione di Bergoglio.

A firmare questa interpretazione vaticanista delle contorsioni politiche italiane è Fausto Carotenuto,
fondatore del network “Coscienze in Rete”, di ispirazione steineriana, e già analista strategico dell’intelligence Nato.

Luce verde innanzitutto dal Vaticano, quindi, per l’avvento dell’euro-banchiere a Palazzo Chigi?

«Tutto è stato predisposto perché Draghi ce la faccia: lo si respira ascoltando i media», premette Carotenuto.

«E’ addirittura sconcertante, la piaggeria degli adulatori: sanno benissimo che, dietro a Draghi, c’è un potere veramente importante».

Sanno, ma non dicono: «I giornali commentano il nulla, fermandosi alle esternazioni dei partiti,
senza chiedersi chi muove questi burattini: si parla di tutto, tranne di quello che sta succedendo veramente».


Non c’è da stupirsene: «Il teatrino risale ai tempi della repubblica romana: già allora i capi dei tribuni della plebe, in realtà, erano patrizi».

Altra premessa: per Carotenuto, «il Vaticano controlla tuttora saldamente buona parte della politica italiana».


Nella sua visione, l’analista indica due piramidi di potere, in contrasto solo apparente tra loro:

«Una è la piramide conservatrice, che promuove l’egoismo sociale in modo apertamente dichiarato,

mentre l’altra piramide sostiene l’umanitarismo, l’ecologismo, la giustizia sociale.

Intendiamoci: tende a sfruttare ideali e buoni sentimenti, creando formazioni politiche che fingono di perseguire questi ideali.

Così, le persone vengono ingabbiate in recinti illusori e messe le une contro le altre, in un gioco totalmente deviante».


Per Carotenuto, «la seconda piramide è più insidiosa: chi manifesta cattivi sentimenti almeno è evidente,
mentre la controparte ipnotizza la gente con le belle parole ma poi genera i Clinton, gli Obama, i Biden e la nostra falsa sinistra, il Pd, i falsi ambientalisti».


Al netto di pochi “incidenti di percorso” (Berlusconi e Salvini, Trump negli Usa e Putin in Russia)
è la piramide finto-buonista a detenere le grandi leve:

gli Usa con Biden e l’Ue,

l’alta finanza, Big Pharma e il Vaticano.


«Vogliono un mondialismo spinto all’estremo, fondato sulla verticalizzazione del potere.

Grandi alibi per questa accelerazione: il surriscaldamento climatico e la crisi Covid,
col risultato di aggravare l’aggressione farmaceutica ed elettromagnetica ai nostri danni».

Fin qui, lo sfondo che Carotenuto tratteggia.


E la politica italiana?

«Le due piramidi sono entrambe presenti in Vaticano».

«La piramide finto-buona, gesuitica, nel 2013 ha addirittura ottenuto il Papato, per la prima volta nella storia,
alleandosi con una parte importante della potente curia romana, finto-progressista,
per abbattere la piramide avversaria, cioè la Chiesa conservatrice, rappresentata da una parte della curia e da pontefici come Wojtyla e Ratzinger».



La “piramide conservatrice”, sempre secondo Carotenuto, sarebbe stata sconfitta
«attraverso scandali pilotati (economia, pedofilia), certo basati su fondamenti reali».

Risultato: l’elezione di Bergoglio e la designazione del cardinale Pietro Parolin come segretario di Stato,
carica importantissima nel potere vaticano.


Da allora, sostiene Carotenuto, l’influenza della Compagnia di Gesù non ha fatto che crescere.

«I gesuiti si sono sentiti sempre più forti, aiutati dalle loro grandi infiltrazioni nella massoneria, nella finanza, nelle università».

Al punto da intraprendere, nel 2020, un’offensiva clamorosa: contro i loro stessi alleati “progressisti”, ma non gesuiti.

«Così è scattata la progressiva epurazione, nella curia, degli elementi che erano sì progressisti, ma non appartenenti al circuito gesuitico».

Non a caso, sottolinea Carotenuto, «sono emersi nuovi scandali, finanziari e di altro tipo».

Morale: il cardinale Parolin «si è trovato accerchiato, e il cardinale Becciu (il suo “numero due”)
è stato fatto fuori con storie come quella delle operazioni immobiliari a Londra, giudicate spericolate».



Il solito teatro, per nascondere i veri giochi?

Tant’è vero, dice, che si è arrivati ad attuare una specie di golpe, contro la componente non-gesuitica del potere “progressista” vaticano.

E cioè:

«Prima hanno detto che il segretario di Stato non era più necessario che facesse parte della dirigenza dello Ior, la cassaforte vaticana.
Poi si è arrivati a una sorta di editto, da parte del Papa: il controllo delle finanze vaticane è stato tolto alla segretaria di Stato»,

e affidato a «giovani e preparatissimi gesuiti».


Sottolinea Carotenuto:

«E’ una cosa enorme: come se il presidente della Repubblica togliesse al premier ogni potere di spesa.
Questo è stato fatto: Parolin è ancora lì, ma completamente depotenziato, anche nella sua capacità di influire sulla politica italiana».

Da quel momento, il traballante regno di “Giuseppi” poteva considerarsi archiviato.

«Giuseppe Conte era il successore di Andreotti, in quanto espressione della curia romana
e pupillo di un cardinale potentissimo come Achille Silvestrini», scomparso da poco, noto come storico padrino del Divo Giulio.

«E chi era il tutor di Conte quand’era studente? Proprio lui: l’allora don Parolin».



Nei due governi Conte, continua Carotenuto, i ministri che contavano erano sotto il saldo controllo di poteri non visibili, e cioè
«curia, elementi massonici ed elementi collegati direttamente ai gesuiti».

“Giuseppi” divenne premier «perché in quel momento era il punto di equilibrio tra curia e gesuiti,
i quali accettarono (attraverso una mediazione) che a Palazzo Chigi andasse un uomo della curia».


Quando poi gli equilibri nell’Oltretevere sono cambiati, Conte è rimasto senza protezione.

«Certo, gli è stato permesso di restare al suo posto ancora per un po’, perché c’era l’emergenza Covid.
Ma poi, ci si è preoccupati dei fondi in arrivo dall'Ue, sommati all’enorme deficit nel frattempo accumulato con l’emergenza».

Quindi, sempre secondo Carotenuto, è sorto un concreto problema di gestione.

«In Vaticano, si sono detti: non se ne può occupare uno che non rappresenta più il vero potere».

A quel punto, continua l’analista,

«è entrato in scena un killer, per conto della corrente gesuitica, cioè Matteo Renzi: uno che col 2% è riuscito magicamente a far fuori Conte».



Evidentemente, ragiona l’analista di “Coscienze in Rete”, grandi poteri lo hanno appoggiato:

«E’ stranissimo, infatti, che Conte non sia riuscito a rabberciare una maggioranza.
Senatori in vendita ce ne sono sempre, Berlusconi docet.
E invece tutti, dopo aver detto sì a Conte, poi si ritiravano: convinti da chi?».


Sorride, Carotenuto:

«A noi raccontano storielline incredibili, come quella secondo cui Conte sarebbe personalmente antipatico a Renzi».

A proposito: chi è Renzi?

«E’ cresciuto in ambienti vicinissimi ai gesuiti, nella sinistra Dc toscana».


Attenti alle date: la sua carriera fulminante cominciò nel 2014, appena un anno dopo l’elezione di Bergoglio.


E cos’ha fatto, il grande rottamatore sostenuto dalla stampa e da Confindustria?

«Ha eliminato dal Pd le residue componenti di socialismo, di sinistra, trasformando il Pd in una specie di retriva Dc».

Perfetto come rottamatore, «ideale per operazioni di killeraggio: così ha rottamato anche Conte».


Quel filo rosso, per Carotenuto, si prolunga fino al Quirinale:

«Quando Conte ha dato le dimissioni ed è salito al Colle, sperava chiaramente in un reincarico:
era ancora convinto di farcela, in aula. Ma Mattarella il nuovo incarico non gliel’ha dato».

C’è stato invece il rituale giro di valzer affidato a Fico: un passaggio formale e senza speranza,
utile solo a certificare la morte clinica di “Giuseppi” come primo ministro.


«Poi, Mattarella ha messo tutti con le spalle al muro: o Draghi, o elezioni».

Meglio ancora: Draghi e basta, visto che il presidente della Repubblica ha spiegato perché ritiene improponibile lo stop elettorale,
in piena pandemia e con l'Ue che pretende il Recovery Plan entro aprile, pena lo slittamento degli aiuti, ossigeno vitale per un’Italia allo stremo.


«E chi è Mattarella? Viene anche lui dalla sinistra Dc, da sempre vicina agli ambienti gesuiti, ed è iper-europeista: come Draghi».


A quel punto, dice Carotenuto, il cerchio si è chiuso: addio, “Giuseppi”, e avanti Draghi.

«Un’operazione molto rapida e ben coordinata», facilitata oltretutto dall’impresentabilità del Conte-bis,
un governo senza qualità e affollato di «personaggetti debolissimi (tranne qualcuno, che doveva occuparsi di economia per conto dell'Ue)».

Attenti:
«Lo si era voluto, un governo così debole, destinato a stentare molto:
e i tanti ostacoli che ha incontrato “servivano” a preparare il terreno perché finalmente poi arrivasse il salvatore della patria».


Tutti con Draghi, oggi: i media hanno mollato Conte alla velocità della luce.

Del resto, ovviamente, l’abilità di Draghi non si discute.

Scontato quindi «l’immediato consenso dei grandi poteri internazionali»,
salutato dal crollo dello spread e dall’impennata della Borsa.

Impressionante, ma fino a un certo punto, il servilismo dei media:

non uno che ricordi, in questi giorni, i record non esattamente gloriosi dell’ex governatore di Bankitalia e della Bce,
già allievo dei gesuiti ai liceo Massimo di Roma, culla della pedagogia gesuitica destinata alla futura classe dirigente.


Carotenuto ricorda il ruolo strategico di Draghi negli anni ‘90, al tempo del Britannia,
quando – da direttore generale del Tesoro – agevolò la svendita di un’Italia sotto attacco,
privata di strateghi come Mattei e Moro, che ne avevano fatto una potenza industriale.

Gli anni del Britannia coincisero con le spaventose privatizzazioni all’amatriciana,
cioè il brutale smantellamento del nostro patrimonio industriale e bancario,
a cominciare da Iri, Eni, Agip, parte dell’Enel, Autostrade, Imi-Stet e tanto altro.

Grande “lubrificatore” delle cessioni: proprio lui, l’efficientissimo Draghi,
ancora presidente del Gruppo dei Trenta (considerato un’emanazione dell’area Rockefeller).



«In quegli anni abbiamo esternalizzato il debito pubblico, fin ad allora interno,
mettendo l’Italia nelle mani della grande finanza mondialista, gesuito-massonica».

Debole la resistenza della classe politica della Prima Repubblica, rasa al suolo da Mani Pulite.

«Tra i pochi a opporsi alla svendita della potente industria statale fu Bettino Craxi, e sappiamo come sia finito».


Acuminate le parole di Francesco Cossiga, che definì Draghi

«un vile affarista, socio della Goldman Sachs e liquidatore dell’industria pubblica».


Immaginatevi cosa farebbe, Draghi, da presidente del Consiglio, disse ancora Cossiga:

«Svenderebbe quel che rimane (Finmeccanica, Enel e Eni) ai suoi ex comparuzzi di Goldman Sachs».



A chi teme che Super-Mario sia ancora lo spietato esecutore dell’austerity, Carotenuto risponde con filosofia:

«Gli italiani sono davvero così dormienti?

Se, per svegliarsi ancora un po’, hanno bisogno di un altro governo orribile per sperimentare l’ulteriore schiavizzazione, lo avremo».
 
I buffoni hanno miseramente falllito.

L'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato assolto nel processo per impeachment al Senato.

Solo 7 senatori repubblicani, contro i 17 necessari,
si sono uniti ai 50 democratici che hanno votato compatti per l’impeachment, secondo quanto riporta la Cnn.

Per la condanna erano necessari 67 voti, ossia i due terzi dei 100 senatori.
 
Nuovi buffoni avanzano e tutti i coglioni ad esaltarli.


Il destino, alle volte, riesce a giocare scherzi decisamente beffardi,
sopratutto in quel mondo della politica dalla memoria spesso corta, cortissima.

E così, con la nascita di un governo Draghi di poltronari e tecnici totalmente asserviti all’Unione Europea,
ecco anche manifestarsi una beffa niente male:

la presenza, all’interno dello stesso esecutivo, di esponenti di punta di Forza Italia (Brunetta, Carfagna, Gelmini)
insieme al nuovo titolare dell’Economia Daniele Franco.

L’uomo che, secondo le ricostruzioni fornite in passato proprio da alcuni forzisti,
fu autore della celebre lettera che costrinse nel 2011 Berlusconi ad anticipare il pareggio di bilancio,
con una manovra durissima che finì per accelerarne l’uscita di scena.

A ricostruire l’accaduto è stato infatti in questi ultimi mesi Renato Brunetta,
fresco di ritorno alla Pubblica Amministrazione, nel libro “Berlusconi deve cadere.

Cronaca di un complotto”.

Nel testo, il neo ministro racconta in particolare di una telefonata fatta da Berlusconi a Draghi
appena saputo dell’arrivo della lettera dalla Bce:

“Chiama Draghi al telefono, gli dice che ha saputo della lettera, che a informarlo è stato il ministro Brunetta,
che è lì al suo fianco, e ha ‘compreso benissimo i termini della questione: vale a dire che la Banca centrale europea
avrebbe continuato ad acquistare nostri titoli sul mercato, raffreddando l’incendio speculativo,
solo se noi avessimo dato delle risposte aggiuntive in termini di politica economica, di rigore e di riforme’.

Più avanti:

‘Draghi dall’altra parte del telefono conferma e il presidente Berlusconi me lo passa.

Io: ‘Ciao Mario’. Mario Draghi è un mio vecchio collega di università, mi conferma esattamente le indicazioni,
gli intendimenti e mi dice che in Banca d’Italia a questa lettera stava lavorando Daniele Franco.

‘Lo chiami?’, mi dice. Ma certo”.


Brunetta e Franco si conoscono da tempo, come chiarito dallo stesso Brunetta:

“Era mio studente alla facoltà di statistica all’università di Padova.
Appena rientrato al ministero lo chiamo , e dopo dieci minuti era già da me in piedi con delle carte in inglese in mano”.

Si trattave, stando alla ricostruzione, proprio della bozza della lettera della Bce:

“Non so ancora oggi dove quelle carte fossero state materialmente elaborate, se in sede Bce o in altra sede, magari a Bankitalia.
So che Franco me le illustra, dandomi sostanzialmente la linea guida del documento che poi sarebbe stato conosciuto
come ‘la’ lettera della Banca centrale europea al governo italiano”.


Un passaggio che avrebbe anticipato l’avvento di Mario Monti,

che come Draghi fu presentato agli italiani come l’unica soluzione possibile in un momento drammatico


e che diede vita a un governo totalmente asservito ai diktat in arrivo dall’Europa,

fedele innanzitutto alla Troika e molto meno agli italiani.


Oggi Daniele Franco è stato scelto come ministro dell’Economia

in un momento in cui servirebbero risposte rapide per aiutare le tante famiglie messe in ginocchio dall’emergenza.


Sappiamo però già, purtroppo, come andrà a finire.
 

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