Powell taglierà i tassi Usa?

tontolina

Forumer storico
Borsa e bond producono messaggi discordanti


Powell minimizza il declino dell’inflazione: derubricato a «fenomeno temporaneo».
Eppure gli operatori non sono dello stesso parere: le attese inflazionistiche sono scivolate ai minimi storici in Europa, e a minimi pluriennali negli Stati Uniti.

Viviamo tempi eccezionali. I mercati azionari mondiali fanno registrare ottime performance dall’inizio dell’anno: tutti gli indici delle prime venti borse al mondo per capitalizzazione, vantano un saldo positivo per il 2019; 12 ostentano la doppia cifra percentuale prima del giro di boa del calendario. Una manifestazione di vitalità che dovrebbe riflettere una congiuntura globale effervescente.

Non è dello stesso parere il mercato obbligazionario, che propone rendimenti ridotti all’osso. Per settimane i commentatori finanziari hanno paventato un crollo del mercato dei Treasury americani, affossato dalle vendite ritorsive di Pechino. Apprendiamo oggi che la Cina ha ridotto ad aprile l’esposizione in T-Note ai livelli più bassi degli ultimi due anni, eppure lo yield fa fatica a schiodarsi dal 2.0%. E sì che da maggio in poi la retorica “bellica” si è intensificata.

Quale dei due mercati riporta il messaggio corretto? Probabilmente, entrambi.
Considerare la continua limatura dei rendimenti, un sintomo di recessione imminente, potrebbe però rivelarsi un abbaglio.
Powell minimizza: «il calo dell’inflazione è un fenomeno temporaneo, alimentato da eventi idiosincratici». Eppure gli operatori non sono dello stesso parere: le attese inflazionistiche sono scivolate ai minimi storici in Europa, e a minimi pluriennali negli Stati Uniti. I rendimenti pubblici calano perché l’inflazione è “defunta”; non perché la recessione sia dietro l’angolo. Un motivo comunque sufficiente ad allentare la politica monetaria. Trascurare questo aspetto collocherebbe la Fed dietro l’angolo, come fece avventatamente sul finire dello scorso anno, quando trascurava il messaggio dei mercati; aumentando sciaguratamente a dicembre il Fed Funds rate – ammette oggi l’ex vicegovernatore Fischer – soltanto per conclamare una rivendicazione di autonomia nei confronti di Trump.

Vedremo se la retorica della banca centrale americana conoscerà un doveroso cambio di traiettoria. Wall Street è vistosamente in attesa di notizie dal FOMC, che si riunisce a partire da oggi. Le oscillazioni dello S&P si sono fatte vistosamente contenute: un fenomeno che analizziamo statisticamente nel Rapporto Giornaliero di oggi.
Anche l’Eurostoxx segna il passo, ma per motivi diversi. L’indice delle borse europee consolida, come tipicamente fa nelle settimane immediatamente successive alle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Il rapporto rivela l’apprezzabile sovrapposizione fra l’indice dei listini continentali e il tracciato medio che sintetizza l’andamento precedente e nei mesi successivi a tutte le chiamate alle urne per il rinnovo dell’emiciclo di Strasburgo.
 
CROLLA LA PRODUZIONE DI ACCIAIO USA, SEGNO DEL RALLENTAMENTO MONDIALE




L’imposizione dei dazi di Trump, ben il 25% avrebbe dovuto garantire un cospicuo volume di produzione alle acciaierie USA e , per un certo periodo, questo è anche accaduto, ma ad aprile questa crescita si è interrotta, seguita da altri segnali non positivi



Nel frattempo sono arrivate delle notizie di chiusure di impianti:

  • la US Steel ha annunciato la chiusura di due impianti, uno a Gary, nell’Indiana ed uno a Ecorse, nel Michigan. Si tratta non di chiusure definitive ed è previsto che riaprano all’incremento della domanda…. ok si, ma quando?
  • Anche la Nucor e la Steel Dynamics hanno annunciato minori utili dovuti al calo di domanda.
I dazi possono funzionare quando si tratta trasferire l’import sulle produzioni interne, ma se crolla la domanda interna non è che possano fare molto. I settori in crisi che utilizzano acciaio sono in questo momento molteplici:

  • settore auto;
  • settore mezzi pesanti,
  • settore macchine agricole
  • settore retail
  • settore carpenteria per l’edilizia
Il segnale è di un rallentamento economico di portata non secondaria, che rischia di essere il maggiore dalla grande crisi del 2008. In questa fase la Federal Reserve ha deciso di non tagliare ancora i tassi, come ha confermato Powell, anche se non si parla più di “Pazienza” nei discorsi del governatore, cosa che farebbe pensare ad un taglio imminente. Probabilmente la banca Centrale USA non vuole bruciare subito tutte le sue limitate munizioni: se il caricatore di Draghi è quasi scarico, quello di Powell ha un margine d’azione del 2,5%, che lo mette in una situazione migliore rispetto al collega europeo, ma non esaltante. Inoltre il ribasso dei tassi sarebbe il segnale ufficiale di una imminente recessione. Nello stesso tempo Trump incrementerà le sue pressioni sul governatore per avere un’economia in crescita per l’autunno 2020. Vedremo come
 

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