tontolina
Forumer storico
Quella ragazza acqua e sapone che ha detto "no"
Chiara Danese
+ I pm: "Processate Minetti, Fede, Mora Ad Arcore organizzazione da bordello"
Chiara Danese, la grande accusatrice: un sogno finito nell'incubo del bunga-bunga
PAOLO COLONNELLO
MILANO
Tre brillantini all’orecchio e uno al naso, quasi invisibili. Gli occhiali in tartaruga da miope, jeans, camicetta rosa pallido e scarpe basse, i capelli raccolti a coda. Solo le unghie delle mani, laccate di rosso, tradiscono un po’ di civetteria. Per il resto Chiara Danese, 19 anni, un concorso di bellezza per Miss Piemonte alle spalle, è più di una ragazza della porta accanto: è un’adolescente con il viso da bambina che potresti incontrare per strada senza voltarti. Oppure una ragazzina che noteresti fin troppo bene e con grande meraviglia in un contesto di «meteorine» e «coloradine» e baccanali orgiastici come quelli descritti nelle loro stesse testimonianze: che ci faceva una bambina così, appena diciottenne, in un giro del genere? Chi ha avuto il coraggio di portarcela?
«Io e Ambra eravamo letteralmente terrorizzate...», ha dichiarato a verbale il 4 aprile scorso Chiara, davanti a una Ilda Boccassini sgomenta.
E ci vuole un po’ al settimo piano di Palazzo di Giustizia prima di capire che è proprio questa ragazza acqua e sapone, confusa tra giornaliste e avvocatesse ben più avvenenti, una delle giovanissime sulle quali, secondo le accuse, avevano messo gli occhi Lele Mora ed Emilio Fede e infine lo stesso Berlusconi per i festini di Arcore. Chiara è timidissima, non apre bocca, tiene per mano la sua avvocata,
Patrizia Bugnano che spiega come l’altra amica, Ambra Battilana, non è potuta venire di persona «perché aveva gli esami di maturità» per ragioniere.
Eppure, dietro la fragilità di Chiara, si nasconde la forza di una ragazza pulita che segna un record di questa inchiesta decidendo per la prima volta, insieme all’amica, di costituirsi parte civile rivendicando, con quell’unica partecipazione ad Arcore il 22 agosto dell’anno scorso, un danno d’immagine. Uniche esemplari finora di un mondo di bellezze omertose e impaurite che dopo questo esempio però, potrebbero ricredersi. Perché ieri il gup Maria Grazia Domanico, riconoscendo il loro diritto a partecipare come parti lese in un contesto di prostituzione, ha in pratica riconosciuto come l’essere state portate ad Arcore per partecipare a un «bunga bunga» sia stato di per sé un danno.
All’immagine («nel nostro paese adesso ci guardano tutte come delle escort», raccontarono a verbale); a un’eventuale futuro professionale di modella, o anche solo di estetista, per cui aveva studiato. Alla loro giovinezza, soprattutto.
Ambra e Chiara, con i loro 19 anni, rappresentano ora la spina nel fianco più dolorosa per i processi a Berlusconi e a Mora, Minetti e Fede. Perché dimostrano con la loro presenza che le feste di Arcore non erano solo affare privato del presidente del Consiglio e della sua cerchia ristretta di amici e ruffiani.
«Dopo quella serata ad Arcore, si è infranto un sogno», dice al suo avvocato Chiara: «Quello di poter entrare nel mondo dello spettacolo». Ma forse, a quelle condizioni («Fede mi disse che se volevamo andarcene dalla villa stava bene, ma non avremmo mai più fatto televisione...»), più che un sogno è svanito un incubo.
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+ I pm: "Processate Minetti, Fede, Mora Ad Arcore organizzazione da bordello"
Chiara Danese, la grande accusatrice: un sogno finito nell'incubo del bunga-bunga
PAOLO COLONNELLO
MILANO
Tre brillantini all’orecchio e uno al naso, quasi invisibili. Gli occhiali in tartaruga da miope, jeans, camicetta rosa pallido e scarpe basse, i capelli raccolti a coda. Solo le unghie delle mani, laccate di rosso, tradiscono un po’ di civetteria. Per il resto Chiara Danese, 19 anni, un concorso di bellezza per Miss Piemonte alle spalle, è più di una ragazza della porta accanto: è un’adolescente con il viso da bambina che potresti incontrare per strada senza voltarti. Oppure una ragazzina che noteresti fin troppo bene e con grande meraviglia in un contesto di «meteorine» e «coloradine» e baccanali orgiastici come quelli descritti nelle loro stesse testimonianze: che ci faceva una bambina così, appena diciottenne, in un giro del genere? Chi ha avuto il coraggio di portarcela?
«Io e Ambra eravamo letteralmente terrorizzate...», ha dichiarato a verbale il 4 aprile scorso Chiara, davanti a una Ilda Boccassini sgomenta.
E ci vuole un po’ al settimo piano di Palazzo di Giustizia prima di capire che è proprio questa ragazza acqua e sapone, confusa tra giornaliste e avvocatesse ben più avvenenti, una delle giovanissime sulle quali, secondo le accuse, avevano messo gli occhi Lele Mora ed Emilio Fede e infine lo stesso Berlusconi per i festini di Arcore. Chiara è timidissima, non apre bocca, tiene per mano la sua avvocata,
Patrizia Bugnano che spiega come l’altra amica, Ambra Battilana, non è potuta venire di persona «perché aveva gli esami di maturità» per ragioniere.
Eppure, dietro la fragilità di Chiara, si nasconde la forza di una ragazza pulita che segna un record di questa inchiesta decidendo per la prima volta, insieme all’amica, di costituirsi parte civile rivendicando, con quell’unica partecipazione ad Arcore il 22 agosto dell’anno scorso, un danno d’immagine. Uniche esemplari finora di un mondo di bellezze omertose e impaurite che dopo questo esempio però, potrebbero ricredersi. Perché ieri il gup Maria Grazia Domanico, riconoscendo il loro diritto a partecipare come parti lese in un contesto di prostituzione, ha in pratica riconosciuto come l’essere state portate ad Arcore per partecipare a un «bunga bunga» sia stato di per sé un danno.
All’immagine («nel nostro paese adesso ci guardano tutte come delle escort», raccontarono a verbale); a un’eventuale futuro professionale di modella, o anche solo di estetista, per cui aveva studiato. Alla loro giovinezza, soprattutto.
Ambra e Chiara, con i loro 19 anni, rappresentano ora la spina nel fianco più dolorosa per i processi a Berlusconi e a Mora, Minetti e Fede. Perché dimostrano con la loro presenza che le feste di Arcore non erano solo affare privato del presidente del Consiglio e della sua cerchia ristretta di amici e ruffiani.
«Dopo quella serata ad Arcore, si è infranto un sogno», dice al suo avvocato Chiara: «Quello di poter entrare nel mondo dello spettacolo». Ma forse, a quelle condizioni («Fede mi disse che se volevamo andarcene dalla villa stava bene, ma non avremmo mai più fatto televisione...»), più che un sogno è svanito un incubo.