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LA SCONFITTA DEI NAZISTI E LA TRAGEDIA DELL'ARMATA COSACCA


Nel 1944, gli inglesi Churchill e Eden (rispettivamente primo ministro e ministro degli esteri) decidono che a guerra finita tutti i cittadini sovietici presenti in Europa dovranno fare ritorno, anche forzatamente, in URSS.

Nel settembre dello stesso anno la decisione diviene di dominio pubblico, e in ottobre a Mosca, durante un apposito incontro con il ministro degli esteri sovietico Molotov, sono definiti i dettagli che saranno definitivamente ratificati nel febbraio 1945 durante la conferenza di Yalta:

Saranno riconsegnate circa 3 milioni di persone, in gran parte riluttanti. Tra questi vi erano fanatici nazisti, nazionalisti, anticomunisti. Molti con le loro famiglie e i propri figli.



Il 9 maggio 1945 l'armata cosacca in Carnia si arrese agli inglesi.
Con essi si consegnarono ai britannici anche caucasici (inquadrati nelle Waffen SS) civili russi e le loro famiglie.

Altra particolarità di quest'armata, impiegata dai tedeschi per combattere contro i partigiani, fu che non venne mai impiegata in territorio sovietico o in scontri con unità sovietica, nonostante il comando cosacco desiderasse ciò.

Inoltre, i loro comandanti ingenuamente pensavano che gli inglesi avrebbero ora proseguito la guerra sostituendosi ai tedeschi contro i sovietici.
Fiduciosi dell'antica amicizia con la Gran Bretagna, creatasi durante la Guerra Civile russa, i cosacchi si fidarono dei vincitori.
Fra i russi vi sono anche numerosi membri dell'emigrazione bianca, ossia soggetti estranei all'accordo di rimpatrio perché non cittadini sovietici, vecchi combattenti della Guerra Civile, ex ufficiali zaristi, esponenti dell'antica aristocrazia russa, e ataman famosi come il generale-scrittore Krasnov dei cosacchi del Don, tutti riunitisi attorno ai nazisti per combattere la grande guerra patriottica di liberazione.


Mentre il 12 maggio, in Boemia, i sovietici catturano Vlasov, in Austria, a partire dal 1° giugno tutti i prigionieri (combattenti, uomini, donne, vecchi e bambini caricati sui carri bestiame in precedenza usati dai nazisti per le loro deportazioni) sono consegnati ai sovietici, talvolta con la forza, talvolta con l'inganno: decine gli episodi raccapriccianti nei campi nei dintorni di Lienz, Oberdrauburg, Feldkirchen, Althofen e Neumarkt, e i suicidi collettivi nelle acque del fiume Drava. In una sola giornata, a Lienz, circa 2 mila persone, tra le quali donne e bambini, si diedero la morte affogandosi nel fiume piuttosto che ritornare in URSS. Gli ufficiali rientrano in patria qualche giorno: il 29 maggio li si convince di un'inesistente conferenza sul loro futuro e li si offre ai sovietici nella cittadina austriaca di Judenburg (l'Austria era per quasi metà del suo territorio sotto il controllo dell'Armata Rossa).


Chi non viene fucilato o impiccato sul posto è internato nei gulag, perché - secondo Stalin - il prigioniero di guerra è un traditore, pericoloso perché "ha visto l'Occidente" anche se solo da dentro un lager nazionalsocialista.

Fra gli ufficiali troverà la morte anche il generale von Pannwitz, che vuole condividere il destino dei suoi uomini e degli altri ufficiali superiori cosacchi, mentre gli sarebbe stato facile sfuggire tale sorte dichiarandosi tedesco e così restare con gli Alleati e godere del trattamento riservato dalla Convenzione di Ginevra ai prigionieri di guerra, che peraltro, mai sottoscritta da Stalin, non valeva per i cittadini sovietici caduti in mano nemica.

La stampa sovietica (Prava, Izvestia, ecc.) annuncia processo ed esecuzione degli ufficiali cosacchi il 17 gennaio 1947, anno che è assunto come quello della loro morte.

Dopo la Guerra il termine cosacco torna ad indicare persone e fatti di altri tempi, o al massimo qualche gruppo musicale acrobatico-folkloristico sovietico in tournee in occidente.

La perestrojka ed il crollo del comunismo hanno portato ad una effimera rinascita delle comunita' cosacche, oramai impossibile per le trasformazioni della società.
Principalmente (seconda metà degli anni 80) si trattava di associazioni storico-culturali, volte a riaggregare i cosacchi (o meglio i loro discendenti, stimati in 5 milioni), ma dopo il crollo dell'URSS queste associazioni si sono politicizzate, proponendosi la restaurazione delle comunità cosacche secondo le norme del periodo zarista.

Nel primo quinquennio degli anni 90 buona parte dei militanti "cosacchi" parteciparono attivamente ai movimenti estremisti, in particolare le organizzazioni nazionaliste, neofasciste e monarchiche, tutte legate tra loro da sentimenti xenofobi, antioccidentali e ferocemente antisemite.

L'antisemitismo cosacco e' sempre stato fortissimo.
Se tra i russi l'antisemitismo è ancora di origine religiosa e generalmente non sfocia in aperta violenza, questo non vale per i cosacchi: in epoca zarista furono gli organizzatori e gli esecutori dei pogrom (assieme agli ultras monarchici delle"Centurie Nere"), durante il collaborazionismo si distinsero nel perseguitare e deportare gli ebrei (verso quei tristi campi di sterminio, dove ad attenderli frequentemente trovavano SS di origine ucraina).



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Per fortuna la stabilizzazione economica e sociale del paese ha ridimensionato queste organizzazioni (del resto elettoralmente insignificanti) che ora stanno ritornando nella pattumiera della storia.

Preoccupante anche l'attivismo di queste organizzazioni in relazione ai vari conflitti. Volontari cosacchi partirono per le aree di crisi come la Transdnistria, l'Ossetia, l'Abkasia e la Cecenia.

Volontari cosacchi partirono anche per la Jugoslavia per combattere accanto ai "fratelli serbi". Per porre rimedio a questa situazione ma allo stesso tempo recuperare quella parte di popolazione aliena da posizioni estremiste ma che si riconosceva nelle tradizioni dei suoi antenati cosacchi, il Parlamento Russo il 12 giugno 1992 approvò la risoluzione

"Circa la Riabilitazione dei Cosacchi", dove erano riconosciuti vittime dello stalinismo. A questo fecero seguito altre leggi, volte a ricreare anche unità cosacche all'interno delle forze armate. Quest'ultimo aspetto (che riguarda i ministeri degli Interni, della Difesa e delle Frontiere) è regolato dalla Direzione Generale per le Unita' Militari Cosacche presso il Presidente della Federazione Russa.

Quest'ultimo passaggio risale al mese di aprile dell'anno in corso.


La legge è stata fortemente voluta dal presidente Putin, sebbene non sembrasse avere antenati cosacchi. Probabilmente si inserisce nel disegno di "restaurazione mirata" attuata dal Cremlino: inno sovietico, bandiera della Repubblica di Kerensky, aquila bicipite della monarchia dei Romanov, anche se tutti con qualche lieve modifica per differenziarli dagli originali.


Con la legge di Putin i cosacchi, che vengono formati in apposite accademie militari, vengono inquadrati nel servizio statale.


Potranno essere utilizzati anche in operazioni anti-terrorismo e per interventi di natura umanitaria. In questi ultimi due casi, data la composizione multietnica della Federazione Russa e la crescente irrequietezza delle varie nazionalità presenti, i cosacchi potrebbero recupare il ruolo che avevano sotto la monarchia di fedeli esecutori delle più efferate rappresaglie sulle popolazioni civili.

Non tutti gli attuali cosacchi esistenti (circa mezzo milione) potranno essere automaticamente cooptati nelle forze armate federali: verranno scelti solo gli appartenenti a "comunità cosacche" di provata fedeltà allo stato russo.

Con questa legge si chiude definitivamente la questione cosacca che già Eltsin aveva affrontato, varando le prime leggi (in particolare un decreto del 97) che autorizzavano le comunità cosacche (autentiche bande in costume d'epoca) a dotarsi di armi, previa ovvia autorizzazione da parte delle autorità federali, e di affiancare le forze regolari. Rispetto al passato eltsiniano, quando i cosacchi operavano su base volontaria e non retribuita, ora questi potranno percepire regolare stipendio.


Si tratta ovviamente di una grande vittoria di queste comunità. Ora la prossima battaglia sarebbe per la restituzione delle terre.

Almeno per le aree dove ancora numerosi sono i cosacchi (Kuban, Circondario di Krasnodar), una forma di restituzione potrebbe essere accettata. Ovviamente non sarà mai chiamata "restituzione", poiché lo stato russo non restituisce i beni e le proprietà prerivoluzionarie, al massimo può darle in concessione agli antichi proprietari (ma solo pubblici, nessun discendente di proprietario terriero prerivoluzionario può aspirare a tanto), o donarle come ha fatto per terre e immobili ceduti alla chiesa ortodossa.


Ovviamente questo riconoscimento di un ruolo speciale ai cosacchi ha allarmato le organizzazioni umanitarie, dei diritti civili e per la lotta al razzismo russe. Al di là della suggestiva immagine legata da sempre ai cosacchi, non bisogna dimenticare che furono i feroci difensori dell'autocrazia zarista, esecutori di stragi e di pogrom.

Ancora oggi "l'ideologia cosacca" si alimenta con il più anacronistico sciovinismo granderusso e con il nazionalismo esasperato.



BIBLIOGRAFIA
Istoria Gousudarstva Rossiiskogo, (ed. in lingua russa), di Karamanzin N.M.
Memorie della Rivoluzione Russa, di Kerensky A.
Storia dell'Impero Russo, di Seton Watson H. - Einaudi, Torino 1971
URSS: Russia, di Strada V. - Rizzoli, Milano 1985
I Cosacchi (ed. in lingua russa), di Tolstoj L.N.
Arkipelag Gulag (ed. in lingua russa), di Solzhenitzyn A.
Storia della Rivoluzione Russa, di Trotskij L.D. - Mondadori Milano 1978
L'armata cosacca in Italia 1944-45, di Carnier P.A. - Mursia, Milano 1990
Cosacchi Perduti: dal Friuli all'URSS, di Ivanov A. - ed. Aviani, Udine 1997
 
Pieri Stefanutti *

1944-45: l’occupazione cosacco-caucasica della Carnia e dell’Alto Friuli


Quando Hitler consegnò il Friuli ai cosacchi

Fra l’ottobre del 1944 e l’aprile del 1945 decine di migliaia di cosacchi e di caucasici, trasportati dalla Russia e dall’Europa orientale nell’Alto Friuli e nella Carnia, vennero a presidiare i paesi friulani, spesso dopo aver costretto ad uno sfollamento forzato le popolazioni locali.

Erano stati mandati dai nazisti nel “Kosakenland in Nord Italien”, la terra che era stata loro, se non promessa, quantomeno affidata, in cambio di un’azione di repressione antipartigiana. Per sette mesi i cosacchi cercarono di ricostituire nell’Alto Friuli i loro villaggi, le “stanitse”, riproponendo costumi, tradizioni, religione delle lontane regioni russe.


Alla fine della guerra, i friulani cercheranno faticosamente di porre rimedio al dramma di una lunga occupazione; i cosacchi, invece, andranno incontro a un doloroso destino, dalla Drava alla Siberia


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1) LE MOTIVAZIONI DI UN SINGOLARE STANZIAMENTO

“Litorale Adriatico”, così lo avevano definito, riprendendo un vecchio mito asburgico, i nazisti che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, avevano occupato il Friuli, Trieste e l’Istria, istituendovi l’OZAK (Operationszonen Adriatisches Küstenland, Zona di Operazioni del Litorale Adriatico) una sorta di protettorato, retto dal gauleiter Friedrich Rainer.

Come in altre zone occupate (un’esperienza analoga si era avuta nel Trentino-Alto Adige con l’Alpenvorland), il presidio dei principali centri abitati e la difesa degli obiettivi di carattere militare era stata affidata alla Wehrmacht, mentre l’opera di repressione contro atti di sabotaggio era demandata alle SS (il capo della Polizia a Trieste era Odilo Globocnick, che aveva già avuto esperienze “significative” nel protettorato nazista istituito in Polonia).

Nel Litorale Adriatico, per mesi, venne dunque attuata ogni forma di azione punitiva per reprimere la diffusione del movimento della Resistenza che pure, nonostante ciò, trovò modo di consolidarsi e di ottenere anche significative affermazioni, come la costituzione, nell’estate del ’44, di due Zone Libere, quella del Friuli Orientale e quella della Carnia.


Contro questa minaccia, per riprendere quindi il controllo sul territorio e garantirsi la sicurezza di transito sulle principali vie di comunicazione, le autorità militari naziste determinarono di attuare una vasta azione di rastrellamento per debellare il movimento partigiano, affidando successivamente a unità collaborazioniste il compito di occupare stabilmente i centri abitati e mantenervi un saldo presidio.


A questa incombenza vennero designati i cosacchi e i caucasici, popolazioni sradicate, a causa della guerra, dalla loro terra di origine e trasportate in Friuli al servizio del progetto nazista.
 

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Le popolazioni cosacche, aggregatesi agli invasori nazisti, vennero più volte spostate in Ucraina, in Polonia e nella Russia Bianca. A queste genti era stato assicurato dai nazisti il ritorno alle terre di origine in un contesto di larga autonomia o, in subordine, l'assegnazione di nuovi territori.


É questo, in sostanza, il tenore del noto proclama del 10 novembre 1943 del ministro per i Territori Occupati dell'Est Rosenberg e del comandante della Wehrmacht Keitel che diede origine al mito del "Kosakenland in Nord Italien": "In riconoscimento dei servigi da voi resi sul campo di battaglia, (…) riteniamo quale nostro dovere promettere a voi, cosacchi del Don, del Kuban, del Terek e degli altri eserciti, nonché a quei russi che da lungo tempo hanno vissuto tra di noi e con voi hanno combattuto contro i sovietici, quanto segue:
1 - Tutti i vostri diritti e privilegi, che già ebbero a godere i vostri padri fin dai tempi più antichi;
2 - La vostra autonomia, che ha fatto la vostra storica fama;
3 - L’intangibilità del vostro possesso della terra, da voi acquistata con il lavoro vostro e dei vostri avi.
4 - Qualora gli eventi bellici dovessero rendere temporaneamente impossibile il ritorno nella terra dei vostri padri, noi faremo risorgere la vostra vita di cosacchi in altra parte dell'Europa, sotto la protezione del Führer, ponendo a vostra disposizione la terra e tutto ciò che è necessario per una vita autonoma."


Il proclama tendeva evidentemente a stabilire un pieno legame tra i cosacchi e gli occupanti tedeschi, per ottenere una piena identificazione del “problema cosacco” con il destino dei tedeschi stessi, mediante l’assicurazione di garantire loro un territorio dove insediarsi.

Con l’inizio della ritirata tedesca, i cosacchi vennero trasferiti prima in Ucraina e poi nella Russia Bianca; reparti della fanteria cosacca vennero anche impiegati dai tedeschi nella repressione della rivolta di Varsavia.


Nel frattempo, venne individuato il luogo dove “far risorgere la vita cosacca”: il Friuli
.


La decisione formale di inviare i cosacchi in Italia venne presa nel luglio del '44, quando Globocnik firmò col generale cosacco Domanov un accordo che, autorizzando l’insediamento in Friuli, riservava un duro trattamento alle popolazioni locali, determinandone in qualche caso l'allontanamento coatto e in altri la coabitazione forzata con i cosacchi:


"I residenti nei villaggi italiani, considerati politicamente insopportabili, saranno allontanati dalle loro case, delle quali usufruiranno i cosacchi, in particolare quelli dell'armata del Don. Nei villaggi destinati ai cosacchi del Kuban, Terek e Stavropol, i residenti non saranno allontanati dalle loro abitazioni, ma dovranno comunque far posto alle truppe occupanti..."


Di lì a poco si giunse all'attuazione pratica delle direttive, con l’autorizzazione al trasferimento di 4.000 caucasici (distinti burocraticamente in 2.000 “armati” e 2.000 “familiari”) e 18.000 cosacchi (poi saliti a 22.000: 9.000 “armati”, 6.000 “vecchi”, 4.000 “familiari” e 3.000 “bambini”) nel Litorale Adriatico. Ebbe così inizio l'Operazione Ataman, con la preparazione dei vagoni (furono necessari più di 50 treni merci militari) che avrebbero portato, dopo un viaggio di settimane, i cosacchi in Italia.



2) CENNI SULL’ATTIVITÀ DELLA RESISTENZA NEL FRIULI

Già nei giorni immediatamente successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943 si erano costituite le prime formazioni partigiane, soprattutto nella zona delle Prealpi Giulie e a ridosso del confine con la Jugoslavia, sul Collio Goriziano.


Erano spesso gruppi spontanei, male armati; le formazioni maggiormente organizzate erano della Brigata Garibaldi “Friuli” che però, dopo un imponente rastrellamento tedesco del novembre ’43, abbandonarono la zona delle Prealpi Giulie per trasferirsi un gruppo nella zona di Cormons (Btg. Mazzini), l’altro (Btg. Friuli) sulle Prealpi Carniche, nella zona del Monte Cjaurleç.


Fu tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera che i Battaglioni si rinforzarono, grazie soprattutto all’arrivo di numerosi giovani che, per sottrarsi ai bandi di arruolamento della Rsi, salivano in montagna per entrare nelle forze partigiane, organizzate in una decina di Battaglioni.


Nello stesso periodo andavano costituendosi anche le formazioni della Brigata “Osoppo” i cui ispiratori erano rappresentanti della DC e del Partito d’Azione, col sensibile appoggio del clero: un’iniziativa nata con l’intento di dare vita a una formazione armata contro tedeschi e fascisti, coinvolgendo quei settori della popolazione che non si riconoscevano nelle formazioni garibaldine, di ideologia comunista.


Nell’estate del 1944 si ebbe dunque la massima espansione del movimento partigiano in Friuli: grazie al continuo afflusso di giovani combattenti, le Brigate poterono trasformarsi in Divisioni.

Alla fine dell’estate si conteranno tre Divisioni: la “Garibaldi - Friuli” (in Carnia e nelle Prealpi Carniche, con 5 Brigate), la “Garibaldi-Natisone” (nelle Prealpi Giulie, con 2 Brigate) e la “Osoppo-Friuli” (nelle Prealpi Giulie, in Carnia e in Val Cellina, con 5 Brigate).
La continua opera di sabotaggio agli impianti tedeschi e l’eliminazione di decine di presìdi nazifascisti portarono alla liberazione di svariate zone, con la conseguente costituzione di due “Zone Libere”, quella del Friuli Orientale e quella della Carnia.


La Zona Libera del Friuli orientale comprendeva una superficie di 70 Kmq, con circa 20.000 abitanti distribuiti su sei Comuni a nord-est di Udine; quella della Carnia comprendeva una superficie di oltre 2.500 Kmq, con circa 90.000 abitanti distribuiti su 38 comuni (oltre alla Carnia, zone dell’Alto Pordenonese e alcuni comuni della provincia di Belluno).


Quella Carnica fu la più estesa tra le zone libere che vennero a costituirsi nel nord Italia durante l’occupazione tedesca e fu quella che maggiormente riuscì a darsi un’organizzazione democratica: vennero organizzate libere elezioni, costituita una Giunta di Governo, presi importanti provvedimenti in materia di scuola, giustizia, riforma tributaria, politica economica.
 
3) L'ARRIVO DEI COSACCHI IN FRIULI


Le truppe cosacche e caucasiche giunsero in Italia, con migliaia di cavalli, carriaggi e masserizie, attraverso la linea ferroviaria Villach-Tarvisio, a partire dal 20 luglio 1944, con una serie di arrivi di convogli che si protrasse in maniera continuativa sino al 10 agosto, per poi assumere carattere di sporadicità.


La principale località di smistamento fu Stazione per la Carnia, tra i paesi di Venzone ed Amaro, dove giunsero complessivamente una cinquantina di treni; altri contingenti fecero scalo alle stazioni di Pontebba e di Gemona.


Da Carnia le truppe si mossero inizialmente in due direzioni: a nord verso Amaro e a sud verso Osoppo.

Prima dell'occupazione dei paesi, per circa un mese e mezzo, i cosacchi stazionarono dunque nella piana di Amaro, tra il Tagliamento ed il paese e a Osoppo, attorno alla storica fortezza.

Altri gruppi presero stanza a Gemona occupando, sotto il controllo tedesco, alcuni edifici pubblici, come le scuole. Nella stessa Gemona venne fissata inizialmente la sede del comando del generale T. I. Domanov.

Migliaia di persone provate dal lungo, estenuante viaggio, cercarono una sistemazione provvisoria in diverse località, tentando di provvedere autonomamente alla soluzione delle necessità più impellenti, giacché praticamente nulla era stato predisposto per garantire mezzi di sostentamento e di assistenza adeguati.

Fu così che reparti a cavallo cominciarono a battere le campagne e i centri abitati, razziando tutto quello che poteva servire a garantire un minimo di sopravvivenza.

Profondo stupore destarono dunque fra i friulani questi nuovi venuti, come descritto da Mario Pacor: “Si presentavano per lo più nei paesi del Friuli e della Carnia a cavallo, suonando il corno, lanciando primitive urla di guerra, sparando all’impazzata e agitando le sciabole, quelli che le avevano.
Erano infatti vestiti e armati nei modi più vari, molti in uniformi grigio-verdi tedesche con appena qualche variante cosacca, ma armati di moderni fucili e mitra, altri in più pittoresche quanto assurde uniformi dell’antica cavalleria zarista, con grandi colbacchi di pelo in testa, cartucciere intrecciate sul petto, lunghe bande azzurre o rosse alla cucitura dei pantaloni, con spade, pugnali e pistoloni variamente istoriati.


Ai drappelli militari facevano seguito carovane di carriaggi sui quali viaggiavano donne, vecchi e bambini, e tra un carro e l’altro o al loro fianco cavalli, qualche mucca, qualche capra, a volte perfino cammelli o dromedari”.

Fu insomma l’aspetto umano, la variegata panoramica offerta dall’aspetto dei civili cosacchi, più che il lato strettamente militare, a colpire, come traspare, per esempio, dalla stupita descrizione dei cosacchi fatta dal parroco di Buia: “Sui carri, tipici carri primitivi, stretti, sconnessi e sgangherati su cui stanno le più disparate cose, utensili e pignatte, damigiane e fusti, casse e sacchi, fieno e patate, pannocchie da scartocciare, tralci di uva, pagliericci e coperte e indumenti d’ogni sorte, tutto ammonticchiato alla meglio; e gente, uomini di tutte le età, con barbe incolte, parecchie donne, alcune famiglie con i piccoli, in male arnese, merci che lasciavano un tanfo nauseabondo al loro passaggio.

Molti dei carri sono coperti con pelli di bovini, di recente macellazione, con tappeti e corsie, con teli da tenda, con copriletti… Gli uomini indossano le divise più disparate, in maggioranza hanno il copricapo dei cosacchi, berretto nero di pelo con la parte superiore rossa, blu, verde…”.

La qualità e la quantità delle formazioni cosacche giunte in Italia suscitarono un palese disappunto da parte degli stessi tedeschi, i quali avevano sperato di poter disporre di reparti militari in assetto di guerra da impiegarsi immediatamente nelle azioni contro le forze partigiane e, viceversa, si trovavano di fronte a contingenti nei quali erano predominanti i civili.

In una relazione da Berlino, un alto funzionario nazista scrisse infatti: "Ci si aspettava brigate e reggimenti cosacchi bene organizzati, che potessero essere immediatamente impiegati nelle lotte contro le bande.

Non era noto a sufficienza che si trattava di profughi, i quali erano da diversi mesi in cammino dall'est a piedi e per ferrovia, con attrezzature, armamento ed abbigliamento di emergenza, e che nelle carovane si trovavano le famiglie dei cosacchi in armi... Ne risultarono grandissime difficoltà nell'acquartieramento e nell'approvvigionamento..".


L'arrivo delle formazioni cosacche non costituì, inizialmente, un fattore pienamente valutato da parte delle forze della resistenza che, probabilmente, non riuscirono a valutare interamente il carattere antipartigiano dell'iniziativa.

Contro i convogli e le tradotte giunte in Friuli attraverso la ferrovia non venne praticamente tentato alcun attacco o sabotaggio.

Solo in un secondo momento, di fronte al concretarsi dell'insediamento, con la stabilizzazione dei centri di raccolta, vennero avviate alcune azioni di sabotaggio.

L’azione più importante avvenne nella notte tra il 26 e il 27 agosto del 1944 quando i partigiani garibaldini dei Btg. Matteotti e Stalin sferrarono un attacco contro i cosacchi attestati nelle scuole di Campagnola di Gemona.
 
5) SETTE MESI DI KOSAKENLAND

Nei paesi occupati dai cosacchi, gli abitanti furono presto obbligati a cedere metà delle stanze di ogni abitazione.

I rapporti tra i carnici e gli occupanti furono inizialmente difficili, giacché si dovette dare in tempi brevi risposta alle necessità dei nuovi arrivati: alloggiamento, approvvigionamento di derrate alimentari, ricovero e mantenimento del bestiame e degli animali giunto al seguito dei cosacchi.., il tutto aggravato da un atteggiamento di tracotanza assunto dagli occupanti.


Così descrisse l’insediamento Michele Gortani: “I nuovi venuti penetravano da padroni in tutte le case, secondo il loro capriccio, e di solito preferendo quelle abitate a quelle disposte esclusivamente per loro.
Trattavano gli abitanti come soggetti al loro servizio. Usavano spesso di sedersi a tavola all’ora del pasto e appropriarsi il poco che le famiglie avevano preparato per sé. Rovistavano a piacere per ogni dove, rubando qualunque cosa li talentasse, dagli oggetti di valore alle vesti, dalle lenzuola e coperte ai viveri di ogni specie, dagli animali da cortile alle masserizie. Mostravano una predilezione particolare per le pecore, delle quali non una venne risparmiata. Per i loro cavalli innumerevoli, non contenti di lanciarli al pascolo giorno e notte negli orti e nei campi, saccheggiavano sistematicamente le provviste di fieno che le nostre donne avevano con aspre fatiche trasportate dalla montagna fino in paese, per l’alimentazione del bestiame durante l’inverno”.


Successivamente poté subentrare un periodo di relativo assestamento, cosicché la convivenza forzata tra occupanti e popolazione carnica poté instaurarsi lungo criteri di maggiore vivibilità e reciproca comprensione.

Il problema più rilevante fu comunque quello dell’approvigionamento, come testimoniato anche dal diario del parroco di Invillino, in Carnia:

“Eran arrivati come zingari con una lunga teoria di carri traballanti trascinati da cavalli ridotti all’osso e con unamandria di vacche altrettanto magre ed affamate. La preoccupazione della sopravvivenza degli animali li costrinse alla ricerca affannosa di fieno. Durante tutte le stagioni, anche d’inverno, le magre vaccherelle gironzolavano per la campagna mentre i padroni, ogni volta che se ne presentasse l’occasione, tentarono di appropriarsi del prezioso alimento ovunque lo trovassero. Alla popolazione venne imposta ripetute volte la ingiunzione di versare contribuzioni di fieno per parecchie centinaia di quintali…”.



Nel territorio occupato vennero create 44 stanitse (presidi a costituzione mista civile e militare). Il quadro generale risulta abbastanza complesso e frammentario, e questo per la diversa matrice etnica e culturale degli occupanti.

I cosacchi erano divisi in più eserciti, indicati col nome del fiume che attraversava le terre di origine (cosacchi del Don, del Terek, dell' Ural, del Kuban...); vi erano poi un nutrito gruppo caucasico e sparute minoranze georgiane, armene, turchestane e di altre origini ancora.

Il territorio dell’Alto Friuli e della Carnia venne diviso sostanzialmente a metà:

la parte settentrionale (con sede di comando a Paluzza e giurisdizione sulle Valli del But, del Chiarsò, del Degano, sulla Val Pesarina e la Val Calda) ai caucasici (la Divisione Caucasica era comandata dal generale Klitsch)

e quella meridionale (con sede di comando a Tolmezzo e giurisdizione sulla Carnia meridionale e le vallate delle Prealpi) ai cosacchi (la Divisione Cosacca era comandata dal generale Domanov); un contingente georgiano, assegnato di rinforzo, si insediò nel mese di febbraio nel paese di Comeglians.


I reparti militari cosacchi erano organizzati su quattro Reggimenti, di sede rispettivamente a Clauzetto, Tarcento, Enemonzo e Ampezzo; un quinto Reggimento, di riserva, era stanziato a Osoppo.

Vennero costituite anche la Riserva di Cavalleria Cosacca, composta da 3000 uomini comandati dal generale Shuro (e inizialmente stanziati a Povoletto), una Scuola di Guerra a Tolmezzo, comandata dal generale Borodin e una Scuola di Cadetti a Villa Santina, comandata dal generale Salamakin.
 

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