Quale Banca?

IL CASO
L’indice Texas e i conti delle banche, chi rischia di più in caso di crisi

Il rapporto tra sofferenze e patrimonio premia Intesa e Unicredit. Popolari indietro. Ma i banchieri italiani criticano il ricorso al Texas Ratio da parte soprattutto di analisti e investitori esteri: perché non considera il valore dei collaterali a garanzia dei crediti

di Fabrizio Massaro



L’indice Texas e i conti delle banche, chi rischia di più in caso di crisi - Corriere.it


di Fabrizio Massaro

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Le banche italiane hanno perso in media il 41% in soli sei mesi: dietro questo crollo c’è - fra le altre cose - il timore degli investitori, soprattutto esteri, per il forte peso dei crediti deteriorati, un monolite da 200 miliardi di euro lordi (in realtà circa 80 miliardi netti considerando le svalutazioni), pari al 16% circa del totale degli impieghi, che mina la salute generale delle banche. Per questo motivo è stato rispolverato da qualche mese un indice che era caduto in disuso: il Texas Ratio, che valuta la forza di una banca nel sostenere il peso dei suoi crediti non performanti. Un parametro con cui banchieri e azionisti italiani si trovano a fare i conti e ai quali non piace, perché considerato limitato e distorsivo. Eppure tutti stanno a guardare quel rapporto tra deteriorati e patrimonio più accantonamenti: se è sotto il 100%, la banca riuscirebbe a stare in piedi anche nell’ipotesi - di fatto impossibile - di una perdita totale sui tutti i crediti; se supera il 100%, la sostenibilità è più incerta.
La radiografia degli istituti italiani con il Texas Radio mostra diversi punti interessanti:
il primo è che la situazione dei crediti deteriorati (npl) non è cambiata tanto da giustificare un crollo così violento delle quotazioni delle banche (fenomeno globale ma in Italia influenzato anche dall’incidenza degli npl);
il secondo è, che nonostante gli sforzi, gli istituti non sono ancora riusciti ad affrontare con decisione le sofferenze. Unica eccezione, le due big Intesa Sanpaolo e Unicredit, che nel 2015 hanno migliorato il loro Texas, ovvero sono diventati con le spalle più larghe: più patrimonio, meno deteriorati.

Secondo i dati elaborati da Deutsche Bank ( vedi tabella ),
la banca guidata da Carlo Messina aveva a marzo 2015 un Texas Ratio di 92%, sceso a 89% a fine anno.
Unicredit si è messa ancora più a dieta, passando da 95% a 90%.

Sono rimasti sostanzialmente stabili, sebbene in leggero aumento, Mps (147%), Banco Popolare (158%), Ubi (112%). Invariata Bpm (87%).
Ma quanto vale questo indice? Molti banchieri italiani non lo amano perché sostengono sia grossolano e portatore di distorsioni: nel confronto con le banche internazionali non tiene conto dei collaterali posti a garanzia, e quindi il quadro che ne viene fuori è, sulla carta, peggiorativo della situazione nazionale. Per di più bisogna considerare che i collaterali italiani sono nella maggioranza dei casi beni immobili, che offrono una copertura ben solida visto che in Italia non c’è stata la bolla degli altri Paesi. Tanto che in molti casi la copertura totale (accantonamenti più garanzie) è di circa il 130%.
Infine i dati possono divergere tra banca e banca perché ci sono diversi modi per calcolare l’indice:
Intesa per esempio stima il suo Texas Ratio a 80% a fine anno,
Unicredit lo calcola a 96,9% a dicembre 2014, e a 93,6% a fine 2015.

Il governo

Da un confronto omogeneo e limitato agli istituti nazionali, emerge in maniera evidente che il mercato dei crediti deteriorati è fermo e che una spinta da parte del governo a far ripartire quella macchina resta necessaria. La garanzia pubblica sulle sofferenze (il Gacs) dovrebbe contribuire, così come pure le nuove norme fallimentari per le quali il Consiglio dei ministri ha approvato qualche giorno fa il disegno di legge-delega. Ma come fa notare qualche banchiere, tra i provvedimenti del governo non ci sono misure immediatamente applicabili e tali da dare una scossa al mercato degli npl. Gli investitori, a Londra come a New York, invece se le aspettavano. Per questo sono tornati a guardare con più attenzione all’indice del Texas. Anche in vista dell’imminente risiko bancario.
 
Vergogna ABI, Tolto dal Report Mensile il dato sulle Sofferenze Lorde

Di FunnyKing , il 17 febbraio 2016 9 Comment



Questa sera o domani vi preparerò il consueto report sulle sofferenze bancarie, dovrò cercare fra le statistiche di Banca d’Italia il dato sulle sofferenze bancarie lorde perchè l’Abi (Associazione delle Banche ItaGliane) nel suo consueto bollettino statistico ha deciso di togliere quel dato e lasciare solo le sofferenze nette, ovvero quelle coperte da accontanamenti di bilancio.
Un altro sengno di estrema debolezza, un atto cialtrone e inutile che certifica in che razza di mani sono i “controlli” sul sistema bancario italiano.
Comunque come di consueto le sofferenza nette aumentano e attenzione…. ovviamente l’Abi non comunica il netto degli incagli e dei crediti dubbi…. eh già
Sulla questione Mario Seminerio non poteva esimersi.
da Phastidio.net
Ieri l’Associazione bancaria italiana ha introdotto una innovazione nella tipologia di dati comunicati nel proprio report mensile sul credito. Il totale delle sofferenze di sistema verrà d’ora in avanti comunicato su base netta, cioè rettificata per gli accantonamenti a perdite su crediti già effettuati dalle banche. Secondo il sindacato dei banchieri, questa non è solo una scelta “comunicativa”, a fronte di interpretazioni “fuorvianti” diffuse sulla stampa ed il mercato ma anche una indicazione alla Bce che deve “tenerne conto”. Ohibò.
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Prima di procedere, una premessa: dopo mesi passati a stigmatizzare il comportamento del governo (e della stessa Abi) a fornire solo dati lordi per enfatizzare i progressi, questo passaggio al dato netto dovrebbe soddisfarci. Solo che rispondere ad un espediente con un altro espediente non risolve granché. Intanto, Banca d’Italia continuerà a pubblicare il dato lordo e quello netto, a meno che a breve anche Ignazio Visco non venga “convinto” della bontà di questo approccio di behavioural finance all’amatriciana. Poi, pensare che il mercato e la Bce possano essere in qualche modo indotti, con questa “innovazione” a cambiare idea ed a festeggiare lo scampato pericolo per un sistema bancario che è inzeppato di sofferenze il cui valore di recupero sta nel grembo di Giove, è piuttosto bizzarro. Forse servirebbe più rispetto per l’intelligenza altrui. I dati vanno resi disponibili nel maggior numero di formati possibili, senza inferenze sulla stupidità dell’interlocutore.




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Che dire, comunque, di questo nuovo dato? Che, osservandone l’incidenza su capitale e riserve bancarie, giunta in prossimità del 22%, c’è comunque poco di rassicurante. Il punto non varia: quanto è il recovery value delle sofferenze? Punto. A meno che, in un prossimo futuro, Abi non decida di espungere anche questo dato dal proprio report mensile, per annullarne il potenziale “fuorviante”. Occhio alla china. E non parliamo di alcool.
Dopo di che, ci permetteremmo di suggerire ad Abi di fornire anche i dati del totale dei crediti deteriorati, che come noto sono la somma di incagli e sofferenze. A meno di nostre sviste, nel documento Abi non c’è infatti traccia alcuna degli incagli, che sono una grandezza importante per capire come potranno evolvere le sofferenze, sapendo che in fase di ripresa gli incagli tendono a tornare in bonis. Infatti, se le sofferenze lorde sono pari a circa 200 miliardi, non si deve dimenticare che nel sistema ci sono anche 150 miliardi di incagli. Quanti di essi migreranno a sofferenze? Ancora, per essere sfiziosi: avendo girato a bad bank le sofferenze delle quattro banche risolte, quanti sono gli incagli rimasti in pancia alle quattro good bank? Ah, saperlo.
Tirando le somme, il valore informativo fornito da questa innovazione di Abi appare molto ridotto. Il mercato ne sarà lieto, immaginiamo.
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Siate consapevoli e siate preparati.
 
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Veneto Banca, allarme di Schiavon:
«Valore delle azioni vicino a zero»



http://www.ilgazzettino.it/.../veneto_banca_venetobanca...

http://www.ilgazzettino.it/?p=search&tag=veneto+banca
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TREVISO - Valore delle azioni pressoché azzerato e conti ancora non definitivamente in ordine. A un mese o poco più dai cruciali passaggi dell'aumento di capitale e della Borsa,l'Associazione azionisti di Veneto Banca lancia l'allarme: la situazione del gruppo montebellunese rimane delicatissima e rischia di profilarsi un’ulteriore stangata che è destinata a ripercuotersi soprattutto sui piccoli risparmiatori. Un euro o addirittura meno, fino a 30 centesimi. Secondo l'associazione guidata da Giovanni Schiavon, che riunisce quasi un migliaio di azionisti dell'istituto, questo, in base a varie indiscrezioni, potrebbe essere l'importo a cui il titolo dell'ormai ex Popolare verrà offerto per la ricapitalizzazione e, con ogni probabilità, per il successivo collocamento sul listino di Piazza Affari.

«Se ciò rispondesse al vero - sottolinea l'ex presidente del Tribunale di Treviso -verrebbe di fatto azzerato il valore di quei soci che non volessero o, peggio, non fossero in grado di aderire all'aumento di capitale».
Ancora lo scorso aprile l'azione valeva 30,5 euro e, qualche mese fa, il diritto di recesso era stato fissato a 7,30.
 
Questo artico mette ben in evidenza chi è coinvolto nel salvataggio bancario
a Unicredit tocca la BPVI
a Intesa tocca VenetoBanca
infine
a UBI tocca Montedeifiaschi

http://www.vvox.it/2016/03/26/aumento-bpvi-unicredit-chiede-aiuti-pubblici/

C’è un missile a testata multipla puntato contro Palazzo Chigi. Vale tra i 7 e gli 8 miliardi. È il fabbisogno di capitale delle grandi banche malate. Il rischio di contagio finanziario minaccia la reputazione finanziaria e la stabilità del Paese. Il missile ha almeno cinque testate: Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Monte dei Paschi, Carige, Banco Popolare. La più preoccupante nel breve termine si chiama Popolare di Vicenza. L’amministratore delegato Francesco Iorio deve collocare entro il mese di aprile un aumento di capitale da 1,75 miliardi per fronteggiare la voragine lasciata dal ventennale padre-padrone Gianni Zonin.

I vecchi azionisti, che hanno perso quasi tutto, non sembrano impazzire dalla voglia di sottoscrivere. Con il cerino in mano rischia di restare l’amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni. Quando una società lancia un aumento di capitale c’è sempre il sostegno di un consorzio di garanzia, che si impegna a sottoscrivere le nuove azioni lasciate eventualmente “inoptate” dai soci. UniCredit ha preso questo impegno per Bpvi prima del 22 novembre, prima cioè che il sistema bancario italiano fosse travolto dalla crisi reputazionale provocata dallo squinternato salvataggio di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti.

L’eventualità che gran parte dell’aumento di capitale di Vicenza resti inoptato è molto concreta. Ghizzoni si è affrettato a far sapere al governo che, arrivati al dunque, se le adesioni all’offerta pubblica fossero troppo basse, UniCredit farebbe in modo da bloccare l’operazione. Molte volte, alla vigilia di un’offerta di azioni od obbligazioni, si registra la freddezza del mercato e si innesta la retromarcia. Nel caso di Bpvi la cosa è un po’ complicata: lo stop sarebbe letale per tutto il sistema. Analoga preoccupazione ce l’ha Intesa Sanpaolo, che ha la stessa posizione di UniCredit nella seconda testata del missile, Veneto Banca.

La popolare di Montebelluna deve piazzare l’estate prossima un aumento di capitale da un miliardo, e la banca presieduta da Giovanni Bazoli ha capito che rischia di doverlo sottoscrivere quasi tutto da sola. L’amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina, insieme al collega di UniCredit, premono sul governo perché faccia scendere in campo la Cassa Depositi e Prestiti. L’idea è di costituire un veicolo finanziario con i crismi dell’alto profilo istituzionale, partecipato dalla Cdp, da alcune grosse Fondazioni bancarie e da Intesa e UniCredit.

Per Ghizzoni e Messina il vantaggio sarebbe triplice: dividere l’onere finanziario con altri soggetti, avere una partnership pubblica, poter raccontare agli azionisti che si è intervenuti in un’operazione “di sistema” anziché spiegare che si sono spesi 2,5 miliardi in tutto per salvare due banche venete distrutte dalla mala gestione. Per Ghizzoni il problema è particolarmente spinoso, perché coincide con il ritorno insistente di voci che lo vorrebbero promosso alla presidenza per fare posto a un nuovo amministratore delegato. L’agitazione al vertice di UniCredit è aggravata dalla grana Bpvi. Il progettato “veicolo” però non marcia, mentre il tempo stringe.

Ci sarebbe da sottoporre la brillante idea alla severa commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager, per convincerla che la Cassa Depositi e Prestiti è dello Stato all’80 per cento ma ugualmente noi italiani la consideriamo privata e quindi non ci sarebbe un problema di aiuti di Stato. Ma il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e il presidente della Cdp Claudio Costamagna non hanno ancora prodotto una bozza da sottoporre a Bruxelles.

Il premier Matteo Renzi, costretto dalla flemma di Padoan e del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco a occuparsi in prima persona del pasticcio bancario, è assai preoccupato. Perché se Ghizzoni e Messina non fanno la loro parte per il soccorso alle due grandi malate venete tutto il quadro si complica maledettamente. Il governo ha già da pensare al Monte dei Paschi di Siena. La Bce ha chiesto all’istituto senese un nuovo ulteriore aumento di capitale che potrebbe arrivare a 3 miliardi, in tempi non fulminei, ma verosimilmente entro l’anno.

Difficile sperare in una reazione entusiastica da parte di una platea di soci che si è già svenata sottoscrivendo 9 miliardi di aumenti di capitale in un paio d’anni. Tra le ipotesi sul tavolo c’è che l’intervento di Cdp e Fondazioni sia fatto per Monte Paschi, e che il “veicolo” sia costituito insieme a Ubi Banca, la grande popolare bergamasca designata per un complicato matrimonio con Siena. In tutto servono non meno di 7 miliardi entro quest’anno per rattoppare i conti delle grandi banche malate. Il governo non li ha, la Cdp forse li ha. Ma la strada, da tutti ormai considerata inevitabile, dell’intervento statale sulle banche è una durissima salita.

Carlo Di Foggia e Giorgio Meletti
“Banche, servono 7 miliardi. UniCredit dice no a Padoan”
Il Fatto Quotidiano
26 marzo 2016
 

Messaggero Veneto

Banca di Vicenza, milioni ai dirigenti e ai soci restano le briciole
Messaggero Veneto - ‎27 mar 2016‎
Ecco i compensi: 1 milione a Zonin, 2,6 all'ex dg. Nella lista Fantoni e Colutta. Bocciata a sorpresa l'azione di responsabilità contro i vecchi amministratori di Maurizio Cescon. Tags. banca di vicenza · banche. 27 marzo 2016. UDINE. Ricchi, ricchissimi.

https://news.google.com/news/section?cf=all&hl=it&pz=1&ned=it&q=Banca+Popolare+di+Vicenza&ict=clu_bl

Popolare Vicenza, maxi bonus ai vertici con i soldi persi dai soci
 
ATLANTE (e le banche italiane): un gigante dai piedi di argilla
Scritto il 13 aprile 2016 alle 09:10 da Danilo DT
Tra le varie definizioni che più mi sono piaciute del progetto “Atlante”, un modello “salva banche” ibrido ideato da un mix di capitale pubblico e privato, merita una menzione quella di Carlo Alberto Carnevale Maffé, docente della Bocconi.

“Atlante ha le spalle strette e le gambe molli. Il fondo è una mossa della disperazione – messa in atto grazie alla residua credibilità della “vecchia guardia” della governance bancaria italiana – davanti all’urgenza e alla gravità del riassetto del sistema bancario, che oggi raschia il fondo del barile finanziario nazionale per provare a sostenere le crisi più urgenti e acute”. (Ansa)

In queste poche parole trovate tutto quanto è necessario sapere.

Atlante ha le spalle strette e le gambe molli: ne abbiamo avuto prova proprio ieri a Piazza Affari. I mercati hanno capito quanto già ieri mattina (anzi, il post è stato scritto nella notte di lunedì sera) avevo scritto in un post dedicato.
L’operazione Atlante serve innanzitutto per garantire l’esito positivo dell’aumento di capitale di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. E poi per quelle poche briciole che restano ci si curerà dei crediti deteriorati. Ma le dimensioni del fondo non sono assolutamente tutelanti.



Il fondo è una mossa della disperazione: fermi tutti.
Questa frase nasconde una triste realtà che si cercava di nascondere.
La situazione delle banche italiane non è forse così florida come ci veniva detto.
Ovvio, non potevano dire il contrario, e noi ce n’eravamo già accorti.
Non sanno a che santo rivolgersi e, non potendo utilizzare quello che in passato ha salvato tutto, ovvero l’aiuto pubblico, si cercano escamotages che però sono inefficaci.



…davanti alla gravità del riassetto del sistema bancario. Questa frase è figlia della drammatica situazione prima descritta. Non sono tutte rose e fiori. Piuttosto sono spine ed ortiche ben difficili da estirpare. Eccellente questa slide sui NPL italici.



…provare a sostenere le crisi più urgenti e acute. Si, cari lettori, provare, perché per gestire la problematica dei crediti deteriorati occorrono ben altri strumenti ed altre cifre.
Un fondo ben più capiente (almeno 80 miliardi di Euro?) e una valutazione degli stessi ben maggiore di quota 20 (altrimenti molte banche sarebbero costrette a dover portare in bilancio altre pesanti perdite, diciamo che 40 sarebbe quantomeno accettabile).

IL DOSSIER ATLANTE salva-banche (!!?!?)
E’ chiaro, il mercato la sta vedendo male ed oggi ha punito Atlante che, dopo una seria valutazione, ha finito per fare la figura di Pollicino. E Pollicino non ha le spalle sufficientemente larghe per salvare il sistema bancario italiano. E se poi ha anche le gambe molli…

Intanto se avete voglia di dilettarvi nella lettura, eccovi la BOZZA RISERVATA apparsa in rete nella giornata di ieri. Provate a vedere le clamorose lacune che questo documento mostra.
Stato confusionale profondo.
L’amico Antonio, conosciuto dai lettori come Lampo (che ringrazio), ci segnala qualche interessante passaggio.

Pag. 11:
1) non hanno ancora idea quanti anni farlo durare questo fondo Atlante;
2) l’ammontare di 3-6 miliardi comprende anche la quota da raccogliere mediante sollecitazione tra investitori professionali (vedi punto successivo) entro una data troppo ravvicinata (28 aprile);
3) le quote NON saranno quotate su alcun mercato regolamentato (loro pensano che sia un bene… invece ritengo che in questo momento di sfiducia sia un male… anche se vedendo quanto successo in Grecia in linea teorica hanno ragione!);
4) leva finanziaria: manca l’indicazione del limite massimo del rapporto fra Esposizione totale e Valore Complessivo Netto del Fondo (vuol dire che non hanno fatto ancora simulazioni…);
5) Scopo e Politica di investimento: tanto bla bla bla… ma voglio vedere quella pluralità di soggetti coordinarsi in tal senso (se non sono riusciti neanche a mettere d’accordo le BCC giusto per fare un esempio);

Pag. 13
6) Quanto enunciato è in contrasto con quanto spiegavo nei punti precedenti: soprattutto “la velocità di esecuzione di una soluzione di sistema”!
7) Pare siano interessati solo a rassicurare sugli aumenti di capitale della Popolare di Vicenza e Veneto Banca (e le altre banche non avranno bisogno? RIcordo che siamo in deflazione… quindi utili delle banche in continuo calo!);
8 ) Voglio proprio vedere il CET1 derivante, visto che, data la pluralità dei soggetti (non solo banche) sarà ampiamente falso ritenerlo pari a quello delle banche coinvolte (come dicono loro!);

Pag. 15 ultimo punto:
9) Ovvio che quanto spiegavo nei punti precedenti realizza in parte quanto indicato in “assenza di intervento” (ovviamente spero di sbagliarmi);
10) Massa critica “ad inception”: conferma quanto indicavo al punto 7;
11) Strategia di investimento: tanti buoni propositi… ma difficilmente realizzabili in questo contesto di mercato deflazionistico (per di più dopo anni di rialzi USA);
12) Non hanno ancora chiaro un obiettivo di rendimento (e vogliono attirare gli istituzionali entro il 28 aprile!!! Ma che fretta c’è…. a meno che le cose siano peggio di quello che sappiamo!).

Direi che di carne al fuoco ce n’è veramente tanta. Una sola grande certezza…con Atlante non si va da nessuna parte e si rischia di fare la fine di Atlandite…o se preferite, un gigante dai piedi di argilla.

OFF TOPICS: ATLANTE; un nome appropriato!
Atlante è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Giapeto e di Climene. Ma secondo una versione più curiosa sarebbe figlio di Zeus e di Climene mentre secondo Platone sarebbe figlio di Poseidone e di Clito.

Secondo Esiodo, Zeus lo costrinse a tenere sulle spalle l’intera volta celeste (ndr: leggasi in questo caso come il sistema bancario italiano). La punizione gli fu inflitta per essersi alleato col padre di Zeus, Crono, che guidò la rivolta contro gli dèi dell’Olimpo.

Nell’Odissea (libro I) viene descritto poeticamente come uno dei pilastri del cielo (ndr: per tenere a galla il sistema). Sempre nell’Odissea, viene indicato come padre di Calipso.

Atlante riuscì a convincere Eracle a sostituirlo temporaneamente nella sua punizione, a patto che quegli andasse a raccogliere i pomi d’oro delle Esperidi. Tuttavia per Eracle fu assai difficile convincere Atlante a riprendere il suo posto, e dovette ricorrere a uno stratagemma: gli chiese di tenere momentaneamente la volta per potersi mettere qualcosa sotto le ginocchia. (ndr: il “momentaneamente”, rapportato al sistema bancario italiano, fa pensare…)

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STAY TUNED!

Danilo DT
 
Truffati due volte? Banche, ai risparmiatori un terzo del dovuto
30 marzo 2016, di Laura Naka Antonelli
Truffati due volte? Banche, ai risparmiatori un terzo del dovuto | Wall Street Italia


ROMA (WSI) – Il governo Renzi sta facendo una pessima figura sulla gestione dei rimborsi ai risparmiatori che sono rimasti scottati dal salvataggio delle quattro banche (Banca Marche, CariChieti, Banca Etruria, CariFerrara) avvenuto con il decreto salva banche. Sono passati ormai mesi, ma la promessa del premier Renzi tarda a concretizzarsi. Non solo. In quello che ha l’aria di sembrare la trama di un gioco sadico, il governo promette i rimborsi, poi si vocifera anche su un aumento dell’ammontare degli stessi…fino a quando, tutto rinviato, di nuovo.

Proprio oggi, tra l’altro, è una giornata cruciale. Scade infatti il termine per definire i rimborsi ai risparmiatori. Trepidazione dunque per la firma che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan dovrebbe apporre al decreto ministeriale per sbloccare i risarcimenti agli obbligazionisti che, grazie all’introduzione della nuova normativa sul bail-in in Italia, si sono ritrovati in mano solo carta straccia.

Con lo sblocco dei rimborsi, dovrebbero rendersi disponibili 100 milioni di euro stanziati dal governo con la legge di Stabilità che, come scrive in un articolo pubblicato sul quotidiano Il Giornale e firmato da Fabrizio Ravoni, corrisponderanno a un ammontare pari a un terzo del valore complessivo dei risparmi che sono andati bruciati con il fallimento delle quattro banche.

E pensare che nei giorni precedenti la festività della Pasqua gli obbligazionisti truffati erano stati anche illusi, in quanto erano circolate indiscrezioni sull’intenzione, da parte del governo, di alzare l’ammontare dei risarcimenti a 280 milioni . Tant’è che qualcuno aveva già esultato.

Il punto è che come al solito le trovate elettorali di Renzi finiscono sempre per scontrarsi con il vero padrone dell’Europa e dell’Italia: l’Unione europea. In queste ore si sta attendendo proprio la risposta di Bruxelles alla proposta del governo di aumentare da 100 a 300 milioni il fondo di solidarietà e mettere la parola fine a questa storia, senza ricorrere agli arbitrati. Ma Bruxelles non sarebbe affatto d’accordo, anche perché in questo modo, a suo avviso, verrebbe svilita la stessa natura del bail-in.

Bankitalia non esclude emissione nuovi titoli
Spunta poi una proposta particolare per porre rimedio ai danni fatti: emettere nuovi titoli da parte delle banche ponte a favore dei risparmiatori che hanno visto azzerati i loro investimenti con la risoluzione delle quattro banche del novembre scorso. Il nuovo piano è emerso nell’incontro di stamani tra una rappresentanza dell’Associazione vittime del Salva banche e il responsabile dell’Unita’ di Risoluzione della Banca d’Italia, Stefano De Polis

In tutto questo non sono mancate critiche e accuse, sia da parte del mondo politico che da quello delle Associazioni dei Consumatori.

Così il presidente del Codacons, Carlo Rienzi:

“Dal governo finora non è giunta alcuna notizia e gli obbligazionisti rimangono ancora senza risposte”. In questa situazione, “l’unica cosa certa in questa vicenda è che il governo ha fatto una pessima figura”.”Ancora una voltagli interessi delle banche diventano la priorità assoluta dell’esecutivo, in un classico rimpallo di responsabilità all’italiana. Ai risparmiatori non resta dunque altra via che il ricorso alla giustizia, facendo valere in tribunale le proprie ragioni”.

“Nei prossimi giorni partiranno le prime 20 cause pilota patrocinate dal Codacons per conto di obbligazionisti che hanno visto azzerato il valore dei propri titoli e migliaia potrebbero essere presentate nei prossimi mesi, considerato che la nostra associazione ha raccolto il maggior numero di risparmiatori traditi su tutto il territorio nazionale”.
 

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