Quale Banca?

il bailin anche in USA

Ecco come i banchieri vogliono eliminare l'uso dei contanti

Stampa Invia Commenta (8) di: WSI | Pubblicato il 07 ottobre 2015| Ora 11:03


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Una legge vi strapperà dello stesso status di depositanti, per impedirvi di prelevare i vostri soldi.
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Corsa agli sportelli della banca Adolf Mandel Bank nella zona Lower East Side di Manhattan, New York. Febbraio, 1912.



ROMA (WSI) - Eliminare l'uso dei contanti: sempre di più l'obiettivo dei grandi banchieri, che vogliono costringere i clienti a investire in asset rischiosi e che soprattutto vogliono salvaguardare la loro liquidità (con i soldi dei correntisti).

Phoenix Capital fa il punto della situazione, riportando un esempio e partendo dalla legislazione vigente negli Stati Uniti.

Stando alla Legge Bancaria Usa, i depositi sono considerati passività. Dunque, all'interno di questo quadro normativo, i depositanti sono creditori (della banca).

"Di conseguenza...se una grande banca dovesse fallire negli Usa, i vostri depositi presso tale banca verrebbero o 'svalutati' (leggi: 'sparirebbero') o sarebbero convertiti in titoli azionari della società. Una volta convertiti in quote di capitale, voi diventereste azionisti (della banca), perdendo lo status di depositanti...dunque non sareste più assicurati dalla FDIC".

Phoenix Capital Research ha scritto già diversi articoli sul tema della guerra al contante lanciata dal mondo della finanza, in primis dalle banche centrali: il diktat è impedire ai depositanti di tentare di tutelarsi dagli shock finanziari decidendo di ritirare i loro risparmi dagli istituti di credito, nascondendoli magari sotto il classico materasso.

Non è dunque sicuramente un caso che, attualmente, il sistema finanziario degli Stati Uniti sia costituito soprattutto da moneta digitale. Il reale ammontare delle banconote fisiche e delle monete in dollari ammonta infatti ad appena $1.360 miliardi, poco al di sopra del 10% dei $10.000 depositati sotto forma di conti bancari. E si tratta di una quantità del tutto irrisoria, se paragonata ai $20.000 miliardi di azioni, $38.000 miliardi di bond e $58.000 miliardi di strumenti sul credito che circolano nel sistema.

Inutile dire che "se una percentuale significativa di persone decidesse di trasformare i propri soldi (dai conti bancari) in contanti, il problema potrebbe diventare sistemico". Ed è questo che i poteri forti vogliono impedire.

Di qui, l'idea di privare i correntisti dello stesso status di depositanti, trasformandoli in azionisti della banca. In questo modo perderebbero la tutela dell'agenzia federale di garanzia dei depositi ed, essendo azionisti, pagherebbero caro il crack dell'istituto, in quanto vedrebbero le loro azioni crollare.

E' quanto è già accaduto - scrive la società - precisamente in Spagna nel corso della crisi bancaria del 2012. Da allora, si è verificata la stessa cosa anche a Cipro e in Grecia...e "ora è perfettamente legale negli Stati Uniti, grazie a una clausola della legge Dodd-Frank". (Lna)
 
RISPARMIATORI ITALIANI, VITTIME O COMPLICI DI BANCHE POCO VIRTUOSE?

12 ottobre 2015 by Roberta Rossi Gaziano Aggiungi commento

C’è la banca che chiede all’imprenditore che ha bisogno del fido di sottoscrivere in cambio le sue azioni, il cliente che chiede un mutuo e se ne esce con un finanziamento e un investimento illiquido “a sua insaputa”, chi è “moralmente” obbligato a sottoscrivere gestioni separate di banche commissariate, chi è costretto a tenere aperto il conto presso una banca perché l’istituto gli ha addebitato costi non dovuti e non vuole rimborsarglieli, chi per non pagare le commissioni di ingresso sui fondi è costretto a comprare servizi di consulenza.
Le cronache finanziarie mostrano il moltiplicarsi di pratiche commerciali scorrette o eticamente discutibili (e questo sia ben chiaro non succede solo in Italia) da parte dei collocatori di prodotti finanziari. Le colpe? Non sono solo delle banche e delle reti di vendita ma anche forse dei risparmiatori stessi, cui i collocatori sembrano essere riusciti a cucire un abito su misura, una sorta di camicia di forza, con cui li tengono legati. Accada quel che accada.

“Chi si somiglia, si piglia” recitava lo spot di Veneto Banca, che insieme alla Banca Popolare di Vicenza, ha congelato i soldi di 200 mila risparmiatori cui ha venduto i propri titoli illiquidi.
Ma questi risparmiatori sono sempre e solo delle vittime o ci hanno messo del loro?
La relazione ispettiva effettuata da Bankitalia nel 2001 sulla Banca Popolare di Vicenza evidenziava che almeno da quattordici anni per convincere i clienti della banca a sottoscrivere le azioni venisse prospettata o fatta credere una crescita costante dell’investimento. Ovviamente “risk free”. Un binomio impossibile e irrealistico che è indecente non solo promuovere da parte della banca, ma anche illusorio ricercare da parte del cliente-azionista. L’obiettivo della banca secondo Bankitalia era “gestire il consenso”.
E’ andata avanti per anni, ma come afferma Gianluca Paolucci su la Stampacon il beneplacito di tutti: azionisti, controllori e controllati. Fossimo stati un altro Paese, quello che non sceglie gli investimenti sul libro dei sogni, forse sarebbe finita prima. E il buco che oggi ammonta a 8,3 miliardi non sarebbe diventato una voragine.

fonte Prof. Carlo Alberto Carnevale Maffè – Comitato Direttivo ABI Lab – Bocconi University – SDA


Già perché in media gli investitori italiani i rendimenti se li aspettano molto alti e senza rischi: il 9% all’anno è un rendimento considerato raggiungibile da molti italiani che si dichiarano però avversi al rischio come ha mostrato una ricerca di Natixis Asset Management. E attese irrealistiche sono la premessa a cocenti delusioni come dimostra la vicenda delle due popolari venete. E forse c’è qualche ragione se si collega parte di questi comportamenti con il fatto che nelle classifiche internazionali gli italiani sono spesso agli ultimi posti come cultura finanziaria.
L’Italia è un Paese in cui spesso si sceglie il consulente per i propri investimenti in base alla prossimità fisica e alla relazione (senza valutare altri aspetti ben più importanti). Il cliente italiano il consulente lo vuole vicino e sul territorio. A portata di mano. Il contatto fisico e vis a vis con il consulente finanziario rimane per il risparmiatore medio italiano imprescindibile. Finora i tentativi di superare questo rapporto one to one, bancario o promotore e cliente, sono miseramente falliti o sono rimasti tentativi di nicchia. Anche in tempi moderni.
Non è un caso che alcuni analisti mostrino come punto dolente del modello CheBanca! la mancanza di una rete fisica di promotori sul territorio. E la banca “yellow” sia quotata come una di quelle maggiormente interessate a rilevare la rete di Barclays Italia. Il totem digitale con cui la banca retail del Gruppo Mediobanca vorrebbe dematerializzarli non sono per il sistema italiano ancora in grado di sostituire il rapporto umano. E non è solo perché siamo un paese anziano sia anagraficamente sia come concentrazione di patrimoni.
Anche la generazione Y (17-34 anni) secondo un sondaggio effettuato da Gfk Eurisko per Epfa Italia mostra che quando si tratta di decidere come investire e quali prodotti comprare il cliente italiano ha bisogno soprattutto di una relazione fisica con i propri consulenti finanziari. Non può essere un caso che le realtà maggiormente di successo nel banking on line, Fineco in primis, abbiamo una rete sul territorio di migliaia di promotori. E che recentemente ci sia stata una fusione tra una rete di promotori finanziari (Ubi) e una banca on line (Iwbank) per tentare di replicare con IWBank Private Investments il modello di successo Fineco ma partendo subito col piede storto a vedere come sono stati trattati i vecchi clienti della banca.
Il modello soprattutto o esclusivamente digitale interessa ancora una parte minoritaria di risparmiatori italiani seppure questa tendenza è in crescita ma si tratta ancora di una nicchia. Le masse evidentemente vogliono la rete fisica sul territorio e possibilmente anche gli sportelli fisici. Il successo di Bancoposta è lì a dimostrare l’incredibile potenza di questo mix a prescindere dalla preparazione finanziaria degli addetti allo sportello e dei prodotti collocati. E della capacità del Gruppo, recentemente multato dalla Consob e prossimo alla quotazione in Borsa, di vendere ai propri clienti prodotti veramente adatti al loro profilo rischio.


Fra le banche che in questi anni hanno mostrato più alti tassi di “retention” ovvero capacità di trattenere i clienti anno dopo anno e non perderli colpisce che in cima alle classifiche non ci trovi le banche migliori come bilanci e parametri di efficienza ma spesso istituti che hanno avuto più di un problemino.
Può perfino capitare di vedere che banche commissariate abbiano accresciuto la raccolta diretta e in questi anni fra le presentazioni di banche che si vantavano di avere la maggior “customer retention” vi erano nomi come MPS o Banca Popolare di Vicenza, istituti che se si esamina poi l’andamento dei bilanci di questi anni non proprio si possono definire dei “gioiellini”.

fonte Prof. Carlo Alberto Carnevale Maffè – Comitato Direttivo ABI Lab – Bocconi University – SDA


Verso lo sportello che si frequenta da trent’anni il legame “morale” rimane talmente forte che recentemente un risparmiatore mi ha chiesto se può azzardarsi a sottoscrivere la gestione separata che gli ha proposto la sua banca che però è commissariata. Rischio di perdere soldi? Dalla banca mi assicurano di no e me lo sottoscrivono x legge”. E se gli chiedo se anche così fosse “A lei chi glielo fa fare di sottoscrivere questo prodotto?” mi risponde che ha un rapporto anche con la sua ditta lungo 30 anni con questa banca. E che a volte esistono anche “motivi morali.”
Un bel rompicapo comprendere simili comportamenti da parte dei risparmiatori se si crede alla teoria dell’homo economicus che sceglie in base a ciò che è più conveniente per lui.
E qui viene fuori il secondo problema tutto italiano: i clienti delle banche a volte si considerano in dovere di sottoscrivere i prodotti che la banca gli consiglia. A volte è un obbligo che sconfina quasi nel ricatto, come sembra avvenuto in tanti casi delle popolari venete in cui chi ha chiesto un mutuo o un finanziamento ha dovuto per ottenerlo sottoscrivere anche le azioni di questi istituti, ma a volte è il cliente stesso che si sente in debito “morale” verso la banca. E ne sottoscrive i prodotti per “compiacere” l’istituto o l’addetto allo sportello verso il quale c’è un rapporto magari decennale. E questa è una degenerazione e distorsione del rapporto banca-cliente. Non si sta comprando uno shampoo o un tailleur ma un prodotto finanziario. Non si può comprare per “dovere morale” ma se serve ed è utile a sé e alla propria famiglia. A meno di non puntare al “commissariamento” dei propri cari per investimenti fatti per piacere alla banca.

Il mal di budget, questo sconosciuto …
Le banche conoscono la debolezza psicologica di molti clienti e anche la loro scarsa cultura in materia di investimenti e utilizzano quest’arma alla bisogna. L’obiettivo è spesso quello con rassicurazioni, pressioni e a volte omissioni, di trattenerli o convincerli a sottoscrivere i prodotti che la direzione della banca ha maggiore interesse a collocare.
“Da una parte i banchieri – che pretendono budget irraggiungibili con pressioni commerciali esasperanti e nel frattempo tagliano, prepensionano, suggeriscono scivoli – dall’altra i clienti che ormai vanno in banca con un nodo alla gola o pronti alla guerra per il fido da conquistare. Nel mezzo loro, i bancari. Sepolti dai tabulati inviati dagli uffici marketing che dettano chi chiamare, a che ora e per quale prodotto. Lo stress da performance è alto…”
Così scriveva qualche anno fa la giornalista Camilla Conti, su questo rapporto malato. Il cosiddetto “mal di budget”, di cui su Plus 24 il giornalista Nicola Borzi, da anni tiene un osservatorio dove si evidenzia che lo stress di chi lavora in banca da qualche lustro non è più costituito solo dal timore di trovarsi dentro una rapina allo sportello. Ma anche di subire le pressioni dei piani alti per conseguire il budget, costi quel che costi, cercando non solo di non perdere il cliente ma anche di renderlo sempre più lucrativo per la banca. Pena il rischio di subire un downgrading.

Col bail in qualcosa cambierà nelle abitudini dei risparmiatori?
Con la nuova disciplina che entrerà in vigore nel 2016 del “bail in” anche i correntisti potranno rimetterci se la propria banca entra in serie difficoltà. Sotto i 100.000 euro dovrebbe essere garantito lo scudo del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (e si spera naturalmente che ad avere problemi non siano banche sistemiche). E forse qualche risparmiatore in più inizierà a preoccuparsi della salute della propria banca.
fonte Prof. Carlo Alberto Carnevale Maffè – Comitato Direttivo ABI Lab – Bocconi University – SDA



La Banca Centrale Europea ha cambiato le regole del gioco per tutti: controllori, controllati, azionisti, obbligazionisti e correntisti.

Chi sbaglia ora paga. Con i propri soldi.
Anche sul fronte giudiziario qualche recente sentenza abbandona la strada della difesa tout court dell’investitore e introduce in alcuni casi particolarmente gravi di negligenza da parte del cliente il concetto di concorso di colpa. Con la sentenza 1826 della Corte di Cassazione del 22 settembre scorso è stato stabilito che il cliente che ha posto una eccessiva fiducia nel proprio promotore finanziario, in caso di malversazioni da parte di quest’ultimo perde il diritto di risarcimento integrale del danno subito. Nel caso esaminato il cliente era solito consegnare denaro a mano al proprio promotore e gli consentiva di aprire la posta inviata dalla banca al cliente. Un comportamento che si presta evidentemente a frodi di ogni tipo.
Il risparmiatore non è più una specie protetta né per la giurisprudenza italiana né per l’Europa. La negligenza è diventata una colpa. E d’ora in poi l’investitore dovrà stare un po’ più attento perché sarà considerato parte in causa.

fonte Prof. Carlo Alberto Carnevale Maffè – Comitato Direttivo ABI Lab – Bocconi University – SDA


In questo contesto la consulenza finanziaria indipendente non legata ad alcuna “società prodotto” o “rete con mandato” o “banca” puo’ essere una alternativa da esplorare. Se si hanno dubbi su un prodotto consigliato dal proprio istituto di credito perchè troppo perfetto o in odore di “conflitto di interessi”, una seconda opinione qualificata e super partes può essere di aiuto per evitare molti fraintendimenti. I tempi sono cambiati e chi non sa o non ha capito non sarà più salvato. Ignorantia legis neminem excusat


https://www.moneyreport.it/report-a...time-o-complici-di-banche-poco-virtuose/15120
 
Banchiere pentito: "Vi racconto come gonfiamo profitti e ricattiamo clienti"

di: WSI Pubblicato il 15 ottobre 2015| Ora 10:32


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Ex dirigente svela segreti istituti di credito. Come centri commerciali e agenzie immobiliari, con la differenza che agiscono ai limiti dell'usura.

Banchiere pentito: Vi racconto come gonfiamo profitti e ricattiamo clienti



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Il libro che porta la firma di Vincenzo Imperatore ed edito da Chiareletter: "Io vi accuso".


ROMA (WSI) - Le banche fanno di tutto per gonfiare i profitti, anche ricattare i clienti, agendo ai limiti dell'usura. Ed esercitando in alcuni casi "forme di concorrenza sleale in molti settori".

Un ex dirigente in banca, Vincenzo Imperatore, svela in un libro i segreti degli istituti di credito. Sempre più simili a centri commerciali e agenzie immobiliari, con la differenza che hanno il coltello dalla parte del manico quando si tratta di fare prestiti.

Un potere di ricatto che fa sì che un cliente entrato in banca per chiedere un prestito se ne esca con un televisore, un tablet e un abbonamento alla palestra.

"Io vi accuso", in uscita il 15 ottobre, "denuncia nuovi stratagemmi adottati dalle banche per ottenere profitti a discapito dei malcapitati clienti che dopo anni di crisi si trovano sempre più nel ruolo di polli da spennare", come spiega Il Fatto Quotidiano.

In un passaggio del libro edito da Chiarelettere, si legge che le società di credito sono "capaci di far svendere le abitazioni dei clienti sul lastrico per far guadagnare anche i ricchi speculatori immobiliari già loro correntisti. Senza pietà, sballando il mercato e alterando le normali procedure della compravendita. Gli istituti stanno favorendo il dislivello sociale e consentono spesso abusi per i quali non pagano mai".

E ancora: "Su un fido la banca ha mediamente un margine di guadagno finanziario netto di circa l’8 per cento a fronte di un fattore di rischio altissimo: quei soldi potrebbero anche andare perduti nel caso in cui il cliente fosse insolvente. Il televisore, invece, è a ‘rischio zero’, non c’è nulla da perdere per l’istituto e, inoltre, ha un rendimento di almeno il 20 per cento sul prezzo a cui viene venduto al correntista".

Secondo una fonte citata da Imperatore, per diventare un responsabile della gestione della clientela bisogna seguire "corsi di formazione per diventare piazzista e incontri sulle tecniche di vendita per prodotti di largo consumo", mentre i prodotti "si possono pagare in un’unica soluzione o con finanziamento che fa crescere la rata mensile del mutuo o di qualsiasi altro tipo di prestito".

Per gonfiare i profitti un altro modus operandi delle banche è quello delle assicurazioni sul credito. "Oltre all’esosa polizza, – scrive Imperatore – ci sono gli interessi applicati sul fido per anticipo fatture, ovvero i ricavi ottenuti prestando all’impresa quegli stessi soldi assicurati. L’azienda, infatti, in attesa che il cliente paghi, ha comunque le spese correnti da sostenere quotidianamente e per farlo si deve far anticipare il denaro dalla banca. E ancora, altro paradosso, l’istituto trae profitto con interessi, commissioni e quant’altro su un rischio (e il fido lo è) che non è più tale perché annullato da una polizza assicurativa venduta dalla stessa banca che ci guadagna il 24 per cento. Gli istituti in questo caso sono riusciti a infrangere le leggi dell’economia e a trovare la formula per loro più conveniente: meno rischio e più guadagno".

Tanto alla fine, dice Imperatore, "paga sempre la piccola impresa".
 
Ricatto Germania. O banche italiane scaricano BTP, o niente garanzia europea su depositi

Stampa Invia Commenta (13) di: WSI | Pubblicato il 23 ottobre 2015| Ora 15:45


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Wolfgang Schaeuble blocca il piano. Il retroscena.
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Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble.



ROMA (WSI) - Assicurazione dell'Eurozona sui conti correnti? Se il piano c'era, ora rischia di saltare. O anzi, come scrive Federico Fubini in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera, "per adesso l'assicurazione europea non si farà". Motivo? Il veto della Germania. Berlino infatti dirà no a "qualunque assicurazione comune sui depositi fino a quando le banche in Europa del Sud non saranno protette dal rischio di una crisi sul debito pubblico".

Come? Secondo i tedeschi, per evitare che le banche del Sud europea vengano travolte da una crisi che torni a colpire il debito pubblico, è fondamentale che le banche stesse riducano gli investimenti in titoli di Stato del proprio Paese; nel caso dell'Italia, dunque, che le banche italiane riducano l'esposizione verso i BTP.

E' questo il motivo per cui, le parole che l'agenzia di Reuters aveva riportato nella bozza di conclusioni dell'ultimo vertice europeo - "I capi di Stato e di governo sottolineano l’importanza di completare l’unione bancaria - poi sono sparite dal documento finale.

Fubini ricorda: "oggi la garanzia sui conti correnti, uno strumento introdotto da Franklin Delano Roosevelt durante la Grande depressione americana degli anni ‘30, spetta a ciascun governo per il proprio Paese. In caso di crisi di una banca, sono assicurati con fondi pubblici nazionali i risparmi fino a 100 mila euro. Il progetto di un fondo europeo è partito durante la crisi per prevenire i problemi che si sono visti per esempio in Grecia: quando il pubblico non crede più alla capacità di un governo di garantire i conti, corre in massa a ritirare i propri fondi trascinando anche le banche nell’abisso".

Fubini sottolinea come "per l'Italia la posta in gioco non potrebbe essere più delicata: agli ultimi dati (raccolti da Rbs) le banche del Paese detengono debito dello Stato per 454 miliardi di euro, un record senza precedenti. È così che finanziano un quarto dell’intero onere del debito pubblico italiano e in media impegnano l’11,5% dei loro bilanci".

Ora, "quando il valore dei titoli di Stato è i massimi, come ieri, le banche registrano forti plusvalenze; ma rischiano gravi perdite in caso di un nuovo terremoto finanziario come nel ‘92 o nel 2012. Ad eccezione di Finlandia e Slovacchia, non esiste in Europa un sistema bancario esposto sul debito nazionale come quello italiano. Gli istituti guadagnano sui titoli di Stato, e lo Stato conta su un finanziatore costante".

Ma Berlino non vuole stare più a questo gioco. Anche per questo a Bruxelles - continua Fubini -, nel mese di settembre è stato istituito un gruppo di lavoro, al fine di studiare e indicare il modo attraverso cui le banche possano ridurre in modo graduale l'esposizione verso i titoli di stato. Per ora una cosa è certa. Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble non ha rilasciato l'autorizzazione cruciale per l'approvazione di una garanzia europea dei conti correnti dei paesi membri dell'Eurozona.

"Forse quello del ministro delle Finanze tedesco è solo un bluff per proteggere i contribuenti tedeschi da possibili esborsi, bloccando l’assicurazione europea sui depositi. Certo per ora gli è riuscito bene", conclude Fubini.
 
ONE MORE TIME

pubblicato in data 23 apr 2015 | Scarica in PDF | Stampa | Invia a un amico

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Molti lettori mi hanno scritto chiedendomi del mio silenzio relativamente alle vicende che hanno colpito improvvisamente nelle due scorse settimane tutti gli azionisti di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Per chi non ne fosse a conoscenza o vive in un’altra regione diversa dal Veneto, questi due istituti di credito mediante il loro Consiglio di Amministrazione hanno provveduto a svalutare rispettivamente del 23% il valore delle azioni portandole

da 62 a 48 euro per la banca vicentina

e da 39 a 30 per quella trevigiana.

Queste due banche sono passate ad inizio 2014 sotto l’occhio vigile della BCE la quale per le banche quotate aveva già a suo tempo intrapreso azioni volte al rafforzamento patrimoniale delle banche in osservazione mediante accantonamenti prudenziali, dismissioni di partecipazioni e cessione di filiali.

Con il 2015 è arrivato il redde rationem anche per le banche non quotate che come sapete autodeterminano il valore delle proprie azioni.

Iniziamo pertanto con calma.
Chi perde denaro investendo in azioni, qualunque esse siano, deve stare zitto ed abbassare il tono della conversazione in quanto per definizione l’investimento in azioni può produrre in situazioni molto spiacevoli anche la totale perdita del capitale investito.

In secondo luogo, sono ormai anni che ne parlo nei vari post, nei seminari, all’interno dei report e anche mediante numerose videoclip in YouTube: pertanto di inchiostro se ne è riversato a sufficienza in tempi non sospetti.
Quello che è accaduto per me non è affatto sorprendente, anzi mi stupisco che queste banche siano riuscite per così tanto tempo a convincere i propri azionisti che il valore che attribuissero alle loro azioni fosse in linea a quanto stesse accadendo invece ai competitors quotati.

Mi stupisco anche di come in questi ultimi anni proprio dialogando con numerosi funzionari e dirigenti di tali banche vi fosse una cieca convinzione che il valore di queste azioni che andavano proponendo fosse congruo e soprattutto true and fair. Proprio qui si entra nella terra di mezzo ovvero chi opera sui mercati finanziari riconosce quasi fosse un mantra un assunto che cita come il mercato abbia sempre ragione.

Pertanto se numerose banche quotate in cinque anni perdono oltre il 75% del valore della loro quotazione, mentre banche non quotate non solo lo mantengono ma addirittura lo aumentano, è chiaro che siamo in presenza di una bolla che prima o poi sarebbe dovuta scoppiare. Un secondo elemento di criticità è legato alla liquidità e liquidabilità che connotano queste azioni, nei due anni precedenti i fatti ora richiamati dalla cronaca finanziaria è indubbio di come vi fossero oggettive difficoltà a liquidare tali azioni proprio nella consapevolezza da parte di alcuni detentori che si stava detenendo un fiammifero acceso.



Purtroppo per loro tali azioni non hanno un mercato significativamente liquido e la banca in questione non ha alcun obbligo di trasformarsi in market maker e fare da controparte.


Mi sono pervenute richieste di vari legali che rappresentano centinaia di azionisti che si considerano gabbati e pertanto intendono agire nei confronti dei rispettivi organi di amministrazione proprio facendo leva su questo aspetto ovvero che i titoli non potessero essere liquidati a prima vista.
Non sono un avvocato, ma temo che non vi siano molte possibilità di vincere a meno che non si riesca a dimostrare che alcuni azionisti, i cosidetti amici degli amici, sono recentemente riusciti a liquidare le azioni nonostante ci fossero code di richieste di vendita inevase da tempo.
L’attuale contrazione di valore di tale azioni ritengo comunque che non possa essere considerata l’ultima perdita per chi ancora oggi le detiene.

Sappiamo che queste banche presto si dovranno trasformare prima in società per azioni, quindi abbandonare il sistema di voto capitario, e successivamente si dovranno anche quotare, alcune è plausibile saranno spinte a fondersi per aumentare i livelli di patrimonio ed al tempo stesso razionalizzare i costi operativi a tutto vantaggio del risultato di esercizio oppure addirittura acquisite da controparti straniere.

Quindi quando assisteremo alle operazioni di quotazione o di fusione (magari anche ostile) ulteriori spiacevoli sorprese potrebbero attendere gli azionisti dietro l’angolo.

Per chi mi scrive che cosa si potrebbe fare, la risposta è telegrafica: niente. Avete perso denaro dando fiducia, senza tante riflessioni, ad un management il cui operato è più che discutibile in numerosi fronti come già fatto notare in passato.
Non è un caso che le due banche in questione ora dovranno tenere testa anche a faide intestine per l’emersione di una nuova governance societaria.

Mi piacerebbe parlare più liberamente di questi argomenti ma non ci si può permettere di menzionare l’operato di questo o quel funzionario o dirigente (pur conoscendoli) in quanto potrei essere passibile di denunzie varie sotto ogni fronte, che poi state sicuri si concluderebbero in un nulla di fatto vista la mia consistenza probatoria. Ulteriori consigli non ve ne dò perchè ho visto che non li ascoltate: quanto rido ogni volta che incrocio alcuni attuali azionisti a cui ancora due anni fa dicevo di liberarsi quanto prima delle azioni e loro, facendo spallucce, mi rispondevano che non avevo ben capito il piano industriale che era in corso o le operazioni di rafforzamento patrimoniale o la valenza delle nuove emissioni obbligazionarie. Vi potrete sempre nascondere dietro a un fiammifero, ma solo per poco tempo.

Quanto accaduto in Veneto nel mondo bancario apre invece il vaso di pandora in quanto la scelta di diminuire il valore delle azioni rappresenterà una strategia che potrebbe con grande facilità essere percorsa anche da altre banche non quotate come casse rurali, crediti cooperativi o altre banche popolari nei prossimi anni.

Pertanto iniziatevi a chiedere se ha ancora oggi senso investire in asset che non sono liquidi, il cui valore non soggiace alle leggi di mercato e soprattutto se questo asset rappresenta la quota di proprietà di una banca il cui management ha ben compreso le sfide che attendono l’intero settore dei servizi bancari entro i prossimi cinque anni.

<<Per chi mi scrive che cosa si potrebbe fare, la risposta è telegrafica: niente.>>
IO INVECE SONO DELL'OPINIONE CHE, IN QUESTI CASI, I MOTIVI X FARE UNA BELLA << CLASS ACTION>>
CI SONO TUTTI.
INFORMARSI PRESSO ADUSBEF
GB
MADAGAMADA
 
Ricatto Germania. O banche italiane scaricano BTP, o niente garanzia europea su depositi

Stampa Invia Commenta (13) di: WSI | Pubblicato il 23 ottobre 2015| Ora 15:45


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Wolfgang Schaeuble blocca il piano. Il retroscena.
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Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble.



ROMA (WSI) - Assicurazione dell'Eurozona sui conti correnti? Se il piano c'era, ora rischia di saltare.

ho scoperto cosa ha scatento il krukko:


tassi negativi sui BTP a due anni per la prima volta nella storia. Orizzonti inesplorati ci attendono! Immagino la felicità dei fondi pensione e assicurativi tedeschi…
Tassi bassi e alti requisiti di capitale, in Germania è allarme…
 
ho scoperto cosa ha scatento il krukko:


tassi negativi sui BTP a due anni per la prima volta nella storia. Orizzonti inesplorati ci attendono! Immagino la felicità dei fondi pensione e assicurativi tedeschi…
Tassi bassi e alti requisiti di capitale, in Germania è allarme…

MA
<<tassi-bassi-e-alti-requisiti-di-capitale-in-germania-e-allarme-per-le-compagnie-
è VECCHIA DEL 30/07/201
<<E tassi negativi sui BTP a due anni per la prima volta nella storia>>
DI QUANDO è?
GRAZIE
GB MADAGAMADA
 
Vegas (Consob): decreto sul bail-in da rivedere


Il Sole 24 Ore - ‎2 ore fa‎




Il decreto legislativo sul bail-in per le banche va rivisto perché è in contrasto con le norme europee sugli abusi di mercato che tutelano la trasparenza. Così il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, in un'audizione in Commissione Finanze del Senato.

Vediamo di ricordare che questo provvedimento è anticostituzionale in quanto la Costituzione afferma senza equivoci
" La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme"
 

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