IL COMMENTO
NESSUNA BATTAGLIA DI RETROGUARDIA
LUCA SONCINI *La qualità e l’autorevolezza delle analisi dell’ambasciatore Sergio Romano sono note e indiscusse, ma nell’articolo di domenica 18 ottobre sulla prima pagina del «Corriere della Sera» (Svizzera: se ne può parlare male? Sì) mi sembra che sia un po’ scivolato sulle conclusioni. Nulla da eccepire sulla lettura storica, cui farei solo un’aggiunta: la Svizzera e il Ticino hanno beneficiato - come rileva il professor Romano - dello sviluppo economico del dopoguerra di quell’incredibile bacino di produzione di ricchezza che è stato soprattutto il Nord Italia, ma hanno anche rappresentato un rifugio sicuro per persone e patrimoni di quello stesso bacino che, volendo reagire, cercavano di ripararsi da fenomeni quali le continue svalutazioni della lira, la forte inflazione, l’instabilità politica, l’insicurezza giuridica, i terrorismi di vario colore, i rapimenti. Si è, insomma, verificata una classica winwin situation in cui la componente fiscale ha sì giocato un ruolo, ma non determinante.
Ora, se è vero che per tanti svizzeri gli ultimi mesi di ostilità hanno costituito un brusco e amaro risveglio, non si può però concludere, come fa Sergio Romano, che «quando i suoi critici hanno messo in discussione il segreto bancario, la risposta della Confederazione è stata un’ostinata battaglia di retroguardia». In realtà lo stesso concetto di «segreto bancario», seppur ancorato in un articolo della nostra Legge sulle banche che ne chiarisce i contorni penali ove violato, ha conosciuto mutamenti e adeguamenti nel tempo. L’ultimo, di chiara rilevanza internazionale, risale alla fine degli an- ni ‘90, quando la Svizzera, anche su pressioni politiche ed etiche esterne, stabilì che la sua piazza non si sarebbe (più) prestata a qualsivoglia uso da parte di persone e/o organizzazioni che si fossero resi colpevoli di reati di natura penale. Il segreto, da allora, cadde di fronte alle esigenze di inchieste di carattere penale, riconosciute tali per il diritto svizzero. La Svizzera non ha più smesso di lanciare un messaggio forte e chiaro: il nostro Paese, il nostro sistema finanziario, le nostre banche, non si vogliono far utilizzare in alcun modo dalla criminalità, da quella di Stato (caso Marcos, caso Abacha), come da quella individuale.
Gli standard compliance e antiriciclaggio introdotti oramai da un decennio in Svizzera hanno fatto scuola, tanto che, gradualmente, sono stati adottati dai principali Paesi (piazze finanziarie off eonshore), tra i quali, solo recentemente, anche l’Italia. L’unica critica che ho sentito in questi anni da alcuni magistrati è stata circa i tempi di evasione delle rogatorie penali, ma è facile rispondere, per chi conosce la puntigliosità elvetica, che il più delle volte si trattava di gestire la sommarietà di talune inchieste svolte all’estero.
Il mondo continua a cambiare e con esso il concetto di segreto bancario.
Nel 2001 l’introduzione delle regole Qualified Intermediary fissate dal fisco USA, nel 2005 l’euroritenuta e poi gli accordi di collaborazione tra autorità di sorveglianza dei mercati. Tanti cambiamenti, qualche errore (come il contenuto e l’applicazione dell’accordo bilaterale Svizzera-UE sulla tassazione del risparmio).
Poi il botto di questi mesi: mutamenti epocali, e può darsi che non tutti gli svizzeri se ne siano accorti (magari i leghisti cui si riferisce Romano), ma non penso che sia in gioco la credibilità di un Paese.
È in gioco certamente il posizionamento della Svizzera nel contesto europeo ed internazionale e per quanto attiene al segreto bancario la decisione è praticamente già presa: il cursore si sposta ancora un pochino e si collaborerà anche nel caso di precise, documentate e specifiche inchieste fiscali. In quei casi, il segreto bancario cadrà. La crisi della finanza, la crisi economica, la grande e nuova sete dei Governi di fondi per finanziare il salvataggio delle banche e la ripresa dell’economia (e che non può certo essere soddisfatta con un aumento delle tasse all’interno) e le pressioni politiche (il G20 del 2 aprile a Londra ha scritto, pare su pressione di Sarkozy, «The era of banking secrecy is over») hanno accelerato un processo che è in corso da oltre 10 anni, guidato dal Global Forum on Transparency and Exchange of Information dell’OCSE, e che inevitabilmente ci costringe (banche, politica, diplomazia) a continui mutamenti per salvaguardare un nostro Business che si vuole caratterizzato dalla discrezione, dalla performance, dalla serietà e dalla solidità. Parlo dell’attività bancaria svizzera, specie la gestione di patrimoni privati e istituzionali, che esiste da oltre 200 anni e vorrà continuare ad esistere.
Non c’è, nei più, nessuna linea Maginot; anzi, c’è una gran voglia di riposizionarsi, di affermarsi in questo grande mercato mondiale dove la componente onshore, perlomeno nei Paesi occidentali, tende a crescere maggiormente.
Non è un caso, al riguardo, che molti dei rimpatri nell’ambito dello scudo ter vogliano continuare ed essere gestiti come prima, dalle stesse persone e istituzioni.
Ma alla luce del sole. È una delle risposte, non di retroguardia, date in queste settimane dalla Svizzera.
Direttore generale PKB Privatbank e docente Banking & Finance all’Università di Lugano