da cdt oggi
la copio non perchè la condivida.ma per far sentire un`altra campana
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LA GUERRA FISCALE
CONTRIBUENTI FRA PARADISI E INFERNI
GIANCARLO DILLENA Una vecchia regola seguita dai regimi autoritari, quando si trovano in difficoltà, è di identificare e isolare all’interno una categoria di «cattivi», cui dare tutte le colpe, o di avviare una guerricciola con qualche vicino, facendolo diventare il problema prioritario.
Spesso le due soluzioni si combinano e ottengono a breve l’effetto desiderato, ricompattando il fronte interno e distraendo dalle responsabilità di chi governa.
L’offensiva avviata dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei contro i cosiddetti «paradisi fiscali» – nel cui calderone è stata prontamente collocata anche la patria di Guglielmo Tell – richiama per più di un aspetto questa logica.
Alle prese con gli sconquassi provocati da meccanismi finanziari sfuggiti ad ogni controllo – a dispetto dei macchinosi e costosi apparati creati a questo scopo – e con le difficoltà, bruscamente aumentate, nel sostenere una spesa pubblica endemicamente in espansione ed essa pure scarsamente sotto controllo, ecco che anche governi lontani dai tradizionali modelli dittatoriali hanno prontamente e significativamente trovato il modo di identificare il capro espiatorio di turno: gli evasori fiscali e i paesi accusati di offrire loro rifugio.
L’azione presenta indubbi vantaggi, per chi la conduce: si rivolge innanzitutto contro una minoranza (o quanto meno presunta tale) dei propri concittadini, nel nome della legalità e della solidarietà; nel contempo contro paesi piccoli, con limitate possibilità di difendersi e, nella fattispecie, non certo inclini ad adottare forme di ritorsione estreme.
Il risultato pratico è di far pagare a costoro – in termini finanziari, ma anche e soprattutto politici – una parte della fattura dei dissesti, facendo bella figura («si ripristina la legalità») e spostando l’attenzione da altre responsabilità.
Quanto duri questo effetto è tutto da verificare.
Ma per ora agli USA (e alla UE) importa soprattutto di incassare il dividendo della loro vittoriosa «Strafexpedition».
Poi si vedrà.
Già, poiché il futuro resta incerto. Non solo per gli attaccati, che non possono escludere nuove offensive contro di loro.
Ma anche per gli attaccanti, che non possono pensare semplicemente di rilanciare a ripetizione questo tipo di operazione, fondata sull’enfatizzazione di un aspetto a scapito di altri.
Nessuno, a quanto ci risulta, ha fin qui sostenuto che per questa via si potranno risanare i disastrati bilanci statali degli attaccanti.
E questa è una prima, dura realtà con la quale si dovranno fare presto i conti.
La quale rinvia a sua volta alla radice vera del problema, che si può illustrare bene partendo dalla stessa immagine, tanto abusata, del «paradiso fiscale».
In effetti se si vuole usare quest’espressione d’effetto bisogna essere pronti ad accettare il suo corollario inevitabile: che cioè a questi «paradisi» si contrappongono, dall’altra parte della barricata, degli «inferni fiscali», o quanto meno dei «purgatori», nei quali i contribuenti soffrono per la «colpa» di essere tali, in un sistema sostanzialmente punitivo e vessatorio.
Dal quale cercano appunto di evadere, non appena ne hanno la possibilità.
Una rappresentazione che, per taluni paesi, va ben oltre la pura allegoria.
Un esempio illuminante l’abbiamo a pochi passi dai nostri confini meridionali, dove una pressione fiscale elevata, a sostegno di apparati burocratici e livelli di spesa iperbolici, ha per effetto di stimolare un’evasione diffusa.
Non solo, come si tende talvolta a lasciar credere, da parte dei più abbienti, ma bensì di larghi strati della popolazione che, se non attingesse ai redditi nascosti di una importante economia sommersa, sarebbe condannata a livelli di vita ben inferiori a quelli che conosce oggi.
Ma sono costoro i «cattivi», che meritano di essere perseguiti e riportati con ogni mezzo (comprese le lusinghe) nel recinto infernale, per espiare la colpa di non assoggettarsi passivamente alle sue regole?
O coloro che lo gestiscono, sulla base di regole che, quelle sì, andrebbero rimesse seriamente in discussione? Recita un proverbio medievale: «Non dovrai temere il Papa, non dovrai temere l’Imperatore; solo dovrai temere l’Esattore».
Il passare dei secoli non sembra aver modificato la fondatezza della massima che, di questo passo, promette di restare d’attualità anche in futuro.