QUANDO DIO DISTRIBUIVA IL BEL CARATTERE, IO AVEVO GIA' LITIGATO CON TUTTA LA FILA

Il governo italiano prova a rassicurare gli alleati sull’accordo con la Cina. E per farlo,
sfrutta quello che da tempo nei vertici della Lega è considerato il punto decisivo: il golden power.

A poche ore dall’arrivo di Xi Jinping a Roma, sembra essere questa l’arma con cui l’esecutivo giallo-verde
prova a dare un segnale di distensione agli Stati Uniti sul fronte della rete 5G in mano a Huawei.


Con l’approvazione della misura nel cosiddetto “decreto Brexit”, Palazzo Chigi
si è fatta carico delle preoccupazioni poste da Stati Uniti, Nato e Unione europea,
ma anche del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, come capo supremo delle forze armate,
ha più volte ribadito la necessità di tutelare la sicurezza nazionale
pur dimostrando molta aperture nei confronti degli accordi fra Italia e Cina.

Come spiegavano le fonti della Lega ad Agi, essendo la rete 5G in grado di modificare radicalmente
le infrastrutture delle telecomunicazioni italiane, la norma è volta a estendere l’obbligo di notifica
già previsto dall’art. 1, comma 4, del decreto 21/2012 anche ad acquisti da parte di imprese,
siano esse pubbliche o private, che hanno ad oggetto “beni o servizi relativi alla progettazione,
alla realizzazione, alla manutenzione ed alla gestione delle reti di comunicazione elettronica basate sulla tecnologia 5G,
quando posti in essere con soggetti esterni all’Unione europea”.

In sostanza, rispetto alla normativa vigente si aggiungerebbe il tema delle acquisizioni.

La notizia, arrivata a poche ore dalla visita di Xi, lancia un segnale molto interessante
sui rapporti fra Italia e Cina nell’ambito del memorandum.
E conferma la volontà della Lega di porsi come partito-garante dei rapporti fra Roma e Washington.

Di fatto, quello che si è stabilito in sede di governo è una clausola di salvaguardia.
E la notizia è infatti iniziata a circolare nelle ore dell’approvazione del memorandum d’intesa fra Cina e Italia,
che ieri, fra le altre cose, è anche servita a rimodulare la questione “porti”, come ricordato da Il Corriere della Sera.

L’ipotesi era stata confermata anche dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi
al Nuovo Corriere Nazionale: “Stiamo riflettendo su un ampliamento del campo di azione del golden power, per materia.
Attualmente la golden power riguarda acquisizioni di partecipazioni azionarie o di aziende,
stiamo valutando se possa essere anche estesa ad acquisizioni di mercati, come gare di concessione di servizi”.

Per gli Stati Uniti si tratta di una legge che limita la possibilità di Huawei di introdursi direttamente nella rete 5G italiana.
E infatti, il cosiddetto decreto Brexit “introduce norme volte a disciplinare ambiti specifici
relativi all’esercizio dei poteri speciali nei settori di rilevanza strategica”.

Ma è chiaro che l’irritazione americana resta, così come quella dell’Occidente.
 
Prima di tutto. Il ragazzino.Sveglio.
Poi il Carabiniere. Reattivo. Capace.
Però, per favore, non chiamateli "bambini". 2a media 12/13 anni.
La mia prima morosa aveva 12 anni. A 13 giravo già con il motorino........50 anni fa.

Sono le 11.50 di mattina sulla strada provinciale Paullese (zona San Donato) quando le fiamme
colorano di rosso la mattinata milanese: un bus delle Autoguidovie di Crema va a fuoco.
Non è un incidente, né un problema tecnico. A scatenare l'incendio è Osseynou Sy,
autista senegalese con il compito di portare alcuni studenti delle medie dalla scuola alla palestra.
Doveva essere una normale mattina di studi, ma non è così. Invece di seguire il percorso prestabilito,
il senegalese all'improssivo decide di "dirottare" il mezzo. Il bus è cosparso di taniche di benzina.
"Vado a fare una strage a Linate", dice Osseynou agli studenti terrorizzati.
Ci sono tutti gli ingredienti di un attacco terroristico in piena regola.

"Aiuto, ha gettato benzina e dice che vuole dare fuoco a tutto".
La richiesta d'aiuto - racconta il Corriere - è arrivata poco pirima di mezzogiorno al centralino dei carabinieri.
Nonostante Ousseynou Sy li avesse legati con delle fascette nere da elettricista,
Rami, 13 anni, è riuscito a prendere in mano il cellulare per dare l'allarme al 112.

"È stato furbo", racconta un suo compagno di classe, Adam,
"Ci ha requisito i telefoni, lui lo ha nascosto e ha chiamato il 112: è il nostro eroe. È stato freddo e coraggioso".
Ad un certo punto il senegalese si è pero accorto che qualcuno aveva ancora lo smartphone,
"Ha dovuto consegnarlo o sarebbe successo qualcosa di brutto", spiega il ragazzino.

Sul posto si fiondano i carabinieri di San Donato e Segrate.
I primi ad arrivare, come raccontano fonti dell'Arma, sono i militari di Segrate
che provano a tagliare la strada all'autobus per bloccarlo sulla carreggiata
. Il senegalese però sperona l'auto di servizio e la trascina per diversi metri, poi si ferma a causa del traffico.

In questi brevi ma fondamentali momenti di stallo, uno dei carabinieri scende dalla gazzella tamponata e raggiunge il mezzo.
Si fa strada verso il lato posteriore dell'autobus, spacca con le mani il vetro e riesce a far scendere una cinquantina di" bambini" a bordo del bus.
 
La procura di Agrigento ha sequestrato la Mare Jonio.
Ha inoltre iscritto nel registro degli indagati Pietro Marrone, il comandante della nave.

"C'è stato finalmente il sequestro di un'imbarcazione. Il provvedimento è stato confermato pochi minuti fa
dalla procura di Agrigento e per me è un fatto storico perché vuol dire che non erano mie ipotesi che ci fossero illegalità".

La linea del Viminale non cambia: i porti restano chiusi.
 
L'atmosfera del Senato nel giorno del giudizio su Matteo Salvini è surreale.
Nell'aula il vicepremier leghista si difende, tradendo attimi di commozione,
contro la richiesta di autorizzazione a procedere per l'accusa di sequestro degli immigrati della motonave Diciotti.

Tra i suoi avvocati a Palazzo Madama c'è pure il grillino Mario Giarrusso,
simbolo del giustizialismo grillino non fosse altro per il vizio cronico di agitare
il gesto delle mani ammanettate contro gli avversari, e che ora, invece, suo malgrado,
deve vestire i panni, per lui imbarazzanti, del «garantista» a favore del vicepremier leghista.

Una faticaccia per un personaggio come lui, assolta malvolentieri,
solo per eseguire gli ordini perentori del vertice, sia quello di Palazzo Chigi, sia quello della Casaleggio Associati.
Tant'è che dopo quella mezza arringa in difesa del leghista, il grillino si è mezzo sfogato con i suoi:

«Oggi mi sono guadagnato la pagnotta».

Fuori, nei saloni semivuoti che costeggiano l'aula del Senato, va invece in scena l'altra contraddizione 5stelle,
cioè l'arresto per corruzione di uno dei leader del movimento a Roma, quel Marcello De Vito,
che nelle intercettazioni disquisisce con un amico sulla presenza dei grillini nel governo di Roma e del Paese,
considerata «una congiunzione astrale come la cometa Halley», per cui «da sfruttare».

Una vicenda che trasforma in una caricatura la litania «onestà, onestà», su cui è cresciuto il movimento
e costringe Di Maio ad espellere il presunto corrotto, su Facebook, all'alba, con i tempi delle purghe di Stalin.

Quel macigno, però, rischia davvero di accelerare la corsa dei grillini verso il fondo
alla vigilia delle elezioni in Basilicata e a due mesi da quelle europee.

«Dopo che ieri avevamo chiesto confida Gianluigi Paragone, uno degli uomini comunicazione dei 5stelle
le dimissioni di Zingaretti per l'avviso di garanzia che ha ricevuto, oggi eravamo obbligati ad espellere seduta stante De Vito dopo l'arresto.
Non c'erano alternative. Se perderemo consensi? Francamente non lo so».

«Siamo in una situazione complicata racconta l'umbro Stefano Lucidi :
dobbiamo dimostrare che anche se si rompe un pezzo, la nostra Ferrari resta una Ferrari. Impresa ardua».

Talmente complicata che Pier Ferdinando Casini, dall'alto della sua lunga esperienza politica,
già scrive l'epitaffio sulla tomba a 5stelle: «Siamo all'ultimo titolo di coda. È finito il film».

Come dargli torto. Anche Di Maio ha paura.

Tant'è che ieri ha confidato al suo inner circle i suoi timori per il risultato delle elezioni europee:
«Se riusciamo a stare attorno al 22-23% va bene. Ma se andiamo sotto il 20%, e il rischio c'è dopo quanto è avvenuto, sono guai».

Eh sì, perché se per gli altri partiti l'accusa di «ladri» è un problema, per i grillini è letale come il virus Ebola.
Non hanno difese, visto che nel loro lessico il «garantismo» equivale ad una parolaccia.
Sono alla mercé dei loro avversari. Tanto più, se poi, la vicenda avviene lo stesso giorno
in cui l'ala movimentista vede espulse due senatrici, la Nugnes e la Fattori, ree di aver votato «sì» all'autorizzazione a Salvini.
 
Così, il movimento precipita nelle sue contraddizioni e, per reagire, alimenta le ghigliottine.

Addirittura nel goffo tentativo di esorcizzare il danno prova a cancellare l'identità delle teste che rotolano.

«Se ritenete necessario parlare della vicenda De Vito è il messaggio che ieri il portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino,
ha recapitato ai giornalisti amici parlatene come ex-5stelle, visto che è già stato espulso».

Oggi le comiche. Anche perché De Vito non è saltato sul carro di Grillo all'ultimo momento, ma è un nome della prima ora.

«Non ci posso credere scoppia in lacrime il vicepresidente del Senato, Paola Taverna -, spero ancora che sia un errore».
«Una doccia fredda ammette Riccardo Tucci, deputato della Calabria perché non te lo aspetti da uno della vecchia guardia».

Il movimento è nudo. Inerme.
C'è chi è interdetto e non se la sente di ripetere i rituali cari gli altri partiti,
che analizzano le vicende che li coinvolgono per trovare le tracce della cospirazione.

«Non possiamo certo gridare anche noi al gomblotto!», si limita a dire Luca Carabetta.

Ma c'è chi come il presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, qualche dubbio lo ha:
«Mi piacerebbe tanto capire il combinato disposto tra l'avviso di garanzia a Zingaretti di ieri e l'arresto di oggi di De Vito».

E in un movimento che stenta a ritrovare la rotta i tabù si infrangono uno dopo l'altro.
Spunta anche la categoria del «dubbio» sempre rimossa da queste parti.

«De Vito si lamenta Davide Galatino, deputato grillino di primo pelo è stato sottoposto ad una gogna vergognosa, come Zingaretti.
Siamo tornati al Medioevo. È stato espulso senza che abbia potuto difendersi».

Una vera eresia, che il movimento scomunica con tanto di nota ufficiale: «Galantino può andare nel Pd o in Forza Italia».

Insomma, il movimento è in preda ad un disorientamento generale.

Anche il premier, Giuseppe Conte, è costretto a soccorrere Di Maio: «Ha espresso con coraggio una vera leadership».
Un riconoscimento che, però, non ne rende meno disastrosa la situazione:
i grillini erano già in crisi di consensi, le cronache di ieri rischiano di essere il colpo di grazia.
E, prima conseguenza, sono costretti ad accantonare i sogni di rimonta di queste settimane e a mettersi nelle mani di Salvini

. «Ormai osserva l'ex segretario generale della Cgil e ora deputato di Leu, Gugliemo Epifani sono impiccati a Salvini».
«Hanno un'unica strada ironizza Ignazio La Russa cementarsi alla poltrona.
Subiranno tutto ciò che gli chiede Salvini, per questo credo che dopo le europee non avverrà nulla».

I primi ad esserne consapevoli sono proprio i leghisti.Tra loro c'è chi solidarizza.

«Di Maio e i suoi ammette Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato sono stati corretti con Salvini,
malgrado abbiano ricevuto questo cazzotto in viso. Tutte queste vicende ti fanno pensare».

E chi consiglia. «I grillini debbono mettersi in testa spiega il ministro per la Famiglia,
Lorenzo Fontana che quando vai al governo perdi voti. È successo anche a noi leghisti
quando andammo al governo con Berlusconi. Per cui non ha senso agitarsi. O fare strappi.
Anche quelle polemiche contro di me per quel convegno di cattolici, sono insensate.
Io ho dato il patrocinio solo perché ho visto che l'anno scorso era presente il cardinale Parolin».
 
Dietro questo agguato politico, oltre a Casarini e a Beppe Caccia, c'è il progetto "Mediterranea Saving Humans".
Una organizzazione non governativa finanziata da Banca Etica che nasconde al proprio interno
i soliti ultrà dell'accoglienza che in questi mesi infiammano le piazze facendo la guerra a Matteo Salvini.

"Non sappiamo quando - assicura Casarini - ma torneremo in mare insieme a tutti quelli che si riconoscono
in un principio di una semplicità straordinaria: prima si salvano le vite umane, poi si discute del resto".

Il punto politico di quanto successo nelle ultime quarant'otto ore resta il tentativo (fallito)
dei centri sociali di creare un nuovo scontro alla vigilia del voto al Senato sulla richiesta di autorizzazione a procedere
nei confronti di Salvini sul caso della nave Diciotti. Un vero e proprio agguato che, secondo i dati in possesso del Viminale,
sarebbe stato organizzato da tempo per scavalcare il divieto di attracco nei porti italiani emesso l'estate scorsa dal Viminale
per fermare le imbarcazioni delle ong che battevano bandiere straniere.
Da qui l'idea di Cesarini e Caccia di mettere in mare una nave battente bandiera italiana.

Torniamo dunque all'estate scorsa.
Casarini raduna attorno a sé alcuni esponenti dei centri sociali del Veneto che hanno già iniziato a scendere in piazza contro Salvini.
"Non personalizziamo... - dice oggi al Corriere della Sera - io qui faccio la mia parte con umiltà, come uno dei tanti".

In realtà, come ricostruisce Repubblica, è lui il capo missione che spinge a costituire una società armatrice per far partire l'agguato al governo.

Nasce così la Idra Srl, attorno alla quale si stringono i più intranigenti fan dell'accoglienza,
come l'Arci, le ong Ya Basta Bologna, Sea Watch e Open Arms, il centro sociale Esc di Roma e l'associazione "Baobab Experience".

Grazie ai contatti politici con le Giunte di Palermo, Napoli e Milano e con i parlamentari di Sinistra italiana,
riescono anche ad ottenere un cospicuo prestito da Banca Etica.

Nelle tasce di Casarini e compagni arrivano, quindi, 460mila euro che servono per comprare e ristrutturare un vecchio rimorchiatore.
Ovviamente gli antagonisti dei centri sociali non hanno il know how per trasformare la Mare Jonio in una imbarcazione "Search and rescue".
Per questo arrivano alcuni volontari di Sea Watch e Open Arms.

Quello di lunedì scorso è stato il primo intervento in mare. E i sospetti sulle modalità di intervento sono a dir poco sospette.

Tanto che in Forza Italia c'è chi li ha accusati di "pirateria".
La stessa Guardia Costiera libica ha fatto sapere che si trovava "a cinque miglia dal gommone in panne",
quando l'imbarcazione della Mediterranea è entrata in azione, e che "era in grado di recuperare in sicurezza tutte le persone a bordo".
"L'intervento della nave della Mediterranea non era necessario ed è stato pretestuoso",
ha spiegato all'Agi il portavoce Ayoub Qassem accusando i "soccorritori" italiani
di aver ostacolato le operazioni di salvataggio per "interessi certamente non umanitari"

. Ieri sera i pm di Agrigento hanno aperto un fascicolo. L'accusa è di favoreggiamento all'immigrazione clandestina.
Ma non hanno iscritto ancora alcun nome.

"Svegliatevi togati, invece di mandare documenti con consigli sbagliati al Parlamento, fate il vostro dovere.
Contribuite a difendere la sicurezza e la legalità in Italia".
 
Di soldi per simili operazioni ne servono parecchi.
Tenere in acque internazionali un'imbarcazione attrezzata "perché possa svolgere un’azione di monitoraggio e di eventuale soccorso"
non è cosa da poco, tanto che Mediterranea ha dovuto chiedere ben 460mila euro di finanziamento "nella forma tecnica di scoperto di conto corrente".

Per ottenerlo le varie associazioni (dall'Arci ai centri sociali) si sono aggrappate al salvagente di Banca Etica,
l'istituto che fonda la sua attività sull" "uso responsabile del denaro".

Per Mediterranea non ha solo elargito i fondi necessari alla ristrutturazione della nave,
ma "supporta inoltre le attività di crowdfunding" e ha "svolto attività di tutoraggio per gli aspetti economici dell'intera operazione".

Per ripianare il debito (garantito da garanzie personali prestate da alcuni parlamentari),
la Mare Jonio si basa sulle donazioni dei suoi supporter e al momento il contatore segna 589mila euro raccolti.

Con 25 euro si può sostenere mezzo miglio di navigazione, con 100 si arriva fino a due miglia.

I 2853 sostenitori hanno dunque quasi permesso a Mediterranea di rientrare del prestito di Banca Etica,
che ha messo a disposizione anche il network di crowfunding "produzioni dal basso".

I progetti in corso e conclusi sono i più disparati (dalla ricostruzione post sisma all'agriturismo sociale),
ma quella più ricca è certamente la raccolta fondi di Mediterranea.

La decisione della Banca Etica di sostenere l'Ong, però, ha fatto storcere il naso a non pochi soci e correntisti.

"Mi spiace molto ma non sono per nulla d'accordo con questo tipo di finanziamenti,
avreste dovuto almeno metterlo ai voti e vedere se la maggioranza dei soci era d'accordo o meno, davvero una grande delusione".

In qualità di "correntista di vecchia data e piccolissimo azionista" ha espresso la sua "totale disapprovazione per questa decisione".

E ancora: "Come correntista considero questo finanziamento estremamente rischioso.
Come cittadino lo considero una scelta politica".

"Non trovo corretto esporre i correntisti e i soci a rischi il cui presupposto è ideologico.
La banca non è un ente caritatevole. Se il crowdfunding era ritenuto sufficiente a finanziare il progetto,
se ne dovevano attendere gli esiti".

Sarebbe stato più "coerente" con lo scopo della banca "generare valore nei paesi di partenza" anziché prestare soldi a Mediterranea.

"Mi pare un'iniziativa politica, non economica - conclude l'utente - Se Banca Etica vuole cominciare a fare politica lo dica chiaramente.
Io e mia moglie, correntisti e azionisti, faremo le nostre valutazioni".

Banca Etica, travolta dai commenti negativi, si è vista costretta a rispondere singolarmente agli utenti contrari all'iniziativa.
Non sembra, però, voler fare passi indietro. "Questa operazione - dice - è in linea con quei valori
che ci hanno portato in questi anni a finanziare, per circa 70 milioni di euro complessivi,
centinaia di realtà che operano per un'accoglienza degna nel nostro paese".

Ma c'è chi è pronto a "chiudere al più presto il conto".
 
"L’Agenzia ti scrive. Lettera di invito a regolarizzare possibili errori”:

in questo modo il Fisco entra in casa dei cittadini (o meglio nella buchetta della posta o in posta elettronica),
con lettere di compliance e invito a mettersi in regola con eventuali errori compiuti in fase di Dichiarazione redditi,
come si legge sul portale dell’Agenzia delle entrate.

L’Agenzia ha voluto comunicare ai contribuenti l’imminente invio di lettere
in cui invita a sanare eventuali errori commessi in fase dichiarativa.
Ha inoltre voluto spiegare come fare per regolarizzarli.
Ecco il senso della guida pratica pubblicata sul sito web e scaricabile da tutti in formato Pdf.

Vediamo quindi in breve a chi viene inviata la lettera, le modalità di invio, i contenuti,
cosa fare quando la si riceve e come regolarizzare gli errori commessi.

Regolarizzazione errori: lettere in arrivo dal Fisco

L’Agenzia delle entrate, in linea con l’obiettivo di una pace fiscale con i contribuenti,
ha predisposto e sta inviando vari tipi di comunicazioni: dalle lettere per ricordare
gli adempimenti dichiarativi a quelle indirizzate ai contribuenti titolari di partiva Iva.

La Guida in pdf predisposta spiega come fare quando si riceve in buchetta
la comunicazione destinata alle persone fisiche per invitarle a verificare
se nella dichiarazione annuale dei redditi hanno indicato correttamente tutti i dati reddituali.

https://www.leggioggi.it/tags/modello-730/
Cos’è la lettera di compliance per regolarizzare errori

La lettera di compliance non è un accertamento, né tantomeno una cartella.
È solo un invito ai contribuenti a verificare i dati inseriti nella propria dichiarazione,
secondo quanto risulta al Fisco, allo scopo di segnalare eventuali discrepanze
o regolarizzare prima che parta l’accertamento vero e proprio.

In questo modo, prima che l’Agenzia notifichi un avviso di accertamento,
il destinatario della comunicazione potrà regolarizzare l’errore o l’omissione attraverso il ravvedimento operoso.

Una sorta di “collaborare prima di combattere”.
 
La Cedolare secca 2019 è stata alla fine estesa anche agli affitti dei negozi e locali commerciali.

Questa una delle tante novità confermate nella Legge di bilancio 2019.
Da quest’anno quindi, i proprietari di locali commerciali che possiedano determinate caratteristiche
possono ricorrere a questo regime fiscale agevolato e alternativo a quello ordinario.
Si può quindi affittare un locale commerciale (non tutti però) approfittando di una tassazione agevolata.


Come specificato dal testo della Legge di bilancio, nel capitolo “Riduzione della pressione fiscale”:

“Il canone di locazione relativo ai contratti stipulati nell’anno 2019, aventi ad oggetto
unita’ immobiliari classificate nella categoria catastale C/1, di superficie fino a 600 metri quadrati,
escluse le pertinenze, e le relative pertinenze locate congiuntamente, puo’,
in alternativa rispetto al regime ordinario vigente per la tassazione del reddito fondiario ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche,
essere assoggettato al regime della cedolare secca,
di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, con l’aliquota del 21 per cento.
Tale regime non e’ applicabile ai contratti stipulati nell’anno 2019, qualora alla data del 15 ottobre 2018
risulti in corso un contratto non scaduto, tra i medesimi soggetti e per lo stesso immobile,
interrotto anticipatamente rispetto alla scadenza naturale”.


Vediamo in concreto come funziona.

Si tratta, come accennato, di un regime facoltativo, che prevede il pagamento di
un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali (per la parte derivante dal reddito dell’immobile).

Si pagherà il 21 per cento di imposta sugli affitti di negozi e locali commerciali fino a 600 mq e di categoria catastale c1.

La cedolare sull’affitto dei negozi è riservata ai soli contratti stipulati nel 2019 da locatori privati:
persone fisiche che non affittano nell’ambito di un’attività d’impresa o professionale.
I locali devono essere in categoria catastale C/1.

Ecco quali sono i locali classificati con categoria catastale C/1:

  • i locali dei barbieri, orologiai,
  • le ricevitorie postali, i banchi del lotto, le esattorie delle imposte dirette;
  • le agenzie bancarie o assicurative;
  • le biglietterie, le sale d’aspetto delle linee automobilistiche di servizio pubblico;
  • ambulatori medici, ecc. posti in comuni locali che hanno ingresso diretto dalla strada pubblica e le comuni caratteristiche dei locali per bottega;
  • i locali adibiti ad esposizione o a “music-store”;
  • locali dove si effettua la vendita, con prevalenza al dettaglio di merci, di manufatti, prodotti, derrate;
  • locali dove la vendita si accompagna con servizi come trattorie e ristoranti, pizzerie, panetterie (intese come locali di vendita al minuto del pane), bar, caffè.

Cedolare secca: chi è escluso
Sono escluse dalla cedolare le altre categorie di immobili, dalla A/10 (uffici) alla C/3 (laboratori).
E sono esclusi anche i contratti di affitto in corso al 15 ottobre 2018, tra le stesse parti per lo stesso immobile, e poi risolti in anticipo.
 
Fiumi di parole.....

Les, lupus eritematoso sistemico.
A venti giorni dalla morte di Imane Fadil, l'inchiesta sulla tragica fine della testimone del caso Ruby riparte da questa sigla.

È la diagnosi indicata nella cartella clinica dell'Humanitas, l'ospedale di Rozzano
dove la modella marocchina era ricoverata dal 29 gennaio e dove è spirata l'1 marzo.

Ed è, ogni giorno di più, la pista investigativa che sta prendendo l'indagine della Procura milanese.
Al punto che ormai gli inquirenti si sbilanciano apertamente:
«All'ottanta per cento possiamo dire che è morta di cause naturali».

Che tutto, alla fine, possa venire liquidato come un caso di malasanità potrebbe sembrare paradossale,
dopo la ridda di ipotesi scatenata dalla notizia della morte di Imane.

Le supposizioni - più o meno ardite - erano peraltro alimentate da dati oggettivi e mai smentiti,
come la presenza nell'organismo della giovane di concentrazioni anomale (anche se non letali)
di metalli pesanti e soprattutto dalle dichiarazioni della stessa Imane, che in ospedale aveva confidato ai parenti,
al legale e anche ai sanitari il timore di essere stata avvelenata.

Proprio per questo prima di imboccare con certezza una strada la Procura sta compiendo
tutti gli accertamenti necessari: analizzando e incrociano i tabulati telefonici,
interrogando tutti i testimoni possibili e immaginabili, e soprattutto cercando di raggiungere con l'autopsia risultati certi sulle cause della morte
. Ma ormai l'ipotesi privilegiata è quella che un inquirente fin dall'inizio aveva indicato:
«Vedrete che alla fine si scoprirà che è solo un caso di colpa medica».

Il Les, d'altronde, è un nemico insidioso: è una malattia cronica che può restare latente per decenni
ma può essere scatenata dai fattori più disparati, da un farmaco a un virus; e soprattutto è molto difficile da individuare,
perché i sintomi possono essere facilmente confusi con altri. E proprio questo può essere accaduto alla povera Imane.

Ma per averne la certezza si dovrà attendere a lungo.
La fase degli accertamenti medico-legali è ufficialmente partita ieri, con il summit tra i pm
e la squadra multifunzioni guidata da Cristina Cattaneo.

Primo step: fugare tramite «carotaggi» della salma gli ultimi timori sulla presenza di focolai radioattivi,
già ritenuti assai improbabili dagli esami compiuti finora. Il primo responso arriverà oggi.
Se verrà confermato che di radioattività non c'è traccia, si passerà agli accertamenti più tradizionali.

Intanto si lavora alla ricostruzione minuziosa delle ultime settimana di vita di Imane prima del ricovero in ospedale.
In una intervista al Fatto, il cognato italiano della modella ha detto di conoscere l'identità dell'uomo
che ha cenato con lei l'ultima sera prima che si sentisse male. È un nome che gli inquirenti hanno già in mano
ma che non ritengono particolarmente significativo, perché - qualunque fosse il male di cui soffriva Fadil -
il fattore scatenante potrebbe essere insorto anche molto tempo prima.
Ed oltretutto i ricordi dei parenti, come quelli di altri testimoni, sono basati unicamente sulle confidenze della stessa Imane,
rese a distanza dai fatti e in uno stato mentale probabilmente non più lucido.
Ben più affidabili sono considerati i tabulati del telefonino della donna, che documentano minuto per minuto contatti e spostamenti.

Se Imane è stata uccisa, il nome dell'assassino potrebbe essere lì. Ma forse un assassino non c'è mai stato.
 

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