QUANDO DIO DISTRIBUIVA IL BEL CARATTERE, IO AVEVO GIA' LITIGATO CON TUTTA LA FILA

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Il capo mi delude. Le lobby gay sono potenti.
Ahahahahah "approfondita istruttoria"....cosa ha fatto ? Rapporto costi/benefici ?

Il premier Giuseppe Conte fa un passo indietro.
Scompare dal Congresso delle Famiglie che si terrà il prossimo 29-31 marzo a Verona, il patrocinio della Presidenza del Consiglio.

In queste settimane il governo ha litigato a lungo su questo appuntamento
e di fatto la partecipazione di alcuni ministri al raduno delle famiglie ha dato vita ad alcune tensioni nell'esecutivo.

E così oggi il premier ha deciso di togliere ogni riferimento alla manifestazione che riguarda la presidenza del Consiglio.
Su Facebook il prmeir spiega: "Il patrocinio sul World Congress of Families «
è stato concesso dal Ministro Lorenzo Fontana, di sua iniziativa, nell’ambito delle sue proprie prerogative,
senza il mio personale coinvolgimento né quello collegiale del Governo. All’esito di un’approfondita istruttoria
e dopo un’attenta valutazione dei molteplici profili coinvolti, ho comunicato al Ministro Fontana
la opportunità che il riferimento alla Presidenza del Consiglio sia eliminato e gli ho rappresentato le ragioni di questa scelta".

Questa presa di posizione da parte del premier ha innescato immediatamente la replica del ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana:

"Esattamente come annunciato ieri in aula alla Camera, rimane il patrocinio da parte del Ministero della Famiglia.
Per quanto riguarda il logo e il suo utilizzo, essi fanno capo ad un altro Dipartimento,
e quindi la concessione o il ritiro non sono di mia competenza".

L'appuntamento del 29 marzo dunque si annuncia infuocato.
E di certo la scelta di Conte potrebbe aprire un nuovo fronte all'interno dell'esecutivo.

Salvini ribadisce la sua linea: "Vado a Verona, a ribadire l’importanza che il governo investa sulla mamma e sul papà.
E non capisco quelli che pensano che sostenere le nascite dei bambini tolga a chi fa scelte diverse, invece non toglie niente.
Pretendo di essere libero di sostenere l’unione di un uomo e di una donna che mettono al mondo dei figli".
 
In ogni partito ci sono degli ignoranti.
Chiarisco. Persone che parlano ma "ignorano". Non hanno le conoscenze per parlare.
Ecco....la base è così.
Sarebbe ora che la piantassero con le stronzate e dessero il via alla ripresa economica.


Titolo composto da una sola parola: Toninelli. E la foto sorridente del ministro. Stop.
Basta questo per far fare una risata.

Oppure quella dell'altro ieri: «Ingv introduce la Scala Toninelli per misurare l'intensità delle figure di merda».
Perché non si sa come, ma ogni giorno l'ex impiegato liquidatore sinistri, ne combina una.

Ieri, dopo mesi di litigi, Toninelli dà il via libera alla Bretella Campogalliano-Sassuolo
che il M5s in campagna elettorale aveva strapromesso di bloccare.

E invece si farà perché, spiega il ministero, il governo Gentiloni al fotofinish ha chiuso l'iter.

Toninelli l'ha sbloccata alla chetichella. Senza fare troppo chiasso sugli organi di informazione
o sui social per non indispettire o imbarazzare i colleghi grillini.
L'opera «verrà portata avanti» con i cantieri che potranno aprire entro l'estate.
Quindi, «alla luce dell'iter avanzato e delle valutazioni tecniche positive, quest'opera,
i cui lavori sono fermi da 17 anni e non certo a causa di questo governo, verrà portata avanti», annuncia ora fiero Toninelli.

Peccato però che appena un anno fa, il suo attuale sottosegretario alle Infrastrutture Michele Dell'Orco
(34 anni, modenese, perito chimico) aveva definito la Bretella Campogalliano-Sassuolo
«un progetto non attuabile, inutile e costoso che va fermato» e si era battuto come una tigre contro quest'opera..

Insomma, la solita coerenza dei Cinquestelle.
Sulla Bretella sono intervenuti pure i parlamentari emiliani del M5s al limite del comico,
chiamando in causa la Lega: «Noi, seri e responsabili, lo stesso dovrebbero fare gli altri partiti sull'inutile tratta Tav Torino-Lione».

Ma Dell'Orco fa meglio. Commenta il suo commento.
«Abbiamo preso questa decisione a malincuore. L'ex ministro Delrio - si arrampica Dell'Orco -
ha chiuso l'iter una settimana prima che si insediasse Toninelli.
Fare diversamente avrebbe comportato il pagamento di ingenti penali».

Ovvero la stessa medesima cosa che accadrebbe non facendo la Tav.

Toninelli, anche lui quasi vergognandosene, conferma l'intelligente linea Dell'Orco:
«Si tratta di un'opera ereditata dal passato, il cui iter amministrativo è stato concluso
pochi giorni prima dell'insediamento dell'attuale governo e su cui era doveroso svolgere un'accurata analisi costi-benefici».

Un proverbio cinese dice: «Toninelli non muove foglia senza che un'analisi costi-benefici non voglia».
 
Sempre loro.

La corsa è partita. Vince chi scarica l'indagato Marcello De Vito.

Nella giornata in cui è arrivata la notizia dell'accusa di corruzione anche ai danni dell'assessore allo Sport Daniele Frongia,
emerge un quadro più chiaro, seppure sottotraccia, delle reazioni alla bomba scoppiata ieri nel M5s
dopo l'arresto del presidente del Consiglio comunale di Roma
coinvolto nell'inchiesta sul costruttore Luca Parnasi e il progetto del nuovo stadio della Roma.


Innanzitutto c'è la decisione, irrituale, del capo politico Luigi Di Maio di espellere subito De Vito,
senza passare dal procedimento davanti al collegio dei probiviri.

«È stato arrestato per corruzione, e questo per noi non è tollerabile», dice chi è molto vicino a Di Maio.
Ma dietro l'epurazione lampo ci sono una serie di motivi prettamente politici.

Due su tutti: i sondaggi sempre più preoccupanti per il Movimento
(secondo una rilevazione di Sky per sei elettori su dieci il M5s ha ormai «perso la verginità»)
e, di conseguenza, la volontà di bloccare l'emorragia di consensi in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.
In ordine di tempo, le regionali in Basilicata di domenica, il voto in Piemonte e le europee del 26 maggio.

Un filotto di esami elettorali potenzialmente letali per la leadership di Di Maio,
descritto come «obbligato» a usare il pugno duro per scongiurare lo sprofondo.
Interpretando, in questa occasione, in modo più severo le norme del Codice etico del M5s
che obbligano all'espulsione soltanto in caso di avvenuta condanna in primo grado di giudizio.
Nel contesto di ripulitura immediata dell'immagine pentastellata rientra il messaggio whatsapp
inviato da Rocco Casalino ai giornalisti nel pomeriggio di mercoledì. Il portavoce di Conte scriveva:
«Vi chiedo gentilmente che se parlate di De Vito di parlarne come ex M5s. È stato già espulso».

Come a dire che l'arrestato con i Cinque stelle non c'entra nulla.

Ma De Vito è uno dei personaggi storici dell'attivismo romano.
Molto legato a Roberta Lombardi, ex deputata e capogruppo del M5s in Regione Lazio,
fratello della consigliera regionale Francesca, già candidato sindaco nel 2013
e avversario battuto a sorpresa da Virginia Raggi alle comunarie del 2016.

Dai sospetti su quell'investitura, secondo molti fortemente voluta da Casaleggio senior,
nasce la faida interna ai grillini della Capitale.

Veleni che sono usciti fuori di nuovo dopo il clamoroso arresto di De Vito.
Ha cominciato il sindaco Virginia Raggi, ospite mercoledì sera a Porta a Porta:
«È noto che lui (De Vito, ndr) e Lombardi non mi amavano», ha detto Raggi.

Pronta la risposta della Lombardi che ha twittato parlando di «meschine insinuazioni».
Poche ora prima, la stessa ex deputata aveva pubblicato sui social uno screenshot
di una chat whatsapp in cui invitava De Vito a dimettersi se fosse indagato nell'inchiesta sullo stadio.

Dinamiche non solo strettamente romane.

Perché sulla questione è intervenuta anche Carla Ruocco,
presidente della commissione Finanze alla Camera vicina a Beppe Grillo.

Che ha scritto in una nota: «Questi episodi di illegalità vanno prevenuti.
I fondatori del Movimento avevano previsto presidi organizzativi, purtroppo smantellati,
fondati su condivisione e trasparenza, che costituivano gli anticorpi. È da lì che bisogna ripartire».

E Nicola Morra, senatore presidente della Commissione Antimafia, da sempre «indipendente» e critico,
ha ammesso in un'intervista a Huffington Post: «M5s sta vivendo un momento di disorientamento».
 
C’è anche il nome della 50enne danese Margrethe Vestager
nella lista dei candidati alla successione di Jean-Claude Juncker
quale prossimo presidente della Commissione europea

. Il Commissario europeo alla concorrenza ha annunciato di voler correre
come portavoce del gruppo liberaldemocratico (Alde),
il più favorevole al raggiungimento di una più stretta unità politica nell’Unione
e il paladino per eccellenza delle regole di mercato difese da Bruxelles.

Tuttavia, la leader della Sinistra Radicale ed ex ministro dell’Economia danese
non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per annunciare la sua volontà
di continuare la sua carriera nelle istituzioni di Bruxelles.

Pochi giorni fa, infatti, la Corte Ue ha sonoramente bocciato una decisione da lei presa
nel 2015 a nome della Commissione intera, riguardante le banche italiane:
segnalando all’Antitrust Ue il tentativo di inserimento del Fondo Interbancario di Tutela Depositi (Fitd) nel salvataggio Tercas,
la Vestager bloccò di fatto l’intervento del Fitd, apportatore di denaro privato,
nelle seguenti crisi bancarie del 2016 e 2017 che hanno distrutto miliardi di euro di azioni,
obbligazioni e risparmi e comportato un onere di oltre 30 miliardi di euro per i contribuenti italiani.

Onere che sarebbe potuto risultare decisamente inferiore se la Commissione
non avesse frenato l’azione del Fitd, meno invasiva e, soprattutto, basata su capitali privati.

Da una donna che con la sua azione ha dimostrato di conoscere bene e di saper discernere
il campo degli aiuti di Stato nell’economia e dei favoritismi fiscali
alle imprese da azioni di matrice emergenziale come quella del caso Tercas,
ci si sarebbe aspettati una maggiore ponderatezza.
Specie al netto dei tremendi problemi che questa decisione maldestra ha causato alle banche italiane.

Patuelli, Presidente dell’Abi, è entrato durissimo sulla Vestager:
“La commissaria Ue Margethe Vestager farebbe bene a trarne le conclusioni e dimettersi”.
Secondo il presidente dell’Abi “con le sue decisioni Vestager ha aggravato la crisi bancaria in Italia”.


In effetti, la sentenza del tribunale Ue conferma che gli interventi di salvataggio del Fitd
(Fondo interbancario di tutela dei depositi) per Tercas erano legittimi,
così come sarebbe stato legittimo intervenire per Etruria, Marche, Chieti e Ferrara,
le quattro banche oggetto della procedura di risoluzione tramite bail-in.

La tempestività della Commissione e della Vestager aprì la strada ai massacranti stress test della Bce
a cui furono abbandonate inermi le banche in crisi, prive di reali possibilità di salvataggio.

Basta una macchia del genere a compromettere la credibilità di Margrethe Vestager come prossimo Presidente della Commissione?

Assolutamente, date le conseguenze a cascata prodottesi sul sistema Italia.
 
Deutsche Bank prosegue nella sua fase di dissesto e crisi.

Le recenti incertezze sul salvataggio dell’istituto attraverso la fusione con la connazionale Commerzbank,
legate ai timori sull’effettiva tenuta del colosso risultante dall’unione,
sono solo le ultime manifestazioni di un lungo crepuscolo che ha gradualmente avvolto una banca capace,
a lungo, di rivaleggiare con i grandi del pianeta.

L’affondo Fmi sui derivati di Deutsche Bank
La scoperta della crisi di Deutsche Bank risale al giugno 2016,
quando come un fulmine a ciel sereno giunse la notizia che il Fondo monetario internazionale
aveva definito l’istituto come la più grande fonte potenziale al mondo di choc esterni per il sistema finanziario.

Il mito dell’efficienza tedesca si sgretolò quando, col passare dei mesi, vennero a galla tutte le problematiche connesse al modello Deutsche Bank.


La crisi del primo istituto tedesco, che maneggia asset per circa 1.700 miliardi di euro,
è frutto della combinazione di gestione scriteriata, violazioni scoperte di regole,
frodi conclamate e assunzioni di rischi immotivati dai ritorni economici.

Un dato vale per tutti: i 48 mila miliardi di euro di derivati – 14 volte il Prodotto interno lordo della Germania – in pancia all’istituto,
un valore di gran lunga superiore a quello di Lehmann Brothers al momento del crac,
la più grande spada di Damocle pendente sul sistema finanziario globale se,
come pare confermato da un report della Banca d’Italia
, al loro interno covano buona parte dei 6.800 miliardi di euro
di titoli tossici detenuti dal sistema finanziario europeo.

Ma al momento dell’affondo del Fmi, Deutsche Bank doveva già fare i conti con le prime grane.

” L’anno prima Deutsche Bank era stata investita dallo scandalo Libor,
relativo alla manipolazione fraudolenta dei tassi di riferimento sui mutui immobiliari.
I vertici di allora furono costretti a dimettersi e il conto di multe e risarcimenti superò i due miliardi e mezzo.
Il 2015 si chiuse con una perdita netta di 6,8 miliardi di euro”, sottolinea l’Agi.

Tutti gli scandali di Deutsche Bank
“Le conseguenze dello scandalo andarono ben oltre l’esborso”, prosegue l’agenzia milanese.
“Il caso fu un colpo durissimo per la credibilità di una compagnia che era sempre stata t
ra i simboli dell’affidabilità tedesca. Il risultato fu una fuga degli azionisti.
La capitalizzazione di mercato, che all’inizio del 2015 superava i 40 miliardi di dollari
(cifra che era già meno di un millesimo dell’esposizione a derivati), sprofondò
fino a toccare un minimo di 15,7 miliardi di dollari nel settembre 2016,
mese nel quale il dipartimento di Giustizia Usa chiede il pagamento di una sanzione da 14 miliardi di dollari
(successivamente ridotta della metà) per irregolarità nella vendita di obbligazioni garantite da mutui”.

Dal 2008 ad oggi, la banca ha sborsato, per multe e dispute legali, qualcosa come 18 miliardi di dollari.

In Europa, solo Royal Bank of Scotland Group ha fatto peggio, con un esborso di 18,1 miliardi.

E la voragine di bilancio mostruosa creata da queste spese è seconda solo al durissimo colpo
alla credibilità del management di Deutsche Bank, che lo scorso hanno ha provato,
più o meno in corrispondenza dell’ennesima bocciatura da parte della Fed,
che ha in un certo senso rimediato all’eccesso di prudenza con cui la
Vigilanza bancaria della Bce, impegnata ad attenzionare le banche italiane sui crediti deteriorati,
si approcciava all’istituto basato nella sua stessa città, Francoforte.

I mercati presentano il conto
Ma se la vigilanza bancaria ha usato il fioretto con l’istituto, lo stesso non si può dire dei mercati finanziari.
Che hanno eroso progressivamente il capitale di Deutsche Bank, dissolvendone il 90% del valore in dieci anni
e portandolo a valori attestati da tempo attorno ai 15 miliardi di euro,
con una leva di oltre 1 a 100 col totale delle attività maneggiate da Deutsche Bank.
La quale, per frenare l’emorragia, nell’aprile 2018 ha sostituito l’ad britannico John Cryan
con il tedesco Christian Sewing, poco dopo che il primo azionista, il conglomerato cinese Hna,
aveva annunciato la riduzione della sua partecipazione dal 10 al 7,9%.

Il terremoto Danske Bank e l’offensiva Usa
A fine 2018 è esploso l’ennesimo scandalo riguardante la banca di Francoforte,
potenziale pietra tombale sulle sue prospettive di ripresa.

Fino al 2015 Deutsche Bank avrebbe, secondo quanto rivelato dal whistleblower Howard Wilkinson,
contribuito a riciclare decine di miliardi di euro provenienti, in larga misura, dalla Russia
e passati per la filiale estone di Danske Bank. Duecentotrenta miliardi di dollari,
in gran parte provenienti dalla Russia, sarebbero passati attraverso la filiale estone di Danske Bank
e girati a Deutsche Bank, JPMorgan e Bank of America per essere immessi, puliti,
nel sistema finanziario internazionale”, scrive Repubblica.

E, come riporta il Guardian, Wilkinson ha dichiarato che circa 150 miliardi di euro
sarebbero stati gestiti direttamente da Deutsche Bank, da lui mai citata direttamente
ma di cui si intravede chiaramente la fisionomia. Le indagini hanno portato alle dimissioni
del Ceo della banca danese, Thomas Borgen, e a un grave tonfo borsistico degli istituti chiamati in causa.

A fine gennaio gli Stati Uniti, in una fase di aperta offensiva economica dell’amministrazione Trump contro la Germania,
sono tornati alla carica sul caso Danske Bank, mettendo nuovamente all’angolo Deutsche Bank,
dato che le rivelazioni di Wilkinson hanno portato la Fed ad aprire un nuovo fascicolo
e Elizabeth Warren, la battagliera senatrice democratica – candidata alle primarie di Usa 2020 –
a chiedere alla Commissione bancaria del Senato di avviare un’ inchiesta.


Come una fusione, peraltro molto complessa nella pratica, possa livellare un consolidato schema
di delegittimazione della credibilità di Deutsche Bank non è dato sapersi.

Il lungo crepuscolo degli dei del mondo bancario tedesco prosegue:
e in fondo al tunnel non si intravede la luce, ma ulteriori difficoltà.

Con Deutsche Bank che continuerà ad essere il “malato d’Europa” e la più grande minaccia alla finanza europea.
 
Scusate. Capisco il dolore dei familiari.
Ma vorrei capire cosa doveva fare lo Stato per impedire l'omicidio ?
Lo mettevi in galera per tutta la vita ? Gli davi una botta in testa ?
Facevi fuori lui ?

Il marito l'avrebbe uccisa comunque, niente risarcimento.

È questo in sintesi l'esito di una sentenza della Corte d'Appello
che dà un nuovo dolore ai figli di Marianna Manduca, uccisa dal marito.


I tre ragazzi, tutti minorenni, nella sentenza di primo grado avevano ottenuto un risarcimento da parte dello Stato.
Una risarcimento perché non era stato fatto il possibile dagli inquirenti e dalle istituzioni
per evitare la morte di questa donna. Marianna, come ricostruisce ilCorriere,
più volte ha chiesto aiuto con diverse denunce contro il marito, Saverio Nolfo.
Ma nulla da fare. È andata incontro al suo destino morendo con tre coltellate
scagliate dalla mano del marito, poi condannato a 21 anni di carcere.

Ma nella sentenza della Corte d'Appello emergono alcuni dettagli che spiegano quel "no" al risarcimento
che riapre le ferite del passato per i familiari della donna: "A nulla sarebbe valso sequestrargli il coltello
con cui l’ha uccisa dato il radicamento del proposito criminoso e la facile reperibilità di un’arma simile", si legge tra le carte.

La Corte ritiene che "’epilogo mortale della vicenda sarebbe rimasto immutato".

Nella sentenza viene fuori tutta l'impotenza della magistratura nel poter preservare la vita di Marianna.
Da qui il "taglio" al risarcimento che ha il sapore di una clamorosa beffa.
Una beffa questa non digerita dai familiari. Il cugino di Marianna non accetta il verdetto:
"Se la Cassazione non rivedrà il giudizio per i miei figli sarà la rinuncia al futuro che avevano sperato, per esempio all’università".
 
Finalmente qualcuno glielo ha detto in faccia. Viscido sei. E viscido rimani.

"Tu sei un vero testa di c*** sei un bugiardo e infame. Non so che tipo di serpe sei. I
l tuo è un comportamento da ragazzetto viscido e burgiadello".

Parole pesantissime. A quel punto si è inserito Marco Maddaloni, il quale ha difeso Fogli:
"C'ero anche io e Riccardo non ha detto niente", ha tagliato corto.

Da parte di Vismara, dunque, soltanto balle?
 
Il ddl n. 755 (sotto allegato) su iniziativa dei senatori Ostellari, Romeo, Pillon, Pellegrini e Candura
"Modifiche al procedimento monitorio ed esecutivo per l'effettiva realizzazione del credito"
prevede in sintesi le seguenti novità:


  • verifica da parte dell'avvocato (non più del giudice) dei presupposti richiesti dall'art 633 cpc
  • per l'emanazione del decreto ingiuntivo e consultazione delle banche dati delle PA,
  • per individuare telematicamente i beni pignorabili, al fine di evitare esecuzioni inutili;

  • emissione dell'atto ad opera dell'avvocato contenente l'ingiunzione di pagamento
  • nel termine di venti giorni con avvertimento che, entro la stessa scadenza temporale,
  • il debitore può fare opposizione e che, in mancanza, si procederà a esecuzione forzata;

  • notifica dell'atto a mezzo PEC o posta;

  • spostamento del contraddittorio alla fase dell'opposizione, da proporre all'ufficio giudiziario competente
  • per valore con ricorso da notificare all'avvocato che ha emesso l'ingiunzione.
 

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