Deutsche Bank prosegue nella sua fase di dissesto e crisi.
Le recenti incertezze sul salvataggio dell’istituto attraverso la fusione con la connazionale
Commerzbank,
legate ai timori sull’effettiva tenuta del colosso risultante dall’unione,
sono solo le ultime manifestazioni di un lungo crepuscolo che ha gradualmente avvolto una banca capace,
a lungo, di rivaleggiare con i grandi del pianeta.
L’affondo Fmi sui derivati di Deutsche Bank
La scoperta della crisi di Deutsche Bank risale al giugno 2016,
quando come un fulmine a ciel sereno giunse la notizia che il
Fondo monetario internazionale
aveva definito l’istituto come la più grande fonte potenziale al mondo di choc esterni per il sistema finanziario.
Il mito dell’efficienza tedesca si sgretolò quando, col passare dei mesi, vennero a galla tutte le problematiche connesse al modello Deutsche Bank.
La crisi del primo istituto tedesco, che maneggia asset per circa 1.700 miliardi di euro,
è frutto della combinazione di gestione scriteriata, violazioni scoperte di regole,
frodi conclamate e assunzioni di rischi immotivati dai ritorni economici.
Un dato vale per tutti: i 48 mila miliardi di euro di derivati – 14 volte il Prodotto interno lordo della Germania – in pancia all’istituto,
un valore di gran lunga superiore a quello di
Lehmann Brothers al momento del crac,
la più grande spada di Damocle pendente sul sistema finanziario globale se,
come pare confermato da un report della Banca d’Italia, al loro interno covano buona parte dei 6.800 miliardi di euro
di
titoli tossici detenuti dal sistema finanziario europeo.
Ma al momento dell’affondo del Fmi, Deutsche Bank doveva già fare i conti con le prime grane.
” L’anno prima Deutsche Bank era stata investita dallo scandalo Libor,
relativo alla manipolazione fraudolenta dei tassi di riferimento sui mutui immobiliari.
I vertici di allora furono costretti a dimettersi e il conto di multe e risarcimenti superò i due miliardi e mezzo.
Il 2015 si chiuse con una perdita netta di 6,8 miliardi di euro”,
sottolinea l’Agi.
Tutti gli scandali di Deutsche Bank
“Le conseguenze dello scandalo andarono ben oltre l’esborso”, prosegue l’agenzia milanese.
“Il caso fu un colpo durissimo per la credibilità di una compagnia che era sempre stata t
ra i simboli dell’affidabilità tedesca. Il risultato fu una fuga degli azionisti.
La capitalizzazione di mercato, che all’inizio del 2015 superava i 40 miliardi di dollari
(cifra che era già meno di un millesimo dell’esposizione a derivati), sprofondò
fino a toccare
un minimo di 15,7 miliardi di dollari nel settembre 2016,
mese nel quale il dipartimento di Giustizia Usa chiede il pagamento di una sanzione da 14 miliardi di dollari
(successivamente ridotta della metà) per irregolarità nella vendita di obbligazioni garantite da mutui”.
Dal 2008 ad oggi, la banca ha sborsato, per multe e dispute legali, qualcosa come 18 miliardi di dollari.
In Europa, solo Royal Bank of Scotland Group ha fatto peggio, con un esborso di 18,1 miliardi.
E la voragine di bilancio mostruosa creata da queste spese è seconda solo al durissimo colpo
alla credibilità del management di Deutsche Bank, che lo scorso hanno ha provato,
più o meno in corrispondenza dell’ennesima bocciatura da parte della Fed,
che ha in un certo senso rimediato all’eccesso di prudenza con cui la
Vigilanza bancaria della Bce, impegnata ad attenzionare le banche italiane sui crediti deteriorati,
si approcciava all’istituto basato nella sua stessa città, Francoforte.
I mercati presentano il conto
Ma se la vigilanza bancaria ha usato il fioretto con l’istituto, lo stesso non si può dire dei mercati finanziari.
Che hanno eroso progressivamente il capitale di Deutsche Bank, dissolvendone il 90% del valore in dieci anni
e portandolo a valori attestati da tempo attorno ai 15 miliardi di euro,
con una leva di oltre 1 a 100 col totale delle attività maneggiate da Deutsche Bank.
La quale, per frenare l’emorragia, nell’aprile 2018 ha sostituito l’ad britannico John Cryan
con il tedesco Christian Sewing, poco dopo che il primo azionista, il conglomerato cinese Hna,
aveva annunciato la riduzione della sua partecipazione dal 10 al 7,9%.
Il terremoto Danske Bank e l’offensiva Usa
A fine 2018 è esploso l’ennesimo scandalo riguardante la banca di Francoforte,
potenziale pietra tombale sulle sue prospettive di ripresa.
Fino al 2015 Deutsche Bank avrebbe, secondo quanto rivelato dal whistleblower Howard Wilkinson,
contribuito a riciclare decine di miliardi di euro provenienti, in larga misura, dalla Russia
e passati per la filiale estone di Danske Bank. Duecentotrenta miliardi di dollari,
in gran parte provenienti dalla Russia, sarebbero passati attraverso la filiale estone di Danske Bank
e girati a Deutsche Bank, JPMorgan e Bank of America per essere immessi, puliti,
nel sistema finanziario internazionale”,
scrive Repubblica.
E,
come riporta il Guardian, Wilkinson ha dichiarato che circa 150 miliardi di euro
sarebbero stati gestiti direttamente da Deutsche Bank, da lui mai citata direttamente
ma di cui si intravede chiaramente la fisionomia. Le indagini hanno portato alle dimissioni
del Ceo della banca danese,
Thomas Borgen, e a un grave tonfo borsistico degli istituti chiamati in causa.
A fine gennaio gli Stati Uniti, in una fase di aperta
offensiva economica dell’amministrazione Trump contro la Germania,
sono tornati alla carica sul caso Danske Bank, mettendo nuovamente all’angolo Deutsche Bank,
dato che le rivelazioni di Wilkinson hanno portato la Fed ad aprire un nuovo fascicolo
e
Elizabeth Warren, la battagliera senatrice democratica – candidata alle primarie di Usa 2020 –
a chiedere alla Commissione bancaria del Senato di avviare un’ inchiesta.
Come una fusione, peraltro molto complessa nella pratica, possa livellare un consolidato schema
di delegittimazione della credibilità di Deutsche Bank non è dato sapersi.
Il lungo crepuscolo degli dei del mondo bancario tedesco prosegue:
e in fondo al tunnel non si intravede la luce, ma ulteriori difficoltà.
Con Deutsche Bank che continuerà ad essere il “malato d’Europa” e la più grande minaccia alla finanza europea.