Radio24 c'è oscar giannino che sta incaz zato (1 Viewer)

Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.

tontolina

Forumer storico
L’economia va rilanciata, non repressa: la gente va aiutata, non spremuta come un limone e poi gettata via.

Monti sta accondiscendendo ad ogni richiesta dell’Europa, siamo ricattati, ci stanno facendo credere che senza il potere economico della BCE o del FMI l’Italia fallirà. Sempre più soldi verranno chiesti agli italiani.

Tratto da: LA RIVOLUZIONE CONTAGIA LA CALABRIA. | Informare per Resistere LA RIVOLUZIONE CONTAGIA LA CALABRIA. | Informare per Resistere
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!


a mio avviso tutti quei soldi servono per coprire i buchi lasciati dal precedente governo di ladroni

continuano a ripeterci come un mantra che bisogna sconfiggere l'evasione fiscale
rtichiesta proprio dai politici corrotti

non c'è giorno che non si sappia di bustarelle pagate agli esponenti del governo precedente e ancora in carica in Lombardia [ma la Lega ha sempre chiuso tutti gli okki?]

e quei soldi sono frutto di evasione fiscale che impoverisce doppiamente l'Italia

 

tontolina

Forumer storico
MPS: CDP protagonista con la nazionalizzazione della banca?

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Monte dei Paschi di Siena : arriva lo Stato con Cassa Depositi e Prestiti per salvare la Banca più vecchia del mondo Chi riceve TRENDS già sapeva… Ormai la cosa è in via di ufficializzazione e il rumor sta diventato sempre più insistente. Tanto che il noto giornale FT (Financial Times) ne ha parlato ancor prima che in Italia i media se ne accorgessero.
Uno dei primi a scrivere sull’argomento è stato il blog del nostro network TradingNoStop il quale riprende quanto scritto appunto dal FT, dove si parla di possibile nazionalizzazione di MPS e di Commerzbank.
In questa sede quindi, confermo quanto già ipotizzato, con qualche dettaglio ulteriore. Sembra infatti che sia nazionalizzata passando tramite la Cassa di Depositi e Prestiti, (Cdp).



Ormai il deficit patrimoniale cumulato ha raggiunto i 3.3 miliardi di Euro ed ha un’esposizione sul portafoglio carry trade pari al 200% del Tier 1, ovvero un’esposizione al rischio doppia rispetto alla media nazionale, con un mark to market sui titoli di stato italiani che è pari a circa 3.1 miliardi di Euro, a cui andaimo aggiungere un’elevata duration con ulteriori perdite legate ad operazione di derivati fatte per copertura.
Per farla breve, i dati visti in passato già ci avevano fatto capire che sui MPS qualcosa non quadrava. Oggi ne abbiamo la conferma. Preferisco tralasciare altri elementi, tanto la sostanza non cambia.
Chiaramente per la banca, occorre trovare questo vagone di denaro per tappare il deficit pari appunto a 3.3 miliardi.
E chi lo può fare? Si sono fatte tante parole ma sembra che tutto non sia andato a buon fine. Le controparti interpellate SEMBRA non siano state sensibili alla problematica ed abbiano preferito, in un momento di elevata carenza di liquidità sul mercato, starne fuori.
SIA BEN CHIARO: questi sono rumors che necessitano di conferme.
In linea di massima però, le varie case d’affari sono abbastanza d’accordo che nel breve MPS ha bisogno quantomeno di un miliardo di Euro. E questi soldi (ecco che arriviamo alla nazionalizazione) potrebbe fornirli proprio lei, CDP, la Cassa di Deposito e Prestiti. In tal caso verrebbe fatto un collocamento privato.

Fermi tutti.

E in questa operazione che capiterà ai clienti? Assolutamente niente. Quindi NO PANIC. E ai possessori di bonds? Idem come sopra.
E allora chi ci rimette? Gli Azionisti, in particolar mondo la Fondazione e gli azionisti storici che si vedrebbero forti diluizioni e con un tot di azioni dal valore che oggi non possiamo certo stimare con certezza.
Intanto però il mercato sembra apprezzare.
Stay Tuned!
DT
 

tontolina

Forumer storico
CRISI EURO MONTE DEI PASCHI DI SIENA EBA CAPPIO AL COLLO
....
....

SENZA QUESTO FONTE COMUNE MONTE DEI PASCHI DI SIENA, BANCO POPOLARE E UBI BANCA,POTREBBERO CAPITOLARE.
NUOVI AUMENTI DI CAPITALE SI TRASFORMEREBBERO IN UN BAGNO DI SANGUE SENZA PRECEDENTI.
L'ESERCIZIO DELL'EBA SULL'ADEGUAMENTO PATRIMONIALE SI E' RIVELATO DANNOSO PER LE NOSTRE BANCHE,MA SOPRATUTTO PERICOLOSO.
ANCHE MARIO MONTI DOVRA' ALZARE I TONI IN EUROPA
 

tontolina

Forumer storico
ha appena venduto la società "COSTA CROCIERE"

ha appena venduto la società "COSTA CROCIERE"
e ne detiene solo il 10%

che tempismo! :D


Concordia, le scuse di Costa Crociere
Foschi: "Un unico errore umano"



Lettera ai clienti della compagnia di navigazione, l'amministratore delegato: "Ho il dovere di rendere conto a chi ha riposto in noi la propria fiducia"

Concordia, le scuse di Costa Crociere Foschi: "Un unico errore umano" - Cronaca - Tgcom24
 
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tontolina

Forumer storico
Exor vende Alpitour


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La società Alpitour S.p.A., posseduta dalla Exor, sarà ceduta a due fondi chiusi di private equity. A darne notizia in data odierna è stata proprio la società quotata in Borsa a Piazza Affari nel far presente al riguardo come abbia raggiunto un accordo per cedere la Alpitour S.p.A. a fronte di un corrispettivo pari a 225 milioni. Nel dettaglio, la società acquirente è un veicolo societario che, proprio ai fini del perfezionamento di tale acquisizione, è stato costituito e capitalizzato.

Le quote di questo veicolo societario saranno possedute, come sopra accennato, da due fondi chiusi di private equity riconducibili a J. Hirsch & Co. ed a Wise SGR SpA, unitamente ad altri investitori; tra questi, in accordo con quanto reso noto da Exor, c’è anche Network Capital Partners.



EXOR TREND POSITIVO

A fronte di una plusvalenza, da parte di Exor, pari a 140 milioni di euro, il pagamento del corrispettivo avverrà come segue: 210 milioni di euro cui seguiranno, quale prezzo differito, altri 15 milioni di euro che saranno oggetto di maturazione di interessi. Inoltre, sulla base del risultato economico in concomitanza con il perfezionamento della cessione ai soggetti sopra indicati, è prevista anche un’integrazione di prezzo.

TARGET PRICE EXOR ALZATO DA GOLDMAN SACHS

Exor, a fronte della cessione di Alpitour S.p.A. al prezzo indicato, continuerà comunque a beneficiare di eventuali incrementi di valore dell’azienda in quanto a sua volta entrerà con un investimento di 10 milioni di euro nel veicolo societario appositamente costituito; di tale veicolo, infatti, Exor avrà una quota pari al 10%. L’intera operazione si prevede venga perfezionata entro il primo trimestre del prossimo anno a fronte del verificarsi di alcune condizioni sospensive, tra cui il via libera da parte degli organi regolatori.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/438730/
 
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tontolina

Forumer storico
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Competitività – Delocalizzazione – Declino – Fallimento

Scritto il 26 gennaio 2012 alle 14:25 da gaolin@finanza
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GUEST POST: Di questi tempi c’è un gran parlare e discutere dei problemi della finanza, della crisi finanziaria dell’Eurozona, di manovra finanziaria “lacrime e sangue” per tutti.

Economisti di ogni livello, commentatori dei mass media, che man mano diventano più consapevoli di quale disastro stiamo vivendo, ci somministrano il loro sapere e ci raccontano degli accadimenti ormai quotidiani della finanza globalizzata, normalmente con il senno di poi. Ogni luogo di aggregazione, bar, osteria, piazza, fermata di bus, riunioni di famiglia è buona per intavolare discorsi sui fatti che si susseguono a ritmo sempre più incalzante. Se ci pensiamo bene, mai è accaduta una simile situazione, in cui tutti percepiscono di essere coinvolti in un processo di grandi cambiamenti, che si può considerare certamente epocale.
Ma mentre di finanza si discute e scrive molto, poco e mal volentieri si parla di economia reale e soprattutto di un processo, la delocalizzazione con i relativi effetti che in questo decorso ventennio l’ha caratterizzata . Quel poco che si dice, di solito è quanto viene raccontato da commentatori che si fanno una loro idea del fenomeno, e che non sempre corrisponde pienamente alla realtà.
Per meglio dire, i più colgono l’aspetto più evidente del fenomeno, fatto di aziende che chiudono, lavoro che sparisce come per incanto perché va altrove. Cercherò in questo post di coniugare il titolo, in modo da evidenziare la stretta connessione che c’è nei termini che lo compongono. Il proposito è di esprimermi con semplicità, spero di riuscirci.
Competitività

La competizione economica è un concetto ben chiaro nella mente degli operatori che lavorano in un regime di libera concorrenza. Ogni imprenditore, ogni giorno deve darsi da fare per trovare modi e soluzioni idonee a mantenere la propria azienda competitiva nel mercato in cui opera e per farla crescere. Nel momento in cui, per qualche ragione, questo processo virtuoso si interrompe, inizia la decadenza che, sempre più spesso ormai, porta all’insolvenza e alla conseguente chiusura dell’impresa.
Mantenere un’azienda competitiva dipende non solo dalle capacità dell’imprenditore ma, sempre più e sempre più spesso, da condizioni oggettive esterne, non dominabili o gestibili dall’imprenditore.
La globalizzazione dell’economia, che stiamo vivendo, è certamente il fenomeno che ha alterato le vecchie regole in modo molto profondo. Molti ne stanno traendo grandi vantaggi, molti altri invece subiscono la situazione e gli effetti negativi senza sapere cosa fare o compiendo errori che poi si dimostrano fatali. In generale, a fronte di alcuni paesi che stanno ancora vivendo un’ incredibilmente rapida ascesa economica, grazie alla loro competitività, ve ne sono altri che stanno subendo il proprio declino perché, si dice, hanno perso la loro competitività.

Delocalizzazione

La delocalizzazione produttiva è diventato, non da molto, anch’esso un concetto abbastanza chiaro e ben acquisito nell’occidente sviluppato, area in cui l’economia reale si sta riducendo complessivamente sempre di più. Ormai quasi ogni nostro cittadino si rende conto di quali disastri abbia già provocato e stia provocando ogni giorno di più, tanto che se ne parla ovunque e ognuno dice la sua.
Però, per quanto riguarda:
- le cause che la determinano,
- gli autori che la provocano o la realizzano o la gestiscono,
- le modalità attuative di questo/i processi,
- i colpevoli e i benemeriti di questi processi, a seconda da quale parte si sta,
- i beneficiari presunti e quelli veri,
- le conseguenze che comportano per le economie dei vari paesi,
sono aspetti del fenomeno su cui c’è molto da puntualizzare.
Da sempre il progresso umano è stato determinato dal mutuo trasferimento di conoscenze pratiche e scientifiche all’interno di comunità e/o fra popoli diversi. Più questi processi vengono facilitati più migliorano le condizioni economiche dei paesi interessati. Questo fenomeno, che è sempre andato avanti nell’interesse generale più o meno di tutti, è diventato sempre più veloce, in diretta relazione con la rapidità dei passaggi delle informazioni e con la mobilità delle persone.
Nei nostri tempi, dove le informazioni possono passare da una parte altra del globo in tempo reale e dove gli spostamenti di persone, da un continente all’altro, si compiono in giornata è molto più facile di un tempo andare a produrre dove le condizioni di competitività complessiva delle varie aree del nostro globo sono migliori.
Detto ciò, è opinione comune che le aziende, che producono beni più o meno durevoli, non aspettino altro che di trovare un posto migliore presso cui spostarsi, ovvero di delocalizzare, per guadagnare di più.
Questo non è normalmente vero.

A nessuno imprenditore fa piacere sobbarcarsi i costi, le fatiche e i rischi che il delocalizzare comporta. Normalmente un’impresa è un insieme di persone più o meno ampio, che si è organizzato in un certo luogo per realizzare un processo produttivo dove molto importanti sono le esperienze tecniche, acquisite in anni e anni di dedizione al lavoro di imprenditori e maestranze, che sono il vero patrimonio di ogni azienda.
Nessun imprenditore medio piccolo, che di solito considera la propria azienda una sua creatura, butta a mare tutto ciò se non spinto, o meglio costretto, da condizioni esterne che nel tempo rendono la sua azienda non competitiva nel mercato globalizzato. Di solito quindi la delocalizzazione avviene forzatamente, come male minore, pena la propria estinzione e con essa di tutta la cultura tecnologica acquisita in tanti decenni di duro lavoro di tante persone.
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Diverso il caso delle multinazionali della produzione, grandi e piccole. In queste non c’è la figura dell’imprenditore perno della gestione della società, che invece avviene attraverso organismi societari e manager, che hanno l’unico obiettivo di fare profitto, preferibilmente nel breve termine per raggiungere target collegati a bonus a proprio favore. Le visioni, gli obiettivi di lungo termine sono spesso trascurati, rispetto quelli a breve. Inoltre questi manager non sono legati al territorio, alla storia dell’azienda e quindi non hanno remore mentali e affettive che li possano frenare o deviare dall’obiettivo del profitto.


Ancora diverso e ben più decisivo è il caso delle multinazionali della distribuzione che si sono accaparrate la gran parte delle quote del mercato retail in tante parti del mondo. Queste realizzano il massimo profitto sì con una buona organizzazione della distribuzione e dell’approvvigionamento dei prodotti ma, soprattutto, minimizzando i costi di acquisto e massimizzando quelli di vendita. Ovvero comprare dove costa poco produrre e vendere nelle aree con elevata disponibilità di denaro e propensione al consumo. Per fare ciò hanno ormai miriadi di agenti a loro collegati, che girano tutte le aree del globo, per cercare il luogo dove c’è chi potrebbe produrre o andare a produrre qualcosa a un costo più basso di quanto fino ma quel momento conseguito.
Se si può indicare qualcuno come massimo colpevole o fautore delle delocalizzazioni, si può certamente affermare che proprio queste multinazionali sono in netta pole position. In pratica sono i consapevoli alleati dei paesi low-cost, allocati nelle aree dei paesi consumatori.

La finanza poi, nel processo di delocalizzazione, gioca il suo ruolo classico a supporto dello stesso che, nello stesso tempo, è sia fondamentale che parassitario.


Ma perché conviene o si deve delocalizzare?

Credo che la risposta ce l’abbiano un po’ tutti. Si delocalizza perché ci sono aree del mondo dove il costo combinato della mano d’opera, più quello del sistema paese in cui si delocalizza, è nettamente inferiore a quello in cui ha sede l’azienda delocalizzante. Talmente inferiore da indurre ugualmente un’impresa a intraprendere questa difficile iniziativa, nonostante i costi e i rischi spesso prima non ben valutati.
Per nettamente si intende che il costo del lavoro è, a parità di valuta di riferimento, da 3 a 10 volte più basso fra un paese e un altro.

Tanto più elevata è questa differenza, tanto più lontano si può andare a delocalizzare e tanto più altri fattori diventano meno determinanti. Ciò non vuol dire che un paese è 3 o 10 volte più povero, ovvero che la gente che ci abita gode di consumi che sono 3 o 10 volte più bassi.


Infatti non è per nulla così.
Ad esempio:

-in Cina il salario netto di un lavoratore del settore industria è sì di circa 200-250 EUR al mese nelle zone sviluppate ma i prezzi dei beni e servizi comprati dalle famiglie sono nel loro complesso 1/5 di quelli in Italia
- In Polonia il salario netto di un operaio è di circa 400-500 EUR/mese ma il costo della vita è meno della metà, sempre rispetto all’Italia. Lo stesso si può dire di molti paesi dell’est europeo non avanzato o del resto del mondo.


Insomma le parità monetarie, ovvero i cambi fra le valute, nascondono o distorcono la percezione di questa realtà, fino ad arrivare all’assurdo del pensionato italiano che, percependo il minimo, vive nella miseria in Italia ma diventerebbe un benestante con gli stessi soldi se andasse ad abitare in Cina.

Comunque, tornando alla delocalizzazione, qui bisogna considerare l’effetto dirompente e concomitante di 3 fenomeni che hanno facilitato enormemente questo processo:
1. la grande modernizzazione dei trasporti, avvenuta negli ultimi 50-60 anni;
2. la straordinaria evoluzione e diffusione delle tecnologie delle telecomunicazioni e la conseguente rapidissima circolazione delle informazioni, in grado ormai di raggiungere in tempo reale ogni angolo del nostro mondo.
3. la liberalizzazione dei commerci internazionali secondo le regole del WTO, avvenuta senza in pratica stabilire per i paesi aderenti analoghe regole e comportamenti da rispettare in materia di libera circolazione dei capitali
I primi 2 possono essere considerati un vantaggio per tutti o meglio per coloro che sono stati più bravi di altri a sfruttarli al meglio ma il terzo, che è il più importante, è andato a vantaggio solo dei paesi la cui classe politica ha capito bene l’enorme vantaggio che una nazione gode, per quanto riguarda lo sviluppo della propria economa reale, quando è nelle possibilità di gestire il valore del cambio della propria moneta.
Se la politica non è pìù di tanto condizionata nelle sue scelte dagli interessi delle oligarchie finanziarie , nazionali e internazionali ma invece riesce a far prevalere quelle dello sviluppo dell’economia reale ecco che, grazie alla elevata competitività del sistema paese, dovuto a un cambio debole, si sviluppano imprese nuove che si dedicano all’export, quelle esistenti si ingrandiscono fino diventare colossi globali, si crea un indotto locale che ne aumenta ancora la competitività, la nazione si arricchisce e si sviluppa a tassi più o meno elevati o incredibili a seconda di quanto debole è il cambio.




Il beneficio, dapprima riservato a pochi, nel tempo si estende ai molti che sono disposti a mettere il proprio impegno a promuovere lo sviluppo del proprio paese. In seguito il benessere economico raggiunge più o meno quasi tutta la popolazione. Processi che sono stati vissuti da molte nazioni e che hanno loro consentito di raggiungere un livello di benessere medio molto elevato. Non serva fare nomi ben noti ma l’Italia è stata uno dei paesi che ha saputo ben sfruttare la propria competitività fino 15 anni fa.
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a veri incredibili exploit fra i quali spicca quello della Cina che ha ben pensato di seguire la stessa strada percorsa dal suo vicino, nonché acerrimo nemico, Giappone. La Cina però ha fatto di meglio, mettendo in atto una politica di agevolazioni varie per gli investimenti stranieri, accompagnata dalla promessa che queste sarebbero state durature, perché la competitività del sistema paese sarebbe stata mantenuta ad ogni costo. Anche a costo di regalare ai ricchi occidentali una buona parte dei proventi dell’eccesso di export.
Come lo ha fatto?

Semplicemente con la politica della stabilità del cambio, concretizzatasi nell’aggancio del suo CNY al valore del dollaro a un cambio sostanzialmente fisso e molto basso/debole, del tutto scollegato al potere d’acquisto delle monete nei 2 paesi. La funzione dello USD quale valuta internazionale per gli scambi commerciali ha in pratica tenuto il valore del Renmimbi cinese sottovalutato rispetto a tutte le altre valute, rendendo d’altra parte ipercompetitivo il sistema manifatturiero cinese nel mercato globale.
Tutto ciò, unito alla laboriosità e capacità indubbie dei cinesi a tutti i livelli, a cominciare dai governanti, hanno determinato l’incredibile sviluppo economico di questo paese degli ultimi 20 anni.
Tutto bene?

Per la Cina per ora sì ma non per tutti.
L’occidente, che si è visto scippare il suo know how senza che nessuno facesse alcunché, sta vedendo progressivamente sparire il proprio sistema manifatturiero nella quasi totale indifferenza politica e nella colpevole rassegnazione, sta assistendo al suo declino e impoverimento sempre più rapido e inesorabile come un fatto ineluttabile.
L’occidente stenta ancora a capire cosa gli sta succedendo e perché. Per il momento assistiamo all’avvio di dure dispute e conflitti economici fra gli stati occidentali, per scaricare sugli altri gli effetti di questa crisi che ingloberà prima o poi tutti, chi più chi meno.
Impoverimento

Queste situazioni, che appaiono assurde e incomprensibili ai più, sono i motivi che spingono per profitto o per la sopravvivenza di un’azienda a delocalizzare. Ma non solo perché ormai, più che di imprese che si spostano altrove, una volta che il know how è stato acquisito da un paese, è il lavoro stesso, la produzione nel suo complesso che si trasferisce da un paese all’altro, con l’apertura di nuove manifatture locali che si creano sulla spinta delle richieste dei mercati ricchi. Gli occidentali in questo sono stati bravissimi, hanno aperto le loro frontiere a ogni sorta di beni e cianfrusaglie prodotte dai paesi a basso costo del lavoro, Cina in primis, non preoccupandosi che questo avrebbe portato allo smantellamento dei propri sistemi manifatturieri e al conseguente impoverimento dei vari paesi.
Gli USA sono proprio mal messi. L’industria manifatturiera in questo paese è già sparita da tempo e con il tempo sparirà anche la capacità di creare nuovi prodotti che resterà appannaggio invece dei paesi che hanno mantenuto e sviluppato la propria economia reale. Altrettanto sta facendo l’Europa finora praticamente noncurante delle sorti delle proprie industrie. Già, oggi bisogna salvare il sistema finanziario e tutti coloro che ci vivono sopra, magari contribuendo a rendere irreversibile il declino del sistema produttivo occidentale che ogni giorno che passa in certi paesi, fra cui l’Italia, vede chiudere aziende ma non perché il mercato non c’è più ma perché altri competitor, operanti in paesi con costi più bassi, ne sottraggono quote a proprio favore. Questo atteggiamento potrebbe essere definito criminale perché fa danni enormi ed è molto più criminale dell’evasione fiscale e contributiva, la cui lotta contro è un sacrosanto dovere dello stato .


Fallimento

Insomma la delocalizzazione produttiva e la sparizione del lavoro vero portano una nazione a dipendere sempre di più dagli approvvigionamenti dall’estero. Il che vuol dire che la propria bilancia commerciale peggiora sempre di più e che per poter continuare a consumare deve indebitarsi sempre di più.
Fino a quando?
Fino a che ci si accorge che avere credito è sempre più difficile, sempre più costoso, sempre più condizionato a offrire garanzie diverse dalla credibilità ormai perduta. Insomma fino alla fine del sogno di abitare nel paese di bengodi.
E allora che si fa?
Via alle manovre lacrime e sangue e a provvedimenti vari, rivolti al salvataggio del sistema finanziario che determinano un ulteriore impoverimento del sistema paese, fino all’impossibilità di evitarne il fallimento. Per fare un po’ di confusione, che serve a mascherare i problemi veri, si propongono le liberalizzazioni, che di per sé sono anche un fatto positivo ma che alla fine sono solo un modo diverso di spartire una torta, che mantiene sempre la stessa dimensione.
Sembra proprio che in Italia ma non solo dovremo arrivare a tanto, prima di assumere consapevolezza del disastro che è stato combinato in questi ultimi 10-15 anni di asservimento alle nuove teorie sullo sviluppo economico globale, alle moderne teorie monetarie, ai voleri e interessi delle oligarchie finanziarie e dei loro servi colpevoli opportunisti.
Conclusione

Credo che proprio la mancanza di consapevolezza e comprensione del disastro in corso sia l’handicap più forte che ci farà precipitare nel baratro. Peccato, perché di persone che in Italia credono ancora che “E’ la produzione, non il consumo, che stimola l’economia” ce ne sono. Sono queste che possono salvare il nostro paese, non certo quelle che affermano con sicumera che : (Riporto una parte di un’intervista su un periodico di un illustre esperto economista)
Se l’Italia non fosse entrata nell’euro la situazione sarebbe certo peggiore dell’attuale, perché la lira avrebbe subito pesanti svalutazioni, l’inflazione non sarebbe stata piegata verso il basso, il debito pubblico e il deficit sarebbero molto peggiorati per l’assenza di vincoli esterni credibili. Inoltre (questa è proprio grossa), la nostra manifattura non si sarebbe ammodernata come ha fatto reagendo molto bene alla mancanza di svalutazioni competitive e accumulando dei surplus notevoli purtroppo controbilanciati dal deficit energetico e da quello in alcuni settori come la chimica di base, l’informatica e i mezzi di trasporto. In fondo, anche nella crisi, l’Italia ha mostrato molti punti di resistenza sia bancaria che manifatturiera.
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Queste voci che trovano tanto spazio rappresentano il pensiero dominante, mentre quelle che saprebbero dire le cose come stanno non trovano udienza nei media che contano. Anzi proprio si evita che parlino, guai a dire che l’Euro con le sue implicazioni e regole ci sta portando al collasso. Se qualcuno si azzarda viene subito zittito ed estromesso da ogni futuro dibattito e quindi?
Si salvi chi può e auguri che un cigno bianco ci aiuti.
Gaolin
 
Stato
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