Il tempo della vendetta.
Un'interessantissima intervista a Bifo, Franco Berardi, che ho appena letto. Ne riporto un ampio estratto.
Franco Berardi: umiliazione, paura e volontà di vendetta
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Hai scritto che “Se vogliamo trovare una via d’uscita, dobbiamo guardare la bestia negli occhi”. Cosa c’è nel fondo degli occhi della bestia?
Definiamo la bestia intanto: nel XX secolo a più riprese si è identificato con l’espressione “la bestia” il nazismo, diciamo il nazismo storico. Noi oggi non siamo di fronte a mio parere a una riedizione pura e semplice del fascismo, e neppure a rigore del nazismo storico, per tante ragioni. Ragioni che riguardano soprattutto la qualità soggettiva psichica, e vorrei dire demografica. Il fascismo è un fenomeno giovanile, il trumpismo è un fenomeno senile, il fascismo è un fenomeno di esaltazione della potenza virile, il trumpismo è un effetto della volontà di potenza frustrata, dell’impotenza. Però se guardiamo negli occhi la bestia che cosa vediamo? Vediamo mi pare prima di tutto l’umiliazione. In secondo luogo la paura. In terzo luogo la volontà di vendetta.
Partiamo dall’umiliazione
Umiliazione, paura e volontà di vendetta sono tre categorie che il marxismo non ha frequentato, invece sono decisive per capire quello affrontiamo oggi. Umiliazione: noi abbiamo a che fare con una popolazione che dagli anni ’80 in poi è stata indottrinata con l’idea secondo cui tutti ce la possono fare, a patto che siano disposti ad accettare la regola della competizione e la regola del sacrificio del tempo, della vita. Per farla breve, lavorare alle condizioni che il capitale decide ti permetterà di realizzare il sogno, americano, o italiano.
La famiglia perfetta, la station wagon, il labrador…
Sì, diciamo che accettare quelle regole ti permetterà di vincere. Ecco: 30 anni dopo i poveracci che hanno creduto in questa favola – cioè la grande maggioranza della popolazione occidentale – si sono resi conto che gli avevano fregato la vita. “
Io ti ho dato trent’anni e alla fine tu mi prolunghi la pensione, mi dimezzi il salario, mi chiudi l’ospedale, mi privatizzi la scuola e poi mi fai anche una pernacchia?”. A quel punto non ho altra parola per definire la condizione di massa che non sia umiliazione.
Come si passa dall’umiliazione alla paura?
L’umiliazione si accompagna alla percezione terrorizzata che contemporaneamente c’è una massa di poveri – più poveri degli umiliati – che stanno premendo alle frontiere. E quelli fanno figli, mentre io non sono più in grado di farne, per tante ragioni. Benissimo, questa è la seconda condizione: che cosa posso fare?
Vendicarsi alla cieca
La sola cosa che posso fare è vendicarmi.
Ma contro chi mi vendico? Contro il potere finanziario? È imprendibile, è un’astrazione. L’unica figura contro cui me la posso prendere sono quelli che mi hanno venduto al sistema finanziario.
Cioè una lista di nomi che vanno da Tony Blair a Gerhard Schröder, a Massimo d’Alema, a Matteo Renzi, a Hollande. La sinistra. L’élite. Quelli lì.
Quelli che avrebbero dovuto difenderti
In teoria. Invece ci hanno condotto mano nella mano nell’abisso in cui ci troviamo oggi. Questo spiega tutto. A quel punto è inutile che tu gli dici “
Guarda Trump, che mascalzone, che puttaniere, che ladro, che assassino” perché ti rispondono
“Perfetto! È esattamente quello che mi occorre”. Non voglio un mondo migliore, se so già che non lo avrò mai. Voglio vendicarmi di Hillary Clinton. Se Trump fa piangere Hillary Clinton – e non c’è nessuno migliore di Trump per umiliare la gente – è perfetto. È la vendetta. E la vendetta non vuole sentir ragioni. Non ti importa. Quando tu ti vendichi non vuoi che te ne venga qualcosa, vuoi che il tuo nemico pianga. Basta, tutto qui.
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Oggi soprattutto online si dice che la verità non conti più. Ma è mai contata?
Stavo per dirtelo io. È mai esistita? Il discorso pubblico è sempre stato intessuto di flussi di menzogna intenzionale o non intenzionale. E basta ricostruire la storia d’Italia degli anni ’70 ’80 per capire che insomma… le fake news non sono una novità.
A me fa impazzire questa cosa: sembra che ci siamo svegliati adesso ed “Ehi, qualcuno mente!”. Come se negli anni di piombo l’informazione fosse limpida, cristallina
Qualcosa è cambiato. Qualcosa è cambiato eccome, è cambiata la densità, la velocità del discorso pubblico.
Siamo entrati in una condizione nella quale la possibilità di distinguere non il vero dal falso, ma l’utile dal dannoso, ciò che è utile per te da ciò che ti farà del male, ciò che è piacevole da ciò che è spiacevole, non è un problema metafisico di verità, è un problema pragmatico di utilità.
Bene: la capacità di distinguere è svanita. E non è svanita perché il messaggio è cambiato, ma perché la dimensione quantitativa, l’intensità del messaggio – cioè la velocità del flusso informativo – ha superato le capacità di elaborazione cosciente di cui dispone la mente umana. Il ragionamento va spostato dall’infosfera alla psicosfera.
Dici che il vero disastro è lì?
La forma dell’infosfera è determinante, ma il luogo in cui il disastro è accaduto è la mente umana. Occorrerebbe avere il coraggio di ricostruire la capacità critica. Perché la critica non è un dato naturale nella mente umana. La capacità di distinzione tra verità e falsità, tra bontà e cattiveria, tra questo e quello, è qualcosa che si forma particolarmente nell’epoca moderna e si fonda a partire dalla vasta diffusione del testo scritto. Dalla stampa. Noi siamo usciti da quella condizione. Il pensiero critico oggi è appannaggio di una piccolissima minoranza. Quanta gente compra i giornali nel nostro tempo?
Diciamo quasi solo i pensionati
Una minuscola percentuale, una minuscola percentuale di anziani. La critica non significa niente in quella che Byung-Chul Han definisce shitstorm. Nella tempesta di merda non hai tempo di valutare e neanche ti interessa molto decidere quale merda è buona e quale merda è cattiva. È merda, ci sei dentro e non ne puoi venire fuori. E quindi bisogna inventare una facoltà di autodefinizione del discorso che per il momento non è alla nostra portata.
C’è tutto un filone ottimista sull’automazione, poi ci sono quelli che sostengono che il welfare ce lo pagherà Google o Facebook tra 20, 30, 40 anni. Che idea ti sei fatto di questo dibattito?
È un dibattito intanto interessante. Perché tocca la questione vera, essenziale cioè la creazione di una nuova sfera produttiva, che sfugge alle caratteristiche della produzione industriale, ma che sfugge anche alle modalità politiche di governo della modernità. Si tenta di capire come quel mondo produttivo potrà ridefinire i rapporti con la società. Le soluzioni che vedo emergere fino a questo punto però mi paiono molto deboli.
Perché ti sembrano deboli?
Sono soluzioni che passano attraverso la sovranità dello stato nazionale. Vedi il tentativo che l’Unione Europea sta facendo di sottoporre le grandi corporation a una qualche forma di tassazione: ecco, tutto questo non dubito che sia ben intenzionato, ma mi pare inefficace. Per tante ragioni.
La prima ragione è che il potere delle corporation virtuali è totalmente deterritorializzato. Google appartiene agli Stati Uniti? No. Sono gli Stati Uniti ad appartenere a Google. È questa la cosa che bisogna riuscire a comprendere.
È il rapporto tra l’agente regolatore e l’agente che si dovrebbe regolare che è completamente mutato rispetto al passato della modernità.
All’inizio dicevi della possibilità…
La regolazione – anche se è una parola che non mi piace, è una parola debole, passata – sulle agenzie deterritorializzate può avvenire solo dall’interno. E quando dico interno non intendo la cortesia, la bontà d’animo, di Larry Page o di Mark Zuckerberg, penso agli 80mila lavoratori di Google, penso ai milioni di persone che nel mondo partecipano al ciclo di produzione della rete.
Si ripartirà da lì?
Quelli lì sono la soggettività che può qualcosa. Il futuro. A me interessano coloro che in quanto programmatori, in quanto designer, determinano i mutamenti dell’infrastruttura. Ecco: se noi riuscissimo a individuare e attivare politicamente questi milioni di persone inizieremmo un processo di liberazione dal semiocapitalismo, e di auto organizzazione dell’intero lavoro. Ci tengo moltissimo a dire che la capacità non è cancellata, esiste, ma per giungere a quella possibilità dobbiamo attivare una potenza: solidarietà, empatia. Non ci manca la possibilità, ma la potenza: come si attiva quella potenza? Questo è il campo sul quale indagare.