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IL TRADIMENTO DEI SAVOIA E DI BADOGLIO: ITALIA A SOVRANITA′ INESISTENTE DAL 1943
Redazione | 09-09-2014 Categoria: Mondialismo



IL TRADIMENTO DEI SAVOIA E DI BADOGLIO: ITALIA A SOVRANITA' INESISTENTE DAL 1943


di Gianni Lannes

Le carte segrete anglo-americane, parlano chiaro: i Savoia e Badoglio (artefice della disfatta di Caporetto) avevano già svenduto l’Italia ai cosiddetti “alleati” un anno prima. E infatti il 3 settembre del ’43 fu firmato l’armistizio corto, poi il 29 settembre la resa incondizionata.

Il 9 settembre 1943, i Savoia, Badoglio e i generaloni dello stato maggiore tricolore fuggirono da Roma a Brindisi. E così lasciarono in balia degli eserciti stranieri ben due milioni di soldati italiani. Valga per tutti la strage di Cefalonia.


Tra il 9 e il 10 luglio 1943 iniziò l'invasione della Sicilia - non contrastata dalla Regia Marina, i cui alti ufficiali erano in massima parte fedelissimi al sovrano - e Palermo cadde nelle mani degli americani già il 22 luglio 1943, in virtù dell'accordo segreto con la mafia italo-americana che favorì lo sbarco.
Il 10 giugno del '40 Vittorio Emanuele III aveva dichiarato guerra alla Gran Bretagna, ma aveva mantenuto i depositi di famiglia presso la banca dei suoi amici ebrei e massoni. Così i ragazzi italiani della generazione sfortunata - i nati fra il 1912 e il 1922 - furono mandati a farsi macellare in guerra da un sovrano che contribuiva con i soldi rubati al popolo a fabbricare e acquistare le armi con le quali sarebbero stati uccisi i nostri soldati.
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=armistizio Pubblicato da Gianni Lannes a 18:55
 
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"Ho incontrato anche Marco Saba, dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata di Ginevra, che mi ha introdotto nei complicati meccanismi delle società di clearing, ovvero le camere di compensazione delle transazioni finanziarie internazionali che consentono di effettuare operazioni in maniera rapidissima e assolutamente riservata. Come in un pozzo senza fondo, tutto è avvolto in una oscurità impenetrabile. Un capitolo importante, anch’esso suggeritomi dal figlio del banchiere dell’Ambrosiano. Si tratta della vicenda Cedel, delle rivelazioni fatte da Ernest Backes, un tecnico dell’alta finanza tedesco, e dal giornalista francese Denis Robert. Li ho contattati entrambi. Il primo, che attualmente vive a Neuchâtel, in Svizzera, mi ha rivelato di esser stato contattato dagli inquirenti che stanno lavorando al nuovo processo Calvi. Robert, invece, mi ha confermato di persona la sua profonda convinzione dell’importanza del capitolo Cedel per risolvere i misteri relativi alla morte di Calvi."

"E’ Carlo Calvi a darmi la traccia da seguire. «Dovrebbe informarsi in merito alle scoperte fatte da Ernest Backes e Denis Robert. Non se ne sa ancora nulla, in Italia.»
Il suo suggerimento è come al solito anodino, stringato. Grazie a Marco Saba, un ricercatore dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata di Ginevra che ho incontrato sulla via del ritorno dal Canada, sono riuscito a ricostruire questa vicenda, mai affrontata da chi si è occupato del caso Calvi-Ambrosiano.
Roberto Calvi, nella fase tra la sua nomina a direttore centrale capo nel 1970 e a direttore generale nel 1975, sente il desiderio di spingersi oltre le scelte di Canesi sul fronte strategico delle alleanze estere. E fa in modo che la Kredietbank del Lussemburgo lo accolga nel suo consiglio d'amministrazione. Nell’istituto fiammingo lavorava all’epoca un brillante banchiere di nome Gérard Soisson. E in quello stesso periodo Soisson, insieme a un tecnico dell’alta finanza, il tedesco Ernest Backes, è tra i principali ideatori del primo sistema di clearing internazionale, ovvero la camera di compensazione delle transazioni finanziarie denominata Cedel (Centrale di consegna di valori mobiliari), una società privata che dal 1999 diventerà Clearstream, il “fiume pulito”, un nome che suona ironico per una società che si occupa di movimenti di capitali. Intorno a questo sistema completamente privato Calvi e Soisson stringono i loro rapporti. Il banchiere milanese coglie subito le potenzialità di questo nuovo sistema di transazioni. E l’Ambrosiano diviene uno degli azionisti-correntisti chiave di Cedel. Ma Calvi comprende anche che il Lussemburgo diventerà presto una delle capitali mondiali dei flussi finanziari coperti, e per questo cerca un’ulteriore legittimazione tra i ristretti circoli del potere finanziario del luogo. Roberto Calvi viene ammesso in una delle principali logge massoniche lussemburghesi, alla quale apparteneva anche uno dei quadri superiori di Cedel, il segretario generale René Schmitter.

I legami tra Calvi e Soisson si rinsaldano, in maniera ovviamente non fortuita. Le relazioni di fiducia tra i dirigenti delle principali banche che operano in Cedel e i quadri della società sono fondamentali. Esse costituiscono la materia prima sulla quale si fabbrica quotidianamente il clearing. Soisson era un uomo discreto, e manteneva il totale segreto sulla natura dei suoi rapporti con i banchieri più influenti del pianeta. Apprezzava Calvi, era leale nei suoi confronti.
«I due – ha raccontato Ernest Backes – sembravano parenti: l'italiano gli aveva offerto un regalo che Soisson teneva sulla sua scrivania: tre scimmiette in metallo: una si copriva la bocca, l'altra gli orecchi e la terza gli occhi.»
Nel corso degli anni Settanta, Cedel diviene uno dei principali canali finanziari per le operazioni compiute dall’Ambrosiano a favore e per conto dello Ior, ma anche su molti altri fronti pericolosi, come la rete delle società panamensi e le operazioni in Sudamerica. Calvi, attraverso il sistema Cedel, ottiene un doppio risultato: da un lato la segretezza e l’irreperibilità delle sue acrobatiche movimentazioni di capitale (solo alcuni conti erano accessibili dalle autorità pubbliche, gli altri erano denominati “non pubblicati” ed erano occultati attraverso una contabilità parallela); dall’altro la possibilità di mantenere una prova che certi trasferimenti di denaro lui li aveva compiuti, magari per conto del Vaticano o di altri potenti gruppi imprenditoriali. Un formidabile strumento di ricatto potenziale. In Cedel, infatti, restava e resta una traccia contabile di tutti i valori transitati. In caso di difficoltà, e grazie al suo fedele amico Gérard Soisson, Calvi era perciò in grado di recuperare una prova documentale dei movimenti da lui realizzati in favore o per conto di terzi.
Nel 1980, quando ormai il sistema di clearing era perfettamente avviato, René Schmitter e Gérard Soisson organizzarono una delle riunioni mensili del consiglio d'amministrazione di Cedel a Roma, negli uffici dell'Istituto per le Opere di Religione. Ernest Backes racconta: «Avevo suggerito a Soisson di raccomandare a Marcinkus di aprire un conto diretto con Cedel per lo Ior e di evitare così i giri attraverso tutte le banche che apparivano nelle transazioni. Quando Soisson tornò dalla riunione ebbi l'impressione che non avesse osato esprimere questa proposta».
Due anni dopo questa riunione, Soisson disse a Backes che aveva visto delle cose bizzarre in Vaticano: «Soisson sapeva leggere le transazioni meglio di me, che non vedevo altro che il lato tecnico. Io facevo delle battute sul Papa, intorno agli estratti che leggevo in Cedel. Ma lui sapeva che le istruzioni ordinate da Calvi su dei sottoconti della finanza vaticana, con l'avallo della Santa Sede, erano più che rischiose. Si sentiva che il trucco sarebbe stato prima o poi scoperto».

"Per approfondire la questione, da Neuchâtel mi sono spostato a Ginevra, dove ha sede l’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata con il quale collabora Marco Saba, il ricercatore che mi ha aiutato a comprendere le connessioni tra Cedel-Clearstream e il caso Ambrosiano. Mi incontro con Marco in un ufficio a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria e dalla sede del Credito Svizzero. Ho deciso di contattarlo perché avevo letto dei riferimenti a una sua inchiesta sul mondo bancario e in particolare sulla finanza "coperta". Gli chiedo cosa ne pensa, a distanza di vent'anni, della questione dell'Ambrosiano e di Roberto Calvi. «Mi sono interessato della vicenda dell'Ambrosiano per vari motivi, tra cui il fatto di aver conosciuto alcuni dei personaggi che furono coinvolti. Nel 1999, durante una ricerca per conto di una Ong italiana, l'Osservatorio Etico Ambientale, mi ero accorto di quanto il mondo finanziario fosse in grado di condizionare non solo la politica internazionale ma anche la ricerca all'interno della stessa comunità scientifica. Durante una analisi retrospettiva dei vari fatti clamorosi accaduti negli ultimi vent'anni, della serie di fallimenti di banche e istituzioni finanziarie, mi ero accorto che esisteva un filo conduttore.»
Saba propone una metafora.
«Per usare un’immagine forte si può dire che esista quasi un governo parallelo, nell’alta finanza. Per governo parallelo intendo il potere forte, quello del denaro, cui tutti gli altri sono vassalli. Sono sempre stato abbastanza puntiglioso e pignolo, nelle mie ricerche, perché quello che stavo scoprendo aveva dell'incredibile. Il mondo della finanza spende somme folli per la propaganda, al fine di nascondere se stesso: un serpente che si morde la coda. Il problema è che la gente comune non sa, o non vuole sapere queste cose. Si possono creare figure di banchieri d’assalto o di speculatori, come Calvi e Soros, senza che nessuno se ne accorga, per fini precisi. Il problema è che personaggi come Calvi, i cosiddetti “burattinai”, alla fine si rivelano persone manovrate, dei semplici maggiordomi. Dei bersagli sui quali convogliare i disagi dell’opinione pubblica, per distrarre l'attenzione dai veri responsabili di certe crisi finanziarie ricorrenti.»
Ho il timore che stiamo uscendo dal seminato e chiedo al mio interlocutore di tornare alla vicenda dell'Ambrosiano.
«Per inquadrare la fattispecie dell'Ambrosiano bisogna capire che l'intero sistema bancario attuale vive in un universo parallelo rispetto alla democrazia, al potere apparente. Poiché nel caso dell'Ambrosiano dobbiamo confrontarci con la criminalità, non possiamo prescindere dal fatto che essa è un elemento presente nel sistema bancario occidentale. Le porto un dato eclatante. Secondo alcuni studi econometrici ogni cittadino europeo, a causa delle rendite accumulate nel corso dei secoli dal sistema bancario, “avanzerebbe” dal sistema stesso 1 milione e 200 mila euro di rendite da capitale. Le pare poco? I fenomeni di emigrazione cui stiamo assistendo sono dovuti al fatto che l’appropriazione delle rendite da capitale, in alcuni Paesi, è di proporzioni ancora più allarmanti. Tipico è il caso dell'Albania.» Ma allora, i giudici dove hanno sbagliato nelle indagini sul caso Calvi-Ambrosiano? Cosa potrebbe fare un magistrato che si trovasse al posto dei giudici Monteleone e Tescaroli?
«Mi piace ricordare una frase del generale Dalla Chiesa, non a caso morto anche lui ammazzato: "Cherchez l'argent". I giudici italiani, quelli di Milano, non hanno mai acquisito la perizia generale contabile della Touche & Ross sul Banco Ambrosiano. L'hanno dichiarato fallito "sulla fiducia". Potenti gruppi hanno rilevato i gioielli del Banco Ambrosiano a prezzo simbolico. La signora Margaret Thatcher ha messo sotto segreto di Stato la perizia contabile generale sulle attività estere del Banco Ambrosiano. Brian Smouha, il revisore dei conti della Touche & Ross che curò la liquidazione, segretata, dell'Ambrosiano è lo stesso che poi ha gestito la liquidazione della Bcci. Nelle storie dei crimini bancari ricorrono sempre le stesse persone, talvolta gli stessi indirizzi degli uffici. La domanda chiave sull'Ambrosiano è perché la Midland Bank revocò il fido al Banco poco prima della morte del banchiere? Hanno forse pensato che la banca conveniva rilevarla dal fallimento piuttosto che salvarla? Queste sono alcune delle domande a cui nessuno ha interesse a dare una risposta. Perché i giudici non vanno a verificare cosa c’era nella valigetta di Calvi, che ancora oggi un noto banchiere si tiene amorevolmente stretta? Se avesse voluto andare a Zurigo, Roberto Calvi ci sarebbe andato subito. Ma era a Londra che si giocava il grande gioco.»
E quella partita, come sappiamo, il banchiere dell’Ambrosiano la perse.
Editoria e finanza

La vicenda Rizzoli-Corriere della Sera

Se quello della rete off shore, dei movimenti occulti di capitali, delle contiguità pericolose con ambienti che praticavano attività di riciclaggio è un filone centrale nella vicenda Calvi-Ambrosiano, altrettanto importante è il capitolo che riguarda l’editoria. Lo stesso Roberto Calvi, più volte, aveva attribuito l’origine dei suoi problemi all’ingresso nel mondo della carta stampata..."
[...]

"Il dipartimento di Stato USA, il 15 giugno 2004, ha desecretato centinaia di pagine di documenti sul caso dell’ex agente del Sismi (e consulente di Roberto Calvi) Francesco Pazienza, a seguito di un FOIA (Freedom of Information Act) effettuato da un membro dell'Osservatorio sulla Criminalità Organizzata di Ginevra, il ricercatore Marco Saba. Il mandato di estradizione di Pazienza dagli Usa (dove venne arrestato) all’Italia, venne all'epoca segretato dal ministro Mino Martinazzoli. Attualmente Pazienza è detenuto nel carcere di Livorno, in ragione però di una condanna legata a operazioni di «depistaggio» sulla strage di Bologna. L’ex agente, che ha nell’estate 2004 dato vita anche a uno sciopero della fame, sostiene da anni che la sua carcerazione è in realtà legata ai segreti del caso Calvi-Ambrosiano. In tutti questi anni non è ancora stato desegretato nemmeno il rapporto contabile finale sul Banco Ambrosiano (estero) che all'epoca venne segretato da Margareth Thatcher."

[...]

Backes è stato altresì tra i creatori, tra la fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70, delle «camere di compensazione», ovvero dei sistemi di «clearing» che hanno innovato profondamente le transazioni. Backes ha svelato alcuni dei suoi segreti al giornalista investigativo francese Denis Robert, nel libro-denuncia Révélation$, Les Arènes, 2001.

Note:
 Ernest Backes, Denis Robert, Révélation$, Les Areènes, 2001, p. 31
[Uscito in italia col titolo: Soldi - il libro nero della finanza internazionale - Nuovimondimedia 2004]
 Ibidem, p. 40
 Backes e Robert, op. cit., p.40
 Ibidem, p. 40-47
 Backes e Robert, op. cit. p. 47
 Backes e Robert, op. cit.p. 8
 Backes e Robert, op. cit., p.16
 Fernando Imposimato, Un Juge en Italie, Éditions de Fallois, Paris, 2000
 Backes e Robert, op. cit., p. 41.
 In These Times, 15 marzo 2002
 
giorno. ola c'e'un tuttologo di investire oggi ,che nn c'e la fa proprio.gli parte" l'embolata" ci pensa tutta notte, partorisce il colpo di genio mattutino et voila':D:D:D:D:D:D nn ci riesce, e' più farte di lui.:D caro , nn prenderti troppo sul serio,:lol::lol: anzi, fondi una banca, saro' lieto di essere suo correntista,se mai capira 'da dove si parte:D
 
LE AVVENTURE DEL VILCOYOTE, OVVERO...Dedicato a tutti coloro che sono 12 Settembre 2014
LE AVVENTURE DEL VILCOYOTE, OVVERO...Dedicato a tutti coloro che sono consapevoli del fatto che un qualsiasi aereo con apertura alare di circa 35 metri NON può volare in aria densa a una velocità di 940 km/h, prima di impattare contro la Torre 2 del "World...
 
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Nessun aereo contro le torri gemelle? Lo dicono la Boeing e numerosi piloti

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settembre 11
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by Daniele Di Luciano 0 Comments




- di Daniele Di Luciano -
Tutti ricordano ciò che le televisioni ci hanno mostrato riguardo agli attentati dell’11 settembre 2001. Tantissimi filmati, da angolazioni diverse, ci hanno mostrato che due aerei passeggeri, esattamente due Boeing 767, si sono schiantati sulle Torri Gemelle.
Lo abbiamo visto tutti e non ci sarebbe motivo per dubitare delle immagini televisive. Se non fosse che diversi piloti, che hanno guidato quegli stessi aerei, ritengano fisicamente impossibile ciò che si è visto in TV. Perché?
Andiamo per punti: possiamo sapere a che velocità viaggiavano gli aerei prima di schiantarsi? Sì.
La NTSB (National Transportation Safety Board) ha rilasciato, tra i vari documenti, questo, in cui, a pagina 2, si legge:
During the descent from 12,000 feet to 6,000 feet, the aircraft groundspeed remained between 500 – 520 knots. As the aircraft made it’s descent to 1000 feet, it accelerated (there goes Zaphod58′s hypothesis about self propulsion at level flight on final approach) and impacted World Trade Center tower #2 at approximately 510 knots groundspeed.
Quindi l’aereo avrebbe impattato la torre 2 del WTC alla velocità di 510 nodi. 510 nodi equivalgono a 586 miglia orarie, circa 940 km/h.
Grazie alle ricostruzioni della Commissione Nazionale sugli Attacchi terroristici contro gli Stati Uniti, nota anche come 9/11 Commission, che ha redatto un rapporto di 585 pagine (lo trovate qui), sappiamo anche la velocità dell’aereo che si sarebbe abbattuto sul Pentagono. A pagina 27 del rapporto, è scritto:
At 9:37:46, American Airlines Flight 77 crashed into the Pentagon, travelling at approximately530 miles per hour.
Quindi anche il Boeing 757 che si sarebbe schiantato sul Pentagono, viaggiava alla velocità incredibile di530 miglia orarie, circa 850 km/h.
Questi dati sulle velocità, notate bene, sono dati ufficiali, confermati dal Governo USA.
Ci sarebbe qualcosa di strano in queste velocità? Sì. Perché?
Su Wikipedia (e su qualsiasi altro manuale specialistico) possiamo facilmente scoprire qual è la velocità massima di un Boeing 767:
Velocità max Mach 0.86 (913km/h, 568 mph, 493 kt) a 35 000 ft (V di crociera max)
Quindi il Boeing 767 che avrebbe colpito la torre 2 del WTC, viaggiando a 940 km/h, superava di 27 km/h la velocità massima raggiungibile dall’aereo. Pensate sia strano? E invece la parte strana deve ancora arrivare.

Un Boeing può raggiungere quella velocità solo, ripeto: solo, a 35000 piedi di altezza, che equivalgono, a circa 10500 metri.
Perché un 767 non può volare alla stessa velocità sul livello del mare?
La spiegazione è semplice: sul livello del mare l’aria è molto densa. Salendo di quota l’aria diviene sempre più rarefatta. Per questo motivo esiste ciò che viene chiamato tecnicamente Velocità Massima di Manovra, che per un Boeing 767 è di 414 miglia orarie (665 km/h), altrimenti l’attrito dell’aria potrebbe far perdere il controllo del mezzo e le vibrazioni potrebbero addirittura provocare la rottura delle ali.
Questi dati, sconosciuti alla maggior parte della gente, sono invece risaputi tra i piloti che lavorano per le compagnie aeree. Nel filmato che segue, che è già stato cancellato una volta da Youtube, sono riportate le dichiarazioni di numerosi piloti. Tutti affermano che è fisicamente impossibile che un aereo possa raggiungere 900 km/h sul livello del mare.
Non solo: alla fine del filmato c’è la dichiarazione di una signora che lavora per la Boeing che afferma che a 700 piedi (circa 200 metri, la quota alla quale si sono schiantati gli aerei), la velocità di 767 dovrebbe essere di 250 miglia orarie (circa 400 km/h), e non 900 km/h!

Ricapitolando: non solo gli aerei viaggiavano al doppio della velocità consentita senza rompersi, ma erano pilotati da dirottatoti che si erano addestrati su aerei molto più piccoli, che compivano manovre impossibili anche per un pilota con decenni di esperienza e che psicologicamente non dovevano essere proprio tranquilli, dato che stavano per ammazzarsi…
La domanda allora è: perché in televisione abbiamo visto quegli aerei schiantarsi sulle torri se fisicamente era impossibile?
Esiste una risposta anche a questo quesito e a fornircela è Simon Shack, autore di September Clues, un documentario che gli è costato anni di lavoro.
Simon ha analizzato tutti i filmati che ci hanno mostrato le TV americane e anche i filmati “amatoriali”. La conclusione è stupefacente. Ma non voglio anticiparvi nulla. Buona visione.
 
La Germania “stampa moneta” emettendo titoli di debito per 5 miliardi a tasso zero. E con più soldi rilancia lo sviluppo
Pubblicato su 13 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in ECONOMIA, POLITICA
Questa è una di quelle notizie che non leggerete mai da nessuna parte. Nessun telegiornale, giornale e sito istituzionale italiano la riporterà e se mai dovesse farlo, non ne evidenzierà la reale portata.
La notizia è questa, pubblicata sul Wall Street Journal del 19 Agosto: Germany Set to Issue Bonds at 0% as Investors Seek Refuge.
“The German Finance Agency Tuesday set a 0% coupon–or fixed annual interest payment–on the two year Treasury notes, known as Schatz, of which it aims to sell an initial €5 billion ($6.69 billion)”.
La Germania ha emesso 5 miliardi di bond (Schatz) al mirabile tasso dello 0%!!! In altri termini, emettere debito a tasso zero, equivale a “stampare moneta”!!!
Questa manovra consentirà alla Germania di ridurre il proprio debito e di conseguenza, l’importo degli interessi passivi sullo stesso. Il che significa lasciare nelle tasche dei cittadini tedeschi una maggior quota di reddito disponibile con cui stimolare la domanda interna.
Infatti, se la Germania proseguisse nell’emettere titoli al tasso dello 0%, si determinerebbe la seguente situazione:
Crescita PIL Germania > Tasso d’indebitamento Germania
1,65 > 0 , per cui il debito teutonico si ridurrebbe dell’1,65% ogni anno. Altro che storie! Da noi il debito continua inesorabilmente a salire del 3% l’anno e loro invece lo riducono! Questo spread, ben più importante di quello enfatizzato dai media, è di 465 punti base!!
Cerchiamo di spiegare perché la Germania emettendo debito su cui non paga interesse, è come se stampasse moneta (per inciso, non erano i tedeschi i più grandi nemici della stampa di moneta per paura dell’inflazione??!,…avranno cambiato idea…mah..misteri del cosmo!)
Questa bella notizia dalla Germania, ci consente di tornare a spiegare da una differente prospettiva cosa sia in realtà il "debito pubblico", cioè una passività dello Stato verso il settore privato, su cui paga un interesse. Ma anche la moneta comunemente intesa, la banconota o il saldo di conto corrente (nella misura in cui è convertibile in banconote) è anch’essa una passività dello Stato, solo che non paga interesse.
Ergo: debito pubblico e moneta sono equivalenti e lo Stato può scegliere di emettere l’uno o l’altro, indifferentemente.
Il debito pubblico e "la moneta" sono equivalenti, perché il credito (debito) che le banche creano, alla fine ha valore in quanto promette di essere scambiato, su richiesta, in moneta emessa dallo Stato (ad esempio, se ci rechiamo al bancomat per un prelievo, il nostro saldo o parte di esso, viene corrisposto in denaro contante).

In un mondo come quello degli ultimi anni in cui il debito pubblico paga quasi 0% (accade per gli Usa, Giappone, ora in Germania), la distinzione tra debito pubblico e moneta scompare del tutto perché sono in realtà all’origine la stessa cosa, due passività dello Stato.
E che la quantità di moneta (contante o credito) sia fondamentale per la crescita dell’economia e dunque per consentire la sostenibilità del debito, lo si comprende dai seguenti grafici:


In appena 6 anni, tra Italia e Germania, si è creato un gap del 30% nella quantità di moneta M3 presente nell’economia.
Bisogna capire che la quantità di moneta conta eccome nel permettere al sistema economico di crescere, come spiegava Milton Friedman nel 1948 (e come ripetono oggi Mosler, Werner, Lucas, Woodford, Keen,…) mentre invece per i vari Draghi, Padoan, Giavazzi, Alesina e praticamente il restante 90% degli esperti economici, la moneta è irrilevante, perché questa si produce miracolosamente quando l'economia cresce...(e se non cresce è sempre per qualche motivo "reale").

Friedman, quando nel 1948 i tassi di interesse nel mondo occidentale erano tutti vicino a 0% (come oggi) e si parlava allora (come oggi) di una stagnazione globale, affermava che:
“Se il volume di investimenti che dà la piena occupazione è inferiore al volume di risparmi che sono generati a questo livello di reddito e di prezzi... allora... quello che occorre è un livello di deficit (pubblico) tale da compensare la moneta tesaurizzata e non spesa.. .L'aumento della quantità di moneta che seguirebbe a questo deficit pubblico farebbe aumentare la posizione finanziaria del pubblico e poi anche la frazione di reddito che viene spesa... e ci sarebbe poi anche un aumento dei prezzi e del reddito e prodotto nazionale monetario e una graduale riduzione poi del deficit..."
Fin quando si continuerà a tagliare i deficit, con la scusa della riduzione del debito, del rispetto degli imbecilli parametri dei Trattati, non ci sarà salvezza per il nostro Paese. E’ l’intero sistema bancario che oggi di fatto crea la moneta, che deve essere cambiato, prima di ogni altra riforma, prima di ogni altra nuova legge.
Le tanto invocate riforme renziane, il Senato, la modifica all’art.18, la legge elettorale, l’evasione e la corruzione, la casta e le sua prebende, non c’entrano un fico secco con la triste ed ingloriosa fine del sistema produttivo e sociale italiano e non faranno altro che peggiorare la situazione economica dei cittadini italiani.
di Stefano Di Francesco 05/09/2014 18:37:06
Tratto da:Magdi Cristiano Allam
 
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Il Procuratore Generale Tarquini spiega la truffa di Bankitalia

Posted on August 15, 2011 by antonioportobello
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Tratto da “La banca, la moneta e l’usura – La Costituzione tradita”, di Bruno Tarquini
[*], già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell’Aquila (ed. Controcorrente, Napoli 2001)
“Le anomalie di un bilancio […] la Banca d’Italia, nei propri bilanci, iscrive tra le poste passive la moneta che immette in circolazione. Questo ritiene di poter fare in virtù di un mero gioco di parole, che si risolve in definitiva in una presa in giro del popolo, sfruttando in modo truffaldino la formula che ancora si trova scritta sulle banconote (“Lire centomila – pagabili a vista al portatore” – firmato “Il Governatore”) e che, oggi, non avrebbe più alcuna ragione di essere, perché non significa nulla [1].

Infatti si tratta di un’obbligazione che l’istituto bancario si assumeva nel passato (nel tempo, cioè, in cui vigeva la convertibilità del biglietto di banca in oro) di convertire appunto la carta moneta nel metallo prezioso che ne costituiva la garanzia (base aurea).

Nei tempi attuali, in cui quella convertibilità è stata abolita ed è stato imposto il corso forzoso della moneta cartacea, quella “promessa di pagamento a vista” ha perduto ogni contenuto e non può, quindi, avere alcun valore. Tuttavia la Banca d’Italia ritiene ancora di potersene avvalere, confidando che la mera apparenza, che ancor oggi conservano i biglietti di banca, di cambiali a vista, e quindi formalmente di debito, le possa consentire legittimamente di considerare la moneta immessa in circolazione come una propria passività da iscrivere in bilancio tra le poste passive. Ed è noto come l’aumento artificioso del passivo, in un bilancio societario, determini un illecito annullamento dell’attivo [2].

Quindi l’Istituto di Emissione immette in circolazione banconote che sono non solo prive di alcuna copertura (neanche parziale) o garanzia, ma anche strutturate come false cambiali, che da un lato offrono una parvenza di legalità alla loro iscrizione nel passivo dell’azienda, dall’altro costituiscono un “debito inesigibile”, come affermano le stesse autorità monetarie, inventando una fattispecie giuridica di cui facilmente si può misurare l’assurdità. A parte, infatti, che la inesigibilità non può che riguardare il credito (perché è questo che, caso mai, non può essere esatto), con la formula del “debitore inesigibile” si fa decidere allo stesso debitore di non pagare il debito.

Una cosa è dire che “il credito” è inesigibile perché il debitore non può pagare, altra cosa è invece dire che esso è inesigibile perché il debitore (la Banca Centrale) per legge ha la garanzia di non dover pagare.

Riassumendo, delle due l’una: o la Banca d’Italia non è proprietaria della moneta al momento dell’emissione (come hanno affermato i rappresentanti del governo rispondendo alle interrogazioni parlamentari) ed allora appare del tutto ingiustificato che ne tragga un utile, tanto più che la banca stessa assume di essere debitrice dei simboli monetari emessi, così da iscriverli come posta passiva nel proprio bilancio; oppure la Banca Centrale (contrariamente a quanto dichiarato dai due Sottosegretari di Stato) è proprietaria di quella moneta e con giustificazione (solo apparente) ne ritrae un utile dal suo prestito al sistema economico nazionale, ma allora assume i contorni di un fatto illecito far figurare come poste passive operazioni che sono invece indubbiamente attive.”
Note:

[*] Bruno Tarquini è nato ad Avezzano (L’Aquila) nel 1927. Laureatosi in giurisprudenza nel 1948 presso l’Università di Roma, è entrato giovanissimo in magistratura, percorrendone tutti i gradi. è stato pretore a Roma e, dal 1955, al Tribunale di Teramo, prima come giudice, poi come presidente; nel 1986 è stato trasferito alla Corte d’Appello dell’Aquila, dove ha svolto le funzioni di presidente della sezione penale e della Corte d’Assise di secondo grado, infine, nel 1994, è stato nominato Procuratore Generale della Repubblica presso la stessa Corte d’Appello. Gli studi giuridici e l’attività professionale non gli hanno impedito di alimentare le sue curiosità intellettuali, con particolare riguardo alla storia.
 
diamo una mano a capire i primi concetti di base.oltre le verita'ufficiale. verra' recepita...........da Nostradamus?..:D pare che nn conosca il divorzio b.i. ministero .ciampi andreatta
 

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