SE MI CERCATE SONO IN RIUNIONE CON LE VOCINE...

Costoro non conoscono pudore, intimità, riserbo.
Vi è forse un effetto catartico nella spettacolarizzazione mediatica, esiste una flebile speranza che l'esteriorizzazione del dolore ne attenui l'intensità.

Gli spettatori si appassionano al sequel mortifero, a ogni ora del giorno c'è l'ultima dichiarazione del padre al quale ha risposto, proprio pochi minuti fa,
la madre del presunto omicida il quale fa sapere in un video che non rilascerà dichiarazioni, a parte quelle vergate dall'avvocato su Facebook.
 
e questo è l'ultimo esempio di cosa siano capaci di fare giornalai e televisioni trash

Per i media messicani che hanno presidiato per ore quello che restava della scuola elementare Enrique Rébsamen
nel quartiere di classe media di Villa Coapa, a sud di Città del Messico, Frida Sofia doveva essere il simbolo della speranza.

Che anche in un evento tragico come il terremoto di magnitudo 7.1 che ha devastato la capitale Città del Messico insieme ad altri cinque Stati non poteva non mancare.
E così dirette fiume non hanno mollato un secondo quello che ormai si era trasformato in un set televisivo,
un po' come successe in Italia nel 1981 con il caso del piccolo Alfredo Rampi caduto in un pozzo a Vermicino.
Dirette che non sono cessate neanche quando, invece, i soccorritori si sono fermati a causa di un'altra scossa di terremoto localizzata nell'istmo di Tehuantepec, a 646 chilometri dalla capitale.
O quando ulteriori crolli all'interno dell'edificio hanno rallentato quasi del tutto le operazioni di soccorso.
L'importante era non perdere di vista la storia clou di questo crollo dove già si erano contate 23 vittime, 19 bambini e 4 adulti.

E così come un tam tam la storia di questa Frida Luisa, ragazzina di 12 anni rimasta intrappolata sotto un tavolo di granito massiccio
insieme ad altri quattro compagni ma con intorno tantissimi bambini morti, è stata diffusa per ore. In un crescendo di pathos.
Pieno peraltro di dettagli realistici. Come il sensore termico con cui i soccorritori l'avrebbero localizzata
e le sue prime parole con cui avrebbe raccontato come era incastrata.

Una storia di cui una nazione forse aveva bisogno per aggrapparsi ad una speranza qualsiasi
con oltre 270 morti e almeno duemila feriti, nonché edifici e interi paesi distrutti.

Ma come una doccia fredda sono arrivate le parole nientedimeno che del viceministro della Marina, Ángel Enrique Sarmiento Beltrán,
che ha dichiarato che non ci sono segni di vita di bambini ma solo di una donna che lavorava nella scuola, per la quale appunto si continua a scavare.

Niente storia di speranza, niente Frida Luisa, nessun bambino da applaudire una volta tirato fuori vivo.

Sotto accusa adesso finisce Televisa, famosissima nel mondo per le sue telenovelas ma con molti nemici in patria
che ancora si ricordano di quando nel terremoto del 1985 per giorni parlò di un presunto salvataggio di un bambino di nome Monchito
che poi si rivelò essere solo un'invenzione giornalistica.

E anche stavolta a spingere verso una sorta di reality sul luogo del crollo sono stati proprio i reporter di Televisa
che per primi avevano intuito l'impatto mediatico a livello mondiale di una storia del genere.
E così ecco l'inviata Danielle Dithurbide lanciarsi in una diretta no stop, piena di lacrime e seguita a ruota, senza ipotesi di dubbio da canali nazionali e internazionali.
 
Milano, 21 settembre 2017 -
Che cos'hanno in comune Silvio Berlusconi e Boy George, ex leader dei Culture Club? All'apparenza nulla.

E, invece, chi ha navigato sul web ha trovato una divertente sorpresa: un selfie tra la pop star anni '80 e il leader di Forza Italia.
L'occasione per l'incontro, immortalato dal cantante, dj e produttore musicale, è stata la festa esclusiva
di mercoledì sera a Villa Gernetto a Lesmo, in Brianza, di proprietà della Fininvest.
Il party era organizzato dalla casa di gioielli Swarovski e a curare la parte musicale c'era appunto Boy George.

Che non ha perso tempo e ha postato su Instagram con l'hashtag #iconic lo scatto con il padrone di casa.
Tantissimi i commenti e gli sfottò sui social, tant'è che Boy George ha pure replicato con una sua foto con la Thatcher e la stessa parola chiave: #iconic.

Segno che, più di un caso, si tratti di una precisa strategia comunicativa. E, su questo, si sa, Silvio non ha rivali.
 
upload_2017-9-22_11-56-33.jpeg
 
Ma avete mai ben ascoltato la canzone di Cremonini ?

Accendiamo un film porno?
Già ti vedo vestita di rosa,
Ti comprerò casa, sei tu la mia sposa
Ma scendi più giù, vieni a darmi il buongiorno

Ahahahahahahah
 
Ha interesse solo locale , ma serve per far capire di quali leggerezze, superficialità, e quant'altro,
siano (in)capaci Anas - Provincia - Tecnici laureati..........su tutto il territorio nazionale.



Il crollo del ponte di Annone
«Avevano sistemato solo l’estetica»


La consulenza tecnica dell’accusa punta il dito sul progetto di un tecnico esterno - Avrebbe sottovalutato le condizioni del cavalcavia


Tra le cause che avrebbero determinato il crollo del ponte di Annone ci sarebbe anche la sottovalutazione delle reali “condizioni di salute”
del manufatto da parte del tecnico incaricato dall’Anas di stendere uno specifico progetto di manutenzione straordinaria dei ponti, dei viadotti e delle strade in gestione all’ente.


È quanto scrive l’ingegner Marco Di Prisco, consulente del pubblico ministero Nicola Preteroti,
titolare del fascicolo d’inchiesta sulla tragedia del 28 ottobre dello scorso anno, nella relazione depositata in Procura.

L’incarico dell’Anas

«Il finanziamento di tale manutenzione non era stato concesso nè su segnalazione di un degrado ravvisato da un cantoniere, né a seguito di un monitoraggio - scrive Di Prisco -.
Dalla relazione descrittiva a firma del progettista ingegner Roberto Torresan, di maggio 2014 si legge:

“Le strutture in calcestruzzo armato dei manufatti in esame (spalle, pile intermedie, intradosso impalcati, cordoli laterali)
non presentano problemi statici ma, in generale, esclusivamente di degrado, dovuto all’attacco combinato degli agenti atmosferici
e dei cloruri presenti nei sali disgelanti, e, localmente, danni dovuti ad urti accidentali a causa dell’altezza ridotta dell’impalcato».

La conclusione? «Interventi di semplice protezione con vernici a base epossidica, sabbiatura con applicazione di rasatura di protezione, idrodemolizione e ripristino copriferro con malta fibrorinforzata».

Dunque, «persa la memoria della provvisorietà dell’intervento di ripristino eseguito nel 2006» (il ponte era stato danneggiato dal braccio di una gru ed era rimasto off limits per nove mesi, ndr)
e «pensando di non disporre del progetto, abbandonato in qualche schedario della Provincia, senza svolgere la campagna di prove annunciata 7 anni prima,
si preferiva assegnare la responsabilità ad un esterno che, forse ignaro del passato, senza richiedere alcun dato sperimentale diagnostico,
si limitava a proporre per il cavalcavia un intervento “semi-estetico” e soprattutto ad assumersi la responsabilità di dichiarare che il manufatto non presentava problemi statici,
senza chiarire quale carico era in grado di sopportare, senza chiarire a quale carico risultasse sottoposto e senza considerare in alcun modo il danno evidente che la sella Gerber,
che avrebbe innescato 4 anni più tardi il crollo, risultasse già in uno stato fessurato evidente come dimostrato dall’immagine di Google Maps del 2011».

Quindi, Anas e tecnico, secondo Di Prisco, avrebbero evidenti responsabilità nel crollo, costato la vita al civatese Claudio Bertini,
i cui familiari - patrocinati dall’avvocato Biagio Giancola del Foro di Como - chiedono giustizia.

Le negligenze della Provincia

Ma, sul punto, Di Prisco va anche oltre. E punta il dito sulla Provincia di Lecco che,
«in qualità di titolare della sovrastante S.P.49, in corrispondenza del cavalcavia 17 eseguiva soltanto interventi di manutenzione
sulla sovrastruttura stradale della S.P. 49 stessa (pavimentazione, barriere, segnaletica)», perdendo
«almeno quattro occasioni per accorgersi di avere la relazione ed i disegni di progetto, quelle relative ai severi danneggiamenti del ponte
per urti di mezzi circolanti sulla SS36 e per esaminarli al fine di fissare una limitazione di carico per il transito veicolare sul cavalcavia,
nè riteneva utile verificare, stante l’assenza dell’annunciata campagna di prove, quale traffico veicolare si svolgesse su quel cavalcavia,
pur potendo procedere in sicurezza ponendo un cartello di limitazione del carico autorizzato al transito».

LE CONCLUSIONI SONO DURISSIME

È soprattutto la conclusione della consulenza dell’ingegner Marco Di Prisco a far pensare che ci sia spazio
per l’iscrizioni di altre persone sul registro degli indagati, oltre alle tre il cui nome è stato”vergato” fin dall’inizio dell’inchiesta.

Per il docente del Politecnico non ci sono dubbi.

La prima causa del crollo del cavalcavia «è dello stesso che ha imposto carichi prossimi alla sua capacità ultima, determinando una situazione di carico priva dei consueti coefficienti di sicurezza».

E quindi «la Provincia di Lecco che, nella figura del suo responsabile ing. Angelo Valsecchi (già indagato), in qualità di ente gestore della viabilità,
in attesa delle indagini di caratterizzazione annunciate da Anas, avrebbe dovuto apporre un apposito cartello che limitasse la portata massima del cavalcavia a 44t,
escludendo trasporti eccezionali di massa, il che avrebbe consentito al cavalcavia di non subire deterioramenti nel tempo.
Anche i permessi di circolazione periodici concessi dallo stesso dirigente ing. Valsecchi risultano incomprensibili in assenza delle indagini promesse da Anas».

Quindi, «la Provincia di Bergamo nelle figure del responsabile arch. Eugenio Ferraris e del sostituto arch. Silvia Garbelli,
che è responsabile per aver concesso un permesso di circolazione a trasporto eccezionale senza svolgere alcuna verifica come risultava previsto,
in assenza di un elenco di strade non percorribili, e delegando il richiedente ad eseguire ogni controllo senza fornirgli alcuno strumento di verifica».

Poi la società Nicoli, che per Di Prisco sarebbe responsabile «per non aver fornito la scorta tecnica del cavalcavia,
scorta prevista seppure implicitamente nel permesso di circolazione data l’impostazione della velocità massima a 20km/h.
Tale scorta avrebbe consentito l’attraversamento del cavalcavia rimanendo al centro della carreggiata,
evitando l’eccessiva sollecitazione delle selle Gerber più esterne, ca usa del collasso, e di ammalorare il cavalcavia con continui passaggi».

«L’autista Vasile Ciorei è altresì responsabile di non aver rispettato la prescrizione di viaggiare “il più possibile al centro della carreggiata”,
seppure tale indicazione appaia approssimativa e di difficile attuazione in assenza di scorta».

Per il consulente Anas è responsabile «del cattivo stato di manutenzione del cavalcavia» e in particolare della Sella Gerber più esterna crollata sotto il peso del tir.
Ma la sua responsabilità sarebbe anche quella di aver «accettato il parere dell’ing, Torresan senza provvedere autonomamente a una verifica cautelativa della capacità portante».
Responsabilità consequenziale per lo stesso tecnico, che ha dichiarato «l’assenza di problemi statici senza richiedere indagini diagnostiche accurate».

I dirigenti indagati Andrea Sesana della Provincia di Lecco e Giovanni Salvatore dell’Anas
«sono da ritenersi responsabili per non aver impedito la circolazione dei mezzi pesanti sul cavalcavia dopo la caduta del copriferro».
 

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