Nel 2050 si prostituiranno solo i robot
E ancora: le malattie veneree scompariranno e il traffico di donne e bambini sarà un ricordo. Una prospettiva interessante ma piuttosto miope di due ricercatori neozelandesi. Ecco perché
11 maggio 2012 di
Fabio Deotto La prostituzione robot sarà il business del futuro?
La prostituzione robot sarà il business del futuro?
C’era una volta il
sesso virtuale. Erano gli anni ’90, tra gli appassionati di tecnologia non si parlava d’altro che di realtà virtuale: “
Un giorno faremo tutto senza spostarci di casa, basterà indossare un casco e dei guanti e si potrà fare qualunque cosa”. Sesso compreso. Poi gli anni ’90 volsero al termine, la realtà virtuale finì in uno dei tanti cassetti dell’hitech e il sesso virtuale assunse le più sobrie incarnazioni del
cybersesso, del sexting e del
sesso in realtà aumentata.
Oggi, un
articolo pubblicato da due ricercatori neozelandesi sulla rivista Futures, resuscita il sesso virtuale ipotizzando una nuova frontiera: l’avvento delle
prostitute robot. A dire il vero, quello dei
sexbot, ovvero di androidi programmati per soddisfare sessualmente degli esseri umani, non è un concetto nuovo. Negli ultimi anni hanno addirittura cominciato a circolare i
primi modelli, tra cui l’indimenticabile
Roxxxy, una specie di bambola gonfiabile dotata di
5 diverse personalità e di una voce sensuale quanto un chip surriscaldato.
I due studiosi neozelandesi autori del paper
Robot, men and sex tourism, Michelle Mars (sessuologa) e
Ian Yeoman (futurologo esperto in turismo), spingono l’orizzonte un po’ più in là immaginando un
2050 in cui le roboprostitute saranno la norma, e soprattutto, un futuro in cui
malattie veneree e
traffico sessuale saranno solo un brutto ricordo.
Prima di entrare nel merito della questione, una domanda sorge spontanea: che aspetto avranno le cybermeretrici (o i cybergigolò) del 2050? Saranno ammassi di ferraglia con attributi sufficientemente morbidi e realistici? Oppure organismi biomeccanici senzienti progettati per soddisfare gli uomini come la
Wind Up Girl, l’ottimo romanzo (non tradotto in italiano) che ha fruttato il
premio Hugo a Paolo Bacigalupi? È un punto cruciale, dal momento che la possibile riuscita di un’operazione simile dipende in larga parte dall’effettiva possibilità che un individuo possa sentirsi sufficientemente
eccitato da una macchina dotata di arti biomeccanici e una capacità di rispondere a stimoli.
Yeoman e Mars ipotizzano androidi dotati di una
pelle simile a quella umana, realizzati con particolari
fibre antibatteriche che possano essere opportunamente lavate a fine utilizzo per impedire la trasmissione di patologie infettive. I due studiosi dipingono un futuribile cyberbordello situato ad Amsterdam, dove i clienti spenderebbero intorno ai
7.500 euro per una notte di servizio all-inclusive con uno dei sexbot. Nel futuro preconizzato dai due neozelandesi la prostituzione diventerebbe un
business senza pari, anche e soprattutto grazie al fatto che gli uomini (ipotetiche clienti donne non vengono nemmeno contemplate) potrebbero godere dei servizi della prostituzione senza doversi caricare sulle spalle il
senso di colpa derivante dallo sfruttamento sessuale di un altro individuo.
Inaspettatamente, quella che sembra una dozzinale e miope prospettiva da fantascienza hard-boiled è stata accolta con un
certo entusiasmo da buona parte dei media, alcuni dei quali non hanno esitato a definire i sexbot come una possibile e
auspicabile soluzione al problema della
schiavitù sessuale, che ogni anno trascina centinaia di migliaia di donne e bambini nel gorgo del traffico sessuale.
Stando ai
dati raccolti dal gruppo IAST (Initiative Against Sex Trafficking), quasi
4 milioni di persone (uomini, donne e bambini) sono ogni anno oggetto di vero e proprio smercio, tra questi almeno
1 milione di bambini finiscono regolarmente nelle spire del traffico sessuale. Si tratta di persone provenienti da ogni parte del mondo, ma in particolare da nazioni come Russia, Ucraina, Romania, Bulgaria, Cina e Nigeria. Il traffico sessuale sgorga da queste regioni per confluire in alcune delle nazioni più rispettabili del mondo occidentale: tra quelle in cui la domanda è maggiore figurano Israele, Belgio, Giappone, Germania e
Italia. Si tratta di un business enorme, che secondo le analisi condotte dalla Interpol genera un giro di denaro pari a
14 miliardi di euro annui.
Partendo da questi dati, Yeoman, Mars e una schiera di giornalisti hanno individuato nei sexbot del futuro la soluzione definitiva al problema del traffico sessuale. Secondo i loro calcoli, basterebbe allestire dei cyberbordelli in tutti questi paesi a convincere le migliaia di clienti di questo business a passare dalla carne ai circuiti, a ridurre la domanda di bambini e ragazze straniere, a creare un giro d’affari legale simile a quello che interessa oggi le Filippine e l’Olanda, dove la prostituzione è una
vera e propria industria, legale e incredibilmente profittevole.
Ma c’è qualcosa di estremamente fuorviante, in questo tipo di previsioni. Vediamo perché. Poniamo che di qui a quarant’anni le persone imparino ad abituarsi ad
avere rapporti sessuali con delle macchine umanoidi (improbabile), poniamo pure che roboprostitute e robogigolò siano abbordabili a un prezzo nettamente inferiore a quello proposto dai due neozelandesi, difficilmente questo potrebbe tradursi in un successo dell’industria dei sexbot. Le ragioni sono molteplici.
La prima ha a che fare con quello che gli individui cercano nel sesso a pagamento. Come nota saggiamente
Christopher Mims su TechnologyReview, i clienti del traffico sessuale non cercano soddisfazione sessuale, piuttosto una deviata forma di
soddisfazione psicologica : “
Provate a spendere cinque minuti leggendo le storie delle donne, dei bambini e degli uomini vittime del traffico sessuale e vi sarà chiaro che per la maggior parte dei loro clienti l’interazione riguarda la degradazione, non il sesso”.
Siamo sicuri che pagare una macchina perché si faccia possedere carnalmente possa lontanamente rimpiazzare l’attuale prostituzione? Per non parlare poi del problema del
traffico di bambini. In un 2050 premeato dal sesso robotico i clienti
pedofili continueranno a voler pagare cifre enormi per sfruttare sessualmente deiminori, a meno che si arrivi davvero a produrre baby-sexbot e che i governi ne autorizzino l’utilizzo (il che è piuttosto inverosimile).
Al di là di queste considerazioni, esiste un problema più
formale, che riguarda l’
aspetto che avranno gli androidi peripatetici del 2050. Nel 1970, l’esperto di robotica Masahiro Mori postulò una teoria chiamata
Uncanny Valley, secondo la quale quando i robot raggiungeranno un sufficiente grado di similarità con gli esseri umani il
loro aspetto comincerà a disgustarci. Secondo questa teoria ponendo la similarità con gli esseri umani in funzione della nostra capacità di apprezzare creature androidi, esiste una zona in cui una somiglianza ravvicinanata ma non sufficientemente fedele scaturirebbe in una decisa
repulsione nei confronti di un robot androide.
Riusciranno gli androidi del 2050 a simulare interazioni e movimenti indistinguibili da quelli umani? A giudicare dai
sexbot oggi in commercio, stiamo solo cominciando a discendere la curva di disgusto che conduce all’Uncanny Valley, e potrebbero non bastare 40 anni a risalire la china abbastanza da crearne un business.