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Ahahahahahahahahah

Terremoto in Regno Unito.

La numero uno di una delle più grande banche britanniche, la Natwest,
che gestisce più di 1.600 filiali tra Gran Bretagna, Irlanda ed Irlanda del Nord,
si è dimessa stamattina, dopo aver fatto trapelare informazioni riservate ad un giornalista
sul conto in banca di Nigel Farage, uno dei leader che ha portato il Regno Unito alla Brexit nel 2016.

La Ceo di Natwest è Alison Rose, alla guida del colosso finanziario dal 2019,
ed oggi costretta alle dimissioni a causa della denuncia dell’ex politico
che il suo conto con la banca d’affari privata Coutts, che fa parte del gruppo NatWest,
era stato chiuso all’improvviso per ragioni politiche.

Ma il dato rilevante è che fu la stessa Coutts ad affermare
come le ragioni della chiusura d’ufficio fossero di natura commerciale,
per poi essere completamente smentita dalla stessa Rose,
che giovedì scorso ha dovuto formulare le sue scuse pubbliche a Farage:



“Le scrivo per chiedere scusa per i commenti inappropriati sulla sua persona.
L’esperienza che lei ha attraversato, evidenziata in questi giorni,
dimostra anche che dobbiamo sottoporre a scrutinio le nostre procedure”,

si legge nella nota, che prosegue:

“Credo fermamente che la libertà di espressione e l’accesso ai servizi bancari siano fondamentali per la nostra società.
Capisco pienamente la sua preoccupazione e quella del pubblico per il fatto che le procedure,
che portano alla chiusura di un conto bancario, non sono sufficientemente trasparenti”.
 
E IN ITALIA ????


Prima di queste dichiarazioni,
Farage aveva deciso di avviare una richiesta di accesso ai documenti
che trattavano i suoi dati personali nella banca (il cosiddetto data subject access request).

Per legge, gli istituti creditizi sono obbligati a trasmettere questo tipo di informazioni,
che nel caso specifico erano racchiuse in 40 pagine,
nelle quali l’ex politico britannico veniva definito dai dirigenti dell’istituto

un “truffatore in malafede”,

“utile idiota di Putin“,

di avere opinioni “xenofobe e razziste“,

di essere “transfobico”,

di avere formulato “false affermazioni sulla Brexit”,

che la sua “retorica sull’invasione di migranti illegali” contribuisce alla discriminazione
“e in alcuni casi ad atti di violenza contro i migranti”.
 
Il documento, trapelato in seguito alla richiesta di accesso di Farage, ha inchiodato i vertici.

E da qui, è partito lo scaricabarile.

Rose ha detto di non aver preso parte alla decisione di chiudere il conto:
“Questa decisione è stata presa da Coutts, e sono stato informata in aprile che era per motivi commerciali”.

Un altro dato particolare sta nel fatto che è lo stesso governo britannico
a detenere una partecipazione di circa il 39 per cento in NatWest,
dopo aver salvato l’allora società madre della banca, la Royal Bank of Scotland,
durante la crisi finanziaria del 2008.

E settimana scorsa, guarda caso, il Tesoro britannico ha proposto nuove regole
che costringeranno le banche a “spiegare e ritardare” qualsiasi decisione di chiudere un conto.

Il controllo di RBS nasce nel 2000,
da quando la National Westminster Bank venne cancellata dal listino della London Stock Exchange,
divenendo parte inglobata della Royal Bank of Scotland.

Un’operazione tra le più importanti della storia finanziaria britannica,
che permise al gruppo RBS di trasformarsi nel secondo maggiore gruppo bancario in Europa,
nonché nel quinto a livello globale.


Ora, Alison Rose sarà sostituita da Paul Thwaite, l’attuale Ceo delle attività commerciali e istituzionali di NatWest,
per tutto il tempo necessario per trovare un sostituto permanente.

Nel frattempo, le azioni della banca sono crollate del 3 per cento questa mattina,
cancellando oltre 600 milioni di sterline dal suo valore di borsa.
 
Oh, stamattina è una risata dietro l'altra a leggere quel che salta fuori.

Le cattive notizie per il presidente Biden non finiscono con la caduta del patteggiamento del figlio:
  • pubblicato il documento che FBI e DOJ hanno tentato di insabbiare:

  • 10 milioni ai Biden per far cacciare il procuratore che indagava su Burisma

  • le telefonate che smentiscono Joe: i vertici di Burisma in vivavoce con l’allora vicepresidente

  • le testimonianze degli informatori dell’IRS sugli sforzi del Dipartimento di Giustizia per ostacolare le indagini

Il patteggiamento-farsa di Hunter Biden con il Dipartimento di Giustizia su due reati fiscali minori è morto e sepolto.

A farlo saltare il giudice federale Maryellen Noreika,
che ha specificamente contestato il fatto che l’accordo prevedesse per l’imputato
una immunità da qualsiasi eventuale nuova accusa che fosse emersa in futuro da indagini ancora in corso,
comprese potenziali violazioni del FARA (Foreign Agents Registration Act, la legge sulla registrazione degli agenti stranieri).



 

Un condono tombale​

Il giudice Noreika ha così scoperchiato lo scandalo
di questo generoso e inusuale patteggiamento offerto al figlio del presidente
dall’amministrazione guidata dal padre.

Un accordo che altro non era che un tentativo di “demolizione controllata”
per consentire all’amministrazione Biden e ai media compiacenti di dichiarare chiuso il caso,
nonostante i ben più gravi reati che emergono dal laptop del figlio del presidente e dal rapporto di una fonte dell’FBI.

Dichiarandosi colpevole di due illeciti minori, infatti,
Hunter si sarebbe garantito una immunità legale per tutti i reati più gravi oggetto dell’inchiesta ancora in corso.
Di fatto, un condono tombale.


Il giudice quindi lo ha fatto saltare,
sottolineando tra l’altro che non ci sono precedenti di un patteggiamento in cui l’imputato ottenga
prima del dibattimento una misura alternativa per una violazione della legislazione sulle armi da fuoco
e dando tempo 30 giorni alle parti per rispondere alle sue domande di chiarimento.


L’insabbiamento del DOJ​

Interrogati dal giudice,
i procuratori non hanno nemmeno voluto rivelare su cosa il figlio del presidente sia ancora sotto indagine,
né se sotto inchiesta ci siano anche potenziali violazioni FARA,
il che aumenta il sospetto che il patteggiamento servisse a seppellire proprio tali violazioni.

Dunque, dopo che il giudice ha fatto saltare l’immunità rispetto a nuove accuse penali,
Hunter Biden si è dichiarato non colpevole per tutti i reati.

La caduta dell’accordo non significa però che ora vedremo formulare accuse più gravi nei confronti di Hunter Biden,
quelle relative allo schema corruttivo descritto da una fonte dell’FBI,
perché il Dipartimento di Giustizia ha ampiamente dimostrato la sua determinazione a voler coprire la famiglia Biden.

Nelle loro testimonianze al Congresso, due informatori dell’IRS (l’agenzia fiscale Usa)
che hanno lavorato dall’inizio al caso hanno rivelato nel dettaglio
come il Dipartimento di Giustizia di Biden abbia ostacolato in tutti i modi l’indagine.

Ma le cattive notizie per il presidente Biden non finiscono con la caduta del patteggiamento-farsa del figlio.

I​

 

Il rapporto della fonte dell’FBI​

Giovedì scorso, il senatore Chuck Grassley
ha divulgato il rapporto in possesso dell’FBI dal giugno 2020
(qualche mese prima delle presidenziali vinte da Biden)
in cui sono raccolte le dichiarazioni di una fonte ritenuta “altamente affidabile”
che descrive nel dettaglio lo schema corruttivo dei Biden con un soggetto ucraino.


Il modulo FD-1023 dell'FBI in cui viene descritto lo schema corruttivo in cui sarebbero implicati Hunter e Joe Biden.


L’esistenza di questo documento non classificato
(un modulo FD-1023, utilizzato dall’FBI per raccogliere le dichiarazioni delle sue “fonti umane riservate”)
era stata confermata il 4 maggio scorso dal presidente della Commissione vigilanza della Camera,
il Repubblicano James Comer, che aveva immediatamente emesso un mandato per obbligare l’FBI a fornirlo al Congresso.

Ma il Bureau per settimane ha opposto resistenza,
limitandosi a permettere ai deputati e ai senatori di visionarlo ma non di acquisirlo.

Ora finalmente è pubblico.

Secondo la fonte, si può leggere ora nel rapporto,
che la compagnia energetica ucraina Burisma
– nel cui board sedeva Hunter mentre il padre era vicepresidente –
ha pagato a Hunter e Joe Biden 5 milioni di dollari ciascuno
perché l’allora vicepresidente “tutelasse” Burisma “da ogni tipo di problemi”.

Queste tangenti in aggiunta agli oltre 4 milioni di dollari complessivi pagati a Hunter
e al suo socio Devon Archer come membri del board della compagnia.
 
Secondo quanto il fondatore di Burisma, Mykola “Nikolai” Zlochevsky, ha riferito alla fonte dell’FBI,
corroborato dalle e-mail del chief financial officer di Burisma, Vadym Pozharsky,
a Hunter Biden (così come dalle dichiarazioni di Pozharky allo stesso informatore dell’FBI),
Hunter fu messo nel board di Burisma, nonostante la sua mancanza di esperienza e valore nel business energetico,
al fine di indurre l’allora vicepresidente Biden a usare la sua influenza politica a favore dell’azienda.

E com’è noto, sembra proprio che almeno un intervento dell’allora vicepresidente Biden sia stato fondamentale.

Zlochevsky ha spiegato alla fonte dell’FBI di essere stato “in qualche modo costretto a pagare i Biden
per assicurarsi che il procuratore generale ucraino Viktor Shokin fosse licenziato”.

Lo stesso Joe Biden si è vantato pubblicamente
di aver ottenuto da Kiev la rimozione del procuratore,
che stava indagando su Burisma e il suo fondatore.


Zlochevsky ha confidato alla fonte dell’FBI di aver effettuato i pagamenti ai Biden
in modi che avrebbero richiesto agli investigatori “10 anni” per trovarne traccia.

E di aver conservato 17 registrazioni di conversazioni con i Biden – due delle quali con Joe –
oltre a “molti messaggi di testo”
e due documenti che l’informatore “ha inteso essere” documenti finanziari di “pagamenti ai Biden”.

Dichiarazioni verificate​

Sembra anche che almeno parte delle dichiarazioni della fonte fossero state confermate.

Quando l’ufficio dell’FBI di Pittsburgh ha informato l’ufficio del procuratore federale del Delaware, David Weiss,
sulle prove del piano di corruzione dei Biden,
gli agenti hanno anche riferito al team del procuratore
di aver già corroborato diversi fatti delle affermazioni della “fonte umana riservata”,
ha riportato Margot Cleveland su The Federalist citando una fonte.

Ma non solo l’ufficio di Weiss ha apparentemente ignorato le accuse contenute nell’FD-1023,
così come le prove già corroborate dall’ufficio dell’FBI di Pittsburgh,
avrebbe anche nascosto l’esistenza stessa dell’FD-1023 agli investigatori dell’IRS che indagavano sul caso.

Entrambi gli informatori dell’IRS hanno testimoniato di non aver nemmeno saputo dell’esistenza dell’FD-1023,
di essere stati tenuti all’oscuro di intere parti del laptop di Hunter
e di essere stati esplicitamente intimati a non intraprendere azioni investigative collegate a Joe Biden.

 

Le telefonate con Joe​

Domenica scorsa un altro duro colpo per il presidente Biden.

In almeno due dozzine di casi, Hunter ha messo suo padre, allora vicepresidente,
al telefono con i suoi soci d’affari all’estero, con i dirigenti di Burisma.

Almeno una dozzina di volte in vivavoce.

In un caso, due dirigenti di Burisma avrebbero chiesto esplicitamente a Hunter: “Puoi chiamare tuo padre?”

Questo è ciò che si preparerebbe a testimoniare al Congresso l’ex socio di Hunter, Devon Archer,
ha scritto Miranda Devine domenica scorsa sul New York Post.

Archer dovrebbe testimoniare lunedì prossimo alla Commissione di vigilanza della Camera
sugli incontri a cui ha assistito ai quali avrebbe partecipato anche Joe Biden, di persona o in vivavoce,
quando Hunter avrebbe chiamato suo padre e lo avrebbe presentato a partner commerciali stranieri o potenziali investitori.

Ora, l’imbarazzo per il presidente Biden
è che in più occasioni, dal 2019 in avanti,
ha smentito categoricamente
di aver mai avuto contatti con i soci d’affari di suo figlio,
o di aver discusso dei suoi affari con lui:


“non ho mai discusso, con mio figlio o mio fratello o chiunque altro, di qualcosa che abbia a che fare con i loro affari…”;

“non ho mai parlato con Hunter dei suoi rapporti d’affari all’estero”;

“non ho mai discusso dei miei affari o dei loro affari, di mio figlio o di mia figlia, e non ne ho mai discusso …
[Hunter] non ha fatto una sola cosa di sbagliato”.

Ma la testimonianza di Archer smentirebbe clamorosamente il presidente.

 

La rimozione di Shokin​

In un momento critico,
quando i dirigenti di Burisma stavano esercitando pressioni su Hunter Biden e Devon Archer
affinché facessero di più per bloccare l’indagine sul fondatore della compagnia Zlochevsky,
Archer afferma che Hunter ha messo Zlochevsky e un altro dirigente
direttamente in contatto con l’allora vicepresidente Joe Biden
durante una chiamata in vivavoce dall’estero.

Era il 4 dicembre 2015.

Pochi giorni dopo, il vicepresidente arrivò a Kiev.

Negli incontri con l’allora presidente Petro Poroshenko e altri alti funzionari ucraini,

Biden minacciò che se il procuratore Viktor Shokin, che stava indagando su Zlochevsky,

non fosse stato licenziato,

avrebbe trattenuto 1 miliardo di dollari in aiuti economici

di cui l’Ucraina aveva un disperato bisogno.

Nonostante i suoi legami con Poroshenko, Shokin fu licenziato circa quattro mesi dopo, a marzo del 2016.


E nel 2018, in un famoso video, Biden se ne vantò.

Parlando al Council on Foreign Relations (CFR),
raccontò di aver detto agli ucraini:

“Me ne vado tra sei ore. Se il pubblico ministero non viene licenziato,
non avrete i soldi”
.

E concluse ridacchiando:

“Beh, figlio di puttana, è stato licenziato”.


 

Il nome di Joe Biden è ovunque nel rapporto della fonte dell’FBI

e questo spiega perché

(1) i Democratici hanno cercato così disperatamente
di mettere sotto impeachment l’allora presidente Donald Trump
che stava cercando di andare a fondo sulla corruzione di Biden
chiedendo l’aiuto del presidente Zelensky;

(2) l’FBI e il Dipartimento di Giustizia
hanno nascosto il documento agli investigatori dell’IRS
e al Congresso e ostacolato le indagini su Hunter;

(3) hanno siglato il patteggiamento-farsa.
 

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