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In fondo contava di sfangarsela anche questa volta,
con una maggioranza raccogliticcia,
cui non guardare troppo per il sottile,
all’insegna dell’adda passà ‘a nuttata,
che, però, risponde ad una precisa strategia
ben evidente nella stessa elezione e rielezione di Mattarella.


Intanto, va enfatizzata la rottura di una prassi fatta propria dalla costituzione materiale,
cioè di una alternanza nella copertura della suprema carica della Repubblica,
se si guarda agli ultimi eletti, almeno tre, Scalfaro, Napoletano, Mattarella,
caratterizzati da una pregiudiziale verso il centrodestra,
gli ultimi due addirittura espressione del “vecchio” e del “nuovo” partitone,
all’insegna di un mitizzato continuismo.



Se si tiene conto del mandato prorogato di Napolitano e del mandato bissato di Mattarella, il conto è presto fatto,
più di un ventennio ipotecato da un uomo del Pd,
che non si può ingenuamente pensare si faccia di un tratto dimentico del suo credo e del suo referente principale.


Tutto sta nella natura e consistenza di questa pregiudiziale verso il centrodestra,

che ha reso e rende strabico lo sguardo dei presidenti figliati dal Pd,

cioè la non idoneità di questo centrodestra a governare,

secondo una valutazione che degrada la sua eventuale vittoria elettorale

ad una pericolosa infatuazione “populista”,

parola di per sé evocatrice di una ondata protestataria irrazionale e irresponsabile.


Sì, ché diventa una qual sorta di regola prioritaria
quella di evitare al limite dell’impossibile il ricorso alle elezioni politiche,
nella speranza che, nell’attesa della fisiologica scadenza della legislatura,
la coalizione progressista diventi competitiva,
nel mentre la bolla della coalizione populista si sgonfi
proprio in relazione all’aggravarsi della doppia emergenza sanitaria ed energetica.


Non ha funzionato,

tanto che vien da chiederne conto al vero burattinaio,

quel Mattarella di cui i grandi giornali temono addirittura di farne il nome,

relegandolo ad un mero notaio certificatore degli equilibri parlamentari.
 
Chi è che riporta fake news?!?!…solo per gettare benzina sul fuoco e tirare la volata al PD?


Repubblica e LaStampa, che tra l’altro hanno stesso editore ( Elkann ) che è notorio sia proprio una dinastia con ideali di sinistra, da sempre… :d:

riportano che a causa della caduta del governo il DL aiuti passerebbe da 23 a 3 mld per Repubblica e da 10 a 3 mld per LaStampa.

Ooh mettetevi d’accordo però che sennò i vostri seguaci che pendono dalle vostre labbra poi si sentono confusi…:barella:







Poi, invece scopri che sul Messagerro riportano e sostengono che il bonus da 200€ X 30 milioni di italiani è salvo…e qui ammetto di andare un po’ in difficoltà…perché a me hanno insegnato che 200 X 30.000.000 = 6.000.000.000 di €…solo per questo bonus :)




Quindi per ricapitolare:

repubblichellabella scrive tutta allarmata e bagnata che si crolla da 23 a 3 miliardi di €…i cuginetti nobili de LaStamperiaElkann da 10 a 3 miliardi e il Messaggero sostiene che il bonus da 200€ X 30mln di italiani è salvo e quindi fanno 6 miliardi, quindi il doppio di 3 come sostenuto dagli organi di stampa tanto cari agli amigos de la verdad…ma avendo la fortuna di avere qui su IO il detentore della medaglia Fields di matematica…mi rimetto al suo insindacabile giudizio :d:
 
Ultima modifica:
Non sarebbe stato più serio sciogliere le Camere,

a fronte di quell’autentica barzelletta istituzionale, di un paio di compari,

Di Maio e Salvini, fino ad allora sempre pronti alle mani,

che, in una camera d’albergo, in genere destinata a qualche incontro più rilassante,

scelgono uno che si trovava a passare lì accanto, Conte, per fargli fare il primo ministro?


Ma fosse finita lì…


La barzelletta è diventata surreale,

quando l’improvvisato presidente del Consiglio si è visto riconfermato

quando una nuova accoppiata di birboni, Di Maio e Letta,

anch’essi freschi di infamanti offese reciproche,

han fatto comunella, per cercare di salvarsi alla fine

con la poca commendevole ricerca di “responsabili” atti a tamponare una maggioranza in liquidazione.



Perché non rassegnarsi, e chiamare in causa Draghi?

Resta il sospetto che a questo punto fosse in gioco l’obiettivo principale del centrosinistra,
cioè di poter contare su un Parlamento, per quanto “delegittimato” dalla riforma costituzionale,
governabile con riguardo all’elezione del prossimo presidente della Repubblica.


Non credo che Mattarella pensasse all’inizio a se stesso, ma ha cominciato a crederci cammin facendo,
fino ad arrendersi per “spirito di servizio”.


Non senza una duplice ferita fatta a se stesso e alla Costituzione:

di non essere una persona di parola, a conferma della scarsa credibilità della nostra classe politica;

di trasformare una carica prevista in sette anni – termine così pensato per non condizionare la durata della legislatura di elezione –
in una carica potenzialmente rinnovabile a vita come nelle autocrazie.




Si deve uscire dall’atmosfera di ultima spiaggia che pare investire un intero Paese,
coinvolto dal Pd e collaterali in una invocazione collettiva organizzata secondo una tecnica ben nota al PCI di un tempo,
una vera e propria catena di San Antonio, per cui a conti fatti Draghi avrebbe dovuto restare a tutti i costi,
cioè in soldoni rendendosi disponibile a qualsiasi tipo di maggioranza numerica, naturalmente costruita intorno allo stesso Pd.


Si prescinda dal fatto che la pausa elettorale sarà contenuta,
non è affatto negativo che si abbia alla fine un governo eletto,
che possa impostare la nuova legislatura con la predisposizione di una legge finanziaria
sincronizzata con un Pnrr destinato a prolungarsi per un ulteriore triennio, 2023-26.


Resta pur sempre che si è potuto collocare sull’altare della patria sopravvivenza nazionale Mattarella,
ma non sarebbe stato possibile farlo con Draghi,
se non nei sogni ad occhi aperti di un centro spezzatino,
da qui a pochi mesi lui avrebbe dovuto comunque tornarsene a casa.


Recuperata una certa obiettività di valutazione è assai difficile imputare la crisi,
per altro da sempre ribollente sul fondo della pentola,
ad una sorta di follia populista,
ogni forza politica aveva le sue buone ragioni
che mescolavano insieme le ricette da utilizzare per il Paese
e le convenienze da rispettare per il partito.



Ora, in una rapida sintesi, a cominciare da 5 Stelle e Lega, dileggiate come colte da improvvisa pazzia,
certo non trovavano sufficiente spazio identitario in un programma appiattito sul c.d. essenziale,
pagandone il costo in un decrescendo continuo del consenso,
che li avrebbe fatti trovare esangui alla scadenza naturale della legislatura.


Ci sarà stato un perché a crescere fosse chi stava fuori dalla coalizione, Fratelli d’Italia,

e chi stava dentro, ma con l’etichetta di partito di Draghi, il Pd.


Che avrebbero dovuto fare i 5 Stelle, una volta uscita la componente pro-Draghi –

che a posteriori può ben apparire una scelta suicida,

rispetto sia alla prosecuzione dell’esperienza governativa

sia alla sopravvivenza politica dei partecipanti – allinearsi dando a Di Maio & Co ragione?



A questo punto l’unica scelta che potesse salvare Conte da una morte per tisi
era quella di recuperare parte della radicalità originaria,
stabilizzando un consenso intorno al 12-14 per cento,
da giocare in prima persona nel confronto pre-elettorale col Pd,
emarginando del tutto i fuoriusciti.


E, a loro volta, cosa avrebbero dovuto fare Forza Italia e la Lega,
a fronte di una occasione come quella loro offerta di campagna elettorale brevissima,
tale da rendere difficile la realizzazione sia del chiacchierato “campo largo”
sia del non meno chiacchierato “centro”,
sfruttando la ricomposizione di una centrodestra ormai proiettato nell’essere tutto di governo?


Certo, si obietterà, ragioni di partito, non di Paese.

Lo so, ma se si vuole è il tallone di Achille della democrazia,
ma è su quel tallone che si regge, proprio perché il sistema non è a partito unico,
interprete indiscusso e indiscutibile del bene comune.
 
Da comune cittadino mi congratulo con Mario Draghi,

per lo stile rivelato nel governo,

dando e mantenendo sempre la parola,

sì da poter essere di esempio all’attuale abitante del Quirinale.
 
coincidenza
sfortuna
o magari entrambe :d: :d: :d:

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Auguri Signor Presidente.
Lei oggi compie 81 anni.
Ci pensi, a come sarebbe felice la sua vita senza questo onere,
senza funambulismi vari. Nella quiete della sua Sicilia.

Dal 1983 al 2008 è stato deputato, prima per la Democrazia Cristiana (di cui fu vicesegretario)
e poi per il Partito Popolare Italiano, La Margherita ed il Partito Democratico.


Nel discorsetto con cui il presidente Sergio Mattarella
ha annunciato l’inevitabile scioglimento delle Camere,
non poteva mancare un preciso richiamo alla pandemia infinita,
così da servire un comodo assist a chi su tale pandemia ha realizzato una spregiudicata speculazione politica.


Nell’elenco delle emergenze citate dal Capo dello Stato,
su cui egli ha auspicato che, pure all’interno dei toni aspri di una campagna elettorale,

“vi sia, da parte di tutti, un contributo costruttivo nell’interesse superiore dell’Italia”,

egli ha voluto inserire prepotentemente il tema dell’emergenza virale.


Secondo l’inquilino del Quirinale, oltre alle questioni nodali legate agli
“interventi indispensabili per contrastare gli effetti della crisi economica e sociale e, in particolare, dell’aumento dell’inflazione”

e

“all’attuazione nei tempi concordati del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cui sono condizionati i necessari e consistenti fondi europei di sostegno”,

non può essere assolutamente

“ignorato il dovere di proseguire nell’azione di contrasto alla pandemia
, che si manifesta tuttora pericolosamente diffusa."


Tutto ciò, traducendolo nella lingua di noi comuni mortali,
significa che il nostro supremo garante della Costituzione, almeno sulla carta,
ritiene che ancora oggi i rischi che il Paese corre a causa di un virus sempre meno aggressivo
e che determina un conteggio assolutamente falsato dei decessi e dei ricoveri,
in gran parte di soggetti semplicemente positivi al tampone,
siano paragonabili a quelli economici e finanziari di un sistema che viaggia sempre più pericolosamente sull’orlo del baratro.


Rischi di una crisi del nostro colossale debito pubblico, ovvero della sua sostenibilità,
che proprio la folle gestione di contrasto ad una pandemia presentata più letale di una pestilenza,
ha grandemente contribuito ad aumentare, paralizzando in gran parte quasi ogni forma di attività economica.


E da questo punto di vista, ritrovare la stessa ossessione virale nella arroventata campagna elettorale che si prospetta,

così come auspica Mattarella, rappresenterebbe l’ennesimo atto autolesionistico di un Paese alla frutta.
 
"Farei un Polo del buon senso, mettiamo al centro chi sa fare le cose,
un polo del buon senso è quello che serve all'Italia contro chi vorrebbe uscire dall'euro
o contro chi banalmente ha mandato a casa l'Italiano più stimato di tutti
,
i populisti che hanno fatto fuori Draghi che tutta l'Europa apprezzava con passione".

Lo ha detto Matteo Renzi parlando al Tg1, tesi poi ribadita in un'intervista pubblicata oggi su La Stampa.

Renzi non condivide la scelta del Partito democratico di escluderlo dalla coalizione.

"Secondo me un Polo del buonsenso, lo chiamerei così,
contribuirebbe a portare ad una coalizione più vasta, molti più di quindici seggi.
Per questo non capisco la scelta dem.
Ho l’impressione che non abbiano studiato bene la legge elettorale. Ma contenti loro, contenti tutti".


Il leader di Italia Viva non risparmia una critica al Pd:

"Il Pd è responsabile di aver creato il mito di Conte come uomo di sinistra
e aver dipinto i grillini come compagni progressisti.

Oggi lorsignori hanno mandato a casa Draghi e il Pd fischietta.
Ai tempi della Prima Repubblica un gruppo dirigente che ha sbagliato tutto
almeno organizzerebbe un congresso per discutere di linea politica"



Anche Pierferdinando Casini fa eco a Renzi in un'intervista a il Corriere della Sera.

"Qui non si tratta di strumentalizzare Draghi, né di fare partiti pro Draghi, con o senza di lui,
sono tutte alchimie che hanno avuto poco successo in passato
.
Ma le forze che si sono riconosciute nel programma del premier
ritengo che oggi siano chiamate a superare i loro personalism
i e a creare un’area ampia di riformismo che vada da Letta a Renzi, da Speranza a Calenda,
perché l’emergenza in cui ci troveremo nei prossimi mesi si affronta solo così,
mettendo al centro gli obiettivi dell’Italia in una coalizione che non so se possa vincere,
ma che certamente può dare prova di serietà".


Tornando a Renzi, invece, l'ex premier sarà teste al processo al padre Tiziano.

Lo riporta il Fatto Quotidiano, che spiega come Renzi è stato convocato in tribunale a Roma il prossimo 10 ottobre.

"A quel processo, Matteo Renzi è totalmente estraneo, vi è coinvolto invece il padre Tiziano,
che si ritrova imputato con altri con l’accusa di traffico di influenze illecite sulla gara FM4 indetta in passato dalla stazione appaltante".
 

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