Molti non conoscono. Molti altri ...dimenticano.
Il 13 marzo 1975 Ramelli stava ritornando a casa, in via Amadeo a
Milano;
parcheggiato il suo motorino poco distante, in via Paladini, si incamminò verso casa.
All'altezza del civico 15 di via Paladini, fu assalito da un gruppo di extraparlamentari comunisti
di
Avanguardia operaia armati di
chiavi inglesi - la perfida 'Hazet 36', arnese lungo come un avambraccio -
e con queste colpito più volte al capo; a seguito dei colpi, Ramelli perse i sensi e fu lasciato esangue al suolo.
La testimonianza resa da Marco Costa durante il processo fu la seguente:
«Ramelli capisce, si protegge la testa con le mani. Ha il viso scoperto e posso colpirlo al viso.
Ma temo di sfregiarlo, di spezzargli i denti. Gli tiro giù le mani e lo colpisco al capo con la chiave inglese.
Lui non è stordito, si mette a correre. Si trova il motorino fra i piedi e inciampa. Io cado con lui.
Lo colpisco un'altra volta. Non so dove: al corpo, alle gambe. Non so.
Una signora urla: "Basta, lasciatelo stare! Così lo ammazzate!" Scappo, e dovevo essere l'ultimo a scappare.»
A sua volta Giuseppe Ferrari Bravo rese la seguente testimonianza:
«Aspettammo dieci minuti, e mi parve un'esistenza. Guardavo una vetrina, ma non dicevo nulla.
Ricordo il ragazzo che arriva e parcheggia il motorino.
Marco mi dice: "Eccolo", oppure mi dà solo una gomitata. Ricordo le grida. Ricordo, davanti a me, un uomo sbilanciato.
Colpisco una volta, forse due. Ricordo una donna, a un balcone, che grida: "Basta!". Dura tutto pochissimo...
Avevo la chiave inglese in mano e la nascosi sotto il cappotto.
Fu così breve che ebbi la sensazione di non aver portato a termine il mio compito.
Non mi resi affatto conto di ciò che era accaduto.»
Pochi minuti dopo l'aggressione, un commesso vide il corpo coperto di sangue
e allertò la portinaia del palazzo di via Amadeo, dove il giovane abitava.
La portinaia, riconosciutolo, avvertì la
polizia e i soccorsi medici;
un'
ambulanza lo portò all'
Ospedale Maggiore, precisamente all'ex padiglione «Beretta» specializzato in neurochirurgia,
dove il ragazzo fu sottoposto a un intervento chirurgico della durata di circa cinque ore,
nel tentativo di ridurre i danni causati dai colpi inferti alla calotta cranica.
Il decorso post-operatorio fu caratterizzato da periodi di
coma alternati ad altri di lucidità;
le complicazioni cerebrali comunque indotte dall'aggressione lasciavano i sanitari dubbiosi sul recupero delle piene funzionalità fisiche.
Nel corso dell'assemblea consiliare al
Comune che fece seguito all'aggressione,
l'allora sindaco
Aldo Aniasi dovette fronteggiare una turbolenta seduta nel corso della quale,
a fronte della condanna istituzionale dell'aggressione e alle risentite stigmatizzazioni dell'accaduto dei partiti di destra,
vi fu, tra il pubblico presente, chi applaudì alla notizia del fatto e rivolse fischi al rappresentante del MSI
Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse che aveva in quel momento la parola.
All'applauso presero parte anche diversi consiglieri comunali di sinistra.
Mentre Ramelli era ancora in coma, a
Milano seguirono altre aggressioni a esponenti della destra.
Il 16 aprile un gruppo di estremisti di sinistra assalì tre giovani del FUAN che stavano effettuando un volantinaggio.
Antonio Braggion, iscritto anche ad
Avanguardia Nazionale, sparò contro gli aggressori con la pistola che aveva in auto,
uccidendo con un colpo alla schiena lo studente
Claudio Varalli.
Il 17 aprile fu aggredito l'avvocato
Cesare Biglia, allora consigliere provinciale del MSI,
che per questo subì un delicato intervento chirurgico. La moglie, che era con lui, fu ferita a una gamba.
Il 18 aprile il sindacalista della
CISNAL Francesco Moratti, ex combattente della RSI e invalido di guerra,
fu anch'egli ricoverato in ospedale dopo essere stato picchiato e lasciato in terra
mentre i locali in cui si trovava venivano dati alle fiamme.
Anche il cameriere Rodolfo Mersi, il panettiere Rinaldo Guffanti e il giovane liberale Pietro Pizzorno
furono ricoverati in ospedale, al reparto craniolesi, dopo aver subito aggressioni con chiavi inglesi.
Il 28 aprile, un giorno prima che Ramelli morisse,
un gruppetto staccatosi da un corteo della sinistra si recò presso la casa della famiglia Ramelli,
dove lasciò scritte sui muri e affisse un manifesto nel quale si minacciava il fratello Luigi Ramelli di morte
se non fosse sparito entro quarantotto ore.
Subito dopo aver saputo che Ramelli era in coma, alcuni membri del commando
– tra cui Montinari, principale pentito al processo – smisero la militanza.
Altri invece, l'anno seguente, Il 31 marzo
1976 avrebbero assaltato il bar Porto di Classe,
ritenuto un abituale ritrovo della destra.
Per l'occasione, al servizio d'ordine di Avanguardia Operaia si aggregarono anche i Comitati antifascisti.
Il locale fu devastato e incendiato, tutte le vetrine infrante e feriti sette avventori,
tre dei quali furono ridotti in gravi condizioni: uno di loro restò invalido per tutta la vita.
All'assalto parteciparono anche Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo.
Ramelli morì il 29 aprile 1975, quarantasette giorni dopo l'aggressione.
I funerali ebbero luogo nella
chiesa dei Santi Nereo e Achilleo;
Il feretro giunse in chiesa quasi di soppiatto poiché le autorità locali avevano vietato il corteo funebre
e gli
estremisti di sinistra avevano minacciato di usare chiavi inglesi contro eventuali partecipanti.
Il presidente della Repubblica
Giovanni Leone inviò una corona di fiori
e alle esequie presenziò l'allora segretario del MSI
Giorgio Almirante.
Nel frattempo, dalle finestre delle aule della facoltà di Medicina che davano su piazzale Gorini,
alcuni giovani con i volti coperti da fazzoletti rossi avevano fotografato i partecipanti al funerale:
molte delle foto scattate quel giorno sarebbero poi state ritrovate nel cosiddetto "covo di viale Bligny".