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Non ci sono aggettivi per giudicare queste persone. Solo augurare loro di avere i medesimi problemi.


Negli scorsi giorni è stata diffusa la notizia di un ex-imprenditore di 94 anni, Renato Cacciapuoti,
tradotto nel Carcere di Sollicciano per reati fiscali commessi quindici anni prima
e, per fortuna, assegnato alla detenzione domiciliare dopo cinque giorni di permanenza in carcere.


Noi vogliamo aggiungere alla vostra attenzione il caso esemplare di Antonio Russo (87 anni),
che il 4 giugno scorso si è visto rigettare dal Tribunale di sorveglianza di Roma
l’ennesima istanza di differimento pena avanzata per la sua età e per le sue precarie condizioni di salute.


Antonio Russo è in carcere dal 2022 per una condanna definitiva a 12 anni di reclusione per un omicidio commesso nell’anno 2018.

Si tratta di una triste storia di violenza cominciata dopo che Antonio Russo aveva sposato Rosa Ruffo,
una vedova con cinque figli a carico e da cui ha avuto un ulteriore figlio.

Russo ha fatto da padre a questi sei giovani che ha sostenuto economicamente con il proprio lavoro di “parchettista”,
essendone ricambiato da tutti con rispetto e affetto.

Da tutti meno che dal più giovane dei suoi figliastri, Giuliano Lacopo, tossicodipendente dedito alla violenza,
che, per estorcere soldi e proprietà, ha per anni aggredito e picchiato sia Antonio Russo che sua moglie Rosa Ruffo.

La situazione si fece talmente grave da provocare la morte per disperazione della signora, costretta a fuggire dalla sua abitazione.

Ebbene, dopo questo tragico evento, Antonio Russo ha reagito all’ennesima aggressione del giovane,
accoltellandolo a morte mentre veniva picchiato selvaggiamente.


La situazione di disperazione e di sostanziale legittima difesa in cui è maturato quel gesto,
emerge dal fatto che nel giudizio i fratelli e sorelle di Giuliano Lacopo non si sono costituiti parte civile,
perché loro stessi subivano abusi e minacce di ogni genere.

Anche il vicinato e il quartiere in Antonio Russo abitava, gli hanno sempre dimostrato solidarietà e vicinanza,
proprio perché testimoni della violenza da lui subita per anni.
 
Nel corso dei tre anni di detenzione fino a ora sopportati
le condizioni di salute di Antonio Russo sono nettamente peggiorate,
come è stato certificato dalle autorità sanitarie competenti,
per l’insorgere delle patologie di ipertensione arteriosa, cardiopatia ipertensiva,
episodi di orctena extrasistolica, esofagite, artrosi, insufficienza venosa con problemi agli arti inferiori,
patologie per le quali il carcere offre possibilità di cura molto incerte e precarie,
anche per la nota carenza di scorte per la traduzione dei detenuti nelle strutture ospedaliere esterne.


Ma nel rigetto depositato il 4 giugno 2025 dal Tribunale di sorveglianza di Roma
si legge che: “nella relazione sanitaria del 14 aprile 2025 della ASL Roma 2 si dà atto che le condizioni cliniche del Russo,
affetto dalle patologie sopra elencate, sono “discrete”, essendogli garantite in carcere e le cure di cui necessita,
assumendo egli regolarmente le terapie prescrittegli
” e per questo motivo, oltre che per una “
pericolosità sociale che non deve comunque essere sottovalutata”,
viene rigettata la richiesta della detenzione domiciliare ad una persona di 87 anni.
 
A proposito del divieto euro 5

Il vero nemico non è l’avversario politico interno,
ma la perniciosa alleanza tra socialisti e Partito Popolare Europeo a Bruxelles,

un sodalizio che partorisce norme percepite come punitive e lontane dalla realtà dei cittadini.

La debolezza mostrata nell’opporsi a queste misure è la vera spada di Damocle.


Eppure le soluzioni ci sarebbero:
quella radicale, sarebbe iniziare a disapplicare, per impossibilità reale e violazione Costituzionale, queste follie.

Chi ha un diesel euro 5 viene oggettivamente espropriato
e nessuno gli rimborsa l’auto e gliene fornisce una,
la proprietà privata non viene più tutelata, e qualcuno è ora che se ne renda conto e reagisca.

Se esistesse ancora un’azienda pubblica del settore auto
si sarebbero potute studiare convenzioni per la sostituzione delle auto,

ma l’Alfa Romeo è stata regalata alla Fiat 40 anni fa. Ringraziamo Prodi per questo.


La frustrazione cresce e il rischio è palpabile.
 
Quel gran giornalista di formigli che traduce "deportation" con deportazione, come del resto fanno tutti quelli di sinistra per dare all'interlocutore un’accezione molto negativa, violenta e quindi in totale malafede del termine, quando invece in inglese/americano "deportation" significa espulsione/rimpatrio, come giustamente sottolineato da Rampini.

Che pena questi personaggi.
 
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