Val
Torniamo alla LIRA
Pell ha denunciato coraggiosamente l’ostilità del documento alla tradizione apostolica,
il suo rifiuto di riconoscere il Nuovo Testamento come Parola di Dio,
«normativa per ogni insegnamento della fede e nella morale».
Anche l’Antico Testamento viene ignorato, «inclusi i dieci Comandamenti».
E poi il totale misconoscimento dell’esercizio dell’autorità nella Chiesa,
con i vescovi sostanzialmente esautorati e ridotti ad impiegati di posta:
«I vescovi non stanno lì semplicemente per validare una corretta procedura e dare un “nihil obstat” a quanto hanno constatato».
L’unica autorità riconosciuta nel documento è quella «dell’amore e del servizio»,
mentre si ritiene che «il modello piramidale dell’autorità debba essere distrutto».
Il Sinodo è divenuto un affare da sbrigare tra la commissione organizzatrice ed il Papa,
tra i testi prodotti dalla prima e l’approvazione del secondo,
tagliando fuori la responsabilità dei vescovi e abusando così dell’autentica sinodalità.
Pell riportava anche le sensazioni suscitate dal documento tra gli ex-anglicani, i quali vi riconoscono, con immediatezza di giudizio,
«la crescente confusione, l’attacco ai valori morali tradizionali e l’inserimento nel dialogo del lessico neo-marxista»:
la presenza reiterata di termini come «esclusione, alienazione, identità, marginalizzazione, senza voce, LGBTQ»
tradiscono la contaminazione marxista del testo, mentre sparisce dall’orizzonte il linguaggio proprio della fede.
Un disastro, dunque, su tutta la linea, che spingeva il Cardinale australiano ad un accorato appello:
«Questo documento di lavoro ha bisogno di cambiamenti radicali. I vescovi devono rendersi conto che c’è del lavoro da fare, nel nome di Dio, il prima possibile».
Damian Thompson, editore associato del settimanale inglese che ha pubblicato l’articolo di Pell,
riconosce il grande atto di coraggio del Cardinale:
«Non sapeva che sarebbe morto, mentre scriveva questo pezzo; era pronto ad affrontare l’ira di papa Francesco e degli organizzatori».
Coraggio e lucidità di analisi.
Che emergono anche da un altro documento, un memorandum
che dall’inizio della Quaresima dello scorso anno girava tra le mani dei cardinali sotto lo pseudonimo “Demos”
e del quale l’11 gennaio Sandro Magister ha rivelato la paternità del cardinale Pell.
Un testo preciso e durissimo, che considera l’attuale pontificato nientemeno che un «disastro» e una «catastrofe»;
un pontificato che ha trasformato Roma in un centro propulsore di confusione anziché di verità.
Nella Chiesa sta succedendo di tutto, dal Sinodo tedesco alle esternazioni eretiche del cardinale Hollerich:
«E il papato tace», commentava “Demos”, dando voce a quello che tanti cristiani constatano con grande sofferenza.
Un pontificato che ha rimosso «la centralità di Cristo»,
fino a risultare confuso persino «sull’importanza di un rigoroso monoteismo, alludendo a un certo concetto più ampio di divinità»,
del quale il famoso episodio della Pachamama, chiaramente idolatrica, è forse l’emblema.
E poi «il mancato rispetto della legge in Vaticano»,
con Francesco che si è servito del suo potere di
«capo dello Stato vaticano e fonte di ogni autorità di legge […] per interferire nei procedimenti giudiziari»,
fino a cambiare «la legge quattro volte durante il processo per aiutare l’accusa».
Ingiustizie, intercettazioni telefoniche, un clima di asfissiante controllo,
la catastrofe economica, e la mutevolezza del Papa nei confronti delle riforme finanziarie.
«Inizialmente il Santo Padre ha sostenuto con forza le riforme.
Poi ha impedito la centralizzazione degli investimenti,
si è opposto alle riforme e alla maggior parte dei tentativi di smascherare la corruzione
e ha sostenuto (allora) l’arcivescovo Becciu, al centro dell’establishment finanziario vaticano.
Poi, nel 2020, il papa si è rivoltato contro Becciu e alla fine dieci persone sono state messe a processo e accusate».
Ancora il crollo dell’influenza politica del Vaticano durante questi dieci anni,
l’abbandono dei fedeli in Cina perseguitati,
la persecuzione diretta dei tradizionalisti e dei monasteri contemplativi,
e l’inarrestabile disaffezione dei fedeli nei confronti del Papa,
testimoniato dal «forte calo del numero di pellegrini presenti alle udienze papali e alle messe»,
per un po’ coperto dalla crisi sanitaria, ma ora impietosamente evidente.
Per il prossimo conclave, Pell raccomandava la priorità del
«ripristino della normalità,
il ripristino della chiarezza dottrinale nella fede e nella morale,
il ripristino del giusto rispetto del diritto
e la garanzia che il primo criterio per la nomina dei vescovi sia l’accettazione della tradizione apostolica».
E metteva in guardia dalla proliferazione dei sinodi,
che drenano denaro che dovrebbe invece essere destinato all’evangelizzazione,
oltre a mettere in pericolo l’unità della Chiesa.
E poi la probabilità di uno scisma che arrivi a causa delle continue «tensioni liturgiche».
Una profezia?
il suo rifiuto di riconoscere il Nuovo Testamento come Parola di Dio,
«normativa per ogni insegnamento della fede e nella morale».
Anche l’Antico Testamento viene ignorato, «inclusi i dieci Comandamenti».
E poi il totale misconoscimento dell’esercizio dell’autorità nella Chiesa,
con i vescovi sostanzialmente esautorati e ridotti ad impiegati di posta:
«I vescovi non stanno lì semplicemente per validare una corretta procedura e dare un “nihil obstat” a quanto hanno constatato».
L’unica autorità riconosciuta nel documento è quella «dell’amore e del servizio»,
mentre si ritiene che «il modello piramidale dell’autorità debba essere distrutto».
Il Sinodo è divenuto un affare da sbrigare tra la commissione organizzatrice ed il Papa,
tra i testi prodotti dalla prima e l’approvazione del secondo,
tagliando fuori la responsabilità dei vescovi e abusando così dell’autentica sinodalità.
Pell riportava anche le sensazioni suscitate dal documento tra gli ex-anglicani, i quali vi riconoscono, con immediatezza di giudizio,
«la crescente confusione, l’attacco ai valori morali tradizionali e l’inserimento nel dialogo del lessico neo-marxista»:
la presenza reiterata di termini come «esclusione, alienazione, identità, marginalizzazione, senza voce, LGBTQ»
tradiscono la contaminazione marxista del testo, mentre sparisce dall’orizzonte il linguaggio proprio della fede.
Un disastro, dunque, su tutta la linea, che spingeva il Cardinale australiano ad un accorato appello:
«Questo documento di lavoro ha bisogno di cambiamenti radicali. I vescovi devono rendersi conto che c’è del lavoro da fare, nel nome di Dio, il prima possibile».
Damian Thompson, editore associato del settimanale inglese che ha pubblicato l’articolo di Pell,
riconosce il grande atto di coraggio del Cardinale:
«Non sapeva che sarebbe morto, mentre scriveva questo pezzo; era pronto ad affrontare l’ira di papa Francesco e degli organizzatori».
Coraggio e lucidità di analisi.
Che emergono anche da un altro documento, un memorandum
che dall’inizio della Quaresima dello scorso anno girava tra le mani dei cardinali sotto lo pseudonimo “Demos”
e del quale l’11 gennaio Sandro Magister ha rivelato la paternità del cardinale Pell.
Un testo preciso e durissimo, che considera l’attuale pontificato nientemeno che un «disastro» e una «catastrofe»;
un pontificato che ha trasformato Roma in un centro propulsore di confusione anziché di verità.
Nella Chiesa sta succedendo di tutto, dal Sinodo tedesco alle esternazioni eretiche del cardinale Hollerich:
«E il papato tace», commentava “Demos”, dando voce a quello che tanti cristiani constatano con grande sofferenza.
Un pontificato che ha rimosso «la centralità di Cristo»,
fino a risultare confuso persino «sull’importanza di un rigoroso monoteismo, alludendo a un certo concetto più ampio di divinità»,
del quale il famoso episodio della Pachamama, chiaramente idolatrica, è forse l’emblema.
E poi «il mancato rispetto della legge in Vaticano»,
con Francesco che si è servito del suo potere di
«capo dello Stato vaticano e fonte di ogni autorità di legge […] per interferire nei procedimenti giudiziari»,
fino a cambiare «la legge quattro volte durante il processo per aiutare l’accusa».
Ingiustizie, intercettazioni telefoniche, un clima di asfissiante controllo,
la catastrofe economica, e la mutevolezza del Papa nei confronti delle riforme finanziarie.
«Inizialmente il Santo Padre ha sostenuto con forza le riforme.
Poi ha impedito la centralizzazione degli investimenti,
si è opposto alle riforme e alla maggior parte dei tentativi di smascherare la corruzione
e ha sostenuto (allora) l’arcivescovo Becciu, al centro dell’establishment finanziario vaticano.
Poi, nel 2020, il papa si è rivoltato contro Becciu e alla fine dieci persone sono state messe a processo e accusate».
Ancora il crollo dell’influenza politica del Vaticano durante questi dieci anni,
l’abbandono dei fedeli in Cina perseguitati,
la persecuzione diretta dei tradizionalisti e dei monasteri contemplativi,
e l’inarrestabile disaffezione dei fedeli nei confronti del Papa,
testimoniato dal «forte calo del numero di pellegrini presenti alle udienze papali e alle messe»,
per un po’ coperto dalla crisi sanitaria, ma ora impietosamente evidente.
Per il prossimo conclave, Pell raccomandava la priorità del
«ripristino della normalità,
il ripristino della chiarezza dottrinale nella fede e nella morale,
il ripristino del giusto rispetto del diritto
e la garanzia che il primo criterio per la nomina dei vescovi sia l’accettazione della tradizione apostolica».
E metteva in guardia dalla proliferazione dei sinodi,
che drenano denaro che dovrebbe invece essere destinato all’evangelizzazione,
oltre a mettere in pericolo l’unità della Chiesa.
E poi la probabilità di uno scisma che arrivi a causa delle continue «tensioni liturgiche».
Una profezia?