Val
Torniamo alla LIRA
Francamente è sorprendente la capacità di quelle forze politiche che,
pur essendo state fino a ieri sul ponte del comando della disastrata portaerei penitenziaria italiana,
senza essere riuscite a risolvere uno e uno solo dei grandi problemi che l’affliggano,
ora improvvisamente, semmai dai banchi dell’opposizione,
si accorgano della sua terribilità e intestino, con sicumera disinvoltura, al governo del momento ogni colpa di sistema.
Eppure basterebbe limitarsi a scorrere i nomi dei ministri
e dei presidenti del Consiglio che si sono succeduti per comprenderlo,
oppure leggere in calce ai provvedimenti legislativi i nomi dei genitori biologici.
Ma si sa, la demenza senile tende a farci dimenticare le cose,
e se è demenza senile elettorale quella che ci sta accompagnando da qualche tempo,
la quale ci fa pure scordare di recarci ai seggi, la diagnosi si aggrava ancora di più.
In queste giornate il tema del carcere è ritornato prepotentemente alla ribalta,
attraverso una sorta di riedizione delle tematiche evergreen che lo riguardano da anni,
da quando se ne è, in fondo, smarrito il senso e l’utilità sociale,
favorendo letture semplicistiche o fortemente ideologiche del contesto.
Si sta tornando a parlare di tossicodipendenza, di detenute madri e relativa prole,
del regime del 41 bis, dei matti, del lavoro intramurario ed extramurario
e, perché non può mai mancare vista la sua appetibilità, di edilizia penitenziaria.
Insomma, proprio nulla di nuovo, ahimè, sul fronte occidentale delle carceri.
In verità, però, una new entry c’è: il tema della legge introdotta nel 2017 sulla tortura,
mentre nel fondo del mondo dell’informazione si agitano i fatti di cronaca, molti ancora sub iudice,
che ne spiegherebbero il dibattito obiettivamente diffuso.
A far di cornice al tutto, l’arcaico problema della carenza degli organici,
in primis della polizia penitenziaria ascritta ad essere la malvagia di turno,
ma anche l’assenza cronica di direttori penitenziari, praticamente “scomparsi”,
così come la pratica dell’evasione dalle patrie galere di tanti operatori penitenziari e professionalità,
per indirizzarsi quest’ultimi in contesti lavorativi meno impattanti, etc. etc.
Eppure, ognuno dei temi appena accennati rappresenta un universo di problematiche irrisolte
e di risposte mai date che, oramai da decenni, si tramandano da un governo all’altro,
nonché tra generazioni di operatori del diritto che urlano allo scandalo insieme alle organizzazioni sindacali
che scalpitano, ma poi, dopo la passerella di rito, ci si abitua e amen.
pur essendo state fino a ieri sul ponte del comando della disastrata portaerei penitenziaria italiana,
senza essere riuscite a risolvere uno e uno solo dei grandi problemi che l’affliggano,
ora improvvisamente, semmai dai banchi dell’opposizione,
si accorgano della sua terribilità e intestino, con sicumera disinvoltura, al governo del momento ogni colpa di sistema.
Eppure basterebbe limitarsi a scorrere i nomi dei ministri
e dei presidenti del Consiglio che si sono succeduti per comprenderlo,
oppure leggere in calce ai provvedimenti legislativi i nomi dei genitori biologici.
Ma si sa, la demenza senile tende a farci dimenticare le cose,
e se è demenza senile elettorale quella che ci sta accompagnando da qualche tempo,
la quale ci fa pure scordare di recarci ai seggi, la diagnosi si aggrava ancora di più.
In queste giornate il tema del carcere è ritornato prepotentemente alla ribalta,
attraverso una sorta di riedizione delle tematiche evergreen che lo riguardano da anni,
da quando se ne è, in fondo, smarrito il senso e l’utilità sociale,
favorendo letture semplicistiche o fortemente ideologiche del contesto.
Si sta tornando a parlare di tossicodipendenza, di detenute madri e relativa prole,
del regime del 41 bis, dei matti, del lavoro intramurario ed extramurario
e, perché non può mai mancare vista la sua appetibilità, di edilizia penitenziaria.
Insomma, proprio nulla di nuovo, ahimè, sul fronte occidentale delle carceri.
In verità, però, una new entry c’è: il tema della legge introdotta nel 2017 sulla tortura,
mentre nel fondo del mondo dell’informazione si agitano i fatti di cronaca, molti ancora sub iudice,
che ne spiegherebbero il dibattito obiettivamente diffuso.
A far di cornice al tutto, l’arcaico problema della carenza degli organici,
in primis della polizia penitenziaria ascritta ad essere la malvagia di turno,
ma anche l’assenza cronica di direttori penitenziari, praticamente “scomparsi”,
così come la pratica dell’evasione dalle patrie galere di tanti operatori penitenziari e professionalità,
per indirizzarsi quest’ultimi in contesti lavorativi meno impattanti, etc. etc.
Eppure, ognuno dei temi appena accennati rappresenta un universo di problematiche irrisolte
e di risposte mai date che, oramai da decenni, si tramandano da un governo all’altro,
nonché tra generazioni di operatori del diritto che urlano allo scandalo insieme alle organizzazioni sindacali
che scalpitano, ma poi, dopo la passerella di rito, ci si abitua e amen.