Val
Torniamo alla LIRA
Mentre alcuni temi sono semplicemente ignorati, altri sono enfatizzati, anche se non dovrebbero esserlo:
“una plateale falsità o una messa in scena sono digerite senza obiezioni
davanti alla presunta rispettabilità di una blasonata agenzia di stampa
o una rinomata testata, poiché in questi casi il senso critico tende a sfiorare lo zero”.
Tra gli attori più efficaci nell’iniettare menzogne troviamo i ministeri della difesa
(in Occidente tutti a vario modo penetrati dall’intelligence Usa).
Nel 2009, il capo dell’agenzia AP, Tom Curley, ha pubblicamente affermato
che il Pentagono impiegava oltre 27.000 specialisti in pubbliche relazioni
che con un budget annuale di cinque miliardi di dollari
diffondevano quotidianamente informazioni manipolate
(da allora budget e numero di specialisti sono cresciuti di molto!).
Le agenzie di sicurezza americane hanno l’abitudine di raccogliere e distribuire a giornali e TV
informazioni create a tavolino con una tecnica che rende impossibile conoscerne l’origine,
facendo ricorso a formule quali
"secondo fonti d’intelligence, secondo quanto confidenzialmente trapelato o lasciato intendere da questo o quel generale, e così via”.
Nel 2003, dopo l’inizio della guerra in Iraq, Ulrich Tilgner, veterano del Medio Oriente per TV tedesche e svizzere,
ha parlato dell’attività manipolatoria dei militari e del ruolo dei media.
“Con l’aiuto di questi ultimi, i militari costruiscono la percezione pubblica e la usano per i loro scopi, diffondendo scenari inventati.
In questo genere di guerra, gli strateghi mediatici statunitensi svolgono una funzione simile a quella dei piloti dei bombardieri”.
Ciò che è noto all’esercito Usa lo è anche ai servizi d’intelligence.
In tema di disinformazione, un ex-funzionario dell’intelligence Usa e un corrispondente della Reuters
hanno riferito quanto segue alla TV britannica Channel 4:
“Un ex-agente della Cia, John Stockwell, ha rivelato che occorreva far sembrare la guerra angolana come un’aggressione nemica.
Per tale ragione abbiamo sostenuto in ogni paese coloro che condividevano questa tesi.
Un terzo del mio staff era formato da diffusori di propaganda,
pagati per inventare storie e trovare il modo per farle arrivare alla stampa.
Di solito, le redazioni dei giornali occidentali non sollevano dubbi quando ricevono notizie in linea con la narrazione dominante.
Abbiamo inventato tante storie, che stanno ancor in piedi, ma è tutta spazzatura“.
Fred Bridgland, riferendo del suo lavoro come corrispondente di guerra per la Reuters, afferma:
“abbiamo basato i nostri rapporti sulle comunicazioni ufficiali.
Solo alcuni anni dopo siano stati informati che un piccolo esperto di disinformazione della Cia
da una scrivania situata in un’ambasciata degli Stati Uniti
produceva comunicati che non avevano alcuna relazione con la verità o i fatti sul campo.
Fondamentalmente, per dirla in modo crudo, puoi fabbricare qualsiasi schifezza e farla pubblicare su un giornale“.
I servizi d’intelligence, certamente, dispongono di un’infinità di contatti per far passare le loro menzogne,
ma senza il ruolo servizievole delle tre agenzie in questione,
la sincronizzazione mondiale della propaganda e della disinformazione non sarebbe così efficace.
Attraverso questo meccanismo moltiplicatore, racconti interamente fabbricati da governi,
servizi militari e d’intelligence raggiungono il pubblico senza alcun filtro.
La professione del cosiddetto giornalista meainstream, ormai ridotta a strapuntino del potere,
si concretizza nel rabberciare, sulla scorta di veline elaborate altrove,
questioni complesse di cui sanno poco o nulla in un linguaggio privo di logica fattuale e indicazione di fonti.
Per l’ex-giornalista di AP, Herbert Altschull,
“secondo la prima legge del giornalismo i mezzi d’informazione sono ovunque uno strumento del potere politico e/o economico.
Giornali, periodici, stazioni radiofoniche e televisive di mainstream non operano mai in modo indipendente, anche quando ne avrebbero la possibilità”.
Sino a poco fa, la libertà di stampa era ancor più teorica, date le elevate barriere d’ingresso,
le licenze da ottenere, le frequenze da negoziare, i finanziamenti e le infrastrutture tecniche necessarie,
i pochi canali disponibili, la pubblicità da raccogliere e altre restrizioni.
Oggi, grazie a Internet, la prima legge di Altschull è stata parzialmente infranta.
È così emerso un giornalismo di qualità finanziato dai lettori,
di livello superiore rispetto ai media tradizionali, in termini di capacità critica e indipendenza.
Ciononostante, i media tradizionali restano cruciali,
poiché disponendo di risorse ben più copiose sono in grado di catturare una moltitudine di lettori anche online.
E tale capacità è collegata al ruolo delle tre agenzie,
i cui aggiornamenti al minuto costituiscono la spina dorsale della maggior parte dei siti mainstream reperibili in rete.
In quale misura il potere politico ed economico, secondo la legge di Altschull,
riuscirà a mantenere il controllo dell’informazione davanti all’avanzare di notizie incontrollate,
cambiando così la struttura del potere e almeno in parte la consapevolezza della popolazione,
solo il futuro potrà dirlo.
Se si guarda ai rapporti di forza l’esito parrebbe scontato.
L’uomo resta, tuttavia, arbitro del proprio destino.
La lotta è sempre in corso.
“una plateale falsità o una messa in scena sono digerite senza obiezioni
davanti alla presunta rispettabilità di una blasonata agenzia di stampa
o una rinomata testata, poiché in questi casi il senso critico tende a sfiorare lo zero”.
Tra gli attori più efficaci nell’iniettare menzogne troviamo i ministeri della difesa
(in Occidente tutti a vario modo penetrati dall’intelligence Usa).
Nel 2009, il capo dell’agenzia AP, Tom Curley, ha pubblicamente affermato
che il Pentagono impiegava oltre 27.000 specialisti in pubbliche relazioni
che con un budget annuale di cinque miliardi di dollari
diffondevano quotidianamente informazioni manipolate
(da allora budget e numero di specialisti sono cresciuti di molto!).
Le agenzie di sicurezza americane hanno l’abitudine di raccogliere e distribuire a giornali e TV
informazioni create a tavolino con una tecnica che rende impossibile conoscerne l’origine,
facendo ricorso a formule quali
"secondo fonti d’intelligence, secondo quanto confidenzialmente trapelato o lasciato intendere da questo o quel generale, e così via”.
Nel 2003, dopo l’inizio della guerra in Iraq, Ulrich Tilgner, veterano del Medio Oriente per TV tedesche e svizzere,
ha parlato dell’attività manipolatoria dei militari e del ruolo dei media.
“Con l’aiuto di questi ultimi, i militari costruiscono la percezione pubblica e la usano per i loro scopi, diffondendo scenari inventati.
In questo genere di guerra, gli strateghi mediatici statunitensi svolgono una funzione simile a quella dei piloti dei bombardieri”.
Ciò che è noto all’esercito Usa lo è anche ai servizi d’intelligence.
In tema di disinformazione, un ex-funzionario dell’intelligence Usa e un corrispondente della Reuters
hanno riferito quanto segue alla TV britannica Channel 4:
“Un ex-agente della Cia, John Stockwell, ha rivelato che occorreva far sembrare la guerra angolana come un’aggressione nemica.
Per tale ragione abbiamo sostenuto in ogni paese coloro che condividevano questa tesi.
Un terzo del mio staff era formato da diffusori di propaganda,
pagati per inventare storie e trovare il modo per farle arrivare alla stampa.
Di solito, le redazioni dei giornali occidentali non sollevano dubbi quando ricevono notizie in linea con la narrazione dominante.
Abbiamo inventato tante storie, che stanno ancor in piedi, ma è tutta spazzatura“.
Fred Bridgland, riferendo del suo lavoro come corrispondente di guerra per la Reuters, afferma:
“abbiamo basato i nostri rapporti sulle comunicazioni ufficiali.
Solo alcuni anni dopo siano stati informati che un piccolo esperto di disinformazione della Cia
da una scrivania situata in un’ambasciata degli Stati Uniti
produceva comunicati che non avevano alcuna relazione con la verità o i fatti sul campo.
Fondamentalmente, per dirla in modo crudo, puoi fabbricare qualsiasi schifezza e farla pubblicare su un giornale“.
I servizi d’intelligence, certamente, dispongono di un’infinità di contatti per far passare le loro menzogne,
ma senza il ruolo servizievole delle tre agenzie in questione,
la sincronizzazione mondiale della propaganda e della disinformazione non sarebbe così efficace.
Attraverso questo meccanismo moltiplicatore, racconti interamente fabbricati da governi,
servizi militari e d’intelligence raggiungono il pubblico senza alcun filtro.
La professione del cosiddetto giornalista meainstream, ormai ridotta a strapuntino del potere,
si concretizza nel rabberciare, sulla scorta di veline elaborate altrove,
questioni complesse di cui sanno poco o nulla in un linguaggio privo di logica fattuale e indicazione di fonti.
Per l’ex-giornalista di AP, Herbert Altschull,
“secondo la prima legge del giornalismo i mezzi d’informazione sono ovunque uno strumento del potere politico e/o economico.
Giornali, periodici, stazioni radiofoniche e televisive di mainstream non operano mai in modo indipendente, anche quando ne avrebbero la possibilità”.
Sino a poco fa, la libertà di stampa era ancor più teorica, date le elevate barriere d’ingresso,
le licenze da ottenere, le frequenze da negoziare, i finanziamenti e le infrastrutture tecniche necessarie,
i pochi canali disponibili, la pubblicità da raccogliere e altre restrizioni.
Oggi, grazie a Internet, la prima legge di Altschull è stata parzialmente infranta.
È così emerso un giornalismo di qualità finanziato dai lettori,
di livello superiore rispetto ai media tradizionali, in termini di capacità critica e indipendenza.
Ciononostante, i media tradizionali restano cruciali,
poiché disponendo di risorse ben più copiose sono in grado di catturare una moltitudine di lettori anche online.
E tale capacità è collegata al ruolo delle tre agenzie,
i cui aggiornamenti al minuto costituiscono la spina dorsale della maggior parte dei siti mainstream reperibili in rete.
In quale misura il potere politico ed economico, secondo la legge di Altschull,
riuscirà a mantenere il controllo dell’informazione davanti all’avanzare di notizie incontrollate,
cambiando così la struttura del potere e almeno in parte la consapevolezza della popolazione,
solo il futuro potrà dirlo.
Se si guarda ai rapporti di forza l’esito parrebbe scontato.
L’uomo resta, tuttavia, arbitro del proprio destino.
La lotta è sempre in corso.