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La tensione era alle stelle già prima del voto.

Scholz ha attaccato frontalmente Merz, accusandolo di “un errore imperdonabile” e paragonandolo a Viktor Orbán.

“Nessun cancelliere cristiano-democratico avrebbe mai fatto una cosa del genere,
Konrad Adenauer, né Helmut Kohl, né Angela Merkel”, ha detto in un discorso infuocato.

Ma il leader della Cdu non si è lasciato intimidire e ha contrattaccato:

“Se altri Paesi europei come Italia, Danimarca e Svezia adottano misure più severe, perché la Germania dovrebbe restare indietro?”.

A spingere per un cambio di rotta è anche il clima nel Paese, scosso dall’ennesimo episodio di violenza:
pochi giorni fa, un richiedente asilo afghano
ha accoltellato a morte un bambino di due anni e un uomo che ha tentato di difenderlo in Baviera.

Un fatto che ha sconvolto l’opinione pubblica e dato nuova forza alla richiesta di politiche più rigide.

Scholz ha provato a minimizzare, affermando che “gli attentati si sarebbero potuti evitare applicando le leggi già in vigore”.

Ma per la Cdu è la prova che il governo non ha fatto abbastanza.
 
Il voto ha rappresentato una vittoria anche per l’AfD, che ha definito la giornatastorica”.

La leader Alice Weidel ha colto l’occasione per chiedere a Merz
di riconsiderare il “cordone sanitario” che lo separa dal suo partito.

Ma il leader dell’Unione ha subito chiarito la sua posizione: “Mi alleerò solo con forze democratiche”.

Tuttavia, ha anche sottolineato che la questione migratoria non può essere ridotta a uno scontro ideologico.

“Il nostro Paese ha bisogno di soluzioni concrete, non di slogan”, ha ribadito.

Il voto del Bundestag segna un momento cruciale per la Germania,
che si avvicina sempre più al modello di altri Paesi europei
che hanno già adottato misure più rigide per il controllo dell’immigrazione.

Venerdì prossimo si voterà per una legge vera e propria, e il 23 febbraio ci saranno le elezioni.

Le ultime proiezioni di Europe Elects parlano da sole.
 
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Bulgaro, insigne giurista della celebre scuola dei glossatori,
definiva il processo “actus trium personarum”:
per significare che esso vive e si costituisce
attraverso la partecipazione di tre diverse soggettività, complementari, ma inevitabilmente distinte.

Ed ecco per quale motivo – di stretta razionalità giuridica –
accusa, difesa e giudizio non possono mai mescolarsi fra loro,
quasi intridendosi, ciascun elemento, delle tracce dell’altro,
finendo con lo smarrire pericolosamente la loro più vera identità e perciò vanificando la giustizia.

Questo il più autentico fondamento della separazione fra la carriera di pubblico ministero e quella di giudice:
non a caso quest’ultimo appellativo viene riservato in modo esclusivo a chi abbia la delicatissima funzione di decidere
(che implica sempre la sofferenza di ciò che viene appunto tagliato, reciso), mentre a chi accusi si adatta quello di magistrato.
 
Quanto affermato trova piena rispondenza lessicale e concettuale in quel “giusto processo”
che la Costituzione italiana pretende sia rispettato,
in quanto il processo va svolto davanti ad un giudice che sia “terzo e imparziale”
(il che significa che non basta essere terzo per garantire la imparzialità).

Se il giudice è “terzo”, lo è proprio perché vi sono

un “primo” – cioè il pubblico accusatore –

e un “secondo” – cioè l’avvocato difensore:

se il “terzo” (il giudice)
nasce dalla medesima origine – il pubblico concorso – che ha dato vita al “primo” (il pubblico ministero)
e se con questo ha in comune l’articolarsi della carriera,
gli organi disciplinari e quelli organizzativi (come oggi accade),

il giudice si confonde con la pubblica accusa,
provocando danni irreparabili alla stessa credibilità della funzione giurisdizionale.


Non c’è nulla da fare.

Bisogna ammettere che accusa e giudizio sono dimensioni ontologicamente diverse
e neppure parzialmente sovrapponibili: mentre l’accusa rappresenta soltanto una parte, il giudizio esprime la totalità.

Ma se quanto chiarito fin qui si colloca sul piano concettuale,
va notato che militano a favore della separazione fra accusa e giudizio,
anche norme vigenti le quali sembrano davvero imbarazzanti nella cornice dello Stato di diritto
e che solo quella separazione consentirà di eliminare.
 
Non molti sanno infatti che un pubblico ministero,
in quanto componente del Consiglio giudiziario
(articolazione periferica presso la Corte d’Appello del Csm),
partecipa col proprio voto a giudicare le richieste
(di trasferimento, di promozione, di assegnazione di posti direttivi) avanzate dai giudici.

In altre parole, accade che quel pubblico ministero
le cui richieste, di mattina, vengono accolte o respinte dal giudice in udienza,
poche ore dopo, nel pomeriggio, sieda a comporre un organo
che deve giudicare le richieste proprio di quel giudice.
 
Bulgaro, insigne giurista della celebre scuola dei glossatori,
definiva il processo “actus trium personarum”:
per significare che esso vive e si costituisce
attraverso la partecipazione di tre diverse soggettività, complementari, ma inevitabilmente distinte.

Ma parla come mangi

 
Insomma, a causa della unicità delle carriere,
il pubblico ministero, di mattina giudicato dal giudice,
di pomeriggio ne giudica a sua volta le richieste promuovendole o bocciandole,
così divenendo assurdamente giudice del suo giudice: ma non è una cosa seria !

Non solo.

Le carriere vanno separate anche per motivi di psicologia sociale,
che non sono per nulla di secondaria importanza.

Cosa sarebbe lecito pensasse uno che attende sia chiamato il processo che lo vede imputato,
se vedesse – come a volte accade di vedere – giudice e pubblico ministero a braccetto
mentre amabilmente discutono lungo i corridoi del palazzo di giustizia,
avvicinandosi al bar dove faranno a gara per offrirsi il caffè?

Non occorre continuare
per affermare che la separazione delle carriere è ormai doverosa e indifferibile,
se si desidera che l’opinione pubblica
riconquisti la fiducia nell’amministrazione della giustizia oggi gravemente compromessa.


Certo, non basta.

Occorre, come prevede la riforma in cantiere,
liberare la stragrande maggioranza dei giudici dal giogo delle correnti,
vero cancro della magistratura che ne pregiudica dall’interno la reale indipendenza,
il che avverrà tramite il sorteggio dei componenti del Csm.



Ma di ciò, un’altra volta.
 

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