Solo politica

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Parliamo di due fantasmi che hanno azzeccato un paio di canzoncine pubblicitarie, i Cuoricini,
roba messa insieme con i programmi, gli algoritmi,
oggi si usa molto l'intelligenza artificiale che può fabbricarti le cento, le mille canzoni in un minuto.

Né arte né industria, giusto comunicazione che è la grande nube ad avvolgere tutto, informazione, politica, commercio, creatività.

È lo stato dell'arte di chi ha successo oggi, un successo molto presunto, molto gonfiato, palesemente e per questo insopportabile.

Si usano tutte le cause falsamente nobili per ammantarsi di umanitarismo strategico,
oggi quelli dal successo remoto, come le Elisa, le Consoli, i Pelù,
o mai avuto, come Morgan,
o in crepuscolo come la Elodie,
frignano e inneggiano alle Flotilla di cui gli importa il giusto, ma c'è sempre un disco nuovo o un nuovo concerto da lanciare.

I Festival che Conti eredita da Amadeus sono tutti uguali e raccontano di un livello abissale,
ci sono tutti questi manichini, queste figurette uscite dai miraggi defilippiani
per infilarsi subito nelle sfilate di moda, nelle movide straccione:

ma come fa una tale Clara e definirsi di troppo successo,
come quell'altra, la Rose Villain di cui nessuno ricorda una canzone?

Il caso più clamoroso sono i Maneskin che non esistevano, una proiezione pubblicitaria a scadenza,
sulla quale sono state investite somme colossali per confondernee la totale inconsistenza;
fatti scoppiare, hanno lanciato lo spocchioso, evanescente cantante in un inevitabile fallimento personale
(checché ne dicano le marchettone dei telegiornali) e li riaggrumeranno insieme a febbraio per il prossimo Sanremo.

Succederà anche ai nostri Coma Cose, fermi un giro, il tempo di inanellare i loro personali flop, diciamo per l'edizione 2027.
 
Ultima modifica:
Amore e arte, come no.

Il business musicale italiano è miserando, raschia il barile,
ed è provinciale in quel solito modo di millantarsi, di tirarsela come le star che non possono essere.

I “troppo successo” sono in realtà dei montati che inseguono il successo possibile, scarso, effimero,
poi si arrabattano anche per anni alla ricerca del bingo che non arriva.

Ce la fece quella Annalisa dopo dieci, quindici anni di girare a vuoto con la faccenda del gender,
“ho visto lui che bacia lui che bacia lei che bacia me che bacio un cammello”.

Poi è tornata velocemente nell'oblio.

Una casa degli specchi dove niente è reale,
i soldi girano ma un po' alla maniera delle tre carte,
per incantare i gonzi che ormai non distinguono,
gli va bene tutto e sarà anche vero, come diceva Wittgenstein, che “etica ed estetica sono la stessa cosa”,

ma qui è rimasta solo l'estetica acritica:
una contro tutti i canoni della bellezza come la Big Mama può fare la testimonial dei cosmetici
esattamente come la Clara che agli stessi canoni risponde in modo levigato, perfetto ma sciapo, da intelligenza artificiale.

Entrambe in fama di cantanti, di quelle artiste che non sono e mai saranno.
 
Dall'altra parte i vecchi delle tournèe infinite,
i Tozzi, i Baglioni, stelle di un'altra era ma che rifiutano di spegnersi,
che cercano di prolungare il più possibile il bagliore.

E la gente ad ascoltarli ci va, ci torna
perché in quell'altro tempo una canzone dovevi metterti lì e costruirla e se ci riuscivi durava per sempre,
ricamava ciò che era la società, come viveva, come amava.

Se uno vuol capire gli anni Sessanta, e poi i Settanta,
deve riprendere i dischi di Lucio Battisti e partire proprio dal suono, dalle vibrazioni che parlavano di una metropoli,
di quel traffico, di quelle fughe nella natura, di quegli amori e tradimenti così normali, troppo umani.

Altro che i cuoricini.

Poi si potrà dire che i cuoricini sono ironici, che vogliono denunciare una deprivazione civile, sociale,
ma la verità è che vengono colti nel vuoto pneumatico,
nell'insostenibile leggerezza di un consumo immediato e irreversibile, non puntano a niente, non lasciano niente.

Dicono i media in funzione pubblicitaria controllati dalle case discografiche, dal business del consumo adolescenziale:
hanno fatto un miliardo di visualizzazioni.

Per dire il consenso senza consenso, il gradimento automatico, comatoso.

Plebisciti che si risolvono nei grandi soldi per i tenutari delle piattaforme ma non per i presunti artisti,
i quali lucrano sul giro dei concerti pompati, gonfiati, da tutto esaurito fittizio, truffaldino.


Ma può una coppia d'arte e di vita scoppiare dopo un anno di matrimonio, facendone un battage senza senso?

Come se niente li avesse mai legati tranne il guadagno immediato, esaurito il quale ciascuno per conto suo?
 
Ahahahahahahah

Un malfunzionamento della pulsantiera di un eurodeputato
potrebbe aver influito in modo decisivo sull’esito dello scrutinio che ha confermato,
per un solo voto, l’immunità dell’eurodeputata, Ilaria Salis.

Lo sostiene l’eurodeputato ceco del Ppe Tomá Zdechovskì,
che in Aula ha chiesto alla presidente Roberta Metsola di ripetere il voto.

“Ho chiesto di ripetere la votazione perché non funzionava la strumentazione tecnica del collega della CdU, Markus Ferber.
Al momento del voto c’erano due tecnici con lui.
Ferber aveva avvisato la presidenza, ma Metsola non ha voluto interrompere la procedura”,

ha dichiarato all’ANSA Zdechovskì.
 
Si narra che Ursula Von der Leyen fu nominata come presidente della commissione
(che conquistò poi grazie al voto dei cinque stelle e dei polacchi dell’Ecr) nel 2019,
proprio grazie ad una idea di Emmanuel Macron,
per uscire dall’impasse e che puntò sulla ex ministra della difesa di Merkel,
forse convinto di poter avere a capo della commissione una donna poi fedele e facilmente “addomesticabile”.

Se fosse andata così, già allora Macron evidentemente avrebbe sbagliato i propri calcoli.

Ma ora la parabola discendente della presidente della Commissione europea segue quella del suo mentore Macron,
alle prese con una difficilissima crisi politica da risolvere in patria.
 
E' indubbio che la posizione della Von der Leyen si sia molto indebolita.

Non solo nei confronti del Parlamento europeo, ma secondo alcune fonti,
anche all’interno del suo board di commissari, oltre che nel Consiglio europeo,
dove ormai nemmeno il cancelliere tedesco sembra intenzionato a fare molto per sostenerla.

La grave crisi francese, secondo alcuni, potrebbe indebolire ulteriormente la Von der Leyen,
che sente sempre più su di sé la pressione dei vari leader europei,
parecchio insoddisfatti della sua gestione di alcuni importanti dossier,
sia di politica estera che in quella economica dell’Unione, in questi ultimi mesi.

Popolari, S&D e centristi la difendono più per mancanza di valide alternativa che per convinzione propria.

Anzi i popolari sarebbero addirittura pronti a bocciare la nuova proposta di riforma del budget,
e così, anche se per motivi diversi sarebbero pronti a fare anche i socialisti.
 
Von der Leyen, lunedì, ha tentato di difendersi dall’ennesima mozione di censura,
e dalle dure parole rivolte nei suoi confronti dal presidente dei Patrioti Jordan Bardella,
considerandole come una manna dal cielo per il russo Vladimir Putin.

Ha preso la strada maestra, elencando tutte le minacce che l’Europa deve affrontare e invocando ripetutamente “unità”.

Ma sarebbe proprio lei la prima a non lavorare per far sì che questa unità si possa materializzare.

In questo anno o poco più, sarebbe riuscita nel non facile compito di scontentare un po’ tutti.

“Siamo in un periodo di massima incertezza e di volatilità esplosiva”, ha affermato.

“[Putin] non nasconde il suo disprezzo per la nostra Unione, e non nasconde la sua gioia o il suo sostegno
per tutti i suoi obbedienti amici in Europa che stanno facendo il lavoro per lui”, ha detto.

Ma ha offerto solo un fugace riconoscimento delle critiche contenute nelle due mozioni, relative a Gaza,
alle relazioni con gli Stati Uniti, all’Ucraina e al commercio.

“So che provengono da preoccupazioni genuine e legittime”,
ha affermato, impegnandosi molto meno nel merito rispetto all’ultimo dibattito di censura sul Pfizergate.
 
Manfred Weber, leader del Partito Popolare Europeo di centro-destra al Parlamento, ha difeso la Von der Leyen ,
accusando Bardella di aver abusato della scena europea per fare politica a livello nazionale.

“Spero che abbiate raccolto abbastanza materiale video per la vostra campagna francese”, ha detto.

Iratxe García, leader dei socialisti, si è invece opposta alla sinistra,
rimproverandola per la mancanza di pragmatismo su Gaza, pur affermando di essere d’accordo con loro sulla sostanza.

Insomma, una difesa molto meno convinta rispetto a quella del leader dei popolari.
Anche perché la presidente dei socialisti europei,
l’ha avvertita che il sostegno del suo ampio gruppo “non è incondizionato”
e ha affermato di aspettarsi politiche differenti da parte della commissione per il 2026.

Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei e portavoce di Giorgia Meloni al Parlamento,
ha affermato invece che la Commissione dovrebbe smettere di intromettersi nelle questioni nazionali.

Ma la presidente che è un’ottima incassatrice ha deciso di cambiare strategia,
ed apparire meno autoritaria di quello che era sembrata voler essere a luglio,
quando era stata riconfermata alla guida della commissione.

“Ursula von der Leyen ha una nuova strategia per convincere gli avversari a sostenerla:
ascoltare di più, parlare con loro e persino cedere un po’ di terreno.
Le sue tattiche sono state evidenti in vista dei due voti di sfiducia del Parlamento europeo di questa settimana,
e i critici dei partiti rivali hanno già fatto capire che stanno funzionando.”

dice un funzionario italiano di vecchio corso al parlamento europeo a Bruxelles.
 
La presidente della Commissione europea

“ha mostrato ultimamente una maggiore disponibilità alla consultazione, alla cooperazione
e un impegno più forte nel riunire le persone attorno a un tavolo, anche sul programma di lavoro della Commissione per il 2026”,

ha dichiarato a POLITICO la settimana scorsa, Valérie Hayer, leader del gruppo liberale Renew Europe.

“È un passo atteso da tempo nella giusta direzione”.

Chissà se questo nuovo approccio in pieno stile andreottiano (“meglio tirare a campare che tirare le cuoia”)
potrà bastare per affrontare le difficilissime sfide, che l’Unione europea dovrà affrontare nei prossimi quattro anni.
 

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