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Com’era la storiella propinata qui sul forum da supercazzone & friends sull'integerrima qualità e indipendenza dei Media ufficiali… al contrario delle fake news propinate dai "complottisti"… 😘



Non che servisse una conferma, ma questa è la ciliegina sulla torta. Eppure ci sono tanti ingenui/stupidi che prendono per oro colato tutte le puttanate che ci propinano tv e media main stream, dalla politica alle guerre in corso
 
Sono passati due mesi da quell’immagine di Charlie Kirk colpito al collo.

Giovane marito, giovane padre; aveva solo 31 anni.

Era nei fatti il leader dei giovani conservatori americani, odiato dalla sinistra woke per le sue idee controcorrente.

Nel 2012, a soli 18 anni, aveva fondato “Turning Point Usa”,
organizzazione con l’obiettivo di dar voce ai giovani conservatori nelle università americane
spingendoli a mettere le idee davanti alla paura.

È stato l’artefice di un cambio di prospettiva radicale:
fino a qualche anno fa non sarebbe stata neanche pensabile una penetrazione così forte tra i ragazzi del messaggio repubblicano.

Era la voce che si alzava quando tutti preferivano abbassarla.

Non solo per il merito delle sue idee
– così vicine a quelle di tanti di noi: credeva nel governo limitato, nel mercato, nella libertà –
ma ancora di più per il metodo socratico che utilizzava: è diventato celebre negli States,
e grazie ai social in tutto il mondo, per aver offerto nelle sue iniziative – un tour di conferenze “Prove me wrong”,
ossia “Dimostrami che ho torto”, un format costruito sul dibattito aperto e sul confronto –
palco e microfono a chi esprimeva critiche, dissenso rispetto alle sue idee.
 
Ripercorrendo quanto dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera,
Fazzolari ha spiegato di aver già previsto il duplice scenario che si sarebbe verificato:

se avesse rinunciato ad agire in sede legale, avrebbe implicitamente avvalorato le accuse di Ranucci.

qualora avesse scelto di difendersi, sarebbe stato accusato di voler intimidire la stampa.


Secondo Fazzolari,
il copione si sarebbe ripetuto con puntualità, poiché nel giro di poche ore si sarebbero levate due reazioni speculari:

da una parte, esponenti del Partito democratico e del Movimento 5 stelle
lo avrebbero accusato di minacciare la libertà di stampa;

dall’altra, alcuni commentatori televisivi si sarebbero interrogati sul motivo per cui non avesse ancora presentato querela,
se davvero si riteneva vittima di un’ingiustizia.



A suo avviso, la sinistra continua imperterrita a concepire il confronto politico come

“uno schema in cui si deve subire senza reagire, con alcuni che ti tengono fermo mentre altri colpiscono liberamente”.

Ha ribadito di non aver mai accettato questa logica e di non volerlo fare neppure oggi,
annunciando l’intenzione di procedere per vie legali contro quelle che ha definito
“menzogne volontariamente diffuse” sul proprio conto.
 
L’Unione europea ha raggiunto un nuovo compromesso climatico, e il termine “compromesso” dice già tutto.

L’obiettivo ufficiale – ridurre del 90 per cento le emissioni entro il 2040 – è stato confermato,
ma ammorbidito da una serie di eccezioni e flessibilità che ne svuotano il significato reale.

Una parte dei tagli potrà infatti essere “realizzata” all’estero, acquistando crediti ambientali da Paesi terzi.


Si tratta in buona sostanza di un artificio contabile
che consente di proclamare risultati senza modificare nulla di sostanziale:

la riduzione effettiva delle emissioni europee diventa secondaria rispetto alla gestione politica della transizione.


In altri termini, la realtà economica viene subordinata alla rappresentazione simbolica del potere.
 
Non è del resto la prima volta che accade.

Ogni epoca ha avuto il suo pretesto morale per imporre disciplina economica:

nel Seicento si tassava il sale “per il bene del popolo”,

nell’Ottocento si giustificava il protezionismo “per difendere il lavoro nazionale”,

nel Novecento si regolavano prezzi e produzione “per garantire la giustizia sociale”.


Oggi, lo si fa “per salvare il pianeta”.
 
Nell’epoca attuale, il dirigismo climatico ripete la stessa illusione con strumenti nuovi ma identica presunzione.

Le clausole di revisione periodica previste dall’accordo
– ogni cinque anni, e potenzialmente ogni due –
non rappresentano vera flessibilità, bensì una forma di instabilità istituzionalizzata.

Chi investe, chi produce, chi lavora, si trova di fronte a un sistema di regole mutevoli,
condizionate da valutazioni tecniche e umori politici.

La certezza del diritto, fondamento della convivenza civile e della libertà economica,
viene così sacrificata a un obiettivo astratto che nessuno sa misurare con precisione.

La pianificazione, come sempre, finisce per colpire chi obbedisce e premiare chi comanda.
 
La politica si erge a depositaria della verità:

decide cosa sia “sostenibile”,

quali energie meritino di esistere,

quali comportamenti debbano essere incoraggiati o puniti.



La conoscenza, che dovrebbe essere libera, viene amministrata;
l’innovazione, che dovrebbe nascere dal rischio e dall’iniziativa, viene regolata.


In tale visione rovesciata, la scienza – invece di liberare – diventa un’arma di dominio.

L’ambientalismo istituzionale trasforma il sapere tecnico in strumento di potere:
i nuovi “sacerdoti del clima” sostituiscono i dibattiti con i dogmi
e la discussione pubblica con le sanzioni.

In nome della salvezza collettiva, si legittima ogni intrusione nelle scelte individuali.



Per effetto di tutto ciò, la cosiddetta “transizione ecologica”
si è così trasformata in un processo di centralizzazione.

Non è più la naturale evoluzione dell’innovazione e della concorrenza,
ma un piano di riconversione imposto dall’alto.

Si vietano tecnologie invece di lasciarle competere,
si impongono standard invece di favorire la scoperta di soluzioni più efficienti.

È il ritorno del principio autoritario
secondo cui la politica deve “guidare” l’economia,
come se la conoscenza, la creatività e la responsabilità individuale
fossero pericolose
.
 

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