son sardo e indipendentista

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mò organizzo una class-action e ci facciamo ridare i soldini... con 800 anni di interessi :cool::cool:


:lol::lol::lol::lol:

seppure vinceste la causa sono finiti i soldi : sperperati in stipendi a trote , a padri delle medesime, salvini e frattaglie varie.

diciamo che il debito è saldato :D
 
RIPENSARE LO STATO, MA SENZA VOLERLO DISGREGARE

di DANIELE TRABUCCO*

Le possibili declinazioni del federalismo sono innumerevoli, ciascuna in relazione ad una diversa esigenza o ad una particolare sfumatura del modello di ispirazione, tanto che ne sono state classificate più di quattrocento. In Italia, soprattutto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e gli inviti della Corte costituzionale ad attuare l’art. 119 sull’autonomia finanziaria di Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni, è stata approvata dal Parlamento la legge di delegazione n. 42/2009 sul c.d. federalismo fiscale. Credo, però, che, a monte, manchi una vera concezione federalistica, opportunamente definita dal Prof. Mario Bertolissi dell’Università di Padova “cultura dell’autogoverno responsabile”.

Si tratta di una prospettiva non conseguibile a suon di riforme costituzionali, ma per il tramite di una auto fondazione della politica che si impegni a superare quella dicotomia tra società civile e Stato cha fa da sfondo alle moderne Costituzioni. Il federalismo, quindi, è proprio il superamento di questa distinzione-separazione in cui la dimensione della collettività locale non è più considerata alla stregua di una realtà derivata e legittimata dalla superiore istituzione dello Stato, ma il luogo privilegiato della prima espressione politica dei cittadini. Solo in questo modo, le articolazioni della Repubblica diverse dallo Stato (Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni) potranno essere considerate membra attive e non subalterne nei confronti di quest’ultimo e, nello stesso tempo, parti di una realtà comune.

Alla luce di queste considerazioni, le diversità tra i territori e le esigenze che ne sono collegate (ad esempio la tutela delle minoranze linguistiche) non dovrebbero costituire un arroccamento nelle proprie posizioni, ma l’occasione per una funzione di unificazione che lavori, appunto, all’equilibrio delle diverse esigenze ed al loro accordo. La distinzione, invece, tra due tipi di Regioni (ordinarie e speciali) con sistemi finanziari diversi tra di loro ed il fenomeno della migrazione di Comuni e Province verso poli certamente più attraenti dal punto di vista delle risorse, altro non sono che le espressioni di una visione centralistica dell’autonomia, imposta cioè dall’alto con l’indicazione del suo grado a seconda delle realtà territoriali.

La necessità, dunque, di ripensare lo Stato nel suo complesso, attribuendo a tutte le sue parti il potere di acquisire risorse, di spenderle con le relative responsabilità, coniugata alla tutela di chi versi in particolari condizioni di bisogno, com’è per la montagna e per chi ci vive, è l’unica via affinché il federalismo possa diventare, come ripeteva spesso il filosofo del diritto Norberto Bobbio (1909-2004), non un pretesto disgregatore ma l’occasione per rendere più vitale e dinamico il nostro ordinamento costituzionale.

*Università degli Studi di Padova

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seppure vinceste la causa sono finiti i soldi : sperperati in stipendi a trote , a padri delle medesime, salvini e frattaglie varie.

diciamo che il debito è saldato :D


tu non conosci la magia dell'interesse composto :cool::cool:

[ame=http://www.youtube.com/watch?v=Iyne79NetSY&feature=related]Pinguini di Madagascar in Tu non hai visto niente - YouTube[/ame]
 
IL REGNO UNITO DESTINATO A DIVIDERSI IN QUATTRO

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di VERCINGETORIX

Per tutta la settimana scorsa i costituzionalisti sono stati tirati fuori dai loro uffici per esaminare minuziosamente leggi e documenti. Ma tutto ciò è inutile. Quando le province dissidenti si fissano sull’idea del separatismo non c’è codicillo o referendum di legge che tenga. Proviamo a pensare alla Bosnia, alla Slovacchia, al Kosovo o alla Macedonia: paesi diversi, ma nati nello stesso modo. La Gran Bretagna è andata in guerra per disgregare l’unione jugoslava. E molti britannici non vedono l’ora che anche l’Europa si disgreghi. Perché combattere per mantenere il Regno Unito quando è evidente che esso sta andando in briciole ? Quanto più Londra non terrà conto delle aspirazioni dei popoli non inglesi dell’ intero Regno, tanto più tali sentimenti cresceranno. L’Irlanda ha già abbandonato l’ unità nel 1922, per esasperazione nei confronti del malgoverno londinese. Soltanto l’anno scorso gli irlandesi hanno tollerato di ricevere in visita la regina, per un giorno solo.

La resistenza alla devolution nel 1979 costò al primo ministro laburista James Callaghan la maggioranza e decimò il supporto al suo partito in Galles. L’imposizione della poll tax agli scozzesi nel 1989 contribuì alla rovina di Margaret Thatcher. Oggi la posizione di Cameron sulla Scozia è equiparabile a quella di Giorgio III nei confronti dell’America: “sgomento e stupore per l’atteggiamento ribelle che purtroppo si registra in alcune delle mie colonie”.

Anche se i dettagli devono ancora essere messi a punto, il concetto è semplice: gli scozzesi dovrebbero alzare le loro tasse e spenderle come credono, ponendo fine alla loro dipendenza fiscale da Londra. Non si parla di re, soldati, bandiere, confini e passaporti. La devolution si estenderebbe al pagamento delle infrastrutture del welfare state. Il governo scozzese e di sicuro in un secondo tempo anche quelli del Galles e dell’Ulster – diventerebbero responsabili in maniera diretta delle politiche interne, rispondendone direttamente al loro elettorato.

Se gli scozzesi vogliono questo, e a quanto pare dai sondaggi emerge che lo vogliono davvero , che importanza ha se costerà loro miliardi di sterline come i media britannici vanno incessantemente sbandierando come spauracchio.

L’ economia Scozzese , come pure quella Gallese e dell’ Ulster sono sempre più simili a quella della Grecia, caratterizzata da politiche di spesa slegate da quelle fiscali, al punto da arrivare a un’irresponsabile dipendenza. La Scozia trangugia i soldi inglesi e ormai non c’è vantaggio per gli inglesi nel lasciare che questa dipendenza continui. Certo, bisogna riconoscere alla maggior parte dell’opinione pubblica scozzese il merito di volere che tale dipendenza abbia fine, costi quello che costi. La “maximum devolution” riporterebbe a casa sua, nel suo paese natale, la responsabilità fiscale tanto decantata da Adam Smith

La dissoluzione del Regno Unito cominciò negli anni venti, e non si è ancora arrestata, frutto per molti versi di opportunismo e convenienza, all’ epoca attuale non c’è più una necessità storica per la quale essa debba esistere, non più di quanto l’avessero il Terzo Reich e l’Unione Sovietica .

Cameron dovrebbe lasciare che Salmond promuovesse il suo referendum e farsi così promotore della “devo-max”, che incoraggia la responsabilità fiscale e metterebbe fine alle costose sovvenzioni alla Scozia. E’ davvero un mistero il motivo per il quale Cameron appare determinato a ostacolarla.

Forse la risposta possibile è una sola; il potere e la smania di controllo su tutto acquisiscono una logica tutta particolare quando i politici arrivano alla più alta delle cariche. In questo caso, però, la smania è controproducente. Un secolo fa Scozia, Galles e le isole britanniche erano una nazione. Ora la prospettiva è di farne quattro di Nazioni.







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Mi pare un concetto interessante quello della responsabilità fiscale. Tralasciando le proposte simil-leghiste non ci vedrei nulla di male anche perchè si è visto come l'accentramento sia all'interno dei singoli stati sia all'interno dei continenti non produca una qualsivoglia politica economica e soffochi le realtà locali più produttive. e' anche alla base sel principio di concorrenza, io cittadino italiano posso decidere se vivere con le tasse al 40% nella mia regione o trasferirmi per dire in toscana dove mi fanno pagare meno. Si eliminerebbero fenomeni di dipendenza e si ottimizzerebbe l'uso delle risorse. Il rischio sarebbe di non navere politiche aggregate nei casi necessari, cosa che comunque sta succedendo.
 
Mi pare un concetto interessante quello della responsabilità fiscale. Tralasciando le proposte simil-leghiste non ci vedrei nulla di male anche perchè si è visto come l'accentramento sia all'interno dei singoli stati sia all'interno dei continenti non produca una qualsivoglia politica economica e soffochi le realtà locali più produttive. e' anche alla base sel principio di concorrenza, io cittadino italiano posso decidere se vivere con le tasse al 40% nella mia regione o trasferirmi per dire in toscana dove mi fanno pagare meno. Si eliminerebbero fenomeni di dipendenza e si ottimizzerebbe l'uso delle risorse. Il rischio sarebbe di non navere politiche aggregate nei casi necessari, cosa che comunque sta succedendo.


é il principio che regola cantoni e municipi in ch

il comune decide l'aliquota da adottare in percentuale(max 100) rispetto a quella cantonale
 
LA GIAMAICA FA FAGOTTO, IL COMMONWEALTH SI ASSOTTIGLIA

di VERCINGETORIX

Per tutti gli inglesi, la Giamaica è sempre stata un fiore all’occhiello dell’impero. Fin dal XVII secolo, l’isola è stata dominata dai re di Inghilterra e sfruttata come colonia strategica.
Nonostante molte nazioni si smarcarono dal dominio britannico già a partire degli anni ’50, l’isola che dette i natali a Bob Marley e Marcus Mosiah Garvey (i due eroi nazionali giamaicani per eccellenza) dovette aspettare il 6 agosto 1962 per potersi dichiarare indipendente grazie ad un plebiscito nazionale.
La trasformazione delle colonie britanniche del Commonwealth nel 1949 facilitò il trapasso e la Giamaica, al pari di molti altri paesi (tra cui Australia e Canada) riconobbero la regina Elisabetta II come capo di stato, legittimando così una sorta di continuazione del legame coloniale. La presenza di un governatore ufficiale, nominato dalla regina per rappresentarla, rafforzò sicuramente la percezione che la presenza britannica.
Il 29 dicembre scorso, tuttavia, la vittoria elettorale del People’s National Party giamaicano nel confronto con i laburisti di centro-destra, con il 53,4% dei voti (42 seggi su 63 totali) ha portato al potere una donna, Portia Simson Miller (nella foto) . E il nuovo primo ministro dell’isola (che aveva già ricoperto tale incarico nel 2007) ha dichiarato, al momento di assumere i poteri, l’ obbiettivo primario di far uscire la Giamaica dal Commonwealth per proclamare una repubblica, il che significa che la regina di Inghilterra cesserà di esserne la sovrana.
La nuova premier ha anche posto subito l’accento sulla questione costituzionale dell’isola e ha promesso una nuova fase di trasparenza sulle vicende del Paese e sui rapporti tra Kingston e Londra. All’insegna di questa sbandierata sincerità, la signora Simpson-Miller ha promesso l’ introduzione di una Repubblica, spezzando in tempi brevi ogni vincolo di fedeltà agli ex padroni coloniali.
Sir Patrick Alley, attuale governatore della Giamaica per conto della regina Elisabetta, avrebbe così le ore contate per l’arrivo della nuova repubblica giamaicana che dovrà nascere al seguito di un referendum.
Di sicuro i giamaicani non sentiranno la mancanza di questa figura tanto inutile quanto odiosa: un intermediario nominato da un monarca lontano migliaia chilometri per una mera rappresentanza politica (i poteri del governatore sono pressochè nominali).
Staremo a vedere cosa ha in mente Londra per fermare quello che potrebbe essere il primo sintomo di un’emorragia.
 
CARINZIA, LO STATO E’ AMICO DELL’IMPRESA

di CARLO MELINA

«Venite in Carinzia. Fare impresa qui conviene».


L’offensiva è partita nel 2010, sotto forma di lettere (3000), spedite ad altrettante aziende venete: «vi offriamo sgravi fiscali e contributi a fondo perduto». Parola di Gerhard Dofler, il governatore del Land austriaco che ha appena rinnovato con Luca Zaia e Renzo Tondo, presidenti delle Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, il trattato di cooperazione esistente fra 3 delle aree componenti quell’Euroregione preconizzata già nel 1978 da Carlo Bernini, e ancora da realizzarsi.

Perché a Roma piace poco.

«Viste le condizioni, più che di un’offensiva, parlerei di un’opportunità» spiega Carlo Trevisan (nella foto qui a fianco), imprenditore veneziano della LIFE a cui la Carinzia piace parecchio.

Tanto che sta meditando di impiantare uno stabilimento per la produzione di wine box entro l’anno. «Ho visitato Klagenfurt poco prima di Natale. All’Ente per lo sviluppo del Land conoscono le vessazioni cui è sottoposto un imprenditore italiano e hanno un presupposto chiaro: tutto ciò che ruota attorno all’impresa e all’imprenditore è cosa buona».

Che tradotto significa fisco equo, manodopera preparata (all’ottavo posto nel mondo per produttività) e burocrazia leggera.

«In Carinzia lo Stato è amico dell’impresa, la favorisce, non la ostacola come in Italia. L’imprenditore versa un’aliquota unica del 25% sugli utili, calcolati su una base imponibile minore del 50% rispetto a quella italiana, perché l’insieme dei costi deducibili è molto ampio, con percentuali del 100%. – chiarisce entusiasticamente Trevisan – Le spese per ricerca e sviluppo sono detraibili al 135%. L’IRAP non esiste, così come il bollo auto. Quando decidi che vuoi aprire bottega, poi, compili due moduli e in 7 giorni sei pronto per partire, senza bisogno di alcuna certificazione della Camera di Commercio».



Il capitolo manodopera riserva ulteriori sorprese: «il sistema di formazione professionale e universitaria è di qualità eccellente, così come l’iter di inserimento nel mondo del lavoro. Ciascun iscritto ad un corso professionale, per esempio, sin dal primo anno trascorre 3 giorni sui banchi e tre giorni in un’azienda (sempre la stessa), fino alla fine del percorso di studi. Terminato il quinquennio, può venire assunto con ulteriori agevolazioni per il datore di lavoro».

Naturalmente esistono alcune condizioni cui l’investitore deve sottostare: «In Carinzia non accettano chiunque. Preferiscono piccole-medie aziende, con capannoni di massimo 200 metri quadrati.

All’Ente per lo sviluppo richiedono assicurazioni circa i processi di lavorazione e assemblaggio dei prodotti.

E l’impresa deve rispettare il territorio, al fine di mantenere un buon equilibrio fra zone residenziali e industriali. Anche il multiculturalismo è visto con sospetto, mentre è ben accetta l’immigrazione da paesi che abbiano un background culturale simile a quello austriaco. Tutto questo però ha un rovescio della medaglia: il creditore è tutelato, e i pagamenti devono essere effettuati secondo la data fattura, senza tante deroghe.

I controlli fiscali, poi, sono puntuali, ma mai a sorpresa».
 

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