Macroeconomia Usa-Europa strategie di investimento

bce

continua...

Focus: la BCE impiega l'artiglieria pesante​
Di recente, la Banca centrale europea stessa, soprattutto il
suo Presidente Mario Draghi, ha alimentato le aspettative di
un «consistente» programma di acquisti di titoli di stato. In
passato non ha deluso i mercati. Di conseguenza, durante la
sua prima riunione del nuovo anno, in seguito a una decisione
presa a maggioranza la BCE ha comunicato che da marzo
gli acquisti di obbligazioni saranno notevolmente ampliati.
Oltre alle previste ulteriori operazioni mirate di rifinanziamento
a lungo termine (TLTRO), per le quali la BCE ha ridotto
le condizioni d'interesse di altri 10 punti base, saranno
effettuati acquisti mensili per complessivi EUR 60 miliardi.
Oltre ai covered bond e ai titoli ABS, in futuro saranno acquistati
sul mercato secondario anche titoli di stato e obbligazioni
di istituzioni parastatali. La BCE intende effettuare gli
acquisti almeno fino a settembre 2016, ma tiene aperta
l'opzione di anticipare o posticipare questo termine, a seconda
dall'andamento della previsione sull'inflazione. Pertanto,
nel prossimo anno e mezzo la Banca centrale prevede
di aumentare il suo bilancio di oltre 1 bilione (vedi grafico).​
Bilancio della BCE finora quasi non aumentato​
Posizioni di bilancio in miliardi di EUR​
Fonte: BCE, Raiffeisen Research​
La maggior parte degli acquisti di titoli di stato deve essere
effettuata dalle banche centrali nazionali che rispettivamente
si assumono anche la responsabilità. Ciò dovrebbe essere
soprattutto una concessione alla politica tedesca. Questa
limitazione non dovrebbe tuttavia limitare in linea di massima
l'effetto del programma. Anche se inizialmente il rischio
per i valori patrimoniali è a carico delle banche centrali dei
singoli stati, alla fine risponde l'intero sistema dell'euro per
gli impegni risultanti dagli acquisti, quindi per la nuova liquidità
della Banca centrale. Il volume degli acquisti viene suddiviso
tra i singoli paesi in base alla chiave del capitale proprio
BCE degli stati membri e si prendono in considerazione
titoli con una durata di 2-30 anni. La BCE si riserva il diritto
di decidere se acquistare anche titoli di stato greci.
Nel complesso, la decisione ha superato ancora le elevate
aspettative del mercato. Ciò ha ulteriormente spinto al rialzo
i mercati finanziari nell'Eurozona. Le reazioni non sono state
però euforiche. Infatti, gli adeguamenti dei corsi erano stati
evidentemente già anticipati nelle ultime settimane. Nel
corso dell'ultimo mese l'EUR/USD ha registrato una forte
correzione da 1.25 a 1.15. Nello stesso periodo, i mercati
azionari sono nettamente aumentati, guidati dai nuovi livelli
massimi del DAX. Inoltre, in precedenza i rendimenti dei
titoli di stato sono ulteriormente diminuiti, mentre le aspettative
inflazionistiche a lungo termine hanno visibilmente
recuperato – ossia i rendimenti reali sono ulteriormente
diminuiti. Le aspettative inflazionistiche a cinque anni, osservate
attentamente dalla BCE, sono aumentate passando da
un livello inferiore all'1.5% all'1.7%.
In caso di mancato soddisfacimento delle aspettative, la BCE
avrebbe rischiato un forte calo sui mercati. Dall'altro lato, già
prima dell'effettiva attuazione degli acquisti di obbligazioni
dovrebbe aver ottenuto la maggior parte del desiderato
impulso positivo per l'economia dell'Eurozona. Soprattutto a
causa dell'indebolimento della valuta si ha un effetto positivo
sulle esportazioni. Assieme al crollo del prezzo del petrolio,
ciò significa un gradito programma congiunturale senza
che i budget dei governi nei paesi interessati dalla crisi del
debito scivolino di nuovo in rosso. Quasi inosservate, nel
frattempo anche le condizioni creditizie nella periferia
dell'Eurozona, a eccezione della Grecia, sono ulteriormente
migliorate di molto. L'attuale sondaggio della BCE tra le
banche, pubblicato questa settimana, ha mostrato soprattutto
in Italia un accesso facilitato per i crediti alle imprese,
mentre in Spagna è stato registrato un sensibile aumento
della domanda di credito. Con la contemporanea tendenza
ribassista delle condizioni di credito aumentano i segnali di
un'inversione di tendenza per il ciclo del credito.
Questi andamenti confermano la nostra opinione che i rendimenti
a lungo termine dopo l'effettivo inizio degli acquisti
dei titoli di stato da parte della BCE non debbano diminuire
ulteriormente. Anche nella seconda e terza serie del «Quantitative
Easing» (QE2 e QE3) della Fed questo non si era verificato.
Il miglioramento della fiducia congiunturale, il calo
della pressione sulle aspettative inflazionistiche a causa della
stabilizzazione del prezzo del petrolio e la normalizzazione
dei tassi che continua a delinearsi negli Stati Uniti segnalano
nel complesso una contenuta tendenza rialzista dei tassi a​
lungo termine nominali nel corrente anno
m:wall:
 
.... ne indovinassero una....

In Grecia, dopo la sua vittoria elettorale il partito di sinistra​
Syriza ha sorprendentemente inasprito molto i toni che ultimamente​
erano stati per lo più moderati. Intende annullare​
alcune riforme del governo precedente ed entra quindi subito​
in rotta di collisione con i suoi più importanti creditori (UE,​
BCE, FMI). Non prende neppure le distanze dalle richieste di​
un nuovo taglio del debito. La borsa azionaria di Atene ha​
reagito violentemente e ha registrato entro pochi giorni un​
forte calo dei corsi. Il rendimento dei titoli di stato decennali​
è aumentato di circa 200 punti base e ha perforato temporaneamente​
il livello del 10%. Le perdite di corso sui mercati​
azionari e obbligazionari degli altri paesi periferici meridionali​
dell'euro sono state molto meno drastiche. Di conseguenza,​
l'EUR/CHF non è stato coinvolto più di tanto. Nel complesso,​
negli ultimi giorni il franco si è addirittura indebolito. Tuttavia,​
nelle prossime settimane la volatilità nell'EUR/CHF dovrebbe​
rimanere ancora elevata, poiché l'incertezza sulla​
Grecia rimane forte: Già a fine febbraio termina il secondo​
programma di aiuti. E senza una proroga, la Grecia rischia la​
bancarotta di stato con relative perdite per i paesi creditori.​
In considerazione delle attuali dichiarazioni aggressive del​
Primo ministro Alexis Tsipras sono prevedibili trattative logoranti.​
Nel nostro scenario di base non prevediamo tuttavia​
un fallimento dei colloqui. In definitiva anche la Grecia dovrebbe​
avere un forte interesse a trovare un accordo, poiché​
un fallimento statale o addirittura un'uscita dall'Eurozona​
significherebbe un caos economico per il paese. Nel complesso,​
le nostre prospettive per l'EUR/CHF rimangono quindi​
leggermente positive. Nel resto dell'anno, la ripresa congiunturale​
dovrebbe infatti consolidarsi nell'Eurozona. ll forte​
indebolimento dell'euro rispetto al dollaro e i bassi prezzi del​
petrolio hanno l'effetto di un programma congiunturale.​
Ciò dovrebbe sostenere anche la congiuntura in Svizzera nel​
corso dell'anno. Tuttavia, all'inizio dell'anno qui da noi le​
prospettive di crescita sono nettamente peggiorate. La prossima​
settimana, dopo il calo del barometro congiunturale​
KOF questo si dovrebbe rilevare anche dal PMI e dalla fiducia​
dei consumatori SECO. Le sfide agli esportatori sono decisamente​
aumentate, anche se non tutti i settori sono interessati​
ugualmente dalla forza del franco (vedi tema Focus a pagina​
2).​
L'attuale nervosismo nell'Eurozona e il forte USD potrebbero​
essere stati i motivi per il fatto che la Banca centrale statunitense​
nel suo recente comunicato per la prima volta ha​
sottolineato anche i rischi internazionali per l'economia nazionale.​
Nel complesso la stima è stata però molto ottimistica:​
La Fed valuta la congiuntura e il mercato del lavoro più​
positivamente rispetto al passato. E non si è affatto parlato​
dei recenti dati parzialmente deboli. Pertanto, non mette in​
dubbio le solide prospettive di crescita. È inoltre sempre​
convinta che a medio termine l'inflazione, dopo il calo previsto​
nei prossimi mesi, ritornerà verso l'obiettivo della Banca​
centrale del 2%. Tutto sommato, la Fed, in merito all'aumento​
dei tassi, continua pertanto a procedere «con pazienza​
». La formulazione è già stata utilizzata nel 2004 e segnala​
un aumento dei tassi entro i prossimi sei mesi. Ma la Fed si​
lascia aperte tutte le opzioni. A determinare il momento​
dell'aumento dei tassi sarà probabilmente l'andamento dei​
salari e dell'inflazione di base fino a metà anno. In generale,​
il consenso di mercato prevede piuttosto un periodo successivo​
dell'anno. Infatti, ultimamente i tassi a lungo termine​
sono stati sempre in calo. Dall'altro lato, questo movimento​
ribassista riflette anche i bassi livelli dei tassi nell'Eurozona​
che hanno reso le obbligazioni statunitensi relativamente più​
interessanti. Per il primo intervento sui tassi confermiamo​
ancora la metà del 2015 (vedi ultime Prospettive settimanali).​
Pertanto, nei prossimi mesi i rendimenti delle obbligazioni​
statunitensi dovrebbero registrare di nuovo una tendenza​
leggermente rialzista.​
m:mmmm:

 
buon weekend..

aspettative di crescita divergenti per gli USA
[FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com][FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com] Negli Stati Uniti, nell'ultimo trimestre del 2014 la crescita del PIL rispetto al T3 è diminuita al 2.6%, dopo due trimestri fulminanti in precedenza. Mentre il consumo privato ha registrato un andamento maggiore, i contributi alla crescita degli investimenti in impianti e del commercio estero sono nettamente diminuiti. Le aspettative del mercato non sono quindi state soddisfatte per poco. Tuttavia, la scorsa settimana soprattutto la persistente debolezza degli ordini per l'industria ha sorpreso negativamen-te. Verso la fine dell'estate i registri ordini erano ancora strapieni, da quel momento gli ordinativi in entrata registrano una stagnazione. La prevista ripresa non si è verificata e così l'umore nell'industria manifatturiera è leggermente peggiorato. Questa settimana, l'indice dei responsabili degli acquisti è sceso ancora, dopo che a dicembre era nettamente diminuito dai massimi. Soprattutto l'economia mondiale poco dinamica e il forte USD hanno un effetto negativo sull'industria statunitense. Quest'an-no anche altri dati congiunturali sono stati per lo più inferiori alle aspettative. Sui mercati azionari e obbligazionari questo ha fatto nascere dubbi sulla possibilità che il robusto ritmo di crescita possa essere mantenuto anche nel 2015. Di conseguenza, finora nel corrente anno la borsa azionaria statunitense, in forte contrasto con l'aumento in Europa, ha registrato movimenti laterali; i tassi a lungo termine sono diminuiti.
Tuttavia, a nostro avviso troppo pessimismo non è opportuno. Mentre per gli investimenti in nuove attrezzature e per l'export netto non prevediamo forti impulsi alla crescita, gli indicatori per il consumo privato sono molto positivi. L'ottimistica fiducia dei consumatori ha raggiunto di nuovo il livello precedente alla crisi e viene supportata dai nuovi posti di lavoro e dal conveniente prezzo della benzina. Anche nel 2015, l'aumento dei salari e i bassi prezzi dell'energia dovrebbero aumentare il potere d'acquisto dei consumatori. Nel complesso prevediamo quindi un contributo ancora maggiore del consumo alla dinamica congiunturale. Ciò rende poco probabile una minore crescita del PIL rispetto al 2014, poiché con quasi il 70% la componente del consumo rappresenta una quota molto grande della domanda complessiva. Dall'altro lato non prevediamo neanche un fortissimo andamento congiunturale e una crescita del PIL superiore al 3%, come viene attualmente mostrato dal consenso degli economisti bancari. Con il 2.6% prevediamo una crescita solo leggermente superiore all'anno precedente . L'andamento del PIL nel T4 2014, appena pubblicato, è un buon indicatore e riflette le prospettive per il corrente anno. Anche nell'intero 2015 gli investimenti e l'export netto non dovrebbero quasi accelerare. L'USD non dovrebbe iniziare un nuovo forte rialzo, ma gli effetti negativi della rivalutazione precedente dure-ranno ancora per molti mesi. Con la maggiore propensione ai consumi aumenta anche la domanda di importazioni, il che penalizza ulteriormente la bilancia commerciale.
La propensione delle aziende a investire viene a sua volta frenata oltre che dalla rivalutazione del dollaro in parte an-che dal crollo del prezzo del petrolio. Gran parte dei gruppi produttori di energia riducono i loro investimenti negli impianti di estrazione e in altri progetti infrastrutturali. Lo stato del Texas, che fornisce il maggiore contributo alla crescita del PIL nazionale, è contemporaneamente anche lo stato maggiormente esposto al settore dell'energia. Tutto somma-to, nel 2015 prevediamo quindi un contributo piuttosto costante alla crescita da parte degli investimenti. A causa della ripresa del mercato del lavoro, il settore edile fornisce ulteriori impulsi, ma non può sviluppare una dinamica così forte come quella precedente alla crisi. Nel complesso, nel 2015 per gli Stati Uniti risulta una congiuntura robusta, alimentata soprattutto dal consumo privato. Per la quarta volta consecutiva, la crescita annua dovrebbe essere superiore al potenziale che stimiamo di poco superiore al 2%. La lacuna di produzione, ossia la differenza tra il prodotto in-terno lordo effettivo e il potenziale di produzione si chiuderà quindi ulteriormente, il che segnala un prossimo aumento dei tassi da parte della Banca centrale statunitense. Nel resto dell'anno, i tassi a lungo termine dovrebbero quindi ricevere di nuovo una leggere spinta. I mercati azionari, a loro volta, sono sostenuti dal buon andamento del consumo privato. Dall'altro lato esistono anche dei rischi: La differente riparti-zione delle prospettive di crescita sulle componenti del PIL e l'aumento dei tassi della Federal Reserve, che prevediamo fra sei mesi circa.
m:D
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arriva......

ZURIGO (awp/ats) - UBS si aspetta prezzi degli immobili residenziali in calo nel 2015, per la prima volta dal 1998: gli economisti della grande banca puntano su un -1,0% per le case (rispetto al 2014) e su un -0,5% per gli appartamenti in proprietà. L'arretramento è legato al rallentamento della crescita, un movimento che è a sua volta influenzato dal rafforzamento del franco.
In caso di una grave recessione i prezzi delle abitazioni potrebbero scendere sino al 15% entro il 2018, si legge in un comunicato odierno. Per quanto riguarda il settore delle superfici commerciali la prevista frenata della crescita metterà ulteriormente sotto pressione i prezzi di uffici e negozi.
:mumble:
 
buona domenica...

Le difficili trattative tra la Grecia e i partner europei sulla prosecuzione del programma di aiuti non hanno portato a un rapido accordo. Il rischio di fallimento delle trattative per il momento resta reale. Riteniamo tuttavia più probabile che si giunga a un compromesso che garantisca la solvibilità della Grecia almeno per i prossimi mesi
Dopo le trattative di Minsk la precaria situazione in Ucraina non è ulteriormente peggiorata. Per la mezzanotte di domenica prossima è previsto l'inizio del cessate il fuoco. A breve termine non ci si attende quindi un'ulteriore escalation del conflitto. Per il momento nuove sanzioni forti contro la Russia o forniture di armi all'Ucraina sono improbabili. Le borse azionarie europee hanno reagito positivamente, in particola-re quelle di Ucraina e Russia. Il credito del FMI, che ha reso ora improbabile un'imminente bancarotta di stato, ha porta-to del sollievo a Kiev. Senza una soluzione politica che regola in modo permanente la situazione dell'Ucraina orientale, l'incertezza dovrebbe tuttavia restare elevata.
Ma anche tenendo conto dei rischi in Grecia e in Ucraina in linea di massima si delinea una lieve accelerazione della con-giuntura nell'Eurozona. L'umore delle imprese e la fiducia dei consumatori nell'ultimo periodo hanno nuovamente registra-to una tendenza rialzista. Le imprese beneficiano dei bassi prezzi dell'energia e delle migliori prospettive per le esporta-zioni dovute alla debolezza dell'euro. Il calo dei prezzi regala ai consumatori incrementi del potere d'acquisto. Pertanto, la settimana prossima gli indicatori della fiducia dovrebbero segnalare prospettive congiunturali positive. Nei dati del PIL per l'ultimo trimestre del 2014 si registra già un’accelerazione della crescita. Dopo un aumento dello 0.2% nel T3, nel T4 il PIL dell'Eurozona è aumentato dello 0.3% rispetto al trimestre precedente. Mentre in Germania, dopo due trimestri deboli, la dinamica è nuovamente molto migliorata (+0.7%), dalla Francia (+0.1%) e dall'Italia (+0.0%) a fine anno sono giunti ancora scarsi impulsi di crescita.
Oltre al poker del debito, la prossima settimana nel focus dei mercati vi sarà in particolare il verbale dell'ultima riunione della Banca centrale statunitense, che dovrebbe fornire informazioni su cosa si intende esattamente con il passo nuovo nel comunicato, secondo il quale la Fed nella sua decisione sui tassi terrà conto anche degli sviluppi internazionali. Oltre all'attuale bassa inflazione, la Fed potrebbe ad esempio anche utilizzare un'ulteriore forte rivalutazione del dollaro come motivo per procrastinare l'aumento dei tassi. Attualmente tuttavia questo non è indicato e in linea di massima la valutazione della situazione della banca centrale risulta ottimistica. Quando Janet Yellen, il 24 febbraio, si presenterà al Congresso per le consultazioni semestrali, questa stima do-vrebbe essere ancora valida. Nel corso degli ultimi tre mesi è stato creato più di un milione di posti di lavoro. I salari orari medi hanno registrato un miglioramento solo lieve. Tuttavia, dato che negli ultimi mesi l'orario settimanale medio è aumentato, il reddito da lavoro ottenuto è cresciuto comunque sensibilmente. Questo però non si rispecchia ancora nei dati sul commercio al dettaglio di dicembre e gennaio. Una quota sostanziale del reddito supplementare disponibile è stata risparmiata. Fondamentalmente le prospettive per la crescita dei salari e il consumo privato negli Stati Uniti rimangono molto positive. E per il resto dell'anno ciò dovrebbe portare, con un ritardo cronologico, nuovamente a una più forte tendenza al consumo. Grazie alle buone cifre del mercato del lavoro, le aspettative per gli aumenti degli interessi si sono spostate leggermente in avanti, bloccando la diminuzione per gli interessi a lungo termine. Nelle ultime due settimane il rendimento dei Treasury decennali è aumentato di 35 punti base. Il verbale della riunione potrebbe fornire ulteriori informazioni che supportano la nostra stima di un aumento dei tassi verso la metà dell'anno

....sempre copiato..........:mumble:m
 
nevica......

Focus: il prezzo del petrolio fa la differenza​
Il crollo del prezzo del petrolio è stato interrotto. Dalla fine di​
gennaio, il tipo di petrolio Brent è aumentato di oltre il 20%,​
attestandosi a oltre 60 USD/barile. L'inversione di tendenza​
si basa sulla previsione di una diminuzione dell'eccedenza​
nel resto dell'anno – supportata dal forte calo del numero​
dei pozzi petroliferi attivi e dalle prime insolvenze delle imprese​
di fracking negli Stati Uniti.​
L'andamento del prezzo del petrolio avrà un notevole effetto​
a livello mondiale sul futuro andamento dei tassi d'inflazione.​
Dalla metà dell'anno scorso, i prezzi dell'energia sono​
stati la causa principale del forte calo dei prezzi al consumo.​
Anche negli Stati Uniti, che mostrano una forte congiuntura,​
i dati inflazionistici di gennaio che saranno pubblicati la prossima​
settimana dovrebbero di nuovo mostrare un calo del​
tasso annuo complessivo quasi fino a quasi zero – rispetto al​
tasso d'inflazione ancora sopra il 2% di solo sei mesi fa. Il​
punto minimo dovrebbe però essere raggiunto in quel momento.​
Ciò dovrebbe essere confermato già la prossima​
settimana dai primi dati sui prezzi di febbraio dell'Eurozona.​
Nell'Eurozona, il tasso d'inflazione all'inizio dell'anno è scivolato​
nettamente nel settore negativo a causa del prezzo del​
petrolio. La recente ripresa dei prezzi dell'energia inverte​
però rapidamente l'effetto. Nel nostro scenario di base di un​
ulteriore moderato aumento del prezzo del petrolio a 70​
USD/barile entro i prossimi 12 mesi, il tasso d'inflazione​
nell'Eurozona rimarrà ancora negativo a breve termine, ma​
da subito cambierà in una tendenza rialzista. Entro l'inizio​
del 2016 il tasso annuo aumenterebbe quindi di nuovo verso​
l'1.5%. Negli Stati Uniti addirittura oltre il livello del 2% (vedi​
grafico). Nella proiezione prevediamo che i ritardati effetti​
indiretti, frenanti per i prezzi, del minore livello dei prezzi​
delle materie prime faranno scendere quest'anno l'inflazione​
di base (tasso complessivo senza energia e alimentari) solo​
leggermente. Infatti, la migliore situazione congiunturale​
riduce la pressione per ulteriori cali dei prezzi. Nell'Eurozona,​
il debole tasso di cambio dell'euro significa inoltre un aumento​
dei prezzi delle importazioni. La deflazione dovrebbe​
quindi essere solo di breve durata.​
Una ripresa del prezzo del petrolio più rapida del previsto​
accelererebbe addirittura ancora l'inversione di tendenza dei​
prezzi al consumo. Nello scenario di una forte crescita dell'economia​
mondiale con una maggiore limitazione dell'estrazione​
di petrolio, il prezzo del petrolio potrebbe avvicinarsi​
rapidamente di nuovo al livello di USD 100. In questo caso il​
tasso d'inflazione nell'Eurozona sul periodo di un anno potrebbe​
superare il livello del 2% e negli Stati Uniti addirittura​
muoversi verso il 4%. L'effetto di un aumento dei prezzi del​
petrolio è maggiore negli Stati Uniti a causa della minore​
percentuale delle imposte nei prezzi finali al consumo per i​
prodotti dell'energia.​
Nell'andamento dei prezzi al consumo la Svizzera esce un​
po' dagli schemi. Il motivo è la sospensione del corso minimo​
e il conseguente shock del tasso di cambio. L'aumento​
del prezzo del petrolio si nota anche nei prezzi dell'energia​
svizzeri. Gli attuali prezzi dell'olio combustibile in CHF mostrano​
già di nuovo un livello superiore a quello precedente​
alla sospensione del limite minimo del tasso di cambio. Pertanto,​
a febbraio anche i prezzi dell'energia non dovrebbero​
più avere un effetto più negativo sul tasso d'inflazione complessivo.​
Per contro, la rivalutazione del franco dovrebbe​
ripercuotersi in molte altre categorie di prezzo nei dati di​
febbraio. Le notizie dal commercio al dettaglio fanno prevedere​
una trasmissione molto più rapida dei minori prezzi​
d'importazione in CHF a causa dell'improvvisa fortissima​
modifica del tasso di cambio rispetto a precedenti periodi di​
rivalutazione. L'inversione di tendenza dell'inflazione svizzera​
ritarderà quindi leggermente. Ma anche qui prevediamo nel​
secondo semestre un graduale ritorno del tasso annuo verso​
lo zero​
L'effetto del prezzo del petrolio si inverte​

Nei prossimi mesi, i tassi d'inflazione di nuovo in aumento​
dovrebbero far diminuire le esagerate preoccupazioni per la​
deflazione e avere un effetto sostanzialmente positivo sui​
tassi nominali a lungo termine. Questo vale non solo per gli​
Stati Uniti, dove i rendimenti dei Treasury nelle ultime settimane​
sono già aumentati, ma in misura minore anche per​
l'Eurozona, nonostante il programma di acquisto di titoli di​
stato che comincerà a marzo. In Svizzera per il momento i​
tassi negativi della BNS si contrappongono a un maggiore​
aumento dei tassi sull'estremità lunga
m:)
 
buona domenica....

Focus: l'economia svizzera davanti a un netto​
rallentamento​
I dati economici imminenti per la prossima settima sulla​
crescita dell'economia svizzera nel quarto trimestre 2014​
dovrebbero evidenziare ancora una volta una solida dinamica​
prima che la forza del franco imponga un forte freno allo​
slancio nel T1 2015.​
Nel 2014 l'economia svizzera aveva iniziato l'anno in modo​
positivo e aveva continuato ad accelerare nella seconda​
metà dell'anno. L'accelerazione nel terzo trimestre è stata​
alimentata dal consumo privato e dalle esportazioni di merci.​
Anche per il quarto trimestre ci attendiamo un risultato solido​
nonostante l'assenza di ulteriori accelerazioni causata​
dalla forte crescita nel trimestre precedente. L'esportazione​
di prodotti dovrebbe aver nuovamente contribuito al risultato​
positivo anche nell'ultimo trimestre. I dati mensili delle​
esportazioni evidenziano che anche il commercio estero ha​
registrato, destagionalizzato, gli stessi dati dinamici del trimestre​
precedente. Il consumo privato dovrebbe fornire​
nuovamente un contributo positivo alla crescita, tuttavia​
dopo un evidente aumento nel trimestre precedente dovrebbe​
subentrare una certa saturazione. Nel T4 prevediamo​
complessivamente una crescita dello 0.3% rispetto al T3, il​
che porterebbe la crescita economica per l'anno complessivo​
all'1.8%, valore che corrisponde circa alla crescita potenziale​
svizzera.​
Ora tuttavia l'attenzione si sposta sugli indicatori dell'attuale​
dinamica congiunturale. Uno sguardo all'indietro può solo​
rivelare con quanto slancio l'economia svizzera entra nella​
fase di indebolimento innescata dal forte franco. L'effetto​
frenante dovrebbe risultare evidente già nel primo trimestre​
2015.​
L'affidabile indice dei responsabili degli acquisti (PMI), per il​
quale è avvenuto il sondaggio sulla decisione sui tassi della​
BNS, per gennaio ha registrato un crollo di 5.4 a 48.2 punti.​
Si è trattato del maggiore calo da novembre 2008, quando,​
dopo lo scoppio della crisi finanziaria, era crollata la crescita​
economica mondiale. Il PMI per la Svizzera dovrebbe peggiorare​
nuovamente anche in febbraio. I risultati del sondaggio​
sul portafoglio ordini, che con un peso del 30% rappresenta​
il più importante sottoindicatore del PMI, dovrebbero peggiorare​
ulteriormente e potrebbero spingere l'indice globale​
sotto il valore di 45. Anche le stime dei responsabili degli​
acquisti sulla produzione e sull'occupazione potrebbero​
essere più negative rispetto a quelle di gennaio. Dato che​
anche per marzo non si prevede alcuna rapida ripresa, nella​
media trimestrale presupponiamo un valore PMI approssimativo​
di 46, che corrisponde a una crescita del PIL dello 0.5%​
circa rispetto al trimestre precedente, e rispettivamente dello​
0.6% rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente​
Dopo la contrazione del PIL nel primo trimestre,​
la produzione dovrebbe segnare il passo nel T2, prima​
che prevediamo una nuova accelerazione nel secondo semestre.​
Il crescente slancio si basa sull'ipotesi di un ulteriore​
miglioramento congiunturale nell'Eurozona e di un'altra lieve​
svalutazione del franco svizzero. Successivamente, oltre ai​
settori meno sensibili al tasso di cambio, che nel primo semestre​
dovrebbero impedire una contrazione più profonda,​
dovrebbero farsi notare nuovamente sempre più impulsi​
positivi da più ampie parti dell'industria manifatturiera. Ma​
anche al di fuori dell'industria manifatturiera si trovano numerosi​
settori che nel 2015 dovrebbero contribuire positivamente​
alla crescita del PIL svizzero, non ultimo perché​
meno interessati dalla rivalutazione del franco. Nell'edilizia si​
delinea ad esempio un leggero calo dell'attuale dinamica,​
tuttavia continuiamo ad attenderci una crescita solida. Anche​
il contributo alla crescita derivante dai settori sanitario e​
sociale dovrebbe restare importante. Il valore di produzione​
dall'amministrazione pubblica dovrebbe inoltre aumentare​
ulteriormente. Analogamente all'industria manifatturiera,​
anche alcuni dei fornitori di servizi finanziari vengono penalizzati​
più pesantemente dal vento contrario del forte franco,​
determinando in tal modo una riduzione del loro contributo​
alla crescita rispetto al 2014.​
Complessivamente ci attendiamo un calo del PIL per il primo​
semestre e un'accelerazione della crescita nella seconda​
metà dell'anno, evitando così una recessione per l'anno​
complessivo. Per il 2015 prevediamo una crescita del PIL pari​
all'1.1%.​
m:mumble:

 
..................
Focus: potenziale limitato per ulteriori riduzioni dei tassi nei paesi emergenti
[FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com][FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com] A livello globale, la politica monetaria è diventata nettamente più espansiva dall'inizio dell'anno. Alla decisione della Banca centrale europea di acquistare titoli di stato e all'allentamento in Australia, Danimarca e Canada, si è ora aggiunta una vera e propria ondata di riduzione dei tassi nei paesi emergenti (vedi grafico). Ciò è attribuibile a diversi motivi: nella maggior parte dei grandi paesi emergenti, ultimamente la dinamica di crescita si è di nuovo indebolita, come per esempio in Cina, Russia, Indonesia e in Turchia. Inoltre, il basso prezzo del petrolio ha fatto scendere gli aumenti dei prezzi in molti paesi sotto gli obiettivi auspicati dai banchieri centrali. In questo modo spiega per esempio la Banca centrale indiana le sue sorprendenti riduzioni dei tassi. E non da ultimo anche il programma di acquisti di obbligazioni della BCE ha indotto alcune banche centrali a seguirla. Solo il Brasile ha irrigidito nuovamente la politica monetaria per contrastare l'elevata inflazione. In questo paese i prezzi ven-gono aumentati mediante interventi statali nel meccanismo di determinazione dei prezzi e nell'indebolimento valutario. [/FONT][/FONT][FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com][FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com]
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[/FONT][FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com][FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com] La differenza di rendimento delle obbligazioni dei paesi emergenti in valuta forte rispetto agli US-Treasury è netta-mente aumentata nel corso del 2014 . Da un lato i tassi statunitensi sono diminuiti dalla metà dell'anno. Dall'altro lato, il crollo del prezzo del petrolio ha determinato un aumento del premio di rischio per i paesi emergenti esportatori di petrolio. Con l'allentamento della politica monetaria nei paesi emergenti, ultimamente la differenza d'interesse è di nuovo un po' diminuita (vedi grafico). In linea di massima sarebbero opportune ulteriori riduzioni dei tassi. Gli indicatori anticipatori nei paesi emergenti segnalano un contesto congiunturale sempre difficile. La finestra temporale per ulteriori misure espansive di politica monetaria si sta comunque gradualmente chiudendo. Con l'attuale previsione di crescita e d'inflazione, la Banca centrale statunitense dovrebbe cominciare già a metà anno con la normalizzazione graduale dei tassi di riferimento. I rendi-menti statunitensi dovrebbero quindi aumentare ulteriormente. Di conseguenza, l'attrattiva relativa delle obbligazioni dei paesi emergenti diminuisce. Come accaduto regolarmente negli ultimi anni, l'afflusso di capitali verso i paesi emergenti dovrebbe rallentare. Ciò mette sotto pressione le rispettive valute. In Cina la decisione sui tassi della Fed dovrebbe generare relativamente pochi effetti, poiché il merca-to monetario cinese e quello dei capitali non è ancora completamente liberalizzato. La Banca centrale cinese allenterà probabilmente anche nel resto dell'anno la politica moneta-ria. Negli altri paesi emergenti, le banche centrali dovrebbero però effettuare un'inversione di tendenza. Dai deflussi di capitali saranno probabilmente di nuovo interessati soprattutto i paesi con un grande fabbisogno di finanziamento esterno, come per esempio India, Turchia, Indonesia, Brasile e Sudafrica.
I rischi delle obbligazioni dei paesi emergenti in valuta locale sono emersi chiaramente dall'inizio dell'anno. Alcune valute si sono nettamente svalutate. Nel resto dell'anno, a causa degli aumenti dei tassi negli Stati Uniti le obbligazioni in valuta locale dovrebbero rimanere sempre vulnerabili. Preferiamo quindi le obbligazioni dei paesi emergenti, denomina-te in USD o in EUR.

.......m:mumble:
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b...w.. a tutti..

Il rapporto di febbraio sul mercato del lavoro negli USA an-cora una volta ha stupito positivamente, come già nei mesi scorsi. A febbraio, il tasso di disoccupazione è sceso al 5.5%, raggiungendo praticamente in questo modo, secondo le stime della Fed, il livello di equilibrio di lungo termine, il che in linea di principio è indice di un aumento dei tassi. È molto probabile che la Fed pertanto la prossima settimana adegui la retorica durante la valutazione della situazione per tenersi aperta la possibilità di eseguire l'inversione dei tassi in giugno. Nel contempo dovrebbe però sottolineare anche la forte rivalutazione del dollaro, che potrebbe ritardare un aumento dei tassi. Attualmente il prevedibile aumento dei tassi imprime al biglietto verde un'enorme spinta. Una prosecuzione della rivalutazione del dollaro potrebbe frenare in misura sensibile le esportazioni e compromettere quindi anche la crescita del PIL. Una notevole battuta di arresto non corrisponde però al nostro scenario di base. La domanda nazionale resta solida. Anche se di recente i dati del commercio al dettaglio sono stati di nuovo deludenti, nei prosimi mesi l'aumento dei risparmi dovrebbe consentire un maggiore incremento dei consumi. Complessivamente prevediamo che la Fed, dopo il primo aumento dei tassi nei mesi estivi procederà solo a un lento e graduale inasprimen-to della politica monetaria. Attualmente riteniamo molto poco probabile un intervento sui tassi a ogni riunione della Banca nazionale, al ritmo di sei settimane, come succedeva spesso nei cicli di aumento dei tassi passati. Una successione rapida nel ritmo di aumento dei tassi significa infatti una minaccia di un'ulteriore rivalutazione del dollaro. Inoltre, non si profila ancora alcuna elevata inflazione e il settore immobiliare, poco dinamico, resta vulnerabile ai contraccolpi, in particolare in presenza di rapidi aumenti dei tassi. La setti-mana prossima le nuove previsioni della Fed e la conferenza stampa con Janet Yellen dovrebbero fornire ulteriori segnali sulla possibile forma del prossimo ciclo di aumento dei tassi.
La Fed dovrebbe inoltre commentare gli sviluppi in Europa e in Asia. L'USD è vittima di una pressione di rivalutazione non solo a causa delle discussioni sui tassi a livello nazionale, ma anche l'inizio degli acquisti obbligazionari della BCE hanno sensibilmente indebolito il cambio EUR/USD. Nell'arco di pochi giorni i rendimenti dei titoli di stato decennali nell'Eu-rozona hanno perso circa 20 punti base, toccando un nuovo minimo storico, che rende l'EUR ancora meno interessante. Inoltre, l'incertezza sulla Grecia si è di nuovo intensificata. I gettiti fiscali negli ultimi tempi sono stati inferiori alle aspettative, con un conseguente ulteriore aumento dell'emergenza finanziaria. In marzo e nei prossimi mesi entreranno in scadenza tuttavia rimborsi di crediti sull'ordine dei miliardi, il che spinge il governo a stipulare con i finanziatori un nuovo programma di aiuti. Le promesse di riforme del Ministro delle Finanze Varoufakis restano tuttavia vaghe, il che, insieme all'inasprimento della retorica ellenica nei confronti dei partner di trattativa, non fa altro che indebolire la posizione contrattuale della Grecia.
L'USD tende attualmente a rafforzarsi anche nei confronti della valute asiatiche. La maggior parte delle Banche centrali nella regione asiatica ultimamente ha nuovamente allentato la politica monetaria e si stanno delineando altre misure orientate in questo senso. L'indebolimento della crescita in Cina attualmente è più rapido del previsto. Negli ultimi mesi i dati congiunturali sono stati per lo più inferiori alle prudenti aspettative. La prossima settimana i prezzi degli immobili dovrebbero registrare un nuovo calo. Solo le cinque maggiori metropoli evidenziano segnali di una timida stabilizzazione. Nel complesso sono pertanto probabili ulteriori misure di politica monetaria. In Giappone, la prossima settimana o in occasione di una delle prossime riunioni della Banca centra-le, si potrebbe assistere a un ampliamento del programma di acquisto di azioni e obbligazioni. Negli ultimi mesi la dinamica dell'inflazione di base si è chiaramente indebolita, allontanando sempre di più l'obiettivo della Banca centrale di un'inflazione al 2%.

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La politica monetaria continua a dominare i mercati. Dopo che la settimana scorsa la BCE ha iniziato a inondare i mercati dei capitali in grande stile e la Fed contemporaneamente lascia sempre meno spazio al dubbio sull'imminenza della svolta della politica monetaria, gli operatori di mercato non sono d'accordo su come interpretare le politiche asincrone delle Banche centrali sulle due sponde dell'Atlantico. Per il momento in Europa è ancora grande l'euforia per il nuovo allentamento politico-monetario. Già da molto tempo la congiuntura non è più il fattore propulsi-vo dei mercati. I mercati azionari europei hanno formalmente preso il volo già prima del Quantitative Easing della BCE, mentre in America gli investitori preferiscono andare cauti. La preoccupazione riguardo alla svolta politico-monetaria lì sembra farsi più grande quanto più questa si avvicina.
In passato e fino a ora, ogni cambiamento di rotta della politica monetaria ha provocato insicurezza nella borsa, ma solitamente in modo temporaneo. Inoltre, i tassi in aumento sono sempre il segnale di una congiuntura sana, il che ha ripercussioni positive sulle aspettative di utili delle imprese. Quindi ci si può davvero solo augurare che negli Stati Uniti torni finalmente un po' di normalità sui mercati. Normalità nella quale i mercati si orientano a dati congiunturali buoni e a previsioni sugli utili in miglioramento e non a magie di politica monetaria. Le opportunità sembrano buone perché formalmente l'economia americana è dotata di molto, nuovo vigore, il mercato del lavoro manda segnali del tutto positivi e la propensione agli acquisti dei consumatori si è ripresa. Se la BCE non manda a monte questi piani. Infatti, la debolezza dell'euro diventa sempre più un problema per la congiuntura statunitense. Certamente gli Stati Uniti non vivono di esportazioni, la congiuntura nazionale è il fattore trainante maggiore dello sviluppo, ma nonostante questo, la forza del dollaro è un problema per la crescita che mette la Fed davanti a un dilemma. La settimana scorsa i mer-cati statunitensi hanno reagito con una flessione ai segnali che la Fed potrebbe aumentare i tassi in giugno. Questo è un chiaro segnale che anche negli Stati Uniti, dove l'economia registra un andamento positivo, gli attori del mercato finanziario preferiscono sperare in misure di assistenza piuttosto che puntare sullo sviluppo dell'economia reale. E il dollaro forte alimenta queste speranze. La tensione dovrebbe raggiungere il suo picco quando la politica della Banca centrale americana si sgancerà definitivamente da quella europea. Al momento non è del tutto chiaro se questo effettivamente avverrà e che cosa scatenerà. È anche dubbio che i rendimenti europei possano effettivamente staccarsi dall'aumento dei tassi americani per un periodo più lungo. Se la risposta è negativa, da un punto di vista della prospettiva politico-monetaria europea questo sarebbe fatale. La svolta monetaria 1.0 di Ben Bernanke alla fine di maggio 2013, che di fatto era solo un annuncio verbale, aveva comunque fatto aumentare i rendimenti a livello mondiale, anche in Europa. Si vedrà se questo accadrà di nuovo con la svolta 2.0 ormai imminente. Draghi afferma con fiducia che ciò non avverrà, ma la fiducia non è certezza.
[FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com][FONT=Frutiger Next Com,Frutiger Next Com] Il mercato e non la politica
[/FONT][/FONT] Il fatto che a ogni minima flessione i mercati guardino alle Banche centrali è interamente colpa di queste ultime. Da tempo rappresentano il parametro dei mercati e non più il contesto di economia reale dove la politica moneta-ria comunque non genera quasi effetti. L'applauso dei mercati finanziari sembra però stimolare i vertici delle Banche centrali al punto da far loro affrontare un imponente processo di ripartizione e mettere fuori gioco o distorcere i segnali tradizionali provenienti dai mercati, come ad esempio nel caso dei premi di rischio sui titoli di stato o dell'evocazione dello spettro della deflazione. In questo modo oggi perfino le economie in difficoltà degli stati periferici dell'Europa pagano i tassi più bassi di sempre per i loro debiti. Ma ciò ha contribuito poco al consolidamento delle loro finanze pubbliche. E sebbene le Banche centrali mettano in guardia da una presunta spirale deflazionistica, non conosco nessuno che rimandi i propri acquisti per poter approfittare di prezzi più vantaggiosi in futuro. E il fatto che non riusciamo necessariamente a generare un'inflazione del 2% stampando moneta, ce lo ha dimostrato recentemente il Giappone, dove l'obiettivo del tasso di inflazione è già di nuovo fuori dalla vista. Inoltre, tale obiettivo era stato superato temporaneamente di poco probabilmente solo a causa dell'aumento dell'IVA. Tuttavia le Banche centrali punta-no a un'inflazione al 2% senza motivare in maniera chiara perché definiscono come stabilità dei prezzi un'inflazione al 2% e non per esempio dello 0%. E sostengono di poter veramente raggiungere questo obiettivo facendo credere a una precisione di target che non possono affatto rispettare. Abbiamo visto l'esempio della BNS che di punto in bianco ha sospeso un autodichiarato obiettivo politico-monetario quando questo era senza prospettive di poter essere raggiunto. Anche per questo sarebbe ora che il mercato riprendesse il controllo sulla determinazione dei prezzi piuttosto che lasciare che lo faccia la politica
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