Macroeconomia Usa-Europa strategie di investimento

Crescente attrattiva delle strategie alternative



Nell'attuale contesto le strategie d'investimento alternative
nonché l'oro e gli immobili ci sembrano interessanti,
mentre il petrolio dovrebbe continuare a
confrontarsi con difficili condizioni di mercato.
Correlazione possibilmente ridotta con le azioni
Le emergenti incertezze e i titoli di stato sempre poco allettanti
rendono sempre più interessanti le possibilità d'investimento
alternative. Nello scenario attuale ci sembrano
buone opportunità d'investimento soprattutto le strategie
che in un difficile contesto azionario hanno una correlazione
possibilmente bassa o addirittura leggermente negativa,
senza essere soggette a eccessivi rischi di liquidità.
Infatti, per esempio durante le passate correzioni azionarie
i fondi Global Macro o le strategie basate sulla negoziazione
di future molto liquidi (CTA) si sono dimostrati relativamente
robusti. Sovraponderiamo quindi leggermente
le strategie alternative.
L'eccesso di offerta determina ancora il prezzo del
petrolio
Come previsto, l'OPEC ha lasciato la quota di estrazione a
30 milioni di barili al giorno, anche se da molto tempo tale
livello viene superato ogni giorno di circa 1.5 milioni di barili.
La debole disciplina dovrebbe continuare, poiché i singoli
membri del cartello, in considerazione degli inesistenti
meccanismi di sanzioni, tentano di compensare almeno
parzialmente i bassi proventi delle vendite con un aumento
dei volumi di produzione. A ciò si aggiunge l'incertezza per
quanto riguarda l'Iran, che a seconda della modalità della
sospensione delle sanzioni rientrerà con forza nel mercato
del petrolio. L'offerta eccessiva dovrebbe quindi persistere
ancora o addirittura aumentare leggermente. A causa di
limiti tecnici di estrazione, un aumento della produzione è
tuttavia limitato, cosicché anche i cali dei prezzi dovrebbero
essere contenuti. Allo stesso tempo anche il potenziale
rialzista è limitato, poiché un forte aumento dei prezzi
dovrebbe far riprendere la produzione a molte imprese di
fracking e aumentare l'eccesso di offerta. Prevediamo
quindi che per il momento le quotazioni del petrolio si
muoveranno in un canale laterale e rimaniamo posizionati
in modo neutrale.
L'oro e gli immobili rimangono interessanti
Per quanto riguarda l'oro rimaniamo sempre lievemente
sovraponderati, poiché le crescenti aspettative inflazionistiche
e l'incertezza sull'esito del poker del debito greco
dovrebbero rendere possibile un certo potenziale rialzista
nonostante la pressione ribassista dovuta all'avvicinarsi
dell'aumento dei tassi da parte della Fed. Anche per gli
immobili manteniamo la leggera sovraponderazione. Gli
investimenti immobiliari sono sempre relativamente cari,
ma proprio dopo il calo dei prezzi di maggio il livello ci
sembra utile per aumentare le esposizioni di immobili. Infatti,
fino a quando i titoli di stato continueranno a muoversi
a livelli poco attraenti, l'afflusso di capitale negli investimenti
immobiliari dovrebbe proseguire complessivamente
e gli investimenti in immobili rimarranno quindi
un'interessante possibilità per generare rendimenti.
 
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Pazienza
Ora a nostro avviso occorre avere pazienza, non con la
Grecia, ma a causa della Grecia. Alla fine di giugno si porrà
forse meno la questione di un nuovo ultimatum, ma la
questione dell'ultimatum. I mercati hanno perso lentamente
la pazienza e valutano l'atteggiamento temporeggiante
della politica non più come un modo per guadagnare
tempo, ma come una perdita di tempo. Non che la
volatilità sui mercati sia aumentata già in modo preoccupante.
Essa è storicamente piuttosto ancora bassa. Ma di
recente le oscillazioni dei corsi sono diventate di nuovo più
casuali e instabili. Da un punto di vista tecnico, di recente
inoltre alcuni livelli di supporto sono stati superati al ribasso,
anche se solo temporaneamente, e gli indici durante
la negoziazione giornaliera passano talvolta improvvisamente
dal segno positivo al segno negativo e viceversa,
senza che gli operatori di mercato sappiano veramente
il perché. Valutiamo ciò come un segnale di una
fase di adattamento, che va sempre di pari passo con tali
erratici movimenti dei corsi, che noi, sulla scia dell'attuale
posizionamento tattico, desideriamo evitare di proposito.
È probabile che non sia l'atteggiamento temporeggiante
nei confronti della Grecia o dell'irrigidimento della politica
monetaria negli USA ad alimentare i mercati, ma proprio il
contrario.
 
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sempre copiato..................... dal maestro

La scorsa settimana dicevo che i dati macroeconomici , nel complesso positivi, provenienti nelle ultime settimane dagli States avrebbero dovuto essere interpretati dalla FED. Orbene è prevalsa un’interpretazione attendista ( di ulteriori conferme) e improntata alla cautela.

Iniziamo col dire che lo statement è stato approvato all’unanimità: il FOMC è quindi compatto in questa interpretazione moderatamente dovish.

Dalla lettura dello statement non si evincono sostanziali modifiche rispetto ai precedenti meeting ( del resto la FED , specie sotto la gestione Yellen, intende procedere con grande gradualità): presa d’atto di un andamento delle variabili macroeconomiche e della crescita non difforme rispetto ai trimestri precedenti ( si parla sempre di espansione ‘moderata’); fiducia in ulteriori miglioramenti dell’occupazione ; constatazione dell’attuale debole dinamica dei prezzi e al tempo stesso fiducia nel raggiungimento del target d’inflazione programmato (2%) nel medio periodo.

Per il raggiungimento del suo duplice target ( piena occupazione e inflazione al 2%) la FED ritiene quindi ancora adeguati gli attuali tassi d’interesse e nei mesi futuri continuerà a monitorare da vicino le diverse variabili macroeconomiche ( soprattutto, aggiungo io, l’andamento dei prezzi).

Dal punto di vista dell’accentuazione dei toni dovish mi ha colpito il riferimento all’ export debole e all’impatto deflattivo dei prezzi dell’import ( in calo anche per la forza del dollaro). Come dicevo nelle precedenti note l’establishment statunitense ha posizioni a volte differenziate riguardo la forza del dollaro: l’anima mercantilistica la troviamo soprattutto negli ambienti del Congresso ( sensibili alle pressioni delle lobby industriali ) ma anche dell’Amministrazione Obama ( ricordiamo la vicenda delle dichiarazioni di Obama al G7 formalmente smentite): adesso anche la FED, con grande diplomazia, fa un’apertura verso tali istanze.

Per quanto riguarda il c.d. dot plot , il documento allegato allo statement contenente soprattutto le previsioni di tutti i membri FED circa l’andamento dei tassi nel prossimo triennio, esso è apparso un po’ più dovish rispetto al dot plot di marzo. Mentre a marzo alcuni esponenti FED per la fine del 2015 vedevano tassi superiori al 1%, adesso nessuno fa una tale previsione e la mediana delle previsioni è tra lo 0.5% e lo 0.75 % : significa che per la fine del 2015 avremo sicuramente un rialzo , forse due ( ogni rialzo sarebbe quindi di 25 punti base). Nell’ultimo caso il timing sarebbe : settembre- dicembre. ‘Sicuramente’ vuol dire che un rialzo per il 2015 è già in gran parte prezzato. Inoltre anche guardando al 2016 si evidenzia una maggiore gradualità nei rialzi rispetto alle previsioni di marzo.

Tale gradualità è stata sottolineata ( oltre che nello stesso statement, laddove si dice, come del resto nei precedenti statement, che la politica monetaria resterà accomodante per un certo periodo anche dopo il raggiungimento dei due target, chiarimenti più avanti) dalla Yellen in conferenza stampa; traducendo liberamente : ‘non enfatizzate il primo rialzo dei tassi perché il percorso successivo sarà molto graduale’.

La Yellen ha quindi sottolineato i miglioramenti del mercato del lavoro senza nascondere alcune criticità: part time , salari che non crescono quanto dovrebbero, tasso di partecipazione in crescita ma suscettibile di ulteriori miglioramenti ( una parte della forza lavoro resta quindi ancora inutilizzata).

Per quanto riguarda il versante prezzi, continua ad esprimere fiducia per la progressiva stabilizzazione dei prezzi energetici e per i miglioramenti del mercato del lavoro che ( nonostante le su citate criticità) possono contribuire all’instaurarsi di una virtuosa dinamica inflattiva.

Nel complesso , nonostante i miglioramenti, il FOMC non ha potuto avviare la normalizzazione della politica monetaria perché si attendono ulteriori miglioramenti del mercato del lavoro e soprattutto manca la piena e ragionevole fiducia circa il raggiungimento del target d’inflazione programmata ( in quest’ultimo caso precisiamo che non si deve raggiungere il target in sé ma solo la ‘ragionevole fiducia’).

Ovviamente la Yellen ribadisce che tutte le previsioni, specie quelle contenute nel dot plot, sono fatte ‘rebus sic stantibus’: se i dati macroeconomici miglioreranno più del previsto ( o peggioreranno) quelle previsioni andranno riviste; del resto il FOMC si riserva di valutare ad ogni meeting l’adeguatezza della sua politica monetaria.

Questa impostazione leggermente più dovish del previsto da parte della FED ha determinato un generale indebolimento del dollaro, anche se, specie contro euro, siamo rimasti ben lontani dall’ampiezza dei movimenti del meeting del 18 marzo. Del resto i fed funds da mesi prezzano un aumento dei tassi entro dicembre. Tra le valute a performare maggiormente contro il dollaro è stata la sterlina favorita da alcuni suoi dati superiori al consensus ( mi riferisco alle vendite al dettaglio e all’aumento dei salari); eurgbp di conseguenze si è automaticamente indebolito: sarà interessante vedere come nelle prossime settimane si realizzerà un riallineamento tra euro e sterlina ( ovviamente peserà la questione Grecia sulla quale torneremo).

I listini , specie quelli americani, hanno ovviamente apprezzato i toni della FED ma considerati i massimi presso i quali stazionano da settimane non vi era ampio margine di salita.

Anche sui treasuries abbiamo assistito ad un aumento delle quotazioni ( sia pure altalenante ) e ad un calo dei rendimenti. Una generale ripresa dell’obbligazionario che ha coinvolto anche il bund, ma non i bond dell’area periferica dell’Eurozona , sempre per il nodo Grecia btp e bonos restano sotto pressione, mentre il bund resta bene rifugio; quindi in questo caso i movimenti dei prezzi non sono da mettere in relazione alle dinamiche inflattive dell’Eurozona , come invece abbiamo visto nelle scorse settimane, e non comportano nessuna correlazione ( in quel caso inversa) col cambio eurusd.

E veniamo alle questione Grecia.

Dopo il nulla di fatto della scorsa settimana con le banche greche in crisi di liquidità per i continui prelievi ( e conseguente implementazione dell’ELA da parte della BCE) domani dovrebbe essere la giornata decisiva. Il governo greco ha formulato delle nuove proposte ( di riforme strutturali) illustrate in queste ore personalmente da Tsipras a Juncker, Merkel e Hollande. Basteranno per ottenere l’accordo con i creditori? Difficile dire, comunque sono ottimista. In ogni caso domani per l’euro resta una giornata da bollino rosso; quindi massima attenzione e se si vuole tradare la volatilità conviene adeguare le size e ridurre la leva.

Quali gli effetti sul cambio di una eventuale soluzione del nodo Grecia?

Iniziamo col dire che molti analisti non si spiegano la tenuta di eurusd nonostante i nuvoloni che specie sul finire della scorsa settimana si sono addensati sulla Grecia. La ricostruzione che va per la maggiore è la seguente: gli investitori stranieri hanno smobilizzato molti asset in euro e conseguentemente hanno liquidato le coperture short assunte sul cambio.

La spiegazione non mi convince: l’operazione su citata dovrebbe essere a somma zero: l’investitore straniero vende le azioni dell’Eurozona ma, visto che in ipotesi ha effettuato la vendita per non correre i rischi derivanti dal default della Grecia, cambia gli euro ricavati nella propria valuta domestica ( quindi vende eurusd) contemporaneamente liquidita le coperture (un po’ semplicisticamente perché le coperture possono essere molto complesse: acquista eurusd) : operazione a somma zero.

La mia spiegazione ( dal punto di vista fondamentale) sulla tenuta del cambio invece è triplice:

1. Debolezza del dollaro specie dopo il FOMC.

2. Tutti sanno che l’Unione, e la stessa Grecia, non può permettersi un default, quindi, a mio avviso, vi è sempre stata la convinzione di un compromesso magari all’ultimo minuto utile ( come sembrerebbe delinearsi anche in base ad un possibile lap up del cambio). Compromesso caldeggiato, fra gli altri, da Obama per ragioni geopolitiche ( per evitare l’avvicinamento della Grecia alla Russia di Putin) e dalla Yellen per ragioni economiche per evitare contagi sui mercati finanziari.

3. La terza è una ragione più sottile ( e da sottoporre ad altre verifiche) : da qualche tempo osservo un comportamento dell’euro simile a quello dello yen. Lo yen è sempre stata la classica valuta di finanziamento , per i tassi d’interesse prossimi allo zero. Anche l’euro ha tassi prossimi allo zero, addirittura negativi quelli sui depositi overnight presso la BCE. Le valute di finanziamento sono quelle valute nelle quali ci si indebita (vendendole) per comprare asset più remunerativi ( e più rischiosi) , siano essi azioni o valute a più alto rendimento. Lo yen quindi viene venduto quando i listini si apprezzano, se invece diminuisce la propensione al rischio si segue il percorso inverso. Analoga correlazione inversa sembra essersi instaurata tra euro e listini.

Se la terza spiegazione ha un fondo di verità, la soluzione ( o il rinvio) della questione greca avrà un effetto supportivo del cambio solo nel breve periodo; in quanto nel medio periodo dovrebbe tornare l’interesse verso asset più remunerativi ( nella specie azioni dell’Eurozona) e l’euro dovrebbe ridiventare valuta di finanziamento ( quindi venduta). Resterebbe in ogni caso la spiegazione 1 a sostenere il cambio.

Per questo convergere di forze contrastanti dal punto di vista fondamentale mi aspetto nei prossimi mesi una stabilizzazione del cambio: un andamento laterale tendente all’up , ovviamente oggi tendente all’up perché, risolta la questione greca, nel determinare la direzione prevarranno i dati macroeconomici degli USA in base ai quali la FED adotterà le sue decisioni .
 
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Focus: rallentamento della crescita nell'industria
USA
negli ultimi anni la produzione industriale USA ha avuto un
andamento più dinamico rispetto all'economia globale. Ciò
dipende in gran parte dal boom del fracking, iniziato nel
2008. La produzione nel settore delle materie prime è nettamente
aumentata. Ma anche l'industria manifatturiera, che
rappresenta il 75% della produzione industriale, ha beneficiato
dalla nuova tecnica di estrazione di gas e petrolio:
Grazie al calo dei prezzi dell'energia, i costi di produzione
sono sensibilmente diminuiti. I produttori americani pagano
mediamente minori prezzi dell'energia rispetto ai loro concorrenti
in Europa e Giappone. Verso la metà del 2014, il
volume della produzione ha raggiunto il livello precedente
alla crisi dei mercati finanziari, il che non è ancora avvenuto
negli altri grandi paesi industriali.
Dalla fine dell'anno scorso, tuttavia, il meccanismo si è inceppato.
Nel T1, per la prima volta dalla recessione del 2009
la produzione industriale ha registrato una flessione e anche
nel T2 la dinamica è rimasta debole. Un importante fattore a
tal riguardo è il calo del prezzo del petrolio del secondo
semestre 2014. Il raffreddamento più forte si è verificato nel
settore delle materie prime: il numero dei pozzi petroliferi
attivi è drasticamente diminuito. Anche nell'industria manifatturiera,
il livello della produzione è più basso rispetto all'inizio
dell'anno. Il basso prezzo del petrolio ha in parte effetti
negativi anche qui. Ciò vale soprattutto per l'industria siderurgica,
i cui prodotti sono impiegati nell'estrazione di petrolio,
come per esempio le aste di perforazione. Di conseguenza,
anche gli investimenti per impianti e attrezzature nell'industria
sono diminuiti. Tuttavia, per il rallentamento della
crescita nell'industria manifatturiera è ritenuto responsabile
Settori industriali USA: bassa correlazione tra l'intensità
di esportazioni e il recente rallentamento di crescita
anche il forte dollaro. Circa il 20% della produzione è destinato
alle esportazioni. Nel confronto trasversale dei singoli
settori industriali si manifesta tuttavia solo una debole relazione
tra l'intensità delle esportazioni e il rallentamento della
crescita.
Un importante motivo per la pausa dovrebbe essere soprattutto
la precedente crescita dinamica .
Nel 2014, il volume reale della produzione ha registrato un
robusto aumento non sostenibile del 4%. Il raffreddamento
colpisce ora soprattutto i settori che in precedenza avevano
ottenuto una forte crescita della produzione. Ciò si manifesta
in particolare nei beni durevoli. Soprattutto l'industria dei
macchinari e quella metallurgica devono confrontarsi con
flessioni della produzione. Fa eccezione il settore automobilistico
che continua a registrare un andamento robusto e a
beneficiare dall'elevata domanda di consumi. Con la ripresa
dell'economia globale e in particolare del consumo privato,
nei prossimi mesi la produzione nell'industria manifatturiera
dovrebbe avere di nuovo una tendenza rialzista. Il forte dollaro
potrebbe frenare la ripresa, dato che i consumatori
statunitensi si rivolgono sempre di più a beni di importazione
più convenienti. Non prevediamo tuttavia una nuova forte
rivalutazione del dollaro. L'aumento dei tassi della Banca
centrale statunitense dovrebbe essere già ampiamente scontato.
Con la nostra previsione di un prezzo del petrolio sempre
relativamente basso, la dinamica nel settore delle materie
prime dovrebbe rimanere moderata. Non riteniamo tuttavia
che nei prossimi mesi la produzione industriale sorprenda
negativamente e impedisca alla Fed di effettuare l'atteso
aumento dei tassi a settembre.

m
 
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Focus: Basso rischio di contagio dalla Grecia
Il caso non previsto di un'uscita della Grecia dall'Unione
monetaria europea potrebbe diventare presto realtà. Gli
effetti diretti sull'economia reale al di fuori della Grecia non
sarebbero troppo grandi a causa della sua modesta percentuale
sull'economia mondiale e del lungo periodo preliminare.
La preoccupazione maggiore degli oppositori di un
«Grexit» sono quindi anche i possibili effetti di contagio sugli
altri paesi periferici dell'Eurozona. Secondo alcuni si potrebbe
verificare un effetto domino sui mercati finanziari.
E in effetti, i premi di rischio delle obbligazioni dei paesi
periferici rispetto ai Bund tedeschi sono aumentati sulla scia
della recente escalation della crisi del debito greco. Tuttavia,
finora l'aumento non è affatto preoccupante e non è confrontabile
con l'andamento precedente al taglio del debito
greco nel 2012. Nel complesso, attualmente i premi di rischio
sono di nuovo al livello precedente all'annuncio
dell'aumento degli acquisti di titoli di stato da parte della
BCE. La stessa situazione mostrano i prezzi delle assicurazioni
contro le insolvenze dei titoli di stato, i cosiddetti CDS

A nostro parere, questa valutazione «serena» non dovrebbe
cambiare di molto neppure nel caso di un «Grexit». Infatti, la
situazione economica e finanziaria negli altri paesi periferici è
notevolmente migliorata. Ciò vale prima di tutto per l'Irlanda.
Là, i lavori di riassetto dopo lo scoppio della bolla immobiliare
non sono ancora completati, ma grazie ad azioni
coerenti e alle riforme sono in uno stadio molto avanzato. La
forte ripresa economica dovrebbe ora essere sufficiente a
ridurre il deficit di bilancio statale senza ulteriori risparmi e a
far scendere rapidamente la quota del debito. Già il prossimo
anno, i debiti statali in % del PIL sono previsti «solo» di
poco sopra il livello del 100%, rispetto al 123% alla fine del
2013. Di conseguenza, negli ultimi anni i premi di rischio
soprattutto per l'Irlanda sono enormemente diminuiti.
Durante l'inasprimento della crisi del debito nel 2012, dopo
la Grecia, il Portogallo era ritenuto l'incognita numero 2 e in
quel periodo ha dovuto ricorrere allo scudo protettivo. Nel
frattempo, anche nel Portogallo la situazione si presenta
molto migliore rispetto a quella in Grecia. Non può esibire gli
stessi progressi dell'Irlanda, ma i dolorosi risparmi e le riforme
sono stati ritenuti necessari anche qui da un'ampia maggioranza
dei soggetti politici e della popolazione e sono stati
attuati. Gli obiettivi di risparmio sono stati rispettati e la
congiuntura mostra una tendenza di nuovo rialzista. Il programma
di salvataggio è stato terminato con successo alla
metà del 2014 senza ulteriori aiuti. Da allora il Portogallo
può finanziarsi di nuovo sul mercato a condizioni più convenienti.
Ciò consente anche un po' alla volta l'anticipato rimborso
dei crediti del FMI, che rispetto alle attuali condizioni
del mercato mostrano un addebito degli interessi dgli interessi doppi.
Sia il Portogallo sia l'Irlanda sono quindi ben preparati da un
punto di vista fondamentale per superare eventuali turbolenze
in caso di un «Grexit». Inoltre, i continui acquisti di titoli di
stato da parte della BCE hanno un effetto di supporto. E i
nuovi meccanismi di sicurezza creati dell'Eurozona sono
pronti ad essere utilizzati. Infine, i due paesi hanno creato un
ottimo cuscinetto di capitale. Il previsto avvio del capitale di
terzi a medio e a lungo termine per quest'anno è già stato
ampiamente completato. E, in caso di necessità, i mezzi
accantonati coprirebbero il fabbisogno di capitale per il prossimo
anno. Non sono previste quindi difficoltà di pagamento.
A più lungo termine, l'esempio di un'uscita greca può far
reagire i mercati naturalmente in modo più rapido a un peggioramento
della situazione finanziaria in un paese membro
dell'Unione monetaria – a differenza degli anni precedenti
alla crisi del debito. Ma questo sarebbe uno sviluppo gradito.
I maggiori premi di rischio aumentano l'incentivo per i governi
a reagire tempestivamente e riducono quindi la probabilità
che possano insorgere squilibri così drastici, come quello
della Grecia

m
 
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buon weeek

a Cina diventa l'ago della bilancia per
il mercato petrolifero


La dinamica economica cinese dovrebbe essere leggermente
aumentata nel T2 rispetto al debole T1. La politica espansiva
della Banca centrale cinese ha mostrato quindi una certa efficacia.
Questa non dovrebbe però essere il segnale di partenza
per un duraturo stimolo della dinamica congiunturale, che
neppure le recenti misure della People's Bank of China dovrebbero
cambiare. L'obiettivo auspicato dal governo di una
crescita del 7% per il corrente anno non dovrebbe essere affatto
centrato. Pertanto, la seconda economia mondiale si
trova già per la quinta volta consecutiva di fronte a tassi di
crescita invariati risp. in calo.
La crescita cinese sempre debole dovrebbe avere un ulteriore
effetto negativo sul mercato petrolifero, comunque già sotto
pressione a causa dell'eccedenza di offerta. Infatti, una dinamica
congiunturale sempre in calo va di pari passo con una
diminuzione della crescita della domanda di greggio – per il
corrente anno prevediamo un indebolimento della domanda
di petrolio dalla Cina al 2.4% rispetto all'anno precedente


La frenata della crescita economica cinese diventa importante
sul mercato petrolifero in quanto la Cina nel frattempo dopo
gli USA è il secondo consumatore mondiale di petrolio. Oltre
il 12% della domanda globale di greggio e di combustibili liquidi
è destinato al Regno di Mezzo. I forti cali dei prezzi delle
quotazioni di greggio in seguito ai recenti crolli sulle borse
asiatiche sottolineano le preoccupazioni sul mercato petrolifero
per un persistente rallentamento della crescita economica
cinese. Infatti, se in futuro il contributo cinese alla domanda
globale di petrolio diminuisse ulteriormente, questo
rafforzerebbe ulteriormente la pressione sui prezzi del petrolio
– e ciò in un contesto di prezzi del petrolio già difficile, poiché
il mercato viene letteralmente inondato dagli Stati OPEC e dai
produttori americani di petrolio. Questi ultimi sono stati costretti
a un enorme smantellamento degli impianti di trivellazione
a causa dell'aggressiva politica di estrazione dell'OPEC,
guidata dai sauditi. Tuttavia, allo stesso tempo la produttività
e l'efficienza degli impianti rimasti e di quelli da poco messi in
funzione sono state nettamente aumentate, e pertanto non si
è quasi per niente verificato il calo desiderato della produzione.
Dall'altro lato, la situazione si aggraverà ulteriormente,
se durante le trattative sul nucleare con Teheran si trovasse
una rapida soluzione e le sanzioni economiche contro l'Iran
venissero eliminate. Il paese dovrebbe successivamente ritornare
con forza sul mercato petrolifero internazionale e aumentare
la sua produzione dagli attuali circa 2.8 milioni di barili
al giorno a quasi 4 milioni di barili al giorno, ovvero la quantità
tecnicamente possibile. Questo aumenterebbe ulteriormente
l'eccedenza di offerta mondiale.
Tensioni più forti all'interno dell'OPEC
La moderata previsione per il mercato petrolifero non dovrebbe
migliorare neppure in seguito alla forte dinamica della
congiuntura USA e alla continua ripresa economica nell'Eurozona.
Infatti, i depositi di petrolio stracolmi evidenziano che
anche dal lato della domanda non si delinea alcuna rapida
normalizzazione del rapporto domanda / offerta, nonostante
i positivi fattori congiunturali e il pieno sfruttamento delle raffinerie.
In questo contesto è pertanto molto probabile che il
calo della dinamica congiunturale in Cina diventi infine l'ago
della bilancia per l'OPEC. Infatti, se la dinamica della domanda
cinese di petrolio fino alla prossima riunione ordinaria all'inizio
di dicembre scendesse ulteriormente e le quotazioni di petrolio
si trovassero ancora di più sotto pressione, il disappunto
all'interno del cartello dovrebbe aumentare ulteriormente. La
richiesta di una riduzione delle quote di estrazione concordate
aumenterà ulteriormente, poiché il basso prezzo del petrolio
mette in forti difficoltà le finanze statali di troppi membri.
Tanto più che anche le riserve di denaro dei determinanti sauditi
non sono illimitate – dall'inizio del crollo del prezzo del
petrolio nell'estate scorsa, il Regno ha subito già una perdita
dell'8% circa delle sue riserve di divise.


m
 
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Le forti turbolenze sui mercati azionari della Cina e
dell'Europa non dovrebbero cessare tanto rapidamente.
I ridotti volumi di mercato potrebbero favorire
la volatilità durante l'estate. Per le azioni rimaniamo
tatticamente sottoponderati.
Perdura la preoccupazione per la Grecia
Anche la prospettiva di un terzo pacchetto di aiuti non può
che fornire una spinta di breve durata ai mercati azionari.
Dopo le esperienze negative dei precedenti tentativi, l'effetto
a lungo termine delle misure di sostegno viene messo
in dubbio dagli investitori. L'influenza greca sul clima di
mercato dovrebbe rimanere negativa, nonostante le ridotte
ripercussioni congiunturali sul resto dell'Europa.
Cina: vendite in preda al panico
Da un punto di vista globale sul mercato azionario le luci
della ribalta si sono spostate dalla Grecia ai drammatici sviluppi
in Cina. Negli ultimi trimestri, l'euforia sul mercato
azionario cinese non ha conosciuto limiti, soprattutto negli
indici di riferimento di Shenzhen e Shanghai.
Alle valutazioni irrazionali è seguito l'amaro crollo. A nostro
parere, il punto di ingresso non è ancora raggiunto. I
previsti sostegni al mercato da parte della banca centrale
devono ancora fornire la prova della durata. Gli investitori
internazionali dovrebbero inoltre attendere per vedere se
il crollo sul mercato azionario diminuirà ulteriormente il
ritmo di crescita dell'economia reale.
Oltre al gioco di alternanza dell'insorgere e dello smorzarsi
dell'incertezza per la Cina e la Grecia, negli Stati Uniti c'è
il rischio di un primo aumento dei tassi alla fine dell'anno.
Attualmente, il contesto globale non è quindi favorevole a
un duraturo rebound sul mercato azionario. Il ridotto volume
di mercato in estate potrebbe inoltre favorire la volatilità.
Manteniamo pertanto la sottoponderazione tattica
nelle azioni.
Previsti solidi risultati aziendali
L'attenzione del mercato continua a essere rivolta agli sviluppi
politici e macroeconomici. Ma i risultati aziendali del
secondo trimestre dalla metà di luglio all'inizio di agosto
potrebbero far sì che temporaneamente la situazione reddituale
delle imprese generi movimento. Questa influenza
dovrebbe tendenzialmente avere un effetto di supporto
per il mercato. Infatti, la crescita economica nell'Eurozona
e negli Stati Uniti rimane solida e in Svizzera si dovrebbe
evitare una recessione. Ciò è favorevole a una modesta
crescita degli utili a una cifra nello SMI, per cui la forbice
tra i corsi azionari e i profitti aziendali con corsi azionari
costanti si restringe leggermente (vedi grafico). Per una
netta normalizzazione dal lato delle valutazioni questo non
sarà però sufficiente. Anche in quel caso, il rapporto
prezzo / utile nello SMI è ancora nettamente superiore alla
media pluriennale
 
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La ripresa dell'euro non è continuata. La congiuntura
dell'Eurozona, invece, è sempre sulla buona strada.
Sul periodo di un anno questo è favorevole a un EUR
più forte rispetto all'USD e al CHF. A breve termine,
il potenziale rialzista è però limitato.
Con l'incertezza sulla Grecia, la ripresa dell'euro si è interrotta.
Nel frattempo, l'EUR/USD ha raggiunto la nostra
previsione a breve temine di 1.10. Anche se la soluzione
provvisoria della controversia sul debito ha dato un po' di
respiro all'euro, prevediamo sempre un cambio EUR / USD
di 1.10 tra tre mesi. Anche dopo aver sventato la «Grexit»,
tutto ha un limite per l'economia dell'Eurozona. La domanda
di esportazioni dai paesi emergenti non è più così
robusta come negli anni precedenti. Il previsto aumento
dei tassi negli Stati Uniti è inoltre sfavorevole a una netta
ripresa dell'euro. Il potenziale ribassista per l'EUR/USD, che
comunque ha già una bassa valutazione, è quindi limitato.
Un'ulteriore svalutazione dell'euro darebbe una nuova
spinta congiunturale all'Eurozona dipendente dalle esportazioni
in misura relativamente forte. Sul periodo di un
anno, l'euro dovrebbe però trarre profitto dal fatto che
l'Eurozona possa ridurre di nuovo la differenza di crescita
rispetto agli Stati Uniti. Continuiamo quindi a prevedere un
corso di 1.19 fra 12 mesi.
BNS in stato di allerta
Nelle ultime settimane, la BNS ha espresso di nuovo la sua
disponibilità a intervenire e ha fatto anche seguire i fatti
alle parole. Ci sono segnali che sia intervenuta anche con
un corso dell'euro di 1.04 circa, relativamente elevato rispetto
a precedenti interventi. Per i mercati diventa pertanto
sempre più difficile prevedere a partire da quale
corso la Banca nazionale procederà agli acquisti di euro.
Questa imprevedibilità aumenta a sua volta l'effetto degli
acquisti di divise. La BNS dovrebbe di nuovo intervenire, se
il franco subisse ancora pressioni al rialzo. Tuttavia, non
appena l'incertezza sui mercati finanziari diminuirà di
nuovo, la solida congiuntura dell'Eurozona dovrebbe tornare
al centro dell'attenzione. Vediamo quindi l'EUR/CHF
invariato a 1.07 fra tre mesi e a 1.14 sul periodo di un
anno.
Yen richiesto come valuta contro le crisi
L'aumento della volatilità sui mercati finanziari internazionali
ha aumentato la domanda di yen. La valuta giapponese
continua a essere considerata un porto sicuro. Nei
prossimi mesi, le speculazioni per l'imminente aumento
dei tassi statunitensi dovrebbero tuttavia penalizzare lo
yen e far salire di nuovo a 125 l'USD/JPY. Inoltre non rileviamo
però alcun altro potenziale ribassista. La ripresa dei
consumi dovrebbe continuare e nel 2015 dopo la recessione
nell'anno precedente dovrebbe consentire una crescita
del PIL superiore al potenziale (+1.0%). Di questo dovrebbe
beneficiare anche lo yen. Continuiamo quindi a
prevedere l'USD/JPY a 120 fra 12 mesi.
 
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Focus: il crollo del mercato azionario cinese
non rimarrà privo di conseguenze
Dopo il compromesso sull'ulteriore tirare avanti tra la Grecia
e i suoi creditori internazionali, l'attenzione dei mercati finanziari
si è infine rivolta a un'incertezza molto maggiore
per l'economia mondiale: il crollo del mercato azionario in
Cina. Fino a metà giugno, gli indici azionari a Shanghai e a
Shenzhen, spinti dalla speculazione, erano più che raddoppiati
nel corso di un anno. Poi, improvvisamente è scoppiata
la bolla e i corsi azionari hanno perso in poco tempo fino al
40%. I drastici interventi del governo, tra cui i divieti di vendita
e l'obbligo di acquisti di sostegno per le società statali,
hanno determinato solo una breve ripresa. Questa settimana
i corsi sono scesi di nuovo.
In passato, i mercati azionari cinesi non avevano una significativa
importanza per l'economia reale. Erano dominati
dalle imprese a controllo statale, il cui finanziamento in periodi
di crisi viene garantito da iniezioni di liquidità statali.
Inoltre, l'impegno delle famiglie sul mercato azionario era
molto contenuto nel confronto internazionale.
Analisi empiriche mostrano significativi effetti patrimoniali di
forti movimenti del mercato azionario sui consumi degli investitori,
soprattutto per i paesi anglosassoni, dove un'elevata
percentuale della popolazione investe in azioni. Mentre,
per l'Europa continentale, tra cui anche la Svizzera, i dati
storici mostrano semmai solo effetti minimi. Ciò vale anche
per le poche esperienze nei paesi emergenti. Dopo l'ultima
violenta correzione del mercato azionario nel 2008 in Cina
non è stato registrato alcun peggioramento dei consumi. La
dinamica dei fatturati del commercio al dettaglio è poi aumentata
perfino notevolmente . In
questo caso, l'enorme programma di stimolo approvato
dallo stato a causa della crisi del mercato finanziario ha
svolto il ruolo decisivo. Inoltre, gli investitori privati cinesi
hanno beneficato dall'aumento dei prezzi immobiliari.
Rispetto a quel periodo, la situazione di partenza è notevolmente
cambiata. Il consolidamento dei prezzi delle case cinesi
dall'anno scorso e il basso livello dei tassi hanno spinto
maggiormente gli investitori privati verso il mercato azionario.
Questa tendenza è stata fortemente supportata prima
da misure statali, quali condizioni allentate per acquisti di
azioni finanziati da crediti, poi portando avanti le emissioni
del mercato azionario. Il boom del mercato azionario sganciato
dall'andamento dell'economia reale ha determinato in
breve tempo un enorme aumento del numero di nuovi – per
lo più inesperti – investitori azionari
La correzione sul mercato azionario non dovrebbe rimanere
del tutto senza segni di frenata congiunturale, perfino in
caso di una stabilizzazione indotta dallo stato. Soprattutto i
numerosi investitori che hanno iniziato a investire tardi dovrebbero
diminuire i loro progetti di consumo. I corsi azionari
sono scesi «solo» al livello di marzo. Ciononostante, la
perdita della capitalizzazione di mercato rispetto al livello
massimo ammonta all'equivalente di circa CHF 3 bilioni. E
solo nel T2 sono stati aperti 38 milioni di nuovi depositi di
clienti privati, il che corrisponde a oltre l'8% delle famiglie
cinesi.



m
 
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Focus: i bassi prezzi delle materie prime determinano
bassi livelli d'inflazione

Dopo che la tendenza nel frattempo è diventata leggermente
rialzista, le previsioni sull'inflazione sono di nuovo
molto più moderate sia per gli Stati Uniti sia per l'Europa.
Un motivo importante per i tassi d'inflazione stagnanti o addirittura
in calo è da ricercarsi nei prezzi delle materie prime,
che dall'inizio dell'anno e soprattutto da maggio sono nettamente
diminuiti su larga scala.
Quest'anno i prezzi delle materie prime sono diminuiti
nettamente

Evidente è il calo delle materie prime energetiche, che in
primo luogo è da attribuire alla persistente debolezza del
greggio. L'ipotesi che l'aggressiva politica di difesa del mercato
dell'OPEC, guidata dai sauditi, determinerebbe una
forte flessione della produzione di petrolio USA, non si è avverata.
Il numero degli impianti di estrazione americani è diminuito
rapidamente, ma a causa del fortissimo aumento
dell'efficienza non ha avuto alcun sensibile effetto sull'intera
produzione USA. In considerazione del previsto ritorno
dell'Iran sul mercato petrolifero e del rallentamento della
crescita in Cina un ritorno a un livello di prezzo superiore a
USD 60 al barile (Brent) sembra molto lontano. Tanto più
che attualmente non sembra che l'OPEC deciderà una diminuzione
del volume di produzione durante la sua prossima
riunione (4.12.)
Le materie prime agricole mostrano un bilancio mediocre.
Sia i prezzi dei cereali sia quelli del caffè hanno subito forti
perdite dall'inizio dell'anno. I motivi sono molteplici. Per il
grano, per esempio, negli USA si delinea un raccolto record.
I mesi molto umidi in ampie parti delle aree di coltivazione
del grano statunitensi del primo semestre hanno però in
parte un forte effetto sulla bontà del raccolto, il che dovrebbe
essere di supporto per i prezzi del grano di alto livello
qualitativo nel resto dell'anno. Dall'altro lato, il grano –
come la colza – è penalizzato dal basso prezzo del petrolio,
poiché diminuisce l'attrattiva relativa dei biocarburanti e
quindi anche la domanda delle materie di partenza. Per il
caffè invece il continuo calo dei prezzi deriva soprattutto dagli
effetti del tasso di cambio. Infatti, le valute dei grandi
produttori di caffè si sono svalutate nettamente rispetto
all'USD. Poiché il caffè viene negoziato in USD, per esempio
un produttore brasiliano ha sempre un incentivo ad aumentare
la quantità del raccolto, nonostante il calo dei prezzi del
mercato mondiale.
Alla tendenza ribassista delle materie prime agricole hanno
potuto sottrarsi finora il riso e il cacao. Mentre il riso come
alimento di base viene supportato dal continuo aumento
della popolazione mondiale, il cacao dovrebbe trarre profitto
principalmente dall'incremento dell'effetto ricchezza.
Infatti ben oltre il 90% del cacao raccolto viene utilizzato
per la produzione di cioccolato.
Il calo del prezzo dei metalli, a sua volta, è dovuto a due
cause principali. Da un lato, la congiuntura mondiale solo
moderata e la debolezza della crescita in Cina hanno un effetto
negativo sui prezzi dei metalli. Dall'altro lato, l'andamento
del prezzo dell'oro trascina nettamente in basso l'indice
dei metalli. Dall'inizio dell'anno, il metallo prezioso
giallo ha perso già oltre il 7.8% e viene scambiato nel frattempo
a un minino degli ultimi 5 anni. Contrariamente alle
aspettative, l'oro ha continuato a perdere terreno. E questo
nonostante il conflitto russo-ucraino, il caos in Libia, Siria e
nello Yemen, il terrorismo IS, la crisi della Grecia o il crollo
nei mercati azionari cinesi, un contesto che effettivamente
dovrebbe sostenere l'oro. Dal punto di vista fondamentale,
questo movimento ribassista si può spiegare solo in parte,
per esempio con il calo della domanda fisica dall'Asia. Sembra
piuttosto che l'oro abbia perso l'aura dell'investimento
nei periodi di crisi e che gli investitori evitino il metallo prezioso.
Una tendenza che dovrebbe rafforzarsi con l'aumento
dei tassi della Fed, previsto ancora quest'anno.
Forte USD, impulsi congiunturali non sufficienti, eccedenza
di produzione per motivi strategici (di mercato), prossimo
aumento dei tassi statunitensi e rafforzamento degli effetti,
dovuto alla correlazione con altre materie prime – le cause
dell'attuale ribasso delle materie prime non dovrebbero
cambiare rapidamente in misura sensibile e per il momento
un'inversione di tendenza non è prevedibile. Pertanto, soprattutto
nel confronto annuale i prezzi delle materie prime
dovrebbero avere ancora un effetto frenante sui tassi d'inflazione.


m
 

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