Sul terrorismo (1 Viewer)

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zappolaterra

Forumer storico
Reverse ha scritto:
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Finalmente una bella notizia, ormai temevo che sarebbero cadute per mano di quei barbari assassini. Veramente una bella notizia. Un punto a favore della civiltà contro la barbarie.:)

:)

CRONACHE
IL RITRATTO
La vittoria di Abdallah, il sovrano del dialogo
L'auspicio del rilascio è diventato realtà durante
la visita di ieri al Quirinale
Lo aveva detto con forza e convinzione, prima di congedarmi con una vigorosa stretta di mano, al termine dell’intervista esclusiva al Corriere : «Spero e prego, martedì quando sarò a Roma, di poter portare altre buone notizie. Sarebbe meraviglioso». Grazie, Maestà. Miglior dono di questo non avrebbe potuto portare. L’impegno di Re Abdallah di Giordania, che domenica si era assunto la responsabilità di dire «le due ragazze sono vive e stiamo facendo tutto il possibile per localizzarle e liberarle», è stato costante e appassionato.

L’aiuto dell’intelligence giordana è stato decisivo, anche se fino all’ultimo c’era il timore che le due Simone potessero essere vendute, negli avidi meandri del mercato dei sequestri, al terrorista Abu Musab al Zarkawi, precipitando nell’abisso del non ritorno. Il sovrano non è uomo che si compiace del proprio ruolo. E’ un giovane aperto, pragmatico, sincero, indubbiamente coraggioso, a volte spregiudicato e soprattutto convinto che per salvare l’anima dell’Islam sia necessario isolare, screditare e combattere quelli che - come Bin Laden e al Zarkawi - lavorano per distruggerlo, scatenando tra i popoli un rancore violento, e ricattando le masse musulmane con la promessa di un riscatto impastato di oscurantismo. Non sapeva neppure di dover diventare re, il giovane Abdallah. Quando suo padre, il grande Hussein, gravemente malato, decise di ritirare la delega al fratello Hassan e di affidargli le sorti del regno, il figlio primogenito che si era dedicato alla carriera militare ebbe un sussulto. Gli chiesi: «Avrebbe potuto dirgli di no?».

Mi rispose sgranando gli occhi azzurri, stupito da quella domanda impertinente: «Dire di no a Sua Maestà mio padre? Impossibile!». Con questo spirito accettò il peso del trono, senza tradire le proprie inquietudini. Sapeva che una stagione si era chiusa per sempre, e che altre e rischiose sfide attendevano il suo piccolo regno, assediato dai problemi di troppi confini difficili: l’Iraq, l’Anp, Israele, la Siria, l’Arabia Saudita. Con il 67% dei sudditi di origine palestinese, era poi costretto a inventarsi ogni giorno la risultante di troppe forze contrastanti, in un Paese che aveva bisogno di una forte scossa culturale e di un audace piano di riforme per poter continuare a credere in se stesso.

Il destino ha voluto che avesse al suo fianco una donna straordinaria di origine palestinese, la regina Rania, bellissima, intelligente e in convinta sintonia con la volontà riformatrice del marito. Le prime mosse del re furono accolte con diffidenza. Trasformare un Paese che era cresciuto nel rispetto di equilibri tribali appariva impresa improba. Molti giordani non sopportavano l’idea di un sovrano in jeans, che va allo stadio indossando la maglietta della nazionale, che si scalda come un qualsiasi tifoso, che ama il rap e si entusiasma vedendo Matrix. Ma la determinazione di Abdallah era destinata a prevalere perché le critiche, invece di deprimerlo, ne accrescevano il vigore riformatore. Vigore che ha alimentato l’odio degli estremisti più accaniti. Il re è stato fra i primi, forse il primo a rompere un tabù.

Quando denunciò l’esistenza del terrorismo islamico, i fanatici giurarono di vendicarsi. Hanno cercato di annientare l’intera famiglia reale mentre era in vacanza; hanno organizzato un attacco con armi chimiche, che avrebbe potuto provocare, quest’anno, 80.000 morti. Abdallah non si è piegato. Come diretto discendente del profeta Maometto, ha deciso di difendere il vero islam promuovendo il dialogo, le riforme politiche ed economiche, e offrendo un esempio di tolleranza. La regina Rania lo ha sostenuto. In primavera ha organizzato la prima grande manifestazione araba contro il terrorismo, sfilando in testa al corteo e sfidando i critici con il suo sorriso.

La guerra all’Iraq, che i sudditi non accettavano, rischiava di costargli cara. Abdallah, affidandosi alla lezione di saggezza di suo padre, ha cercato di contrastarla ma alla fine, dopo aver fallito, ha pensato al suo Paese. «Jordan first», prima la Giordania, è stato lo slogan con cui l’anno scorso ha aperto una nuova era. Poteva risultargli comodo diventare più morbido e acquiescente. Ha scelto la strada più impervia. Diventare il promotore della nuova tolleranza. Ripete sempre: «I terroristi sono i veri nemici: vostri e nostri».

Antonio Ferrari

29 settembre 2004 - Corriere.it
 

Reverse

Under Jolly Roger
Libere: Scelli (Cri), non voglio sentir parlare di riscatto
Commissario "Molte stupidaggini su giornale kuwaitiano"
(ANSA) - ROMA, 29 SET - 'Non voglio sentire parlare di riscatto'. Lo dice Maurizio Scelli in merito alla liberazione delle due italiane in Iraq. 'Questo discorso mi mette in condizione di perdere la neutralita' -. spiega il commissario straordinario della Cri -. E' un discorso che non voglio sia toccato perche' e' un attentato alla vita di 25 persone che stanno curando 300 persone al giorno. Mi pare che il giornale del Kuwait che parla del riscatto abbia detto molte stupidaggini'. /writer
29/09/2004 10:55
 

Reverse

Under Jolly Roger
Al Zarqawi, lo stratega del terrore

ROMA - Abu Musab al Zarqawi - il giordano- palestinese il cui gruppo terroristico 'Tawhid wal Jihad' (Unificazione e Guerra Santa) ha rivendicato la decapitazione degli americani Eugene Armstrong e Jack Hensley e minaccia di imporre la stessa sorte al britannico Kenneth Bigley se non saranno liberate le detenute irachene - e' considerato dall'amministrazione Bush uno dei massimi capi di al Qaida nell'area del Golfo e nel Medio Oriente.

Sul suo capo e' infatti stata posta dagli Usa una taglia da 10 milioni di dollari, che potrebbe salire fino ad avvicinarsi a quella di 25 milioni di dollari messa sulla testa di Osama bin Laden.

Zarqawi e' sospettato di essere lo stratega di gran parte degli attacchi suicidi compiuti negli ultimi tempi in Iraq, tra cui le stragi multiple nei luoghi sacri sciiti che il 2 marzo scorso hanno ucciso 271 persone. Il suo nome e' comparso anche nell'inchiesta sugli attentati dell'11 marzo a Madrid e in diverse indagini sul terrorismo islamico in Europa.

Zarqawi, che in realta' si chiama Fadel Nazzal Al-Khalayleh, e' un palestinese di nazionalita' giordana di 37 anni, ed e' ritenuto uno dei maggiori esperti di Al Qaida di armi chimiche e biologiche.

E' considerato l'ispiratore di diversi gruppi integralisti islamici, tra cui Ansar al Islam, attivo nel Kurdistan iracheno, Muntada al Ansar, il gruppo sospettato di aver decapitato l'ostaggio americano Nicolas Berg, e appunto la formazione Tawhid wal Jihad.

Secondo l'amministrazione americana, Zarqawi sarebbe stato piu' volte in Iraq ai tempi di Saddam Hussein. A lui farebbe capo anche una cellula di Al Qaida in Italia e sua sarebbe la regia dell'attentato del 12 novembre 2003 a Nassiriya contro il contigente italiano, di quello contro il quartier generale dell'Onu in agosto, a Baghdad, e di quello contro l'hotel Jabal Lubnan, il 17 marzo, sempre nella capitale.

L'organizzazione a lui legata, Tawhid wal Jihad, ha rivendicato in passato alcune decapitazioni di ostaggi come quelle del cittadino sudcoreano avvenuta il 22 giugno scorso, e del camionista bulgaro ucciso il 13 luglio.

L'11 settembre scorso, fonti americane avevano riferito di un messaggio audio di Zarqawi della durata di 45 minuti in cui si affermava che ''i guerrieri della Jihad'' avevano umiliato le forze internazionali e il giorno dopo diversi siti web islamici avevano diffuso un nastro con la voce di Zarqawi, nel quale egli minacciava di morte il premier iracheno Iyad Allawi.
 

zappolaterra

Forumer storico
Poche ore prima della liberazione di Torretta e Pari
si è rischiato che tutto andasse a monte per il riscatto
L'ultima telefonata coi rapitori
Un litigio con i mediatori
Le due ragazze erano state ritenute due spie
e perciò sottoposte a una sorta di processo
dal nostro inviato RENATO CAPRILE


Le due volontarie italiane
all'arrivo a Ciampino

BAGDAD - Alle 14.17 del giorno in cui sarebbero state poi liberate, si è rischiato che tutto andasse a monte. Che le due Simone potessero restare prigioniere. Proprio come i due giornalisti francesi. Perché alle 14.17 in punto una voce alterata dall'altro capo del filo rimproverava allo sceicco Ali Al Dulemi d'aver intascato soldi.

Quei 500 mila dollari di cui parlava un quotidiano di Kuwait City. Danaro che i sequestratori giuravano di non aver assolutamente preteso. Così almeno dicevano con tono offeso. Calava il gelo nel ricco studio di Dulemi in Masbah Street, non lontano da Karrada out e dal centro di Bagdad.

Il leader del Consiglio centrale dei capitribù iracheni e arabi, un vero e proprio contropotere, che stava da giorni mediando il rilascio delle due volontarie italiane, alzava a sua volta la voce: "Come ti permetti di accusarmi di una cosa del genere, non capisci che abbiamo molti nemici e sicuramente qualcuno stata tentando di fregarci, sabotando la trattativa? Mi chiedi chi, prova a ragionare. Noi non ci sporchiamo le mani per mezzo milione di dollari", parole dure ma che forse andavano a segno. Lo sceicco chiudeva la comunicazione con un secco "mi aspetto che le liberiate al massimo entro le 13 di domani - oggi per chi legge, ndr - altrimenti noi ci facciamo da parte".

Quattromila tribù: sunnite, sciite, curde, turcomanne, integrate da componenti cristiane. In pratica tutto l'Iraq che conta. Professionisti, gente che parla le lingue, che sa usare i computer e che non esibisce fucili. L'intellighenzia moderata di un possibile Nuovo Iraq. Ecco che cos'è il Consiglio centrale delle tribù.


Ci avevano contattato nel tardo pomeriggio di domenica scorsa. Cercavano giornalisti italiani a cui far sapere che la liberazione delle due ragazze era vicina. Che stavano bene, che nessuno le aveva sfiorate nemmeno con un dito, che non sarebbe stato pagato alcun riscatto, che le condizioni per il rilascio erano altre. E nemmeno le si poteva chiamare condizioni, perché le condizioni si impongono e quelle - dicevano - erano solo proposte. Insistevano con forza sul fatto di non volere denaro. Particolare che ovviamente resta tutto da verificare anche perché nessuno può ancora sapere quali altri canali e intermediari si siano intrecciati nella vicenda. In ogni caso ci raccontavano tutto a condizione di pubblicare il resoconto solo a cose fatte.

Dulemi che è di Ramadi ed è una sorta di premier di questo "governo ombra", dava poi la parola al dottor Tareq Alani, responsabile degli affari politici del Consiglio e di fatto una sorta di ministro degli Interni. Alto, robusto, vestito all'occidentale, Alani spiegava di essere in contatto da giorni con due esponenti dei servizi segreti italiani: Andrea Cresmo e Abu Laila. "Non mi illudo che siano i loro veri nomi, ma ho le prove che trattano per conto del vostro governo. Abu Laila parla arabo, un discreto arabo classico, ma non è arabo. L'ultima telefonata l'ho ricevuta un'ora fa. Ho detto loro che tempo 48 ore e le ragazze saranno libere e che avrebbero dovuto inviare in gran fretta un aereo qui a Bagdad".

Tareq spiegava anche come teneva i contatti con i rapitori. Chiamava un numero fisso e lasciava un messaggio in codice. Cinque minuti dopo il suo cellulare squillava. Dall'altra parte sempre lo stesso uomo. Ma perché rapire proprio quelle due ragazze? Sospettavano che fossero spie, agenti dei servizi segreti. Le hanno sottoposte nei giorni della prigionia a una sorta di processo. Le hanno interrogate a lungo e alla fine si sono convinti che erano davvero quello che dicevano di essere: due volontari, in Iraq per aiutare i più deboli. Dovevano quindi essere liberate e senza condizioni. Una specie di ammissione di colpa, un implicito: abbiamo sbagliato. E allora la trattativa poteva andare avanti, cercando di ottenere dal governo italiano alcune cose che certamente Berlusconi non si sarebbe rifiutato di dare.

Le due volontarie italiane
subito dopo la liberazione


Essenzialmente quattro richieste, di natura per dire così umanitaria. La prima: trenta bambini di Falluja gravemente feriti da curare negli ospedali del nostro paese. La seconda: l'impegno del governo a partecipare alla ricostruzione di Falluja e Ramadi, quasi completamente distrutte. La terza: una pressione italiana sull'alleato americano perché metta fine ai bombardamenti nel triangolo sunnita. Quarta ed ultima: l'invito in Italia di alcuni esponenti del Consiglio perché possano spiegare all'opinione pubblica l'altra faccia della guerra. Quella sconosciuta, che ha fatto migliaia di vittime innocenti.

Roba seria, dunque. Niente di irragionevole. Una specie di miracolo a tempo scaduto. Cresmo e Abu Laila garantivano che si poteva fare. L'aereo italiano era già sulla pista dell'aeroporto internazionale di Bagdad in attesa del prezioso carico. Aveva però fatto scalo in Giordania prima di decollare alla volta della capitale irachena. Gli americani avevano chiesto spiegazioni prima di dare l'ok e si erano sentiti rispondere: stiamo andando a prendere le due Simone.

E forse non è un caso che proprio dalla Giordania partisse l'indiscrezione che le due ragazze erano vive e vicine ad essere liberate. Il corrispondente del quotidiano del Kuwait scriveva del pagamento di un riscatto. Un milione di dollari da versare in due trance. I primi 500 mila subito, gli altri a liberazione avvenuta. Circostanza questa che metteva a repentaglio la riuscita di tutta l'operazione. Dulemi ci convocava nuovamente. Lo sceicco Yahya Al Hazà s'incaricava di scortarci dall'hotel Palestine alla villetta in Masbah Street. Nello studio di Al Dulemi era in corso una riunione. Le facce erano piuttosto scure. Al Dulemi non nascondeva che le cose si erano improvvisamente complicate. E le notizie di riscatto correvano il rischio di affondare la trattativa. Addirittura temeva che si fosse inserito un terzo soggetto. E il nostro accordo non aveva più valore.

Avremmo potuto scrivere tutto e raccontare l'eventuale sconfitta dell'ala moderata della guerriglia irachena. Qualche speranza c'era ancora, ma quei maledetti 500 mila dollari potevano compromettere tutto. "Credetemi - ci diceva - tra noi ci sono imprenditori e proprietari terrieri per i quali quella cifra, pur considerevole è poca cosa. Ma il gruppo che ha in mano le vostre ragazze pensa che vogliamo fregarli. Tareq è riuscito a spiegare la fuga di notizie dalla Giordania e dal Kuwait, ma sui soldi non è stato convincente. Vogliono parlare con me. Sto aspettando la loro telefonata". Che alle 14.17 in punto per fortuna arrivava. Al Dulemi riusciva a trovare le parole giuste.

Ma c'era sempre un piccolo margine di rischio che tutto saltasse all'ultimo momento. Un blitz, un ripensamento. Ci salutavamo con la speranza che tutto si concludesse entro le 13 di oggi. Poi alle 18.30 ora di Bagdad (le 16.30 in Italia) i rapitori chiamavano Tareq Alani: "Le stiamo liberando". Era vero. E il resto è la cronaca di un giorno felice.


(29 settembre 2004)
 

zappolaterra

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Reverse ha scritto:
Libere: Scelli (Cri), non voglio sentir parlare di riscatto
Commissario "Molte stupidaggini su giornale kuwaitiano"
(ANSA) - ROMA, 29 SET - 'Non voglio sentire parlare di riscatto'. Lo dice Maurizio Scelli in merito alla liberazione delle due italiane in Iraq. 'Questo discorso mi mette in condizione di perdere la neutralita' -. spiega il commissario straordinario della Cri -. E' un discorso che non voglio sia toccato perche' e' un attentato alla vita di 25 persone che stanno curando 300 persone al giorno. Mi pare che il giornale del Kuwait che parla del riscatto abbia detto molte stupidaggini'. /writer
29/09/2004 10:55

SELVA: «CREDO SIA STATO PAGATO» - Illazioni e smentite sul pagamento di un riscatto per le due Simone proseguono oggi, dopo che ieri un quotidiano del Kuwait aveva asserito che un milione di dollari è stato il prezzo pattuito con i sequestratori. Il presidente della commissione Esteri della Camera Gustavo Selva (An), parlando ad un'emittente radiofonica francese ha detto di ritenere che il riscatto sia stato pagato. «Credo di sì», ha risposto Selva ad un giornalista della radio francese RTL. «Ufficialmente lo si nega, ma credo che alla fine abbiamo pagato. La somma è probabilmente corretta», ha aggiunto riferendosi al milione di dollari, perché «la cosa più importante era la vita delle due ragazze».

29 settembre 2004 - Corriere.it
 

Reverse

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Libere: Scelli (Cri), non voglio sentir parlare di riscatto
Commissario "Molte stupidaggini su giornale kuwaitiano"
(ANSA) - ROMA, 29 SET - 'Non voglio sentire parlare di riscatto'. Lo dice Maurizio Scelli in merito alla liberazione delle due italiane in Iraq. 'Questo discorso mi mette in condizione di perdere la neutralita' -. spiega il commissario straordinario della Cri -. E' un discorso che non voglio sia toccato perche' e' un attentato alla vita di 25 persone che stanno curando 300 persone al giorno. Mi pare che il giornale del Kuwait che parla del riscatto abbia detto molte stupidaggini'. /writer
29/09/2004 10:55


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