11/9 una data che ha cambiato il mondo.
dall'11/9(e poco prima..) cosa è successo?
di seguito un'analisi della fatti:
L'ANALISI
Le troppe mosse sbagliate
nella lotta contro Al Qaeda
di GIUSEPPE D'AVANZO
COME sta andando la lotta al terrorismo? Ricordare la priorità della lotta al terrorismo è doveroso. Anche necessario. Diventa retorica se, a tre anni dall'11 settembre, non ci si chiede: come vanno le cose, è buona la strategia, sono adeguati gli uomini, guardano al problema con gli occhi giusti? Ha ragione Laura Bush a sostenere che "la sicurezza dell'America e del mondo dipendono dalle decisioni del marito".
Da qui appunto bisogna muovere, dalle decisioni di George W. Bush: sono state efficaci? Sta facendo la cosa giusta per combattere il terrorismo, "eliminare i loro capi il più rapidamente possibile e impedire che siano sostituiti"; garantire più sicurezza al suo popolo e all'Occidente?
Errori. Se si parla di terrorismo, il presidente degli Stati Uniti ha commesso e ammesso tre errori strategici. A metà del gennaio 2001, più o meno una settimana prima d'insediarsi alla Casa Bianca, Bush incontra il direttore della Cia George Tenet e il numero due dell'agenzia James L. Pavitt. Per due ore e mezza Tenet e Pavitt presentano al presidente le minacce per la sicurezza degli Stati Uniti. Sono tre.
La prima è costituita da Osama Bin Laden e dalla rete terroristica Al Qaeda. È una "terribile minaccia", dicono i due alti funzionari, e per di più "immediata" perché non c'è dubbio, aggiungono, che Bin Laden abbia intenzione di colpire gli interessi americani. Il secondo rilevante pericolo consiste, secondo la Cia, nella proliferazione fuori controllo di armi di distruzione di massa, chimiche, batteriologiche e nucleari.
A destare apprensione - terza minaccia, anche se lontana dai 5 ai 15 anni - l'ascesa della Cina e l'incremento del suo potenziale bellico. L'Iraq fa capolino a malapena in quella riunione. Come poi ammetterà in un'intervista (Woodward, "Piano d'attacco") George W. Bush, "concentrato sulle questioni interne e su un gigantesco taglio delle tasse", trascura il problema terrorismo: "Non sentivo tutta quell'urgenza".
Quando finalmente con l'11 settembre l'urgenza diventa evidente, Bush commette il secondo e il terzo errore. Crede nel legame "operativo" tra Bin Laden e Saddam (mai dimostrato) e nel possesso iracheno di armi di distruzione di massa (mai rintracciate). Dà il via all'invasione dell'Iraq e ne pianifica malamente, come ha ammesso, la "pacificazione". Il quarto errore che ancora Bush non ha ammesso (e non ammetterà fino alla rielezione) si nasconde in una preoccupazione che gli consegna un buon amico, Brent Scowcroft, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Bush senior, quando si comincia a parlare di attacco all'Iraq.
"Il Medio Oriente diventerà un gran calderone annientando di conseguenza la guerra al terrorismo".
Il tempo perduto. Scowscroft ha avuto occhio lungo. Alle prese con il "catastrofico successo" iracheno (la definizione è di Bush), la guerra al terrorismo di Al Qaeda ancora una volta è scivolata all'indietro nella scala delle priorità della Casa Bianca. Ne sanno qualcosa i 18 mila soldati americani concentrati nella regione sudorientale dell'Afghanistan a caccia di ciò che rimane del regime dei Taliban e il centinaio di agenti segreti e forze speciali che, lungo i 2.500 chilometri di confine tra Pakistan e Afghanistan, cercano Bin Laden.
Una task force frustrata e paralizzata da un calcolo geopolitico. Ogni volta, infatti, che le forze americane mettono sotto pressione le province tribali del Waziristan, dove (pare) si nascondono i qaedisti, il servizio segreto pachistano (Isi) fortemente condizionato dal radicalismo islamico, restituisce la pariglia minacciando il regime di Pervez Musharraf.
L'alternativa diventa diabolica. Mettere le mani sullo "sceicco del terrore" anche a costo di far saltare Musharraf affrontando così il rischio che quel Paese in possesso di armi nucleari sia governato da generali vicini al jihad? È un'ipotesi che trasforma il futuro in un incubo. Washington, così, non tira la corda più di tanto. Le operazioni lungo il confine sono routine in attesa di tempi migliori. Della turbolenza dei rapporti tra Stati Uniti e Pakistan se ne è avuta una prova il 5 settembre quando l'ottimismo spaccone del capo dell'Antiterrorismo del Dipartimento di Stato Joseph Cofer Black ("Se Osama ha un orologio, dovrebbe guardarlo perché il suo tempo sta scadendo") è stato liquidato da Islamabad senza nessuna grazia: "Discorsi da politicanti". Intanto, il tempo è passato. Per Al Qaeda non è passato invano.
Al Qaeda 2.0. La comunità del contro-terrorismo americana è paranoica e, nella sua paranoia semplifica, non distingue, lavora all'ingrosso. Vede Al Qaeda ovunque (anche nella scuola di Beslan) e le attribuisce ogni manifestazione del terrore rifiutandosi di accettare che, se il progetto di Osama è globalista, non tutte le formazioni combattenti islamiche hanno il desiderio (e la forza) di muoversi per esportare la loro barbarica violenza oltre i confini nazionali. È un nodo essenziale della questione, ma lasciamolo qui da parte per chiederci che ne è stato del nucleo centrale della Rete.
Al Qaeda è stata distrutta in Afghanistan e una buona parte della leadership è stata eliminata o dispersa. Paradossalmente, la distruzione dell'organizzazione nel Paese dei Taliban complica e non risolve il problema perché quella distruzione crea nuove difficoltà nella individuazione della faccia non nota e clandestina dell'organizzazione che può aumentare di effettivi con i nuovi adepti e con i veterani scappati dall'Afghanistan. "Se la pressione internazionale dovesse diminuire e il controllo sulle comunità della diaspora dovesse calare di tono - ha scritto il generale Fabio Mini ("La guerra dopo la guerra", Einaudi) si può essere certi della ripresa dell'organizzazione". È una conclusione accettata oggi anche dall'intelligence americana. Le agenzie Usa raccolgono informazioni che mostrano come "Al Qaeda non è stata azzerata da uccisioni e arresti" come va ripetendo Bush. Al contrario, i dati in possesso dell'intelligence, secondo il New York Times, mostrano che "la rete terroristica ha un'inaspettata flessibilità e capacità di autorigenerarsi".
Il lavoro sul campo dice che Al Qaeda ha conservato alcuni elementi della precedente struttura centralizzata di comando e di comunicazione utilizzando giovanissimi ingegneri sapientissimi nello scambiare messaggi criptati con i capi delle "succursali" in Gran Bretagna, in Turchia, in Nigeria, per fare qualche esempio. Rimessa in sesto "la testa" e "le articolazioni", Al Qaeda ha approfittato del tempo che le è stato sciaguratamente concesso per ridare fiato alla riorganizzazione delle reclute e pianificare una nuova stagione di morte e terrore. Anche in questo caso, le informazioni di fonte americana confermano la rediviva capacità di Al Qaeda.
I satelliti spia del Pentagono hanno "illuminato", il mese scorso, una ripresa dell'attività nei vecchi campi d'addestramento in territorio pachistano (bombardati nei giorni scorsi). Mentre è saltato fuori che appena in marzo nella provincia del Waziristan ci sarebbe stata una riunione dei responsabili della Rete. "Le personalità coinvolte, le operazioni, il fatto che sia venuto un esperto importante di esplosivi è estremamente significativo" ha confermato Pervez Musharraf a Time. Sono tutte tracce di una rafforzata pericolosità. Aggravata, se si dà retta agli analisti israeliani, dalla consapevolezza che Bin Laden e il suo vice Ayman Al Zawahiri, pur al vertice dell'organizzazione, sono ormai "solo punti di riferimento e la loro eventuale cattura non avrebbe più una grande influenza" sui destini della partita perché nel frattempo si è fatta avanti una nuova generazione di integralisti che Tel Aviv chiama "Al Qaeda 2.0" mutuando dal linguaggio informatico la versione aggiornata di un software.
I giovani qaedisti. Il problema ha, dunque, cambiato veste e colore. Al Qaeda non ha bisogno di uno Stato da occupare o da cui farsi proteggere. È più protetta, inafferrabile e incontrollabile se dispersa. Le è sufficiente e più conveniente costruire un accettabile potere nelle comunità della diaspora, conservare un'influenza nelle comunità mono o multietniche. Se ci sarà quest'incremento della potenzialità clandestina, se i possibili centri del terrore si moltiplicheranno e disperderanno, la "bestia" diventerà inafferrabile come un fantasma. Per vedere le tracce di questo pericolo, va raccontata la biografia dei most wanted. Sono giovani. Hanno meno di trent'anni e spesso meno di venticinque. Hanno vissuto e studiato in Occidente.
Non conoscono la Bosnia, l'Afghanistan, non sanno dove è il Caucaso. Qualche nome, qualche storia. Alla riunione di marzo in Pakistan c'era (dicono) Adnan el Shukrijumah, 29 anni, origine arabo-guyanese. È cresciuto in Florida, ha un brevetto di pilota, per l'Fbi potrebbe essere "il nuovo Mohammed Atta", il leader del commando dell'11 settembre. Abu Mussab Al Suri (il vero nome è Mustafa Abdel-Qader Set-Maryam) è con Mussab al Zarqawi forse il migliore target del controterrorismo occidentale. È cresciuto in Occidente. Ha vissuto in Spagna e poi a lungo in Gran Bretagna (ha raggiunto alcuni mesi fa l'Iraq). Sono i nuovi qaedisti. Sono il problema di oggi.
La cosa giusta. "Dall'inizio della guerra al terrorismo - dice Reuven Paz, dell'Istituto dell'antiterrorismo di Tel Aviv (Itc) - sono state arrestate 8.000 persone sospettate di essere coinvolte con la Rete di Bin Laden. Tra queste, solo mille erano quadri effettivi di Al Qaeda. Troppo poco, dopo aver investito miliardi di dollari". "Il vincitore materiale e morale assoluto di questa fase della guerra è stato soprattutto l'apparato della Difesa americana", osserva Fabio Mini. Il budget per la Difesa Usa per il 2003 è stato di 379 miliardi di dollari, una cifra che rappresenta un incremento del 30 per cento rispetto al 1998 ed è del 93 per cento più alto della media dei bilanci Usa durante gli anni Ottanta della Guerra fredda.
Risorse enormi. Potevano essere spese meglio, con più utilità per la sicurezza degli americani e dell'Occidente? Atlantic Monthly ha fatto qualche conto. Bush ha speso finora 144 miliardi dollari per la guerra al terrorismo. Come dire che ognuno dei mille qaedisti è costato 144 milioni di dollari. Se il presidente ha fatto la cosa giusta contro il terrorismo in nome della sicurezza degli Stati Uniti - si è chiesto Atlantic Monthly - perché solo 8 dei 440 aeroporti d'America hanno in dotazione la più sofisticata macchina per l'individuazione di esplosivi nei bagagli? Non sarebbe stato, per dire, più conveniente e utile accelerare con 2 miliardi e mezzo di dollari il programma di disarmo per la disattivazione di 6 mila testate nucleari o con la spesa di 15,5 miliardi di dollari raddoppiare il numero attuale degli effettivi della forze speciali impiegate alla caccia ad Al Qaeda?
E dunque. George W. Bush ha fatto davvero la cosa giusta contro il terrorismo?
(12 settembre 2004)