gipa69
collegio dei patafisici
Non saprei valutare, lo propongo:
La deflazione è la nuova inflazione?
26 Nov 2008
di Tom Stevenson, Head of Corporate Writing di Fidelity Investments International
Gli investitori iniziano a considerare le implicazioni di un nuovo mondo in cui i prezzi diminuiscono anziché salire.
Se qualcuno nutrisse dei dubbi riguardo a quanto duro sarà il prossimo anno, le cifre delle vendite di questa settimana del gruppo statunitense dei grandi magazzini John Lewis e il crollo del tasso di inflazione, li dissiperebbero. Il crollo del 14% nelle vendite di John Lewis è stato il terzo calo settimanale a doppia cifra in un mese, mentre la discesa dell’indice dei prezzi al consumo, dal 5,2% al 4,5 % in ottobre, mostra che l’inflazione sta diventando rapidamente un problema passato.
I costi di alimenti ed energia sono stati i principali motori della crescita rallentata dei prezzi e con il costo del petrolio in ribasso di circa due terzi rispetto al picco dell’estate scorsa, i prezzi all’ingrosso della benzina più bassi e il costo per le bollette contribuiranno ad aumentare la discesa dei prezzi verso il basso. E’ prevista una rapida diminuzione dell’inflazione anche nel settore dei servizi, considerando che l’indebolimento del mercato del lavoro e il calo della domanda restringeranno i margini.
Di conseguenza, gli economisti prevedono che entro la fine del prossimo anno l’inflazione potrebbe essere ben al di sotto dell’obiettivo del 2% fissato dalla Banca di Inghilterra, un ribasso più repentino rispetto persino alla già cupa valutazione che la stessa BoE aveva ipotizzato nel suo ultimo rapporto trimestrale sull’inflazione. Un calo dell’indice dei prezzi al consumo sarebbe il primo da quasi 40 anni e aumenterebbe lo spettro di una minaccia di deflazione.
L’eventualità di deflazione rappresenta una profonda trasformazione per quelli di noi che sono cresciuti vedendo l’inflazione come uno spettro. Da quando il crescente costo della Guerra del Vietnam costrinse l’America a rompere il legame tra l’ammontare del denaro in circolazione e le proprie riserve d’oro, la politica economica ha avuto un obiettivo dominante: tenere sotto controllo i prezzi in crescita. In sei mesi, tale dottrina è stata abbandonata. Se noi stessimo veramente combattendo contro un nuovo nemico, dovremmo imparare innanzitutto a conoscerlo. Che cos’è la deflazione? Per quale motivo è un fattore così negativo? E cosa potrebbe significare per gli investitori?
Perché dovremmo preoccuparci della deflazione?
La deflazione è un calo persistente del livello generale dei prezzi; non solo una riduzione dei prezzi di alcuni beni o servizi, che possono essere sintomo di una maggiore produttività o un beneficio della globalizzazione. Ma perché è un fattore così negativo? Considerando il fatto che siamo stati sempre abituati a preoccuparci degli effetti insidiosi dell’aumento dei prezzi, sicuramente un ribasso degli stessi sarebbe auspicabile. Una discesa dei prezzi causata dal calo del costo delle materie prime dovrebbe far crescere le effettive entrate dei consumatori e ampliare i margini di alcune società.
Questo è vero nel breve periodo, ma un ribasso persistente dei prezzi può determinare tre gravi effetti collaterali. Il primo è che i consumatori posticipano gli acquisti, in quanto credono che beni e servizi saranno più economici in futuro. Questo riduce la domanda a livello complessivo e può far peggiorare ulteriormente un’economia già debole.
In secondo luogo, il livello reale di debito all’interno dell’economia aumenta. I prestiti, come i mutui, sono debiti nominali, quindi se i salari diminuiscono, diventano più difficili da restituire. Questo processo, definito “deflazione da debito”, incrementa il rischio di insolvenza e rende le banche persino meno disposte a prestare denaro di quanto siano già.
Infine, i tassi d’interesse reali (corretti per l’inflazione) aumentano, in quanto i tassi di interesse bancari e commerciali non possono scendere al di sotto dello zero e sono, pertanto, più alti del tasso di interesse (negativo). Allorché la deflazione è maggiormente radicata, la stretta sull’economia diventa persino maggiore.
Che cosa può essere fatto?
La deflazione è difficile da controllare perché può voler dire che le solite leve della politica monetaria non sono più applicabili o non funzionano. Una risposta lenta o inadeguata da parte della politica può portare i Paesi a finire in una situazione simile a quella del Giappone, dove i risparmiatori vengono sollecitati all’acquisto. Citando la frase dell’economista John Maynard Keynes “pushing on a string”, le istituzioni rimangono incapaci di persuadere i riluttanti consumatori a spendere, per quanto rendano favorevole il costo del denaro.
Fortunatamente, nessuno comprende la serietà della minaccia di deflazione meglio del presidente della Federal Reserve. Ben Bernanke è una delle autorità più importanti sulla Grande Depressione e sui modi in cui un simile crollo può essere evitato. Nel 2002, infatti, egli tenne un discorso particolarmente lungimirante, dal titolo: “Deflazione: assicuriamoci che non accada qui”.
Le sue proposte comprendevano la stampa di moneta per salvare gli istituti di credito o per pagare direttamente i tagli delle tasse e l’acquisto di asset come le cartolarizzazioni dei mutui. Il discorso gli fece guadagnare il soprannome di Elicottero Ben (perché, in ultima analisi, i governi possono semplicemente far cadere soldi dal cielo), ma nessuno ora si permette di ridere perché molte delle sue idee vengono effettivamente attuate.
Quali sono le implicazioni per gli investitori?
Un’economia in deflazione, più specificamente le azioni di reflazione intraprese per prevenirlo, può essere teoricamente vantaggiosa per il mercato obbligazionario. I tassi di interesse più bassi aumentano infatti l’attrazione per il reddito fisso. In pratica il meccanismo è più complesso, poiché molte società in periodi di recessione disattendono i loro obblighi debitori e molti investitori chiedono ritorni più alti per compensare il rischio di non venire pagati. I bond possono sembrare più a buon mercato, ma danno rendimenti minori.
Altre asset class tendono a sottoperformare in questo periodo del ciclo. La pressione sui rendimenti aziendali rende le azioni meno interessanti, una domanda inferiore riduce i prezzi delle commodity e il settore immobiliare soffre della mancanza di domanda di locazioni, in quanto la disoccupazione tende ad aumentare e le banche riducono il volume dei prestiti.
La sfida maggiore per gli investitori è l’incertezza sul se e quando la deflazione risponderà alle azioni delle autorità di governo e oscillerà di nuovo verso l’inflazione. Le misure necessarie per affrontare un crollo deflazionario sono difficili da calibrare, perciò c’è un rischio reale che i politici abbiano reazioni eccessive o cerchino eccessivamente di stimolare l’economia o creino un fardello esagerato di tasse per le generazioni avvenire. Gli investitori sperano soprattutto che le lezioni dei precedenti crolli deflazionari siano state veramente recepite. Nessuno vuole guardare indietro con la nostalgia per i bei tempi dell’inflazione.
http://www.fondionline.it/indicecms.php?idpagina=art&idart=19694
beh direi che descrive bene la situazione ma non si sbilancia quasi per nulla...