Ah ah ah!





Segreto bancario
Riusciremo a salvarlo?
Moreno Bernasconi
La Svizzera è entrata in una delle fasi più critiche della sua storia recente. E non in posizione di forza, come tutti ci saremmo augurati (Governo, Parlamento e cittadini contribuenti), bensì in posizione di debolezza. Un conto sarebbe stato, infatti, affrontare l’attuale crisi mondiale forti di una piazza finanziaria svizzera sana, un conto è farlo con i due maggiori istituti di credito in situazione di difficoltà più o meno acuta: con un’UBS messa in ginocchio dagli effetti perversi dei suoi investimenti nei subprime americani e un Credito svizzero anch’esso in debito di liquidità. Avevamo sperato fino all’ultimo – tratti in inganno dai segnali apparentemente rassicuranti emersi dall’ultima conferenza stampa di UBS – che quest’ultima avrebbe potuto cavarsi di impiccio senza dover ricorrere ad un intervento pubblico. Purtroppo, così non è stato. E a chi, al momento della presentazione del piano di salvataggio miliardario, si illudeva ancora che i cittadini contribuenti avrebbero potuto limitare i danni o fra alcuni anni addirittura veder fruttare l’intervento del Governo e della BNS, i vertici stessi di UBS hanno fornito la risposta negli ultimi giorni, con parole e comportamenti che lasciano pochi dubbi. Da un lato hanno comunicato che l’accordo concluso «permetterà all’azienda di limitare le perdite potenziali future entro questi valori» e dall’altro – con una spocchia inaudita – non hanno escluso il versamento di bonus (diversi miliardi) ai quadri della banca, malgrado la gestione fallimentare dei soldi degli azionisti e incuranti del fatto che se sono ancora in piedi ciò è dovuto soltanto all’aiuto della Confederazione e della Banca nazionale svizzera.
Fatta la frittata, in vista del dibattito alle Camere federali in dicembre, occorre valutare bene i pro e i contro del piano varato dal Governo e dalla BNS e adottato dalla Delegazione parlamentare delle finanze. In particolare, giova prendere consapevolezza dei rischi ai quali sottopone il nostro Paese il necessario e inevitabile salvagente dello Stato (giacché in gioco non c’era solo UBS ma l’insieme della piazza finanziaria elvetica e l’impianto finanziario-istituzionale strettamente imbricato con i grandi istituti bancari).
Al piano del Governo, il partito socialista muove (con una rapidità che non è necessariamente buona consigliera) una critica di fondo: anziché fornire all’UBS un prestito, la Confederazione avrebbe dovuto scegliere la via della maggioranza degli altri Paesi. Cioé una parziale nazionalizzazione della banca, tale da permettere un vero e proprio controllo (che a detta del PS la società incaricata di gestire i titoli spazzatura di UBS non sarebbe in grado di esercitare adeguatamente), impedendo inoltre bonus esorbitanti e paracaduti d’oro a manager irresponsabili. A parte il fatto che una sconfessione radicale del piano governativo da parte del Parlamento comporterebbe pesanti penali (la Delegazione delle finanze dei due Consigli ha già dato luce verde, come è nelle sue competenze, mercoledì scorso), c’è soprattutto un elemento che occorre ponderare bene se si ha a cuore il futuro della piazza finanziaria elvetica.
La crisi finanziaria mondiale e gli interventi miliardari dei Governi a soccorso delle banche - in particolare quelli degli USA e dell’UE - creano le premesse per un controllo accresciuto sulle informazioni bancarie da parte di Stati con cui abbiamo accordi privilegiati e promettono una più incisiva (e comune) lotta contro l’evasione fiscale. Ciò risponde da un lato alla volontà di aumentare la sorveglianza sulla finanza mondiale definendo nuove regole del gioco valide per tutti al fine di evitare nuove crisi devastanti, dall’altro alla necessità di riparare i danni della crisi in corso che ha svuotato e svuoterà ancora pesantemente l’erario della maggioranza dei Paesi, segnatamente di quelli europei. Non sorprenderebbe constatare che per recuperare parte dei miliardi bruciati per salvare il sistema e i principali istituti bancari, i Governi - quelli europei, ma anche gli Stati Uniti, soprattutto se vincerà Obama - facessero della lotta all’evasione fiscale (e non solo alla frode fiscale) una priorità assoluta. Da realizzare tramite l’adozione di un sistema unico di scambio delle informazioni senza eccezioni, né all’interno dell’UE (oggi eccezioni vengono fatte valere dagli alleati della Svizzera - Lussemburgo, Belgio e Austria -) né nei confronti di Paesi associati da accordi Bilaterali.
In questo contesto, che si annuncia gravido di crescenti pressioni al fine di domare la crisi finanziaria e di evitarne altre simili, si può immaginare che la revisione dell’Accordo sulla fiscalità del risparmio con l’UE, previsto dopo il passaggio ad una ritenuta del 35%, a partire dal 2011, non sarà privo di insidie per la Svizzera. I nostri alleati nell’UE hanno già attenuato il loro sostegno ad un modello che permette sì di salvaguardare il segreto bancario ma diventa meno interessante finanziariamente (a causa, appunto dell’aumento della ritenuta alla fonte al 35%). Messi alle strette dall’UE a causa della crisi finanziaria, essi potrebbero rassegnarsi e toglierci il loro appoggio.
Se le cose stanno così, le modalità con cui la Svizzera si implica a sostegno dell’UBS e della piazza finanziaria svizzera sono importanti. Più gli Stati partecipano direttamente alla gestione delle banche e più la sorveglianza delle informazioni bancarie verrà gestita direttamente dai e fra i Governi. È probabile che la pressione sul segreto bancario svizzero aumenterà comunque per i motivi indicati precedentemente. Ma il fatto che la Confederazione svizzera abbia o non abbia una partecipazione diretta ai nostri maggiori istituti finanziari può essere determinante se si vuole cercare di preservare uno dei capisaldi della piazza finanziaria elvetica.