La terra promessa di Woodstock
Ecco che cosa resta 35 anni dopo
di EDMONDO BERSELLI
Jimi Hendrix
WOODSTOCK? Ma se n'è accorto qualcuno, qui in Italia, di Woodstock? Siamo nel 1969, un anno dopo le follie creative del maggio francese, qualche mese prima dell'autunno caldo, in attesa che la classe operaia potesse andare in paradiso: l'America era lontana, lontani gli hippie, lontane le teorie "lisergiche" di Timothy Leary sull'allargamento della coscienza.
Gli italiani giovani avevano dato il primo strappo culturale un po' prima della metà degli anni Sessanta: poiché la politica era immobile, il centrosinistra (quello storico, di Moro, Nenni e Fanfani) perdeva velocità ma l'assetto politico appariva stazionario in eterno, la prima mezza rivoluzione era stata condotta sui ritmi e il sound del beat.
Una sovversione stilistica, non del tutto provinciale. C'era stata la deflagrazione planetaria dei Beatles, rincorsi dall'urlo blues dei Rolling Stones, I can't get no satisfaction, e in contemporanea la lezione degli Animals, dei Them, i Doors, gli Who, gli Yardbirds, i Kinks, i Troggs, gli Hollies. Si era scoperta all'improvviso la possibilità di imitare i Quattro di Liverpool facendosi crescere i capelli a caschetto, e indossando berrettini, stivaletti, giacchettine indiane, pantaloncini a tubo e stivaletti. Niente di sovversivo, anche se Shel Shapiro dice che "c'era qualcosa nell'aria" e con i Rokes cantava la protesta morbida di
È la pioggia che va e l'Equipe 84 stava per incidere la Auschwitz di Francesco Guccini, "ancora tuona il cannone, ancora non è contenta di sangue la belva umana".
Certo, si era anche cominciato a protestare. Protestavano tutti, i Nomadi con Dio è morto, che rifaceva il verso, consapevolmente o no, all'Urlo di Allen Ginsberg; e con le visioni catastrofiche e postnucleari di Noi non ci saremo. Protestava perfino Adriano Celentano, sulle note del Mondo in Mi settima, e con rime geopolitiche un tantino provinciali: "Ogni atomica è una boccia, e i birilli son l'umanità, il capriccio di un capoccia ed il mondo in aria salterà...
"Ma l'America era un'altra cosa. Ci si era appena abituati al tumulto esistenziale dei Rolling Stones, che però poco dopo erano passati al più privato e confortevole Let's spend the night together. I Beatles si stavano infilando nella fase mistica e indiana, con i sitar di Ravi Shankar e la meditazione divistica insieme con Mia Farrow. Nessuno qui fra i confini domestici poteva immaginare che un mezzo milione di popolo hippie e di generazione rock sarebbe confluito a fiumane nel campo della fattoria del signor Max Yasgur, e che tra fumi e pasticche si sarebbe realizzato il lunghissimo sogno di mezza estate dei tre giorni di "pace amore e musica".
Da noi i bombardamenti dei B-52 nel Vietnam erano un tema politico, interpretato in base alla logica del maggiore partito d'opposizione, il Pci, che si era distaccato parzialmente dalla casa madre sovietica con la condanna dell'invasione di Praga, un anno prima, e che continuava nonostante tutto a monopolizzare il discorso politico, e gli schemi di riferimento. Soltanto avanguardie scelte avevano un'idea non troppo imprecisa del canto antimilitarista e antinucleare di Bob Dylan (e non solo l'ecumenica Blowing in the wind, ma anche le strofe apocalittiche e acide di A hard rain's gonna falling), Fernanda Pivano aveva raccontato i fischi con cui era stata accolta la svolta elettrica di Dylan nel 1966 al festival folk di Newport, seguiti tuttavia dall'ammutolimento del pubblico per l'emozione intensa provocata dall'esecuzione di It's all over now baby blue: parole che davano il senso di un sommovimento profondo dell'America, "the carpet too is moving under you... ", qualcosa si muove, si muove davvero sotto la superficie della società americana.
Ma per un italiano mediamente politicizzato di quel periodo, l'America di allora era un pianeta largamente sconosciuto. A partire dai protagonisti del raduno: tanto per dire, due musicisti esplosi durante i tre giorni di Woodstock, Carlos Santana, Joe Cocker, non li conosce nessuno neanche negli Stati Uniti, e quindi non potevamo conoscerli certo noi; a parte la popolarità ideologica di Joan Baez, che divenne familiare anche in Italia dopo l'incisione delle morandiane C'era un ragazzo, e Un mondo d'amore, l'intero cast di Woodstock era poco conosciuto in Italia, sul piano del consumo musicale di massa, se si eccettuano forse i Credence Clearwater Revival, Crosby Stills Nash & Young, Janis Joplin e pochi altri.
Lo stesso Jimi Hendrix, che incendiò il gran finale di Woodstock con la sua provocatoria e angosciosa versione dell'inno nazionale americano (eseguito facendo urlare ed esplodere la chitarra elettrica come le bombe fatte cadere sui villaggi vietcong), non godeva di una fama straordinaria in Italia.
Ma ciò che risultava esplicitamente alieno era il "movimento" hippie, la comunità nazionale dei figli dei fiori, che ai nostri occhi e agli occhi della sinistra, non importa se convenzionale o non conformista, sembravano l'espressione di un atteggiamento del tutto antipolitico, o non-politico. "Love and peace" era uno slogan ambiguo, forse addirittura qualunquista per chi continuava a interpretare i processi sociali in chiave di lotta di classe. Marijuana, Lsd e tutti i paraphernalia di una concezione della mente come un'esperienza visionaria erano concepiti in genere come il frutto di una condizione alienata, una deroga soltanto ludica dai meccanismi della società capitalistica.
Il Sessantotto aveva già cominciato a ritirarsi nei sottoscala, a ciclostilare comunicati, a definire la correttezza della linea, di volta in volta marx-leninista o maoista. Centinaia di migliaia di individui seminudi, con i capelli alla cintola, che facevano l'amore nel fango, non rappresentavano una "controcultura", ma semplicemente una dimensione prepolitica, fra l'utopia e le "good vibrations", cioè l'energia fluida dello stato di natura. Troppo semplice per noi europei, troppo "Buon selvaggio" per il materialismo dialettico. La terra promessa di Woodstock sarebbe stata riscoperta quando anche la rivoluzione sarebbe infine diventata una nostalgia.
(11 agosto 2004)