Roubini: La Grecia Dovrebbe Dichiarare Default e Abbandonare l’Euro
Nella sezione del Financial Times che ospita articoli sul tema "L'Euro può essere salavato?" il premio Nobel Nouriel Roubini prende in esame la situazione della Grecia e conclude che l'unica possibile via d'uscita per il paese è un default ordinato e un'uscita dall'euro.
Riferendosi al recente
accordo sul debito firmato a luglio, che l’Europa ha offerto alla Grecia, il Nobel Roubini afferma senza mezzi termini che si tratta di una fregatura. Se si va oltre le cifre dichiarate, e si prendono in considerazione le grandi facilitazioni che il piano ha offerto ai creditori, la vera riduzione del debito per la Grecia in realtà è prossima allo zero. Una parte dei fondi dovrebbero infatti arrivare da un programma di privatizzazioni che si suppone in teoria da 50 miliardi di euro. E più della metà del fondo di salvataggio in realtà serve da garanzia per i creditori che aderiscono al complicato piano di swap e di rollover del debito. Un’opzione migliore per il paese, dice Roubini, sarebbe quella di respingere questo accordo e, sotto la minaccia del default, rinegoziarne uno migliore.
Per ora la Troika (BCE, UE e FMI) ha sospeso il pagamento della seconda tranche del pacchetto di salvataggio deciso a Luglio, perché la Grecia non ha finora raggiunto gli obiettivi di bilancio stabiliti come condizione per gli aiuti. Ma anche se questa tranche venisse pagata, dice Roubini, il paese non per questo riuscirà a tornare a crescere, a meno che la sua competitività non sia rapidamente ripristinata. E senza un ritorno alla crescita, i suoi debiti resteranno comunque insostenibili. Il fatto è, continua Roubini, che tutte le opzioni che potrebbero ripristinare la competitività richiedono un deprezzamento reale della valuta.
Vediamo quindi queste opzioni:
“La prima di queste opzioni consiste in un forte indebolimento dell’euro, cosa improbabile dal momento che gli Stati Uniti sono economicamente deboli e la Germania è iper-competitiva.
La seconda è una rapida riduzione del costo unitario del lavoro, attraverso delle riforme strutturali che possano far crescere la produttività al di sopra dei salari, ma è altrettanto improbabile. La Germania ci ha messo 10 anni a ristabilire la propria competitività in questo modo, la Grecia non può aspettare un decennio di depressione.
La terza opzione è una rapida deflazione dei prezzi e dei salari, nota come “svalutazione interna”. Ma questo porterebbe a cinque anni di depressione sempre più profonda, e renderebbe il debito pubblico ancora più insostenibile.”
Logicamente, quindi, Roubini osserva che se queste tre opzioni non sono possibili, l’unica strada che rimane è quella della “drachmatizzazione”, di un ritorno ad una moneta nazionale fortemente deprezzata per ripristinare rapidamente la competitività e la crescita:
“Naturalmente, questo processo sarà traumatico. …Le principali banche dell’area euro e anche gli investitori subirebbero grosse perdite in questo processo, ma sarebbero gestibili – se queste istituzioni venissero adeguatamente e aggressivamente ricapitalizzate. Evitare un’implosione “post-uscita” del sistema bancario greco, tuttavia, può purtroppo richiedere l’imposizione di misure stile argentino – come chiusura delle banche e controlli sui capitali – per evitare un default disordinato…. Alcuni sostengono che il PIL reale della Grecia crollerebbe molto di più in uno scenario di uscita dall’euro che nella dura sfacchinata della “svalutazione interna”. Ma è chiaramente un errore: anche con la deflazione il potere d’acquisto reale dell’economia greca e della sua ricchezza cadrebbe man mano che il deprezzamento reale si verifica. Attraverso un deprezzamento nominale e reale, il percorso di un’uscita dall’euro ripristinerà più velocemente la crescita, evitando un decennio di deflazione depressiva.
Anche coloro che affermano che il contagio trascinerà gli altri nella crisi negano l’evidenza. Altri paesi periferici soffrono già di una insostenibilità del debito stile greco e hanno anche problemi di competitività; il Portogallo, per esempio, alla fine potrebbe dover ristrutturare il proprio debito e anche uscire dall’euro.
Economie illiquide ma potenzialmente solventi, come l’Italia e la Spagna, avranno bisogno di un sostegno dall’Europa, indipendentemente dal fatto che la Grecia esca; anzi, una fuga “autoavverante” sul debito pubblico della Spagna e dell’Italia, a questo punto è quasi certa, se non si desse corso a questo supporto di liquidità. Le ingenti risorse ufficiali che attualmente vengono sprecate nel salvataggio dei creditori privati della Grecia, potrebbero anche essere utilizzate per proteggere questi paesi, e le banche in altre parti della periferia.
Un’uscita della Grecia invece può avere effetti secondari benefici. Altre economie in crisi della zona euro avranno quindi la possibilità di decidere autonomamente se vogliono seguire l’esempio, o rimanere nell’euro, con tutti i costi di questa scelta. Indipendentemente da ciò che fa la Grecia, le banche dell’eurozona ora devono essere rapidamente ricapitalizzate. Per questo è necessario un nuovo programma a livello di Unione Europea, che non si basi su stime truccate e falsi stress tests. Un’uscita Greca potrebbe essere il catalizzatore di questo approccio.
Le recenti esperienze dell’Islanda, come di molti mercati emergenti negli ultimi 20 anni, mostrano che la ristrutturazione ordinata e la riduzione del debito estero possono ripristinare la sostenibilità del debito, la competitività e la crescita. Proprio come in questi casi, i danni collaterali per la Grecia di un’uscita dall’euro saranno significativi, ma possono essere contenuti.
Come un matrimonio fallito che richiede un divorzio, è meglio avere delle regole che rendono la separazione meno costosa da entrambi i lati. Separarsi e divorziare è doloroso e costoso, anche in presenza di tali norme. Non ci sbagliamo: un’uscita ordinata dall’euro sarà dura. Ma assistere all’implosione lenta e disordinata dell’economia e della società Greca sarebbe molto peggio.”