La vicenda riguarda la riforma della disciplina dell’accesso alle professioni intellettuali e, in particolare, il tempo massimo prescritto per lo svolgimento della pratica cui è subordinata l’ammissione all’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato. Sul punto, l’art. 9 comma 6 del d.l. n. 1/2012 conv. in l. n. 27/2012 (“
Decreto liberalizzazioni”)- è chiaro: dice che “la durata del tirocinio prevista per l’accesso alle professioni regolamentate non può essere superiore a diciotto mesi”.
A partire dall’entrata in vigore del Decreto liberalizzazioni la pratica professionale obbligatoria non può protrarsi oltre l’anno e mezzo. Punto e basta.
Non c’è bisogno di interpretazione. In claris non fit interpretatio: dal 24 gennaio scorso 18 mesi di tirocinio massimo, per tutti, non ci sono distinzioni di sorta. Eppure, c’è chi sostiene non sia così. Contro la lettera e lo spirito del dettato normativo. E perfino nonostante alcuni ordini forensi (come quelli di Roma, Genova, Torino e tanti altri) abbiano correttamente già dato applicazione alla riforma, cominciando a rilasciare gli attestati di compiuta pratica a tutti i richiedenti con all’attivo i 18 mesi di tirocinio oggi previsti.
Si tratta di un ormai ex solerte funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia.
Neanche un grigio funzionario qualsiasi, ma proprio il capo ufficio legislativo del ministero che, peraltro,
oggi risulta fresca di nomina all’Autorità garante per il trattamento dei dati personali.
Secondo quanto
riportato su Italia Oggi del 5 giugno scorso, infatti, proprio Augusta Iannini avrebbe ben pensato di sottoscrive una nota (
PDF) recante una propria personale “opinione” (sic!) indirizzata al Consiglio Nazionale Forense in cui, in sostanza, afferma che l’accorciamento della pratica professionale non riguarda indistintamente tutti gli attuali praticanti ma soltanto gli iscritti in data successiva all’entrata in vigore del Decreto Liberalizzazioni.
La maggior parte degli ordini non aspettava altro.
Ecco fornita loro una buona scusante per ritardare l’avvio del nuovo regime.
Alcuni meritevoli ordini, come quello fiorentino (
PDF), cercano di resistere ma i più smettono di rilasciare i certificati e addirittura iniziano a revocare i certificati già rilasciati.
Chissenefrega se una siffatta interpretazione porta a conseguenze palesemente irrazionali come l’impossibilità, per chi si è iscritto – ad esempio – il 23 gennaio, di sostenere l’esame nella medesima sessione in cui può sostenerlo chi si è iscritto finanche tre mesi dopo ma soltanto la sessione successiva. È lo stesso se ciò comporta un’inaccettabile disparità di trattamento, alla faccia del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della nostra beneamata Costituzione e a dispetto di altre chincaglierie come il principio di buon andamento dell’azione amministrativa previsto all’art. 97 della medesima nostra bene amatissima Costituzione e dell’adempimento degli obblighi di matrice comunitaria disposto peraltro dagli art. 11 e 117 della stessa nostra arci bene amatissima Costituzione.
Ma soprattutto chi se ne impipa della Legge.
Quel che conta è attenersi alla velina di chi è iniziato ai sacri riti ministeriali. E temporeggiare.
Sì, temporeggiare, sempre, anche nel caos delle circolari e delle ordinanze ministeriali che di certo seguiranno.
Magari giusto per dare agio al Parlamento per approvare in via definitiva la proposta di legge di riforma dell’ordinamento forense, che peraltro, sebbene non preveda più un ripristino della durata del tirocinio a 24 mesi,
rende comunque più difficoltoso l’accesso alla professione. In ossequio al burocrate e in spregio alla Legge.