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Non volevo, giuro, assegnare a lui il premio di Scienziato del Mese. Non volevo, se non altro per non fargli ulteriore e gratuita pubblicità .
Ma come si fa? Come si fa, dopo decenni passati a combattere ogni forma di stalinismo e di fascismo a non assegnare questo premio a Beppe Grillo, che attacca l’articolo 67 della Costituzione (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”)?

Abbiamo passato la vita, tutti, da destra a sinistra, a elogiare quei (pochi) uomini politici – dai parlamentari all’ultimo, oscuro consigliere comunale – che avevano il coraggio di votare secondo coscienza, liberamente, anche mettendosi contro la linea del partito di appartenenza poiché, appunto, il “vincolo di mandato”, un vincolo imperativo, era un fatto negativo, retaggio dei parlamenti di origine feudale (tanto che già la Costituzione francese del 1791 lo spazzò via senza tentennamenti), e ora ci siamo ridotti a dover prestare ascolto a un analfabeta miliardario genovese che vuole abolire il divieto del vincolo di mandato previsto dalla nostra Costituzione con la scusa che per questa via si evitano i trasformismi e le compravendite di politici.

Ci siamo ridotti a prestare ascolto a uno (anzi due, poiché il sodale e mandante di Grillo è l’uomo d’affari Gianroberto Casaleggio) che vorrebbe i “suoi” parlamentari ridotti a soldatini ubbidienti, tanto che in Sicilia, prima del voto, ha fatto firmare a tutti i neodeputati regionali (lì si chiamano così) un documento in cui i rappresentanti del popolo eletti democraticamente devono presentarsi ogni sei mesi davanti agli “attivisti del movimento” costituiti in una sorta di “tribunale di partito” per dar conto del loro operato che, se giudicato negativamente, comporta non solo l’obbligo di dimissioni dalla carica, ma anche la “liberatoria” per la pubblicazione sui giornali di un atto di autoaccusa: “Io, Tal dei Tali, sono un traditore…”.

Pazzesco. Siamo a Koestler, a Orwell, anzi oltre.
Siamo alla gogna di Mao Tse Tung e della politica dei “cento fiori” degli anni Sessanta riservata ai dissidenti cinesi, al cui confronto le conquiste democratiche del divieto di dimissioni in bianco e del divieto di vincolo di mandato sbiadiscono come il tentativo di opporsi con le buone maniere a chi ti prendi a calci in culo.
Non solo. Ci riscopriamo afasici di fronte a un miliardario analfabeta genovese che con la scusa di voler evitare la “circonvenzione di elettore”, come furbescamente la chiama lui, pratica la “circonvenzione di incapaci” (questo sì, un reato) inculcando nella testa dei propri adepti prima, e della gente poi, l’idea che i rappresentanti del popolo (cioè dell’organo costituzionalmente sovrano, il Parlamento) siano “dipendenti” dei cittadini (e questi, di conseguenza, siano i loro “datori di lavoro”).

Infine, come dimenticare che l’analfabeta miliardario genovese era un accanito oppositore della volgare legge elettorale passata alla storia come Porcellum, ma appena ha sentito profumo di vittoria ha fatto un’improvvisa inversione di marcia e ha difeso il Porcellum con la scusa che “adesso vogliono cambiarlo per non farci vincere”?

Con il grande Dino Risi (che lo ha definito “scarso” nella recitazione cinematografica, anche se in realtà sul palco è un animale da comizio), Grillo recitava la parte dello Scemo di guerra (titolo del film, 1985). Ma noi, per riabilitare l’analfabeta miliardario genovese di fronte agli occhi dei suoi seguaci e del mondo, abbiamo deciso di attribuirgli il premio di Scienziato del Mese, il primo che egli abbia ottenuto dopo l’affermazione elettorale del suo movimento (ma “suo” – e di Casaleggio – in tutti sensi).
 
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okkio a finmeccanica

MIGLIORI E PEGGIORI A UN MESE - LaStampa.it


vale molto di piu sopratutto se Grillo metterà gli stipendi a 1/15 e non 1/1500 e bonus...e senza spendere in mazzette che poi non sono solo per corrompere ma poi ritornano in dietro anche x loro...
se si toglono queste ruberie sai quanto vola....

long sopratutto se governa grillo
 
Esilarante Vincenzo De Luca ai microfoni de La Zanzara, su Radio24.
Il sindaco del Pd, imbeccato dalle domande dei conduttori, da la sua personale visione del Movimento cinque stelle e, soprattutto, dei suoi due guru, Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo.
"Casaleggio? Vada da un barbiere serio, si faccia consigliare da Ingroia che mi pare abbia un barbiere di alto livello".
De Luca è un fiume in piena e, stuzzicato da Giuseppe Cruciani e David Parenzo, continua: "Sembra uno di quei cani di razza a pelo lungo. Quando lo vedo non so mai se si tratta della testa o del sedere. Uno che a cinquant’anni si fa la permanente la mattina è capace di qualsiasi delitto“.

Poi ironizza sui propositi di Beppe Grillo, che qualche giorno fa ha affermato di voler cambiare il mondo: "Grillo dice che vuole cambiare il mondo ma bisognerà informarlo che questo posto è già occupato da uno che venne 2000 anni fa".
Un politico vecchio stampo come lui non poteva esimersi dal dire la sua sul web e sull'apologia che ne fanno i grillini: "Finiamola con queste palle, come la democrazia diretta, la rete e controrete, bando a queste fesserie. Non abbiamo tempo da perdere”.
La discussione si sposta sull'attualità e De Luca rifila una stilettata a Grillo anche sul caso Mps: "Sul caso Mps Grillo non mi deve rompere le scatole: se ha delle cose da dire, vada alla Procura della Repubblica. Ma finiamola con queste porcherie demagogiche“.
Quando il conduttore insunua malignamente che, in realtà, a Grillo dei problemi della gente non importa così tanto, il Sindaco di Salerno sbrocca: "Allora facciamo venire a galla il fatto che se ne frega, poi ci sarà qualcuno che lo ha votato e che gli dirà: ‘Adesso và a morì ammazzato e vattene a Malindi’.
Variamente stuzzicato su Luigi De Magistris e Antonio Ingoria, trai quali in questi giorni sono volati gli stracci, De Luca si defila e preferisce non esagagerare, ma poi non resiste e si toglie qualche sassolino dalla scarpa: "Queste elezioni ci hanno liberato da qualche vecchio trombone della politica. Penso a Di Pietro, a quello del Guatemala, Ingroia, e quasi riuscivamo anche con l’Udc e, soprattutto, con Casini".
 
"Articolo 323 del Codice Penale. Abuso d’ufficio. Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità."

Tutto ciò premesso, l'offerta della presidenza del parlamento, delle commissioni, di importanti posizioni chiave in aziende pubbliche, ecc. (ovviamente prescindendo dal merito o in danno di chi tali posti meriterebbe) in cambio della fiducia al proprio costituendo governo deve ritenersi abuso d'ufficio?
Quale differenza vi sarebbe tra l'offerta di una posizione di prestigio ed adeguatamente remunerata ed il versamento di denaro contante?
La propria stessa sopravvivenza politica, ottenuta in tal modo, deve ritenersi anche ingiusto vantaggio patrimoniale?
 
Dire che la situazione sia ingarbugliata è come scoprire l'acqua calda.
Ieri sera da Vespa c'era un vetero-comunista del pd, arrogante come lo erano i comunisti 40 anni fa......a volte si rivelano, sembra che nulla sia cambiato da allora.

Adesso anche questa novità......

Un sito vicino al Pd ha pubblicato una lettera in cui si “svela” che nel movimento 5stelle sarebbe in atto una infiltrazione fascista.
Il gruppo di infiltrati avrebbe al suo attivo già un senatore, un paio di deputati e un consigliere della Lombardia.
I fascisti si sono travestiti da grillini ma il sito sa invece che vengono tutti dall’estrema destra e dietro la cospirazione ci sarebbe addirittura l’eterno e immarcescibile Delle Chiaie.
Chissà se il maniaco del controllo Casaleggio ne è al corrente.
A meno che non si tratti di un contentino per i milioni di elettori di destra delusi che hanno votato Grillo con la speranza non di costruire qualcosa di nuovo ma, almeno, di distruggere qualcosa di vecchio.
Sul fatto che ci sia nel grillismo qualcosa di nuovo ci sarebbe da fare una riflessione. Ed è pur sempre vero che nuovo non vuol dire migliore.
Casaleggio è un eccellente imprenditore che ha importato il web-marketing nel Belpaese. Bello (il Paese) ma provinciale. E Casaleggio, esperto comunicatore, ha fatto un partito virtuale e ha vinto le elezioni, solo per dimostrare ai suoi potenziali clienti che oggi il web è lo strumento migliore per fare marketing. E ci è riuscito e ora avrà contratti milionari. Bravo.
Ma il risultato è andato oltre le sue aspettative e il suo Golem ha preso vita propria.

Conoscete la storia del Golem? Un rabbino di Praga crea un pupazzo di creta che prende vita mettendogli un foglietto di carta con scritto “vita” in ebraico in bocca. Il rabbino lo usa per fare i servizi di casa e la notte lo “spegne” togliendo il foglietto. Una sera si dimentica di togliergli la “parola” e il pupazzo scappa e semina il panico nella città uccidendo e distruggendo.
Per impedire che il partito-golem sfugga di mano, Casaleggio deve imporre regole da setta religiosa.
Grillo è il ministro degli anatemi.
I primi della classe vengono messi sull’altare e buttati giù quando si montano la testa e pretendono di pensare con la propria testa.
Alla fine metà scapperanno e l’altra metà – sempre più fondamentalista – entrerà nella cerchia degli eletti.
Ma Casaleggio – checché se ne dica – non è Hitler. Quindi, alla fine, non nascerà nessun “Nuovo Ordine”. Resterà lo stesso disordine. Solo con un commensale nuovo al tavolo delle spartizioni.

I mandarini rossi hanno già lanciato l’operazione “aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più…”.
 
E' sempre la solita storia....e poi qualcuno ha da dire ....mah !!

Il suo disappunto lo esprime via Twitter: «Dal 2007 sotto accusa per corruzione datata 2004.
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Oggi prosciolto perché il fatto non sussiste. Senza prescrizione. Chi mi chiederà scusa?».
A scrivere è il leader de La Destra Francesco Storace, prosciolto oggi dal gup Giacomo Ebner «perché il fatto non sussiste» dall'accusa appunto di corruzione per un finanziamento di sette milioni di euro che sarebbe stato assegnato nel 2006 al centro ospedaliero San Raffaele di Roma di proprietà della Tosinvest dell'imprenditore Giampaolo Angelucci (anche lui prosciolto) per ripagare i 400mila euro ricevuti nella campagna elettorale per le regionali dell'anno precedente.
Per l'accusa Storace, quando era ministro della Sanità, avrebbe firmato un decreto che dava il via libera a cospicui investimenti nella ricerca scientifica, parte dei quali sarebbe stata proprio destinata alla clinica della Pisana.
Un'ipotesi completamente caduta in udienza preliminare alla quale si è arrivati dopo l'imputazione coatta disposta dal gip a seguito di ben due richieste di archiviazione formulate dalla stessa Procura, che non era riuscita ad individuare la prova della corruzione e che comunque aveva chiesto la prescrizione delle contestazioni.
Soddisfatto l'avvocato Romolo Reboa, che ha difeso il leader de La Destra con Giosuè Bruno Naso: «L'onorevole Storace ha dovuto subire che la vicenda si protraesse di quattro ulteriori anni rispetto alla prima richiesta di archiviazione fatta dalla Procura. E tutto per l'opinione contraria di un giudice che lo aveva anche condannato in primo grado per la vicenda Laziogate. Fortunatamente anche in questo caso un altro giudice ha dichiarato che il fatto non sussiste».

Adesso a questo gip gli facciamo pagare le spese processuali ed il rimborso del danno ? Ma naturalmente no, libero di iniziare un'altra inchiesta.
 
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Fuoco «amico» su Scola: la Curia dietro gli attacchi



Non è un mistero che alcuni ambienti della Curia non vedessero bene l'arrivo di un uomo che ha dimostrato intraprendenza culturale da rettore all'Università Lateranense, apertura e volontà di dialogo con la fondazione Oasis, doti pastorali e capacità di governo nelle tre diocesi che ha amministrato.

Non è un mistero che il capofila dei curiali che non lo volevano Papa era il cardinale Giovanni Battista Re.

Ed è singolare che dopo la richiesta di sospensione delle conferenze stampa dei cardinali americani siano iniziate a uscire indiscrezioni, illazioni, resoconti incontrollabili delle Congregazioni generali.

Il silenzio stampa ha sempre le sue (segrete) eccezioni.

Non è un mistero neanche che Scola avesse oppositori nell'episcopato italiano. Il cardinale Camillo Ruini lo voleva come suo successore alla guida della Cei, i vescovi contrari si fecero forti dell'appoggio del Segretario di Stato Tarcisio Bertone. «A Roma non ci amano molto» si è recentemente lasciato sfuggire una monsignore milanese.

Il problema è la presenza pubblica della Chiesa, uno dei punti su cui si è vista la differenza di approccio tra il cardinale ambrosiano e i «romani» è stato il caso dell'Imu.
Mentre in Cei hanno plaudito alla soluzione europea - che permette esenzioni agli enti ecclesiastici che in caso di scioglimento affideranno i loro beni a enti di pubblica utilità - la curia di Milano ha invitato parrocchie e congregazioni a non chiedere l'esenzione e a pagare, promettendo una battaglia pubblica sul principio considerato iniquo.

Non si tratta di punti di vista differenti su una questione particolare, ma di una diversità metodologica di fondo.

La Cei e la curia sono più propense a un metodo trattativista, già denunciato da Ratzinger quando si discuteva di radici giudaico-cristiane per la Costituzione europea, Scola rivendica invece il metodo che fu già di Sant'Ambrogio: lealtà nei confronti dell'autorità civile e rivendicazione delle libertà irrinunciabili.

Questo, più che lo sforamento dei tempi per il suo intervento in Congregazione generale - che avrebbe creato «fastidio» in alcuni porporati (è stato fatta filtrare anche questa apparentemente insignificante indiscrezione) - ha tenuto in apprensione chi, come denunciato da Benedetto XVI, del servizio al potere curiale più che alla Chiesa ha fatto motivo di carriera.
di Ubaldo Casotto
 
L'ancella di Bersani in carriera coi soldi pubblici

La Geloni, direttrice di Youdem, si difende: "Stipendio alto, ma a tempo determinato"





Paolo Bracalini - Gio, 14/03/2013





Roma - Nel nuovissimo Album Panini del Pd post-tsunami grillino, tra le ancelle testimonial di Pier Luigi Bersani (Moretti, De Micheli, prezzemoline da talk show), entra di prepotenza Chiara Geloni, direttrice della tv del Pd Youdem canale finanziato coi soldi del Pd, cioè i nostri, forte di decine di ascoltatori giornalieri con punte anche di dozzine, sempre che nel frattempo non citofoni nessuno.
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Per questa delicata direzione la Geloni si fa retribuire adeguatamente, 110mila euro l'anno.

Guadagno meritato, quantomeno per la pazienza di sorbirsi ogni giorno il palinsesto di Youdem (e Wepay), zeppo di leccornie televisive come le sei ore di Direzione Pd in diretta streaming.

La retribuzione della pasionaria platinata è finita nel dossier rivelato da Dagospia sui costi del Pd, tra stipendi e staff galattici manco fossero la Casa Bianca.

Un «atto di dossieraggio» che ha costretto la direttora di Youdem a mettere i puntini sulle Y: «Prendo un po' meno di 6mila euro netti al mese, paragonabile alle remunerazioni di altri colleghi. Ma ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato e ho accettato un contratto a termine, legato alle vicende della politica».
Un sacrificio, ma per il partito si fa.

Sì, ma dove lavorava prima la bersaniana dai capelli d'oro?

A Europa, organo del Pd area ex Margherita, giornale che va a ruba dentro la sede Pd, e che perciò beneficia di 2,3 milioni di contributi pubblici all'anno.

Quindi la Geloni è passata dal Pd al Pd, traslocando di 950 metri. Non proprio un salto nel buio, ma comunque.

Sì, ma prima? Bè prima era a RedTv, che poi è l'altra (ex) tv del Pd, stavolta area D'Alema, un'altra impresa giornalistica con più dipendenti che ascoltatori, infatti fallita nel giro di poco. Anche per RedTv le finanze erano pubbliche (3,5 milioni di contributi l'anno), come organo del Pd, e così pure gli stipendi.
Dunque ricapitolando la Geloni è passata dal Pd al Pd per poi approdare al Pd, ma accettando un tempo determinato.

Nel curriculum da direttore non può mancare almeno un libro, pubblicato con la collaborazione di chi? Di RedTv, quelli di prima.

E prima?

Agli albori giornalistici della Geloni (soprannominata dagli invidiosi la «badante» di Bersani), la troviamo nella scoppiettante redazione del Popolo, giornale organo del Ppi, il Partito popolare (futura Margherita e poi Pd), quello di Martinazzoli e Gerardo Bianco, tanto per capire il friccicorìo di quelle pagine.

Naturalmente sovvenzionate dallo Stato, come gli stipendi dei suoi redattori, tra cui la futura direttrice.

Riassumendo: dal Ppi (futuro Pd) al Pd quindi al Pd e infine al Pd, ma a tempo.
Una carriera blindata nel recinto sicuro del partito, in particolare dell'amato Bersani, con slanci verso D'Alema, ma guai a parlarle dei loro avversari, li sbrana.

Dopo una diretta a TgCom24 si lamentò che si fosse discusso solo di Veltroni e non di Bersani («Normale? Per me no»).

Detesta ovviamente Renzi, quel presuntuoso che vorrebbe rottamare Pier Luigi suo.

Ma non si pensi ad una semplice carriere da funzionario di partito.

Ci sono stati scoop che spiegano i 6mila euro.

Come la pipì fatta al Pentagono, durante un viaggio Usa a rimorchio del solito Bersani, rivelata su Facebook. Precisando: «Io ho fatto pipì perché il segretario faceva pipì. Altrimenti avrei resistito, chiaro».

La direzione del Tg3 ci sta tutta.
 
La moderna separazione dei poteri dello Stato viene tradizionalmente associata alla teoria del filosofo francese Montesquieu.
Secondo il noto demiurgo il potere legislativo e quello esecutivo si condizionano a vicenda, mentre il terzo potere, quello giudiziario, deve essere sottoposto solo alla legge, di cui deve attuare alla lettera i contenuti, deve essere la “bouche de la lois, la bocca della legge”.
Teoria, appunto.
Di fatto le cose evidenziano una realtà diversa.
Infatti, il potere giudiziario sfugge all’equa separazione risultando senza dubbio, rispetto agli altri, più forte con maggiori e migliori chance di veder realizzare nell’autonomia una performance più efficace.
Un handicap ragguardevole che lascia spazio a prevedibili e continui conflitti tra gli stessi poteri a causa di ingerenze, storture ed incongruenze che vanno a riflettersi nella vita quotidiana e sulla pelle dei cittadini.
Esempi significativi sono le recenti vicende che hanno segnato uno spartiacque clamoroso e reso il Paese in balìa di guerre intestine tra un “potere che cerca di annullare l’altro potere”.
 

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