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Un paio di commenti seri trovati sul web.

"dopo aver visto questo nella nostra vita difficile scendere più in basso. oh sveglia,qua non è la gara a chi fa più l'alternativo ma si deve governare. siete voi ad essere circondati e ve l'hanno dimostrato oggi mettendovi in minoranza puntualmente,umiltà e testa bassa a lavorare invece di fare gli spavaldi con la bocca sporca di latte ancora. dobbiamo andare avanti così a fare le sceneggiate ? fate i seri,ammesso che ne siate capaci."

"I deputati del Movimento 5 stelle che accedono al Parlamento, unicamente grazie ai voti ricevuti, hanno l'obbligo di indicare a tutti cosa fanno, come si organizzano, dove si riuniscono e per fare cosa; e devono dirci come fare per farsi ascoltare. D'accordo che non sono un partito - motivo per cui hanno avuto tanto successo - però fanno parte di una organizzazione. Facile raggiungere Grillo (e dietro lui, Cassleggio), ma nessuno di questi due è stato eletto. Datevi una organizzazione, ragazzi, senza fare troppi riferimenti dotti e occupare posizioni che forse non vi appartengono."
 
Psicodramma grillino a Palazzo Madama e sul web.
È fatale la votazione al Senato per far naufragare la “granitica” compattezza del M5S, il cui voto è stato decisivo al ballottaggio per l’elezione di Piero Grasso a seconda carica dello Stato.
La prima vera frattura all’interno del partito di Grillo si consuma qui, ai primi passi di legislatura.
Silenti. Increduli. A tratti intenti a confabulare con il vicino: era questa la scena dei senatori grillini dopo il ballottaggio che ha portato Grasso alla presidenza del Senato.

Mentre negli altri settori dell’Emiciclo c’era euforia e si discuteva, tra i banchi dei grillini regnava il silenzio.
La giornata s’era aperta subito con grandi tensioni, a giudicare dalle urla che arrivavano dalla sala dove i neo eletti si erano riuniti per decidere.
Intanto fioccavano gli insulti sul web all’indirizzo del comportamento oscillante e delle promesse non mantenute.
L’ordine di scuderia del capogruppo Vito Crimi era stato chiaro, votare scheda bianca, dunque non votare il candidato del Pd o del Pdl.
Decisione presa dopo un voto a maggioranza.

Ma per la prima volta gli eletti di Grillo si comportavano da “cani sciolti”.
Disciplina di partito addio.
«Qualcosa potrebbe cambiare», spiegava una senatrice 5 Stelle.
«Per noi Grasso, al di là del giudizio sulla persona, sarebbe comunque il portavoce di un sistema».
La scelta di puntare sulla scheda bianca, di fatto, «non è stata presa all’unanimità», spiegava l’ex candidato al Senato, Luis Alberto Orellana.
L’incertezza filtra anche sui social network, dove ad appello già iniziato, il senatore M5S, Maurizio Bucarella, scriveva: «Stiamo per votare al ballottaggio… e la discussione accesa tenuta nel gruppo non è stata sufficiente a dipanare i dubbi di tutti quanti».
Vito Petrocelli lasciava la riunione prima del voto.
C’era anche chi, apertamente, sfida la linea.
Il senatore Bartolomeo Pepe scriveva, sempre su Facebook: «Amici, libertà di voto.
Senza contrattazioni e senza trucchi. Borsellino ci chiede un gesto di responsabilità».
L’indisciplina proseguivacon Ornella Bertorotta, che tuonava, sempre su Fb: « Libertà di voto. È questo che abbiamo deciso. Ogni cittadino portavoce al Senato voterà secondo coscienza».
Del resto dopo essere stati, sempre seduti compatti ai loro banchi, al ballottaggio per l’elezione del presidente erano comparsi i primi capannelli tra i senatori di M5S.
Durante lo spoglio si vedevano diversi senatori grillini parlare in gruppo, in piedi in varie zone dell’emiciclo.
«Se venisse eletto Schifani, quando torniamo in Sicilia ci fanno un mazzo così…», avevano annunciato i senatori siciliani nel corso dell turbolenta riunione.
Chi di web ferisce di web rischia di perire.
La rete prendeva infatti di mira il Movimento per le sue esitazioni e addirittura su Twitter nasceva un hashtag,#M5SpiùL che fa il verso al modo con cui Grillo chiama il Pd (PdmenoL).
Due sono le cose che venivano rimproverati ai senatori 5 Stelle:la mancanza di diretta streaming della loro riunione per decidere l’atteggiamento da tenere al ballottaggio, e la stessa indecisione di fronte alla scelta tra Schifani e Grasso.

«Oggi al Senato i grillini ci mostreranno il lato oscuro delle stelle»: un “cinguettio” niente male, suonato come una profezia, a fine giornata.
 
Matteo Orfini (Uno dei giovani turchi del Pd) Se la legislatura non durerà a lungo, Bersani dovrà chiedere ragione ai suoi «giovani turchi», gli Orfini, gli Orlando, i Fassina e i loro affiliati. Dovevano dare al segretario un tocco di modernità nella tradizione e portare dentro al Pd un nuovo significato «a parole come rappresentanza, cittadinanza, mobilità sociale». Dovevano essere la nuova linfa del trionfo bersaniano, ma sembrano solo la caricatura dei «Lothar dalemiani», il pensatoio del Baffino composto da teste lucide (per via della rasatura). Si sono chiamati «giovani turchi», forse in onore del movimento politico nato nell'Impero ottomano all'inizio del '900 (un sogno infranto miseramente) o più probabilmente per richiamare i giovani turchi sardi di Cossiga alla conquista della Dc. Per chi ha amato «les jeunes turcs» della Nouvelle Vague (Truffaut, Godard, Chabrol...), la corrente di Matteo Orfini è solo fonte di scoramento.
Per contrastare i «rottamatori» si sono persino dotati di un Manuale dei Giovani turchi, scritto da Francesco Cundari, al cui confronto il Manuale delle Giovani marmotte sembra un libro sapienziale. La mitologica Chiara Geloni, direttrice di Youdem, spiega che il libro «con dovizia di dati e rigore scientifico indica chiaramente ai lettori la strada da intraprendere..., schema di gioco e strategia, esercizi per tenersi in forma, manifesto ideologico e bozza per lo statuto del partito (dopo la presa del potere)». Sì, presa del potere: a ogni apparizione televisiva di Stefano Fassina, migliaia di voti s'involavano; Andrea Orlando si occupa del Forum giustizia del Pd e Orfini di cultura, settori nei quali la competenza sarebbe quantomeno necessaria.
Orfini dice che si può tornare alle urne, magari senza Bersani, magari con un Renzi più a sinistra, chi ci capisce è bravo. L'altra sera, ospite di Lerner, esponeva le sue strategie come un vecchio dalemiano: turchi fuori, ma tirchi dentro. Non c'è da stupirsi poi che il reality sia entrato in Parlamento: se i professionisti della politica sono questi, è giusto che la gente comune venga traghettata dall'anonimato ai banchi di Montecitorio secondo il format del Grande fratello.

Aldo Grasso
 
Capogruppo pd al Senato .......:lol::lol::lol:


Dall'Iri al Giubileo -
Sorge però un interrogativo: Zanda è l'uomo giusto per discutere di possibili alleanze e per sondare gli umori degli "alieni" grillini?
A giudicare dalla carriera ricca di onori (politici, ma non solo) dell'onorevole Zanda, forse no.
Loro, duri, puri e "vergini" dai difetti della Casta, come giudicheranno il pompiere?
Sessant'anni compiuti lo scorso 28 novembre, in Senato dal 2003 con la Margherita, quindi rieletto nel 2006 nell'Ulivo e confluito nel 2008 nel Pd con la corrente rutelliana (e già questo non pare un gran biglietto da visita) e di nuovo in Parlamento, l'attuale vicepresidente democratico è avvocato figlio di celebre padre, il prefetto Efisio Zanda Loy.
Il suo cursus honorum lo vede fare gavetta nell'Iri, baraccone pubblico che i grillini forse oggi vedrebbero come fumo negli occhi, parlando di sprechi della macchina-Stato.
Segretario e collaboratore di Francesco Cossiga ministro dell'Interno nel biennio 1976-78 e presidente del Consiglio nel 1979-80, negli anni Ottanta Zanda entra nel gruppo Espresso come consigliere e videpresidente, e tra 1986 e 1995 è presidente del Consorzio Venezia Nuova, quello del discusso e chiacchierato progetto Mose, le paratie che dovrebbero salvare la città dall'acqua alta.
Tra 1995 e 2000 è presidente e ad dell'Agenzia per il Giubileo romano, scelto dal sindaco Francesco Rutelli, non senza qualche screzio con l'allora ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro, suo futuro alleato.

In Rai, poi in Parlamento - Il 22 febbraio 2002 entra nel magico mondo di viale Mazzini. Diventa consigliere d'amministrazione Rai in quota Margherita e, in minoranza, porta avanti una guerra durissima al presidente Baldassarre. Insieme al Ds Carmine Donzelli si dimette il 20 novembre dello stesso anno, lasciando monco il Cda.
Lasciata la tv, arriva in Parlamento in maniera piuttosto rocambolesca causa elezioni suppletive per la morte del senatore Severino Lavagnini: nel collegio di Frascati il centrosinistra candida Zanda, che vince senza avversario, visto che il 23 giugno 2003 la Casa delle Libertà non riesce a raccogliere firme sufficienti per candidare Francesco Aracri.
Risultato: plebiscito bulgaro, 100% dei voti a suo favore (e partecipazione alle urne del 6,47%, la più bassa di sempre nella storia repubblicana.
Tra le sue iniziative parlamentari, forse una troverebbe d'accordo anche i grillini: la proposta di creare una Authority per valutare i dipendenti pubblici, in anticipo sulle politiche sognate da Renato Brunetta.
Basta per convincere i grillini ad ascoltarlo? La risposta l'ha data, poco dopo l'incontro a Palazzo Madama, il neosenatore del M5S Maurizio Buccarella, che a Un giorno da pecora ha ribadito: "Non ci fidiamo della classe dirigente del Partito democratico, non possiamo votargli la fiducia".
 
E alla fine i parlamentari hanno perso la pazienza. Pd, Pdl, Scelta Civica, tutti insieme contro i nuovi arrivati del Movimento Cinque Stelle. Perché va bene il rispetto istituzionale, ma adesso è troppo. Le larghe intese auspicate dal Quirinale si saldano sull’insofferenza verso i grillini. Arroganti, maleducati, saccenti e un po’ permalosi. Per non parlare dell’ultima trovata di occupare le Aule parlamentari. Una sceneggiata che a molti colleghi non è andata giù.
E così, archiviati il sospetto e la curiosità dei primi giorni, a Montecitorio ormai prevale il fastidio. E tra i deputati iniziano a manifestarsi i primi segni di nervosismo. La battaglia che i grillini combattono per avviare i lavori in commissione è riuscita a fare irritare persino l’Udc Rocco Buttiglione. Uno che la calma l’avrà persa un paio di volte in tutta la vita. Sono da poco passate le 15 quando, di fronte all’ennesima richiesta del M5S, l’ex vicepresidente della Camera sbotta. «Signor presidente - prende la parola il deputato in Aula - mi rendo conto che per qualcuno qui è difficile capire un discorso un filo più articolato e che non parli di poltrone». Dopo una lunga lezione di diritto costituzionale sulla differenza tra democrazie parlamentari e assembleari, il centrista si innervosisce: «Qualcuno qui (ovviamente si tratta sempre dei colleghi a cinque stelle, ndr) non vuole assumersi la responsabilità del proprio ostruzionismo che impedisce di formare il Governo e dice “facciamo le commissioni”. Non è possibile, è contrario al buonsenso, è contrario alla struttura della Costituzione italiana».
È solo il primo infastidito intervento di un lungo pomeriggio. Da destra a sinistra, nessuno sembra più disposto a sopportare in silenzio le accuse dei grillini. «Non esiste una situazione per cui da un lato ci sono i volenterosi che vogliono lavorare e costituire le commissioni e dall’altro i brutti, cattivi e magari fannulloni che vogliono bloccare tutto per chi sa quali trame oscure o giochi di potere», si lamenta il berlusconiano Simone Baldelli.
Poco dopo tocca ai titolari di doppio incarico. È la pentastellata Maria Marzana a prendersela con “gli incompatibili”. Quei colleghi che oltre a sedere a Montecitorio conservano la poltrona in Regione. «È eticamente inaccettabile che questi parlamentari continuino imperterriti a percepire una doppia retribuzione» denuncia tra gli applausi dei vicini. La risposta, gelida, arriva dopo pochi istanti. Il montiano Andrea Causin spiega infastidito come in realtà il doppio stipendio sia già vietato dalla legge. «Massima disponibilità ad affrontare anche il tema dei doppi incarichi - chiarisce l’ex consigliere regionale veneto - però dovremmo farlo in modo circostanziato (…), il sottoscritto è decaduto il 24 marzo e non percepisce l’indennità dal giorno 15, giorno della proclamazione». La stilettata finale: «Quindi bene questo dibattito - si rivolge ai colleghi M5S - però preparatevi».
La seduta riprende. Fino a quando il grillino Andrea Colletti non solleva una questione. «Signor presidente, purtroppo, come spesso accade in questa Assemblea, vi sono deputati che votano anche per deputati assenti. Questo comportamento rasenta la truffa ed è un comportamento vergognoso». Il presidente di turno Maurizio Lupi prende nota della denuncia. «Se il comportamento è avvenuto è vergognoso», ammette. Ma il grillino non gradisce: «Signor presidente, prima di tutto, chiedo che mi sia concessa la parola e quindi la invito a non interrompere, grazie». A questo punto la solidarietà della vecchia guardia parlamentare ha il sopravvento. Si alzano grida di disapprovazione. Dai banchi di centrosinistra qualcuno continua a strillare «Buffone!». È la rivincita dei pianisti. Lupi risponde stizzito: «Mi scusi, ma il presidente la può interrompere». A fine seduta confiderà a un collega: «Ma questi sono pazzi».
E ancora. In Aula l’ordine del giorno prevede l’esame del decreto su Roma Capitale. Dopo un luogo intervento della grillina Carla Ruocco, a perdere la pazienza è la deputata Pdl Beatrice Lorenzin. «Devo dire che sono rimasta molto impressionata dall’intervento della collega del Movimento 5 Stelle - esordisce sarcastica la berlusconiana - Perché se ha annunciato in tutto il suo intervento di essere appena entrata in Parlamento, accusando il Parlamento stesso di retorica, devo dire che il suo intervento brilla per una certa retorica parlamentare, e potrebbe dettare legge in quanto a dialettica politica». Tra gli applausi bipartisan di Pd e Pdl, la Lorenzin non risparmia l’insulto più grave. «Benvenuti nella Casta!» si rivolge ironica ai grillini tra l’approvazione dei colleghi.
Le ore passano, i lavori proseguono. A fine serata, poco prima della sospensione della seduta, diversi deputati Cinque Stelle prendono la parola. Si cerca di tirarla per le lunghe. Tanto il gruppo M5S ha già deciso di rimanere in Aula fino a mezzanotte per protestare contro il mancato avvio delle commissioni. Per l’onorevole cittadino Filippo Gallinella l’occasione è propizia per ricordare ai colleghi la presenza di 49 indagati in Parlamento. È un vecchio cavallo di battaglia: «Altro che liste pulite!» si lamenta.
L’Udc Angelo Cera perde le staffe. «Se questo è un nuovo modo di ghigliottinare le persone assenti, io credo che vi state proprio sbagliando - attacca i colleghi a Cinque Stelle - Tirate fuori, se siete capaci, oltre alle denunzie a persone assenti, situazioni e cose nelle quali la gente italiana può incominciare a capire che cosa proponete. Incominciate ad essere seri perché qui dentro, tra le altre cose, per ascoltarvi ci sono anche persone oneste. Fate capire di che pasta siete».
È il turno del Pd Ivan Scalfarotto. «Pongo soltanto una domanda: su quale base voi pensate che qui possano esserci persone poco oneste mentre voi statisticamente siete tutti onesti?». Ormai non ci sono più timori reverenziali. «Lo sconcerto è grande rispetto a questo ergersi a tribuni del popolo - prende la parola indignata la democrat Alessia Morani - Continuare con questo atteggiamento nei confronti di coloro che vi siedono davanti e che hanno la stessa passione civica che avete voi, lo stesso entusiasmo che avete voi, la stessa voglia di fare che avete voi, non credo sia un atteggiamento costruttivo in questo momento». È il grido di dolore di tanti parlamentari. «Dopodiché - conclude la deputata - A coloro che hanno detto che ci sono degli indagati e dei condannati in quest’Aula, vorrei ricordare la differenza sostanziale tra un indagato e un condannato». Ora basta. I grillini sono avvertiti, la Casta ha perso la pazienza.


Leggi il resto: ?Grillini ora basta!? E la ?casta? perde la pazienza | Linkiesta.it
 
Le imprese rischiano di chiudere una dopo l'altra, i consumi sono crollati ai livelli degli anni Novanta e oltre 4,2 milioni di famiglie non arrivano a fine mese.
Il bilancio redatto dal Censis e dalla Confcommercio nell’ultimo outlook sullo stato di salute del Belpaese è pesante: traccia il fallimento di tredici mesi di governo tecnico che, oltre a non riuscire a rimettere in sesto l'economia italiana, ha addirittura affondato imprese e famiglie che adesso si trovano sul lastrico.

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Nel 2013 a rischio 250mila imprese

"Nel 2013 chiuderanno 250mila imprese del terziario, di mercato e dell’artigianto", ha spiegato il presidente della Confcommercio Carlo Sangalli a margine della presentazione del rapporto stilato dall’associazione con il Censis. "Senza impresa non c’è crescita nè occupazione e la ripresa resta soltanto un miraggio", ha aggiunto Sangalli secondo il quale c’è "assoluta necessità e urgenza di avere un governo che consenta alle imprese tornare a essere protagoniste dell’economia e dell’occupazione".

Il numero uno della Confcommercio ha, quindi, lanciato un avvertimento alla politica rinnovando l’appello presentato ieri da Rete Imprese Italia: "Le imprese hanno già dato tutto quello che dovevano e potevano fare, anche di più.
Oggi gli imprenditori hanno perso la pazienza, non fategli perdere la speranza, adesso tocca voi". Secondo gli analisti, nel 2013 il prodotto interno lordo scenderà dell’1,7% mentre i consumi caleranno del 2,4%.
"Le imprese sono al collasso e la fiducia delle famiglie è ai minimi storici", ha incalzato Sangalli tornando a chiedere "un governo che affronti subito le emergenze del Paese" perché "la crisi è lunga e drammatica e sta cancellando la parte più vitale del nostro sistema".
 
Ultima modifica:
Voleva spuntarla, il leader del M5S, con il trucco di scegliere un personaggio che pensava potesse attirare su di sé i voti della sinistra, così poi da incassare la “vittoria” con il suo elettorato un po’ stordito e deluso dagli ultimi comportamenti dei Cinquestelle.
In sostanza voleva dire: “Abbiamo deciso noi il presidente della Repubblica”.
E allora, alle corde, è andato giù pesante e su Twitter e attraverso il suo blog, ha sparato a zero su tutti.
Poi è partito per la Capitale dando appuntamento ai suoi sostenitori a piazza Montecitorio: «Milioni di persone a Roma», l’annuncio, mobilitati per «riprenderci il maltolto». «Non lasciatemi solo – ha scritto – perché qui si fa la democrazia o si muore».
La paura è di rimanere isolato politicamente, ma lui la butta sul vittimismo: «Non lasciatemi solo – ha scandito – è necessaria la mobilitazione popolare, per il M5S da solo non può cambiare il Paese».
Poi ha alzato i toni: «Qui è in atto un colpo di Stato. Ci sono momenti decisivi nella storia di una nazione. Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. Pur di impedire il cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati – ha affermato Grillo – hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale. Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso… Nel dopoguerra, anche nei momenti più oscuri della Repubblica, non c’è mai stata una contrapposizione così netta, così spudorata tra Palazzo e cittadini».
È evidente la paura che il Movimento 5 Stelle venga bloccato nella sua azione che ha portato i grillini a conquistare il 25 % dei voti. «Abbiamo già eliminato 5 partiti – ha ricordato l’ex comico – e, come i 10 piccoli indiani, in 8 hanno terminato il loro lungo viaggio nella Seconda Repubblica nata dalle macerie degli anni di sangue ’92/’94 . Ne rimangono ancora due: Berlusconi e D’Alema, che sarà l’ultimo ad andarsene. E poi non rimane nessuno».
Un obiettivo per il M5S e il suo leader, ma non è detto che le cose vadano davvero così ...........
 
Secondo la Suprema Corte (sentenza n. 40552/2009), "l'elemento oggettivo dell'apologia di uno o più reati punibile ai sensi dell'art. 414, comma terzo c.p. consiste nella rievocazione pubblica di un episodio criminoso diretta e idonea a provocare la violazione delle norme penali, nel senso che l'azione deve avere la concreta capacità di provocare l'immediata esecuzione di delitti o, quanto meno, la probabilità che essi vengano commessi in un futuro più o meno prossimo." .......essendo già condannato, farei attenzione alle parole.....ed infatti poco dopo si è rimangiato la .......marcia su Roma.
 
La miserabile vicenda delle elezioni per il Quirinale ha dimostrato per l’ennesima volta che quando la politica si trasforma in "politicume", in scontro tra mediocrità animate da rancori, invidie, trabocchetti, slealtà, manovre sottobanco e simili, Berlusconi trionfa e se li mette tutti in tasca.

Berlusconi è stato battuto dai Prodi e Ciampi, cioè dalla politica seria fatta di contenuti, invece gioca con i maestri dell’intrigo come i vari D’Alema, Marini e compagnia cantante, come il gatto con il topo.

Il baffetto di Gallipoli sin dal 25 febbraio ha mirato dritto all’inciucio con Berlusconi credendo ancora una volta, nonostante le batoste prese in questi anni, di saper poi governare la cosa.

Come abbiamo detto altre volte, D’Alema soffre di quella sindrome adolescenziale di ritenere di avere doti superiori a quelle che possiede realmente.
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Questa è una malattia molto grave che da ragazzi non comporta molti danni, ma che da adulti è veramente perniciosa, perché porta a non accorgersi degli ostacoli e dei pericoli.

Il personaggio letterario che può essergli associato è quello dell’ "apprendista stregone" di goethiana-disneyana-dukasiana memoria il quale, visto l’ambito nel quale viene calato, potrebbe essere cambiato in "apprendista Andreotti".
Il sospetto che durante queste settimane la persona più consultata da Napolitano sia stata l’ "intelligentone Massimo" non me lo toglie nessuno, da qui quell’aggettivo "certa" messo accanto a "maggioranza" nell’incarico dato a Bersani, a meno che si sia trattato di spontanee "affinità elettive" tra i due ex comunisti in salsa togliattiana.
Questa volta l’apprendista Andreotti ha molto probabilmente trovato anche l’alleanza di "rosiconi" vari, come Franceschini e Finocchiaro, trombati e frustrati nelle loro esagerate aspettative.

Ma per un’analisi completa non si può trascurare il patetico Monti, il quale da quando si è seduto a Palazzo Chigi non ha fatto altro che sprofondare sempre di più nella mediocrità, dando ampia prova di dilettantismo, come quando è diventato una mera ciambella di salvataggio per personaggi come Casini e ha cominciato a mettersi in concorrenza con il centro sinistra anziché con Berlusconi, fino a toccare il fondo con la richiesta di diventare presidente del senato, pronto a lasciare l’Italia senza governo.

Ma, per dirla con Oscar Wilde, ha cominciato a scavare il fondo con la candidatura di un prefetto alla massima carica istituzionale dello stato: insomma il commissario prefettizio esteso dai comuni allo stato.

Continuiamo ad avere l’impressione che il professore della Bocconi pensi sempre di avere a che fare con qualche "caso" del quale discute con i suoi studenti e non con la situazione reale e concreta di un paese in difficoltà.


Il risultato di tutto questo è stato il trionfo di Berlusconi, proprio come la bicamerale.
Adesso continuerà lui a dettare l’agenda; i magistrati che lo stanno giudicando saranno sempre più nell’angolo, e il gioco andrà avanti fino a quando non deciderà da solo di rovesciare il tavolo.

Napolitano ha fatto presente che si dimetterà presto, se mai dopo aver sciolto le camere quando lo vorrà B., e così il nuovo presidente della repubblica sarà eletto dal nuovo parlamento.

Con quale maggioranza? Provate a pensarci.

Questo è il regalo dei grandi intelligentoni del Pd.

Qui non si tratta tanto di condividere la posizione politica dell’uno piuttosto che dell’altro, quanto di constatare che sono tutti degli incapaci.

 
Eccoperchè i dati non uscivano .......

Lo scorso 15 aprile, 48.292 persone sono state chiamate a partecipare all'elezione del candidato Presidente della Repubblica del MoVimento 5 Stelle.

Il processo dei due turni di voto è stato verificato dalla società di certificazione internazionale DNV Business Assurance.

I voti espressi sono stati 28.518, così ripartiti:

- Gabanelli Milena Jole: 5.796
- Strada Luigi detto Gino: 4.938
- Rodota' Stefano: 4.677
- Zagrebelsky Gustavo: 4.335
- Imposimato Ferdinando: 2.476
- Bonino Emma: 2.200
- Caselli Gian Carlo: 1.761
- Prodi Romano: 1.394
- Fo Dario: 941

4677 voti ?????????? ma dai, ma 4000 voti si raccolgono in UNA sede di partito, non su

50.000.000 di Italiani votanti.
 

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