Trading...Pensieri e Parole

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Flop .......alias Buco nell'acqua.

Nel fine settimana Grillo gonfiava il petto: «Avremo la prima Regione a cinque stelle».



E lo diceva con l’orgoglio di chi ha girato in camper tutti gli anfratti del Friuli Venezia Giulia, dal Vajont a Grado, collezionando chilometri e piazze piene.

Anche il candidato governatore Saverio Galluccio seminava ottimismo: «Alle politiche noi, centrodestra e centrosinistra eravamo tutti nell’arco di uno 0,8%».

Ma soprattutto, a febbraio, il M5s si era laureato primo partito in Fvg.


La bassa affluenza alle urne (50,48%), congiuntamente al pasticcio del Pd nelle votazioni per il Quirinale, ha fatto ben sperare i grillini, lanciati alla volata verso la massima poltrona regionale.

D’altronde il colpaccio sarebbe servito a scacciare i fantasmi sul calo di consensi evocato dalla strategia isolazionista in Parlamento, fonte di lacerazioni tra base ed eletti.

Eppure le cose sono andate diversamente, tant’è che adesso si parla di flop per Galluccio, terzo classificato dietro Tondo e Serracchiani.

«A vedere i risultati, è servito più il viaggio di Renzi che quello di Grillo», ironizza Franco Bechis.


Oltre a non piazzare il colpaccio, il Movimento è la prima vittima dell’astensionismo e perde terreno: il suo candidato si ferma al 19,3% (96.372 voti), percentuale che stride con il 27,2% (196.218) alla Camera e il 25,5% (171.429) al Senato raccolti in Friuli a febbraio.



Intervistato da Linkiesta, Galluccio ha ammesso: «Potrebbe essere che abbiamo sbagliato a comunicare il nostro obiettivo, ma aspetto i numeri prima di fare analisi».
Ora che la matematica conferma beffarda l’urgenza di riflessioni, il pensiero corre a Roma, principale indiziata per la perdita di consensi.
 
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DOSSIER COMPLETO CHI CONTROLLA IL MONDO (ebook in formato PDF)

Un lettore del nostro blog, Enoch Thrive, ha preparato un lungo dossier composto da importanti articoli e approfondimenti di "contro-informazione", ovvero notizie importanti, di pubblico interesse, che i mass media mainstream censurano deliberatamente.

Il dossier è liberamente scaricabile, in formato PDF, sul portale mega.co.nz e suscribd.com

Di seguito l'indice dei contenuti del documento a cura di Enoch Thrive:

RIASSUNTO BREVE ''LA REALTA' SUPERA LA FANTASIA"
CHI CONTROLLA IL MONDO
QUAL'E' IL PROBLEMA IN ITALIA
ENERGIA PULITA E OCCULTATA
FILM CONSIGLIATI
DOSSIER: CHI COMANDA I MASS MEDIA
DOSSIER BILDERBERG
Quel che non sapete del Gruppo Bilderberg
Banchiere svizzero smaschera i criminali del Bilderberg
Ferdinando Imposimato: "Dietro le Stragi di Stato, il Gruppo Bilderberg"
Henry Kissinger e il gruppo Bilderberg dietro all'omicidio di Aldo Moro
I piani segreti del Bilderberg e Mario Draghi per l'Italia del futuro
Il discorso che costò la vita a J.F. Kennedy: attuale come non mai
Le associazioni massoniche: il trait d'union tra le lobby dell'alta finanza che gestiscono le multinazionali
Chi è davvero Mario Monti
2005: Il programma segreto del gruppo Bilderberg
DOSSIER M.E.S. MECCANISMO EUROPEO DI STABILITA'
DOSSIER: La sporca cronistoria del Nuovo Ordine Mondiale!
Chi governa il mondo? La prova consistente che un gruppo ristretto di ricchi elitari tira le fila
CHI CONTROLLA IL DENARO?
DOSSIER: FAMIGLIE PIU' POTENTI DEL MONDO
LE 13 FAMIGLIE CHE COMANDANO IL MONDO
DOSSIER: La famiglia Rockefeller
DOSSIER: La famiglia più potente del mondo: i ROTHSCHILD
DOSSIER GOLDMAN SACHS
COME HANNO AGITO A NOSTRA ISAPUTA, descrizione dei piani attuati nella storia economica fino ad ogg...
 
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Banche tedesche verso il crack

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Se Atene piange, Sparta non ride. Se l'Italia non sta bene, nemmeno i crucchi scoppiano di salute. Le banche tedesche non stanno poi tanto meglio di quelle italiane. In una interrogazione alla Commissione di Bruxelles, l'eurodeputato della Lega, Mario Borghezio, ha sottolineato le magagne della Deutsche Bank che attualmente si trova investita da uno scandalo di proporzioni immense. Due suoi ex dipendenti hanno infatti rivelato che la filiale Usa avrebbe nascosto dodici miliardi di perdite in derivati durante gli ultimi anni. A sua volta, insiste Borghezio, la Commerzbank che è privata ma ha un quarto del capitale di proprietà pubblica, ha ottenuto 35 miliardi di sovvenzioni statali,...
Andrea Angelini
 


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BOOM: la banca con la maggiore esposizione sui derivati ce l'abbiamo noi in EUROPA

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Il primato è in possesso di Deutsche Bank. E ora si capiscono anche tanti comportamenti dei tedeschi verso la BCE.


Quando parliamo di derivati, spesso il pensiero vola oltre oceano, dove le Banche USA (soprattutto dopo la vicenda subprime) sono viste le più cariche e pericolose a causa di una teorica super esposizione sui derivati ed un generoso utilizzo della leva finanziaria.
Però se avete letto gli ultimi post sull'argomento DERIVATI avrete sicuramente visto che negli USA, complice anche un massiccio deleveraging (che poi deve ancora essere realmente certificato, visto che a me la situazione puzza sempre un pochetto) la situazione per le banche USA è sensibilmente migliorata. Ed in Europa?
In Europa non poi così tanto. Anzi, proprio in ambito derivati, veniamo a scoprire un dato che ha del clamoroso.
La banca con la maggior esposizione al mondo in derivati non è Usa ma è appunto Europea e come avrete intuito (visti i post precedenti) è una banca tedesca, la più grande e importante, ovvero DEUTSCHE BANK.
Il solito ZeroHedge ci suggerisce di andare a veder a pagina 87 del bilancio della banca stessa, che potete visualizzare CLICCANDO QUI. dove scopriamo che la cifra "monstre" che aveva fatto di JPMorgan Chase un'inarrivabile primatista con 69.500 miliardi di USD (68.5 trilioni di USD, ovvero come il PIL mondiale) viene ridicolizzada da un nuovo PRIMATO della Deutsche Bank. Signori, i tedeschi hanno un'esposizione in derivati apri a 55.6 trilioni di Euro che in USD è pari a circa 72.8 trilioni di $!
Volete farvi una risata? Guardate il grafico che mette a confronto il PIL tedesco e l'esposizione in derivati di DB.


Chiudo con questa domanda che di per se, dopo questo post, non ha bisogno di risposta.



Inviato da iPad


Pubblicato daMaurizio Barbero *****************Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su Facebook




Reazioni:
 
M. Blondet)
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1 maggio 2013 |
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Autore Nicoletta Forcheri | Stampa articolo
Fonte: http://www.rischiocalcolato.it/2013/05/se-la-francia-stampa-euro-di-maurizio-blondet.html?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=se-la-francia-stampa-euro-di-maurizio-blondet
1 maggio 2013Di Maurizio Blondet


Nota di Rischio Calcolato: questo post è tratto dalla rivista on-line EffediEffesito di informazione a cui consigliamo caldamente un abbonamento (50€ spesi benissimo). Come al solito la penna del “Direttore” coglie nel centro il cuore del problema. Buona lettura.
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L’eurocrazia ha concesso alla Francia ( e Spagna e Portogallo) due anni di proroga per il rientro dal deficit entro il 3% del Pil, e ha negato lo stesso sollievo all’Italia. Enrico Letta va da Angela Merkel a Berlino ad implorare il favore (il ministro Schauble aveva detto no ancor pochi giorni fa). Ma Berlino ha fatto a Parigi un favore più grande, alla chetichella: in pratica, ha permesso alla sua Banca Centrale di stampare euro.Lo ha scritto l’8 aprile scorso addirittura Paul Krugman sul suo blog presso New York Times, con un titolo più che ironico: «La Francia ha di nuovo la sua divisa» (France Has Its Own Currency Again). Scarne le notizie che Krugman dà. Si limita a notare che gli interessi che la Francia paga per indebitarsi sono crollati. Parigi non è più a corto di soldi, i mercati non sono più preoccupati di un suo fallimento… Un giornale economico online francese, Atlantico, poco dopo ha ipotizzato: i tassi bassi a cui la Francia si indebita sarebbero effetto di una politica «generosa e discreta» da parte della Banque de France (la loro Banca Centrale) di acquisto di attivi discutibili dalle banche francesi. E spiega che se l’Europa ha una moneta unica, non ha un’unica Banca Centrale. Sì, c’è la BCE; ma le banche centrali nazionali esistono ancora «e dispongono di una certa autonomia per aiutare le proprie banche». Possono aiutare le loro banche commerciali, appunto decidendo quali «attivi» accettare come garanzia, ossia quali titoli di credito che le banche vantano, e contro le quali sganciare i fondi liquidi. Crediti andati a male, titoli di Stati in difficoltà eccetera, insomma pretesi «attivi» che il mercato non tocca nemmeno con un dito, che la Banque de France accetta come buoni dalle sue amate banche nazionali. La transazione avverrebbe nel cosiddetto sistema Short Term European Paper (acronimo: STEP): che consente a ciascuna Banca Centrale di rifinanziare le sue banche, ma che è usato soprattutto dalla Francia. Parigi, con quasi 500 miliardi, rappresenta da sola più della metà del mercato europeo STEP, ed è il secondo del mondo dopo quello americano. Inoltre, è in forte aumento: da 300 miliardi di metà 2012, era già a 483 a fine 2012.
Ciò significa non solo che la Banque de France ha il tacito permesso di stampare euro secondo le necessità (insaziabili) delle sue banche; ma che le sue banche maggiori (BNP, Société Générale, Crédit Agricole in prima linea) sarebbero sull’orlo del fallimento per la loro eccessiva esposizione ai rischi, e tenute sotto ossigeno dalla stampante della Banque de France mascherata sotto pagamento di «attivi» che sono equivalenti a vecchie biciclette, abiti di seconda mano e stoviglie usate.
A tutta prima la mezza rivelazione ha fatto strillare di rabbia grossi giornali germanici comee Die Welt e Deutsche Wirtschafts Nachrichten, che hanno accusato Mari Draghi, l’odiato italiano, di lassismo complice. «La BCE ha dato alla Francia la possibilità di stabilizzare le proprie banche, senza che la Germania possa far niente per opporsi (…) Sotto traccia, si gonfia in Francia una gigantesca bolla finanziaria».
Ma dopo queste prime urla, più nulla. Silenzio. Evidentemente, i media sono stati avvertiti discretamente di sorvolare. E ciò, quasi certamente, per il motivo indicato da Krugman: la BCE non può lasciare la Francia al suo destino come una qualunque Grecia (o Spagna), perché senza la Francia «non c’è più euro».
Berlino, che è severissima con noi, con Hollande tace e acconsente, perché ha bisogno della «relazione speciale» con Parigi, secondo pilastro dell’euro e della sua ideologia.
Se l’ipotesi è vera, inutilmente il nostro Letta (e la sinistra italiana) sperano di trovare in Parigi l’alleato e guida dei Paesi mediterranei che dicono basta all’austerità e mettono in minoranza la Merkel: Hollande, la Merkel se l’è comprato col permesso di stampa dissimulata. Il permesso (tedesco) a Francia, Spagna e Portogallo di ritardare di due anni il rientro del deficit, che viene negato a noi, è fatto proprio per spaccare il fronte. L’Italia è isolata. Divide et impera. Anche se Enrico Letta, mettendo all’economia Saccomanni, ossia il servile e strapagato funzionario di Bankitalia, non ha certo dato l’idea di voler andare all’attacco. Bankitalia è nota per la sua subalternità a Francoforte e Berlino.
Questa faccenda, più o meno soppressa, rivela un’altra disfunzione della Babele monetaria che è l’euro (moneta unica con banche centrali «con parziale autonomia», se la prendono), e che i padroni dei nostri destini vanno avanti a forza di pezze, trucchi nascosti, strappi inconfessati alle regole che loro stessi ci hanno imposto, omertà e favoritismi collaterali e severità disumane – come nella Fattoria degli Animali di Orwell, tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
Ché poi, chissà che non ci convenga tacere. Dopotutto, ad ogni asta dei nostri Btp, i tassi d’interesse si abbassano, fra gli applausi dei media: «I tassi tornati ai minimi del 2010! I mercati ci ridanno fiducia!». Oddio, i tassi sono ancora alti: 3,94, anche se in calo rispetto agli orribili 4,66 di un mese prima. Lo spread non cala veramente. Ma perché, di grazia, «i mercati» ci danno fiducia? Non abbiamo fatto le riforme, né tagliato l’enorme spesa pubblica parassitaria, né snellito la burocrazia, né reso rapidi e produttivi i magistrati, né reso competitivo il lavoro, né alleviato o almeno semplificato la tassazione sulle imprese; le nostre ditte produttrici sono strangolate dallo Stato e dalle banche , il credito è azzerato, non circola denaro: viviamo il blocco di liquidità tragico che perpetuò la crisi del 1929 fino al ’39. Perché i mercati ci darebbero fiducia, quando noi italiani di fiducia non ne abbiamo nemmeno un po’, e chi ha soldi ne ha mandati 200 miliardi in Svizzera, per paura del prelievo forzoso alla cipriota? Chi è, insomma, che compra i nostri titoli? E a retribuzione calante per giunta?
Certo, si dice, il mondo è inondato di liquidità dalla Federal Reserve e dalla Bank of Japan che hanno intrapreso il più oltraggioso e svergognato quantitative easing; dei colossali fiumi di dollari e yen devono per forza andare in titoli pubblici del mondo; qualche rivolo si «investe» in Italia, dove ottiene ancora quasi il 4% sicuro. Sarà. Ma magari c’è un aiutino anche ai nostri titoli pubblici da parte della BCE, o di Bankitalia col permesso occulto della BCE? Come la Francia, ma pochino pochino? Con la Germania che fa finta di niente, almeno fino alle elezioni di settembre, perché deve tener nascosto ai suoi cittadini l’enormità del problema e la disonestà dei mezzucci usati per rappezzarlo?
Chissà. Facciamo solo notare questo paradosso: c’è una enorme liquidità globale, e le banche strapiene di titoli pubblici; e alle nostre imprese non arriva un euro. Non pagano i fornitori perché non vengono pagate a loro volta; tutto si paralizza perché manca denaro liquido e il credito è prosciugato, ma altrove scorrono Mississippi di liquidità.
Uno studio della KPMG calcola che le banche della zona euro detengono ormai 1670 miliardi di euro di titoli del debito sovrano (chiamiamolo sovrano) degli Stati europei; un enorme montante sottratto all’economia produttiva. Le banche fanno credito illimitato (non coi soldi loro) ai governi, sotto l’ombrello protettore e complice della BCE, lucrando en passant notevoli interessi senza rischio, e contemporaneamente negano credito a famiglie e imprese. Secondo KPMG negli ultimi 4 anni le banche hanno ridotto di 365 miliardi di euro le loro aperture di credito alle imprese: -7,5%. Sono le colpevoli reali e primarie della recessione diventata depressione, dei disoccupati che crescono e dei suicidi di imprenditori.
Per contro, secondo KPMG, i crediti dubbi delle banche europee ammonterebbero a 1500 miliardi (di cui 600 per le sole banche britanniche, spagnole e irlandesi). Anziché ripulire i loro bilanci vendendo i loro portafogli, esse da anni preferiscono nascondere il problema prorogando i loro prestiti più o meno inesigibili. Gli Stati avrebbero dovuto, fin dall’inizio della crisi, intervenire imponendo ad azionisti e creditori di accollarsi la loro parte di perdite; non l’hanno fatto – come opporsi alla lobby bancaria? – fino al giorno in cui l’hanno fatto per banche e correntisti di Cipro. Allora, non si ebbe il coraggio di assumere le conseguenze sistemiche che ciò avrebbe comportato, con la conseguente rivoluzione del sistema bancario europeo, la scomparsa dei vecchi azionisti e dei banchieri nella latrina della storia, e la ristrutturazione (default parziale) dei debiti sovrani.
I poteri forti e i loro caudatari governativi non hanno voluto. Da allora, si sono susseguiti «salvataggi» di banche che avevano in comune il rimandarne la necessità. Si sono chiusi gli occhi davanti alla crisi finanziaria per non vedere di essa che una giustificazione di più all’ideologia ultra-liberista, «anzi profittando dell’occasione per accelerare brutalmente l’applicazione del programma» (Fançois Leclerc).
Ed oggi siamo a questo: che invece di mettere in discussione la strategia seguita e fallimentare (austerità per chi «ha vissuto al disopra dei propri mezzi») si suggerisce solo di ammorbidirne l’applicazione. La Commissione ha concesso alla Spagna di ritardare il rientro del deficit, stavolta di due anni; poi l’ha concesso al Portogallo, poi alla Francia. L’allungamento del calendario è diventato regola? Ma no, si decide caso per caso – per salvare la faccia – e quindi si dice no a Roma, che conta come il due di picche ed ha ministri tanto tanto europeisti, la Bonino che vuole accelerare gli Stati Uniti d’Europa: a noi, si può fare di tutto, e continuiamo a scodinzolare. (Emma Bonino: Stati Uniti d’Europa o non c’è via d’uscita‎)
Del resto, gli alleviamenti concessi agli altri non solo non risolvono nulla. Sono accompagnati ogni volta da ingiunzioni di nuovi rigori di bilancio, che aggravano la recessione e creano di conseguenza (tramite diminuzione del gettito fiscale) le condizioni di un ulteriore, futuro allungamento della data del fatale rientro del deficit sotto il 3%: cifra peraltro del tutto arbitraria.
«Rigore di bilancio e controllo delle spese non spariranno dal vocabolario del partito socialista», ha annunciato Antonio José Seguro, il segretario del PS portoghese, che spera di tornare al potere e chiede, contemporaneamente, una rinegoziazione del costosissimo piano di salvataggio del Portogallo; le stesse cose più o meno dicono i governanti spettrali a Madrid, a Parigi e il nostro Enrico Letta. «Crescita» accompagnata a «rigore», come sempre. Senza spiegare come fare. Senza mai mettere in discussione i paradigmi adottati una volta per tutte, il pensiero unico eurocratico-globalista.
 
Il Grillo canta, non insulta!

Dopo un fondo sul “Corriere”, una partecipazione a “Ballarò” e una a “Otto e mezzo”, dove ho espresso opinioni sul Movimento 5 Stelle, ho raccolto una cascata di commenti aggressivi, volgari o minacciosi. Soprattutto su beppegrillo.com - restaurants (ma gli insulti non erano vietati?), sul canale Youtube Rai (chi lo modera?), su Facebook e Twitter. Esagero? Cosa direste, se qualcuno scrivesse di voi “Non vale nemmeno il prezzo del colpo che meriterebbe ampiamente di ricevere in mezzo agli occhi”?

Sono spaventato? No. Offeso? Nemmeno. Dispiaciuto? Certo. Perché questo è ormai il dibattitto pubblico in Italia. E il web – l’ho scritto, lo ripeto – non è un’attenuante: è un’aggravante. Internet è troppo importante, affascinante e libera perché bande di incoscienti, travestiti da libertari, possano rovinarla.

Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio diranno: e noi cosa ci possiamo fare? Rispondo: molto, potete fare. Potreste dire a vostri sostenitori, per esempio, che reagire così a ironie o critiche è assurdo. Potreste aggiungere che una formazione politica nuova e originale – il Movimento 5 Stelle – non può e non deve ospitare attacchi personali di questo tipo (il commento citato sopra è ancora sul blog beppegrillo.com - restaurants – firmato andrea f. 26.04.13 12:30).

Soprattutto, caro Grillo, lei potrebbe evitare d’aizzare i suoi elettori. Se dopo una frase scherzosa – “Il dibattito in streaming tra Enrico Letta e Vito Crimi? Come mettere di fronte Bayern Monaco e Sambenedettese: quasi scorretto!” – lei pubblica una mia foto, titola “Mescolarsi vuol dire sporcarsi di merda”, storpia il mio nome e quello del “Corriere”, insulta Lilli Gruber e dice che, in altri tempi, io avrei “decantato il Duce, Pinochet e Gromiko”, è chiaro: i suoi elettori penseranno che è legittimo spingersi più in là (oltre a chiedersi chi diavolo era Gromiko).

Non sono preoccupato, ripeto, non denuncerò nessuno e so che molti altri italiani hanno ricevuto il “trattamento a cinque stelle”. Ma credo sia venuto il momento di dirlo: adesso, basta. Non si può vivere d’insulti. Cominci lei, Grillo. Ricordi d’essere un leader cui nove milioni di persone hanno dato fiducia. Il desiderio di stupire, e il fastidio per il dissenso, porta a considerare ogni avversario un nemico, ogni obiezione un’offesa, ogni dubbio un tradimento.

Ho letto “Il Grillo canta sempre al tramonto”: non mi pare d’aver trovato una liberatoria dell’insulto. Il Movimento 5 Stelle – come la Lega, in tempi recenti – è servito a incanalare pacificamente la protesta e l’insofferenza: lo riconosco. E, per adesso, non vedo un collegamento tra toni minacciosi ed episodi di violenza. Ma è tempo di voltare pagina. L’Italia ora ha un governo, e ha bisogno di un’opposizione battagliera e informata. Tocca a voi. Le urla, le minacce e le volgarità non sono degne del più originale movimento politico di questo secolo. L’Italia si cambia con le idee in testa, non con la bava alla bocca.

Aspetto una risposta. Ma le risposte, come i sorrisi, dalle vostre parti sono merce rara.

(dal Corriere della Sera 9.5.2013)



Beppe Severgnini
 
Ambimbò ....tre civette sul comò......

Manco un mese fa, il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, rivendicava così la sua "superiorità" rispetto ai suoi predecessori in tema di spending review.

Era il 17 aprile e colui che si è definito il più grillino dei grillini rispondeva a muso duro alle critiche su presunti aumenti di spesa.
Ma c'è un capitolo contorto, dove sembra che il presidente della Regione Siciliana abbia superato (in negativo) il tanto odiato predecessore Raffaele Lombardo.

Quel capitolo si chiama proprio Bruxelles, l'ufficio di rappresentanza regionale sul quale Crocetta ha affermato di aver attuato significati risparmi.

In realtà, è vero il contrario.
Perché la giunta regionale ha moltiplicato per otto la potenziale dotazione organica dell’Ufficio di Bruxelles.
Da 3 a 24 il salto è lungo.

Con delibera firmata dal governatore, è stata infatti revocata la decisione della precedente giunta Lombardo (la 216 del 13 settembre 2011) che rideterminava l’organico in una unità di personale della categoria D e una di categoria C, oltre al dirigente preposto.
Si torna al passato e si ripristina la legge regionale numero 2 del 26 marzo 2002: 16 unità, più un massimo di 8 professionalità esterne.

Hai voglia a parlare di contenimento della spesa. La nuova manovra farà lievitare il costo dell’ufficio ubicato al numero 12 di Rue Belliard (a pochi passi dalla sede della Commissione Ue).
Se per quest’anno sono stati stanziati circa 350mila euro, nel triennio si arriverà a una spesa di 1,2 milioni di euro.
Nel giro di un mese Crocetta ha cambiato idea.

Adesso è "necessario potenziare l’attuale dotazione organica dell’Ufficio di Bruxelles per un più efficace espletamento delle funzioni e dei compiti ascritti al predetto ufficio".

I nuovi impiegati, stando a quanto dichiarato il 21 novembre 2012 dalla responsabile della sede siciliana a Bruxelles Maria Cristina Stimolo, percepiranno uno stipendio mensile di 2mila e 500euro a cui aggiungere una indennità di servizio all'estero di 6mila euro.
E pensare che era stata la stessa Stimolo a ricordare che "da quando dirigo l'ufficio c'è stato un contenimento della spesa notevole: si è passati dai 170.000 euro annui spesi per missioni a 4 mila e il personale interno è stato ridotto da 8 a 3 persone''. Progressi nulli.
Adesso, nel moderno ufficio da 750 metri quadri acquistato da Raffaele Lombardo alla cifra di 2 milioni e 700mila euro, lavoreranno 16 funzionari (con la possibilità di ricorrere ad altri otto "esterni").
Insomma, la spending review non passa da Bruxelles.
 
Buongiorno, Gianni ha pubblicato questo link ma data l'importanza del contenuto, lo riporto integralmente.

Nel giro di 10 anni del nostro Paese non rimarrà più nulla. O quasi. E’ la conclusione catastrofica cui giunge nella sua analisi il professore Roberto Orsi della London School of Economics and Political Science (LSE). Che cosa ci sta portando alla dissoluzione e all’irrilevanza economica? Una classe politica miope che non sa fare altro che aumentare le tasse in nome della stabilità. Monti ha fatto così. E Letta sta seguendo l’esempio. Il tutto unito a una ”terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa”.
L’ANALISI DI ORSI
“Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà.
Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma per il momento è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento estremamente miope dell’IVA (un incredibile 22%!), che deprime ulteriormente i consumi, e a vacui proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie. Le probabilità che questo accada sono essenzialmente trascurabili. Per tutta l’estate, i leader politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi di una ripresa imminente. In effetti, non è impossibile per un’economia che ha perso circa l’8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio positivo.Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo “ripresa” è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione.
Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori.
La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull’Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’UE sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza , l’Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa.
L’Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell’UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabiled’Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese. Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo, come in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di aziende italiane si riversa nella vicina Svizzera e in Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende troveranno un vero e proprio Stato a collaborare con loro, anziché a sabotarli. A un recente evento organizzato dalla città svizzera di Chiasso per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino hanno partecipato ben 250 imprenditori italiani.
La scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale. Coloro che producono valore, insieme alla maggior parte delle persone istruite è in partenza, pensa di andar via, o vorrebbe emigrare. L’Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri Paesi più organizzati che hanno l’opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente, addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia.
L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi – collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio del Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica, che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano. L’interventismo del Presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale.
L’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell’Italia nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare.
I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l’Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all’interno del mondo occidentale, che il Paese aveva occupato solo nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme con l’idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l’Italia.”
Fonte http://www.affaritaliani.it/economia/london-school-economics171013.html
 
Solo in Italia può succedere questo : una "logica" interpretazione :mumble::mumble::mumble:
normalmente in un processo ci vogliono delle prove di colpevolezza. :mmmm:

"La prova della consapevolezza in capo all’imputato si trae logicamente dal comportamento tenuto da Berlusconi ......"

"Certo che la condanna a un cittadino a sette anni di reclusione in un processo dove tutte le asserite persone offese ne attestano l’innocenza, compresi i funzionari di polizia, è davvero un fatto che poteva accadere soltanto al presidente Berlusconi. Una concussione per costrizione con l’asserito concusso che nega di esserlo e che viene ritenuto tale perchè avrebbe potuto, ipoteticamente, temere effetti negativi per la sua carriera. Mai il dottor Ostuni ha prospettato di aver lontanamente pensato a tale evenienza. Nel contempo la dottoressa Iafrate ha costantemente dichiarato di aver deciso in piena e totale autonomia e libertà l’affido di Ruby"
 

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