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Scoppia il caso dell’Arizona, con proteste e tensioni nella capitale Phoenix da parte dei sostenitori di Donald Trump.

L’ira del presidente americano si è abbattuta su Fox News e sull’Associated Press,
che nel corso dell’Election Night hanno già chiamato la vittoria di Joe Biden
nello Stato del sudovest che assegna un bottino di 11 grandi elettori.

Ma altri media - tra cui Cnn, New York Times ed Nbc - continuano a dare l’Arizona “too close to call”, dunque ancora da assegnare.

Questo cambia i calcoli per la conquista dei 270 elettori necessari per vincere la Casa Bianca:
perché nel primo caso Biden avrebbe conquistato 264 voti elettorali, mentre nel secondo solo 253,
quando manca il risultato solo di un pugno di stati.

Per la Cnn in Arizona con l’86 per cento dei voti scrutinati il candidato democratico è avanti di meno di 3 punti.

Un Trump furioso avrebbe quindi chiamato l’amico Rupert Murdoch, proprietario di Fox, chiedendo di far ritrattare la sua emittente.

Una telefonata infuocata, racconta Vanity Fair, con le urla del presidente che rimbombavano nei corridoi della Casa Bianca.


.
 
Quando nel 2000 Al Gore contestò con ricorsi la vittoria di George Walker Bush, per le presunte manomissioni del voto in Florida,

dalla sinistra Usa e quella internazionale vi fu un coro di consensi e approvazione.


Oggi che i ricorsi e i tribunali li paventa Donald Trump, e fa benissimo, si grida alla pagliacciata e sceneggiata: questa è la sinistra e la sua concezione della democrazia.



Tanto è vero che da noi su tutte le tv che ieri abbiamo visto finché siamo riusciti, perché alla fine disgustati ce ne siamo andati,
è stato un coro vergognoso di dileggio degli ospiti sinistri, invitati in quantità, nei confronti di Trump e delle sue contestazioni,
mentre su Joe Biden un canto gregoriano di plauso e stima.

Roba che in America, se i democratici avessero voluto scegliere un candidato più sbiadito e politicamente bollito, non ci sarebbero riusciti.

E non si tratta solo di età, visto che Biden viaggia per gli ottanta (ha 77 anni).

Si tratta di concentrazione e rapidità cognitiva.

Perfino ieri sera, quando Biden è apparso in tv per fare il suo discorso da presidente in pectore si è visto, lento,
leggermente tremebondo con gli occhi che sbirciavano un brogliaccio posato sul leggio, per dire parole di una scontatezza farisea.


Insomma, venire a dire che Trump non sia il nemico, che non esistano stati blu oppure rossi,
dopo una campagna elettorale fatta di insulti, accuse, insolenze, senza precedenti, condotta col supporto di uno schieramento nucleare come mai s’era visto,
dei media americani e mondiali, che su Trump hanno lanciato accuse e offese quotidiane, come fosse un malfattore spregevole, ignobile e arrogante, è disarmante.

Per non dire che se c’è un Paese al mondo dove, giustamente, il bipolarismo sia così netto al punto da parlare di Amministrazione Trump,
piuttosto che Barack Obama, oppure Bill Clinton e via dicendo, è proprio l’America.

Perché in caso di vittoria con lo spoil system si licenziano tutti gli esponenti antagonisti
dell’Amministrazione precedente e si sostituiscono con quelli del colore vincente.


Come se non bastasse, è chiaro a chiunque tranne agli ipocriti, agli sprovveduti, che semmai fosse Biden il presidente,
sarebbe commissariato e indirizzato, dal team già addestrato sia da Obama che dalla Clinton che dai potenti foraggiatori di un nuovo ordine mondiale.


Del resto, seppure sia negato in modo palese, falso ma cortese, il fatto che nei confronti della Cina
non ci sarà una discontinuità di atteggiamento degli States rispetto ad ora, non è vero,
perché il motivo reale per cui contro Trump si è scatenata un’offensiva gigantesca ed epocale,
è proprio quello della sua contrapposizione netta e totale all’invadenza e alla potenza crescente dei cinesi.

Perché sia chiaro: se Trump fosse stato accomodante con Xi Jinping e con i piani di dominio commerciale,
finanziario, produttivo della Cina, per essere la padrona assoluta del mondo e potenza numero uno,
evasore o meno, repubblicano sui generis o meno, tutto quello che abbiamo visto contro di lui non ci sarebbe stato, punto.

Infatti, quello che dispera, è che non si sia capito che con Biden e soprattutto con chi c’è dietro,
gli Usa nei rapporti con il Celeste Impero diventeranno più che dialoganti compiacenti,
più che trattativisti qualunquisti, più che competitivi remissivi, fino al punto di lasciargli lo scettro dell’ordine mondiale.


Ebbene, ciò che impaurisce non è il fatto che l’America ad un certo punto della sua storia anziché prima
possa diventare la seconda potenza planetaria, che ceda il testimone a qualcun altro insomma,
ma che lo scettro finisca in mano alla Cina e lo spieghiamo.

Da sempre il mondo si è riconosciuto nell’America non tanto e non solo perché fosse la potenza più grande in assoluto,
economicamente, finanziariamente, militarmente, ma perché fosse la sentinella della libertà, della democrazia, del pluralismo
e del rispetto dei diritti di tutti, per farla breve una garanzia assoluta per l’umanità intera.

Mettersi nelle mani dell’America, soprattutto nei passaggi più drammatici e difficili della storia, seppure tra luci e ombre,
ha significato inequivocabilmente affidarsi alla più grande democrazia esistente,
avere fiducia in un gigante che per quanto attraversato da tante opacità ha sempre assicurato e tutelato la libertà,
le minoranze, la democrazia, la lotta ai soprusi e alle sottomissioni illiberali.

Per farla breve, affidarsi al Paese rappresentato dal simbolo lampante, che è la statua, posta all’ingresso di New York, sul fiume Hudson,
un regalo dei francesi costruito ad hoc con la collaborazione di Gustave Eiffel, lo stesso della Torre,
perché fosse chiaro il messaggio della essenzialità della libertà che illumina il mondo e le coscienze umane.


Al contrario, cari amici, la Cina è un Paese dove la libertà non esiste, è un Paese comunista assolutista, spietato e spregiudicato,
una dittatura, una terra che vive di censura, dove i diritti e il libero pensiero sono un buco nero,
il Paese dei carri armati di Tienanmen e delle cariche di Hong Kong ai dissidenti, il Paese dove è “nato” il Covid che ha stravolto il mondo tranne loro, è chiaro?


Ecco perché la Cina non può essere la prima del mondo, il riferimento più importante del pianeta,
la potenza più grande e così grande da disporre a piacimento in tutto il globo.

Lasciarla vincere questa sfida significa mettersi nelle mani più spietate, pericolose, totalitarie, illiberali e disumane.

Significa consegnarsi mani e piedi alla sottomissione definitiva e irreversibile, perché se vincesse la Cina non ci sarebbe rivincita, mai.

Per questo siamo stati e siamo ancora con Trump, non perché ci sia simpatico o amico del cuore,
ma perché da presidente degli States ha voluto e vuole l’America per prima, unica su tutti e specialmente sulla Cina,
perché nella difesa del pensiero di destra liberale ha combattuto e combatte una guerra non convenzionale:
parliamo di Covid, che è una sfida alla Cina per il controllo mondiale.


Insomma, esattamente l’opposto del pensiero di sinistra, scellerato, incosciente, ipocrita
e soccombente, che pur di vincere ha superato Pirro e spaccia per successo un mondo consegnato alla Cina e sottomesso.

Comunque vada, noi combatteremo ancora, non ci piegheremo, resisteremo come auspicava Winston Churchill sempre e ovunque,
non ci consegneremo all’ammasso del cervello.

Perché il nostro simbolo è sempre quello: libertà, democrazia, solidarietà, pluralismo e garanzia
.
 
Negli Stati Uniti è ora guerra sui famigerati voti postali, la modalità di voto che ha determinato
il sorpasso all'ultimo minuto del candidato democratico Biden alle elezioni presidenziali 2020.

Un po’ perché gli elettori dem – che temono maggiormente il coronavirus rispetto ai conservatori –
hanno optato in massa il voto per corrispondenza.

Risultato? Quasi 102 milioni di americani hanno votato prima dell’election day del 3 novembre, proprio per evitare l’assembramento ai seggi.

Un voto di massa, forse un po’ troppo in massa.

Sì perché – come denunciano media indipendenti e non – ora si viene a sapere che tramite absentee ballot hanno votato persino i morti.


Come evidenziato dal commentatore indipendente Fleccas, nella contea di Mason, Michigan,
votano attempate signore di 119 anni, o di 120 se si passa nella contea di Jackson, stesso Stato.

Esempi di questo tipo pullulano ormai sui social e stanno diventando virali nelle ultime ore.


ANOTHER ANOTHER ONE: Apparently Donna Brydges (born in 1901) voted via absentee ballot in Mason County, Michigan. That would make her 119 years old!

More #deadvoters #stopthesteal https://t.co/fZN3vffXci pic.twitter.com/Sk6j50BpHp
— Essential Fleccas (@fleccas) November 5, 2020

Compilare la scheda elettorale di una persona deceduta per influenzare il risultato elettorale è, ovviamente, una frode.

Ma il Michigan non è l’unico Stato a ritrovarsi piagato dal ritorno del morti viventi.

Per chi non volesse fidarsi dei media indipendenti, lo stesso New York Post denuncia
che nelle schede elettorali inviate al consiglio elettorale di New York City figurano parecchi votanti deceduti.

I registri mostrano che il consiglio elettorale ha ricevuto un voto postale da Frances Reckhow di Staten Island, democratica.
Frances Reckhow, era nata il 6 luglio 1915 e oggi avrebbe 105 anni, è morta nel 2012, secondo un necrologio depositato presso lo Staten Island Advance.

Un altro voto è stato spedito anche da Gertrude Nizzere, anch’ella democratica registrata, che era nata il 7 febbraio 1919.
Avrebbe 101 anni oggi. Avrebbe, perché la cara Gertrude è passata a miglior vita.


«Credo che questa sia solo la punta dell’iceberg», ha dichiarato Landry, presidente del GOP di Staten Island Brendan Lantry..

«Chiediamo al NYPD e all’ufficio del procuratore distrettuale di Staten Island di indagare».

Di quei milioni di voti andati improvvisamente a Biden, quanti sono irregolari?


Nel frattempo gli avvocati di Trump in Pennsylvania chiedono di bloccare il conteggio «per mancanza di trasparenza».


In Michigan domandano al tribunale statale di avere accesso a «diversi seggi per poter verificare le schede già aperte e catalogate».


Al contempo Bill Stepien, responsabile della campagna elettorale del presidente,
ha fatto sapere che verranno intraprese «azioni legali» anche in Wisconsin, «dove si sono registrate irregolarità in diverse contee».
 
La comprensione della portata epocale dell’emergenza sanitaria è risultata veramente comprensibile
solo nelle settimane successive al primo lockdown occidentale (quello proclamato da Conte il 9 marzo del 2020):

quando, in tempo record, tutti i principali marchi hanno adattato la comunicazione alla narrazione emergenziale.

Mentre la maggior parte di noi ancora tentava di comprendere le ripercussioni politiche, sociali e culturali di una simile situazione,
sulle nostre tv, sui nostri pc e i nostri smartphone i vari “brand” già stavano lì a dirci “torneremo più forti”, “ce la faremo”, “ne usciremo insieme” etc,
in linea sostanzialmente con le parole d’ordine dei vari governi europei, compreso ovviamente il nostro che in questo caso ha rappresentato un’avanguardia.


Solo verso la fine del primo lockdown italiano, tra gli ultimi scampoli di aprile e i primi di giorni di maggio, è iniziato a circolare il concetto di “nuova normalità”.


Con l’inizio dell’estate sono partite delle vere e proprie campagne di comunicazione basate sulla “nuova normalità”,
come questa dell’Unesco lanciata nell’ultima settimana di giugno.


Insieme agli organismi sovranazionali non potevano mancare le grandi multinazionali,
ormai vere e proprie avanguardie politiche e culturali, come testimoniato dall’attivismo dei grandi marchi durante le proteste di Black lives matter.

L’emergenza sanitaria non fa eccezione, e così ecco che la Coca-Cola un mesetto dopo la campagna Unesco
lancia la campagna emozionale “Mai come prima che è una sorta di manifesto socio-culturale della “nuova normalità”.

Lo spot della Coca-Cola “Mai come prima” – Video


Ma se “nuova normalità” sembra avere appunto avere una dimensione più antropologica e sociale che politica,
è l’espressione “Grande Reset” che in queste ultime settimane rappresenta il nuovo assetto politico ed economico di questa “nuova normalità”.


Di questa transizione “non reversibile” ne parlano top manager come Vittorio Colao,
basando il ragionamento principalmente sulla questione del digitale e del 5G.


“Grande Reset” è un “termine diffuso dal World Economic Forum, cioè da quelle umili persone che organizzano Davos.

Per loro il Great Reset è “una finestra di opportunità per riplasmare la ripresa post Covid definendo le priorità”.



Un nuovo assetto che dovrebbe basarsi su “digitalizzazione, smart working, drastica riduzione degli spostamenti,
concessione di una “paghetta”
(sussidi senza lavorare), tutti effetti di un piano per modificare l’economia mondiale,
per arrivare al controllo totale dell’individuo”, come spiega su Byoblu l’economista Guido Grossi.


Non può dunque non colpire la campagna di un marchio internazionale come North Face, che si intitola proprio “Reset Normal”.

La celebre marca di abbigliamento spiega come sia “tempo di ripartire ridefinendo il nostro modo di pensare”.

Lo spot “Reset normal” di The North Face – Video



Insomma tra governo, virologi che seguono a ruota, top manager, agenzie Onu e multinazionali,
i discorsi relativi a “nuova normalità” e “Grande Reset” non sembrano esattamente frasi buttate là.


Ma del resto che “la più grande vittima del coronavirus sarebbe stata la nostra libertà”

e che questi cambiamenti erano qui per restare noi ve l’avevamo detto già nel marzo scorso.
 
Entra in vigore oggi il nuovo Dpcm di Conte.

Venticinque pagine accompagnate da un allegato di 325 fogli, questo il nuovo regalo del governo agli italiani.

Un Dpcm a settimana fa sprofondare un intero Paese nell’ansia e, purtroppo,
nella consapevolezza che centinaia di migliaia di imprese, partite Iva e posti di lavoro non ci saranno più.

Nessuno resterà indietro” dicevano Conte e Gualtieri otto mesi fa.

Ad oggi, a dire il vero, gli italiani sono abbandonati al loro destino, senza aiuti economici sufficienti e in preda alla bulimia normativa del governo.


Il nuovo Dpcm – in vigore fino al 3 dicembre – è stato pubblicato ieri sul sito del governo,
addirittura in formato word, cioè come se fosse un “pizzino di un capomafia” a cui bisogna obbedire e basta.

Un atto che decide della vita e della libertà di sessantamilioni di persone, contraendone i diritti fondamentali,
avviene con normali documenti word in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (circostanza verificatasi solo successivamente).


Nessun rispetto del diritto, della forma, della sua certezza, della sua “forza”.

Dalla forza del diritto siamo passati al diritto della forza.

Ciò che viene calpestato e deriso è il precetto della “forza della legge”, tra l’altro in assenza di una legge visto che si tratta di meri atti amministrativi del governo.


Con questo nuovo Dpcm, l’ennesimo, il governo introduce nuove restrizioni
tra cui il coprifuoco su tutto il territorio nazionale dalle ore 22 alle ore 5.

Nella serata di mercoledì un’ordinanza del ministro della salute Speranza ha diviso il Paese in tre aree, a seconda delle criticità:
gialla, arancione e rossa e sempre con successive ordinanze chi è giallo o arancione potrà diventare rosso.


Nella zona gialla (criticità moderata), che comprende Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli, Lazio,
Liguria, Marche, Molise, Prov. aut. di Trento e Bolzano, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto,
le regole restano sostanzialmente quelle del Dpcm precedente, con la differenza dell’introduzione del coprifuoco e della sospensione dei concorsi pubblici.
Bar e ristoranti aperti fino alle 18, trasporti pubblici con capienza non superiore al 50% (anche nelle altre zone) e didattica a distanza a partire dalla scuola superiore.

Particolarmente interessante è aver posto la Campania tra le regioni con criticità moderata,
visto che appena una settimana fa De Luca parlava di situazione insostenibile.

Forse Conte avrà avuto paura delle proteste di Napoli?


Allora dov’è finita l’emergenza che avrebbe giustificato De Luca nel fare un lockdown regionale?


Nella zona arancione (Puglia e Sicilia) sono valide le stesse misure della zona gialla ma col divieto di spostamento tra un Comune all’altro
(salvo i soliti motivi di lavoro e urgenza/necessità) e la chiusura – sette giorni su sette – di bar e ristoranti.
Sarà consentita la sola consegna a domicilio fino alle 22. Università a distanza, mentre la scuola sarà in presenza fino alle medie,
tranne in Puglia dove medie e superiori restano chiuse per ordinanza regionale.

Ormai è il far west del diritto, ognuno fa quello che vuole.


L’inferno della zona rossa – comprendente Lombardia, Calabria, Piemonte e Valle d’Aosta –
dove da oggi si ritorna allo stesso lockdown di marzo e aprile, con la sola eccezione della scuola in presenza fino alla prima media.
Università solo a distanza, tranne i corsi di laurea in medicina e relativi tirocini.
Tutto chiuso, tutti a casa!

Davvero strano come finisca in questa zona anche la Calabria, una delle regioni con meno contagi, sicuramente meno della Campania.

La sola ragione è l’assenza di terapie intensive sufficienti.

Il governo ha avuto 8 mesi di tempo per affrontare la questione, non ha fatto niente
e ora chiude intere Regioni, e conta sul fatto che la Calabria – dopo la morte improvvisa del suo Presidente – è allo sbando.


Le libertà fondamentali, che la Costituzione definisce in alcuni casi come “inviolabili”,

vengono ora pesantemente limitate non più solo con Dpcm – che già di per sé è ampiamente contestabile in violazione della riserva di legge assoluta -,

ma adesso anche con ordinanze ministeriali, che non sono neppure fonte secondaria del diritto,

ma meri atti amministrativi del singolo ministero inferiori persino ai Dpcm.


Certo, Speranza con propria ordinanza si è limitato soltanto a suddividere l’Italia in tre zone,

ma è proprio da questa suddivisione che poi nascono le limitazioni che si sono viste finora e Speranza, con mera ordinanza,

deciderà se altre Regioni finiranno nella zona rossa.


L’Hüter der Verfassung pare già in pensione, e si governa come nel mese di marzo, anzi anche peggio,

ora non solo con Dpcm ma con semplici ordinanze di un Ministro.



Dpcm e ordinanza sono da oggi in vigore, senza tra l’altro alcuna certezza sugli aiuti economici.

La gente scenderà di nuovo in piazza ed avrà ragione, c’è solo da sperare che le opposizioni non restino sorde al messaggio che arriva dal popolo.


Otto mesi persi in monopattini e banchi a rotelle con le scuole nuovamente chiuse

e senza realizzare un numero sufficiente di terapie intensive che avrebbero evitato questo nuovo lockdown a macchia di leopardo
.
 
C’è lo spirito di Donald Trump dopo Trump?

Sì: il trumpismo e la sua legacy (eredità) è una radiazione destinata a persistere ancora molto a lungo nello spettro politico internazionale e interno.

I suoi eredi sono le invisibili particelle della radiazione di fondo di una società che si è fusa come il nocciolo di un disastrato reattore nucleare,
sotto l’abnorme pressione dei seguenti fattori:

il globalismo ammazza-occupazione;

una depressione economica che ha continuato a mordere dal 2008, cavalcata oggi dalla tigre della pandemia;

il demone onnipresente dei disordini razziali, coniugato alla odierna, mostruosa forbice tra gli have e gli have-not,
che ha praticamente distrutto dalle fondamenta il sogno americano.

Oggi che la grande ondata di piena del politically correct non è riuscita,
malgrado il suo controllo monopolistico e moralistico sui contenuti socio-politici dei media mondali,
a sommergere di blu-democrat queste elezioni presidenziali americane del 2020,
quelle particelle di puro individualismo anarchico, di politicamente e orgogliosamente uncorrect si sono riaggregate in un unico,
immenso fronte del rifiuto che nessuno (tranne pochissimi, compreso questo giornale e chi scrive)
aveva statisticamente previsto, drogato dai sondaggi del mainstream.

Questo perché, in fondo, la pancia dialoga solo con la pancia, non si fa scoprire dai cacciatori degli opinion-poll.

Nessuno, poi, prova piacere a conoscere gli umori neri dell’odierno proletariato,
che abita la sterminata campagna e vive nelle piccole cittadine di periferia degli Stati Uniti, come dell’Europa (ricordate la Brexit?).


Proprio loro, che le élites metropolitane delle megalopoli hanno relegato a homeless,
indegni di essere ospitati nel tempio della cultura e dei consumi superflui, vacui e modaioli,
di cui si nutrono gli strati più agiati delle grandi città
.


Loro, le vittime dei mutui subprime e dei distretti industriali abbandonati della Rust Belt, d
elle delocalizzazioni industriali e dell’aggressione commerciale senza freni di una Cina ipernazionalista e protezionista.

Loro, strangolati da un ecologismo modaiolo e ipocrita
(domanda: perché mai Greta Thunberg non invita i milioni di giovani dei suoi raduni planetari a mobilitarsi contro il consumismo,
rinunciando loro stessi per primi all’acquisto di beni superflui?), che fa chiudere le miniere di carbone
e aumentare i consumi degli altri carburanti fossili provenienti dai grandi Paesi produttori di gas e petrolio.

E come la mettiamo con la pandemia da Coronavirus, in cui l’Europa continua a fare una pessima figura con le sue chiusure e riaperture,
le sue gobbe ingestibili di prima, seconda e domani terza ondata?

Chi spiega all’America profonda le politiche ondivaghe dei governi europei, che fanno enormi danni, sanitari e socio-economici,
nelle aree metropolitane e nei distretti terziario-industriali attraversati da enormi flussi di traffico che non si possono fermare mai?


Così, ieri come oggi e domani, le periferie dei due continenti occidentali si prendono la rivincita,
con milioni di persone in fuga dalle megalopoli americane come da quelle europee,
vedi gli ottocento chilometri di fila in uscita dei parigini terrorizzati dal nuovo lockdown


L’America delle enormi disuguaglianze invece non si può fermare mai, Trump o non Trump,
dato che da quelle parti chi rimane senza lavoro resta senza un soldo in tasca,
perché il sistema ti incentiva a spendere e mai a risparmiare, a consumare senza sosta,
regalando carte di credito anche agli insolventi.

L’America great again trumpista ha dopato di liquidità il sistema
(di recente, per ordine di Trump, la Fed ha stampato migliaia di miliardi di dollari staccando assegni di sussistenza,
versati direttamente sui conti correnti, per le famiglie dei lavoratori rimasti disoccupati a causa della pandemia),
facendo più ricca la classe media e perciò stesso ampliando la sua base di consumi che, a sua volta,
ha favorito la creazione di milioni di nuovi posti di lavoro.

E Trump, nel suo quadriennio, non ha chiesto a quell’immenso subproletariato rurale e provinciale
di mandare i suoi figli a morire in giro per il mondo, al servizio di chissà quali interessi innominabili.

Come fece George Walker Bush nella sua scriteriata invasione dell’Iraq costata immensi lutti alle famiglie americane e a milioni di arabi,
dando enorme spazio all’espansionismo iraniano e all’odio anti-occidentale che ha creato il mostro dell’Isis.


No: Trump ha diffidato dei suoi militari interventisti e fautori del Nation-building,
lasciando che gli europei si tirassero da soli fuori dai guai che avevano provocato in Libia, in Siria e nel Maghreb
delle Primavere arabe forgiate dai Fratelli Musulmani, che nulla avevano a che fare con la democrazia.

Trump (come fece Barack Obama) ha detto alla Nato che i Paesi europei dovevano mettersi le mani in tasca,
senza più contare sul sacrificio dei soldati americani per mettere ordine laddove la loro ipocrisia buonista,
multilateralista e multiculturalista sconsigliava di farsi dei nemici,
per rivendicare e riaffermare i principi delle sacrosante libertà democratiche vanamente scritte nelle nostre Costituzioni di carta.

Trump ha detto alla Germania che non poteva essere grande e non interventista al contempo,
continuando a mantenere un bassissimo profilo militare che ha ridotto il suo esercito a poche unità di élite,
certa che non sarebbe mai venuta meno la copertura strategica dell’ombrello militare americano.

Trump, il fool shakespeariano, ha ri-orientato l’antisionismo di maniera dei ricchi Stati sunniti del Golfo,
per renderli esplicitamente fautori di un accordo anti-Iran con Israele, dopo aver dato il buon esempio
con il forte inasprimento delle sanzioni contro Teheran e la denuncia del trattato sul nucleare iraniano,
rafforzata dalla eliminazione mirata del generale Qassem Soleimani,
grande stratega militare dell'attacco all’Occidente e a regimi sunniti del Golfo.


Pertanto, chiunque sia il futuro inquilino della Casa Bianca, il trumpismo sopravviverà a lungo.
 
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Ma quale sconfitto e travolto?

Ma quale leone ferito e asserragliato alla Casa Bianca?

Donald Trump è più ruggente che mai e come il leone hollywoodiano parla all’America e al mondo
denunciando brogli clamorosi e invocando la Corte Suprema.

Quanto sta accadendo in queste ore in America sembra un film, una cronaca zeppa di condizionali,
di censure e di smentite, ma invece sarebbe quella realtà “incredibile ma vera” che nessuno aveva previsto.

Solo lui, solo Donald, era sicuro che la Cina avrebbe provato in tutti i modi a condizionare le elezioni e così si sarebbe mosso in tempo per stanare l’inganno.

Il leone Trump contro il dragone Xi Jinping.

Se tutto questo sarà dimostrato, la cinquantanovesima elezione Usa passerà alla storia come l’edizione della “truffa cinese” e della “stangata americana”.

Perché il presidente in carica, come nella celebre pellicola con Paul Newman e Robert Redford, è prontissimo alla mossa cruciale e finale.


Nessuno sapeva che nei seggi erano presenti infiltrati con telecamere negli occhiali

e nessuno era al corrente che le schede buone hanno innesti di isotopi di dimensione manometrica

e sono rintracciabili perfino via satellite, una per una
.


Così assicurano i suoi fedelissimi.

Ecco perché Trump ha tuonato di fermare i conteggi e di passare alle Corti federali fino alla Corte Suprema.

Non solo perché lì può contare su un vantaggio di sei a tre, ma perché essendo da tempo in “guerra fredda” con la Cina, era preparato a smascherare brogli colossali.

Trump è convintissimo che ci siano schede usate per il “voto postale” prodotte in Cina che sono state contraffatte e poi messe in circolo,
ma previdentemente sarebbe stata messa a punto una tecnologia computazionale” per eliminarle,
cioè per distinguerle da quelle legali stampate dagli uffici federali.

Un reato tutt’altro che piccolo, si rischiano anche vent’anni di carcere, poiché essendo schede stampate all’estero il reato avrebbe profilo federale.

E c’è chi assicura che siano già scattati gli arresti in alcuni uffici postali.


Ecco perché Trump ha chiesto ai suoi sostenitori di andare a votare di persona
ed ecco perché in Arizona, ad esempio, ci sono state code anche di cento chilometri con bandiere e cartelli.

Ed ecco perché, infine, l’America trumpista in queste ore arde e brucia,
mentre un imperturbabile Joe Biden prosegue la sua galoppata verso la Casa Bianca in attesa dei risultati di Georgia e Pennsylvania,
dopo quelli che lo darebbero avanti in Arizona e Nevada.

Il vecchio democratico, ignorando le denunce, già in stile White House parla da presidente annunciando iniziative e trattative.

E forse è proprio questo il dato più inquietante, perché quando Donald Trump sembrava essere in testa
aveva detto al Paese che “i voti vanno contati uno per uno”, ora questa fretta indiavolata sia pure felpatissima suona assai ambigua.

Ma sicuramente non ne sa nulla il vecchio Joe dei grandi imbrogli e si rimetterà all’avversario, quando capirà che ha salvato la Patria. Lieto fine, come nei film?


Elezioni di fuoco sicuramente, è quanto sta accedendo nella più grande democrazia del mondo,
martoriata di dubbi, gelida rivalità, denunce e ombre lunghissime.

Dopo il Covid, che Trump attribuisce alla Cina, ora le elezioni taroccate.

“Brogli, truffe, fermate i conteggi, non potranno ingannare l’America”, ha tuonato il presidente nelle conferenze stampa,
mentre social, tv e stampa clamorosamente lo censurano, lo bloccano, fanno sparire i suoi tweet,
tutti sbalorditi, tutti preoccupati che possa dilagare una protesta pronta a sfociare in scontri pesantissimi con le città tutte blindate,
tutte presidiate e tutte già sbarrate. Ma le notizie volano.



Tutto è iniziato con uno spoglio ordinato, anche se in un clima di alta fibrillazione.

I voti davano Donald avanti in modo netto.

In Italia nello studio di “Quarta Repubblica” con il conduttore Nicola Porro, esperti di elezioni Usa come Maria Giovanna Maglie e Paolo Guzzanti,
in contatto telefonico con referenti americani, confermavano la clamorosa calvata trumpista.


Giornalisti che se ne intendono di calcolo di voti, fatti in diretta.

Addirittura, si sono sbilanciati a dire che anche dalla roccaforte democratica californiana arrivavano segnali clamorosi.

Una cronaca che non è certo frutto di allucinazioni o di partigianeria.

A un certo punto, verso le sei di mattina, il silenzio assordante dal campo avversario si è rotto e sono iniziati a piovere,
non si capisce come, una valanga di voti per Biden, al quale oltre tutto venivano assegnati stati in cui lo spoglio era solo al 4 per cento delle schede scrutinate.

I voti postali” ha subito tuonato Trump.

Il presidente ha convocato una conferenza stampa annunciando che “aveva vinto” e che occorreva fermare subito i conteggi “per brogli”.

Investito di critiche, censurato e bloccato, mentre da Detroit giungeva notizia di 4.788 schede risultate duplicate,

32mila elettori registrati senza averne diritto e almeno 2mila deceduti tra i votanti.


Perfino un nato a Detroit nel 1823 resuscitato per la grande occasione.

Trump è sicuro di assestare la sua “stangata cinese”, ma se dovesse vincere Biden così,
il risorto di Detroit diventerà il simbolo democratico di questa elezione.
 
Si inasprisce lo scontro tra il presidente Trump e i principali network televisivi americani.

Durante un discorso dalla Casa Bianca (nella notte italiana) Trump è tornato a denunciare che vi sono stati brogli ed ha promesso battaglia:

"Se si contano i voti legali, vinco facilmente. Se si contano i voti illegali, possono provare a rubarci l’elezione".


In particolare Trump ha fatto riferimento ai risultati di alcuni stati chiave: Wisconsin, Michigan, Pennsylvania e Georgia.

Discorso molto teso quello di Trump, trasmesso in diretta tv e sui social network.

Per tutta risposta Abc, Cbs e Nbc hanno interrotto il collegamento.

Episodio gravissimo perché in quel momento, comunque la si pensi, stava parlando il presidente degli Stati Uniti.


Le altre tv come si sono comportate? Cnn e Fox News hanno trasmesso integralmente il discorso.

Ma la Cnn lo ha bollato come "il più disonesto della sua presidenza",
aggiungendo in sovraimpressione che "senza prove Trump sostiene di essere vittima di una frode".

In questo caso, sia pure da posizioni molto critiche e, per certi versi agli antipodi,
l'emittente tv si è limitata a commentare e criticare duramente ma non ha censurato le parole di Trump.

Le altre tv, invece, hanno scelto il bavaglio.

Shepard Smith (Nbc) l'ha annunciato così ai propri telespettatori:
"Interrompiamo il discorso del presidente perché ciò che sta dicendo, in larga parte, è assolutamente falso. E non possiamo consentire che vada avanti".

Su Msnbc Brian Williams ha spiegato:
"Ci troviamo ancora una volta nell’insolita posizione di dover non solo interrompere il presidente degli Stati Uniti,
ma anche di doverlo correggere. Non abbiamo nessuna evidenza di voti illegali - ha aggiunto -
e non siamo a conoscenza di alcuna vittoria da parte di Trump".

Alla fine del discorso di Trump la Cnn ha replicato in questo modo:
"Che notte triste per gli Stati Uniti vedere il presidente accusare falsamente qualcuno di aver tentato di truccare le elezioni.
E attaccare la democrazia ripetendo bugie su bugie su bugie. Tutto questo, francamente, è patetico".
WATCH: "OK. Here we are again in the unusual position of not only interrupting the president of the United States, but correcting the president of the United States," Brian Williams says on @MSNBC moments into the president's statement tonight. pic.twitter.com/2AliTQuSsr

— MSNBC (@MSNBC) November 6, 2020
Si può criticare finché si vuole un discorso politico e lo si può persino "smascherare", facendo un accurato fact checking,
ma interrompere la trasmissione ha qualcosa di sinistro che non va nella direzione della libertà.

CNN's @jaketapper on Pres. Trump's remarks: "What a sad night for the United States of America to hear their president say that. To falsely accuse people of trying to steal the election. To try to attack democracy that way with this feast of falsehoods" Trump stages corrosive attempt to undermine votes as his path to 270 evaporates pic.twitter.com/8OzICZTcav
— The Lead CNN (@TheLeadCNN) November 6, 2020
La battaglia ovviamente è in corso anche sui social network.

Facebook ha oscurato il gruppo "Stop the deal" (Ferma il furto),
che alcuni sostenitori di Trump stavano utilizzando per organizzare le proteste contro lo spoglio elettorale.

Alcuni membri avevano invocato azioni violente, altri si erano limitati ad accusare i democratici di "rubare" le elezioni.
 
L'ultimo golpe sta riuscendo, i politicamente corrotti globali stanno per fare l'en plain con gli USA.

Sono evidenti i metodi e le complicità, una vergogna sotto gli occhi del mondo.

E' incredibile che in una grande democrazia sia potuto avvenire un tale scempio del voto popolare,
ridotto a posta spazzatura che arriva insieme alle pubblicità.

Fa bene Trump a resistere, ma l'accozzaglia mondiale non lascerà scampo.

Ma con la sua resistenza resterà nella storia la vergogna di un periodo oscuro per il mondo e per la libertà.

La censura in perfetto stile nordcoreano dei media non fa confermare quello che Trump va dicendo da tempo:
i media sono i veri nemici del popolo americano.

Il lato buono è che ora, con questi atteggiamenti, stanno decisamente sbracando,
e in questo modo rendono evidente a tutti quello che fino a ieri era chiaro solo per una parte più attenta.

Non oso pensare a cosa sarebbe successo, da noi, per analoghe censure di interventi presidenziali.
Quella di fascismo sarebbe stata l'accusa più lieve...
Anche se qui il pericolo più grave proveniente dal Colle è l'overdose di retorica.
 

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