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Sarebbe ora che qualcosa e qualcuno si muovesse........


Amazon sempre più sotto attacco.

In principio furono le Mascherine Tricolori con i blitz in tutta Italia conto le sedi del colosso di Jeff Bezos.

Alla risposta della multinazionale Usa sono seguite poi una replica di Maurizio Gasparri e di altri esponenti di centrodestra tra cui Fabio Rampelli.

E’ di ieri poi la notizia che in Francia è nata una vera e propria campagna di opinione denominata “Natale senza Amazon”.


Nelle ultime ore anche Matteo Salvini ha preso posizione, in risposta ai vari personaggi televisivi (tra cui il virologo-star Massimo Galli)
che hanno sponsorizzato gli acquisti online.


Ma è normale che qualcuno vada in tv a dire facciamo i regali su Amazon?“,

“Ma basta con questa Amazon, In Francia c’è una petizione ‘Natale senza Amazon’.

Pretendiamo che paghino le tasse? Natale in anticipo su Amazon? Non scherziamo, tra un po’ faremo l’amore su Amazon… “.



La posizione è la stessa di Confesercenti:

“Questa seconda ondata sta creando uno squilibrio di concorrenza gravissimo tra i negozi reali e il web:

mentre i primi sono chiusi d’ufficio da governo e regioni, il canale delle vendite on line di fatto agisce ed opera in condizioni di monopolio.

Un problema serissimo per i negozi, soprattutto in vista del Natale”.



“Il rischio”, prosegue Confesercenti,

“è che il commercio, un settore già in crisi da circa un decennio, venga definitivamente condannato a morte da questo squilibrio.

Il problema non è impedire le vendite online, ma rendersi conto della necessità non più differibile di garantire un mercato realmente concorrenziale,

nel rispetto del pluralismo distributivo. A maggior ragione nella situazione attuale, che vede le imprese di vicinato chiuse per scelta amministrativa”
.


Sull’argomento è tornato poi ancora Maurizio Gasparri:

“I nostri artigiani, i nostri commercianti, le piccole aziende stanno soffrendo una crisi senza precedenti.

Amazon invece incrementa il proprio capitale contando anche su una sorta di immunità fiscale

che non ha più ragione di esistere e contro la quale l’Europa deve prendere provvedimenti.

Una concorrenza impossibile da sostenere, che ha impoverito le nostre città e che ha quindi bisogno di importanti scelte da parte della politica”.



Sulla stessa linea di Confesercenti anche il Codacons, che smentisce in parte la vulgata che l’acquisto online su Amazon sia a prescindere un vantaggio per il consumatore.

“In vista del Natale il governo dovrà studiare misure per limitare lo strapotere dei colossi dell’e-commerce come Amazon.

Con le restrizioni anti-Covid sul fronte dei negozi, le società dell’e-commerce come Amazon otterrebbero enormi benefici

perché tutti gli acquisti degli italiani verrebbero trasferiti dai negozi fisici al web.

Se da un lato i consumi e le produzioni italiane potrebbero beneficiare dello shopping online, dall’altro

vi sarebbe un danno enorme per il commercio al dettaglio tradizionale e una palese lesione della concorrenza e del mercato.

C’è poi la questione sanitaria: nei magazzini di Amazon lavorano centinaia di persone e la catena di trasporto e consegna merci c

oinvolge un elevato numero di soggetti, situazione che alimenta la possibilità di contagi molto più che nei piccoli negozi,

dove entra un numero ristretto di consumatori sottostando a rigorose norme anti-Covid”.
 
“Il piano è riaprire tutto all’Immacolata per garantire gli acquisti, qualche sciata, un po’ di turismo, lo shopping.

Le feste di Natale sono salve insomma, in famiglia e con rigide prescrizioni che però già si sa non saranno seguite.

E poi, ai primi di gennaio, il governa tornerà a chiudere tutto”.



C’è una gola profonda nei palazzi della politica romana che ha deciso di raccontare i retroscena di tutta la gestione del Covid-19.

È un capo di gabinetto, uno di quelli che conosce alla perfezione il sistema di potere, come si arriva a certe decisioni, le pressioni che ci sono dietro.


Mantiene l’anonimato e spiega che ai primi di agosto era già tutto chiaro

il sistema di tracciamento non aveva alcuna efficacia e il governo lo sapeva bene, i focolai erano incontrollati.


“Per molti il virus è un elisir di lunga vita politica”
, spiega raccontando le nottate del Presidente del Consiglio:

“I Dpcm vengono scritti interamente sotto sua dettatura.

Il lockdown generalizzato è stato evitato per paura di una mancata tenuta psicologica dei cittadini”
.


E racconta la guerra con le Regioni:

“I governatori durante le riunioni al ministero chiedono misure draconiane ma poi fanno fuoco e fiamme per contestare le chiusure. È il solito gioco di ruolo”.


Racconta poi del reale peso del CTS, il Comitato Tecnico Scientifico:

“Tutta la gestione è fondata sul segreto: sono segreti i nomi delle aziende che vincono la gara sui banchi scolastici,

segreti i report sanitari, segrete le riunioni della task force”.



E ci sono volte in cui le relazioni del CTS pesano come pietre, altre in cui quelle stesse parole evaporano e non hanno quasi alcuna rilevanza.

“La verità – spiega ancora l’anonimo capo di gabinetto – è che si tratta di un consesso di accademici e primedonne della sanità romana,

certi giorni potrebbe essere una serie Tv di Netflix oppure un remake di Brancaleone alle Crociate”.
 
Tensioni a Berlino contro il lockdown: migliaia di tedeschi – circa 10mila –
hanno manifestato nel pomeriggio nel quartiere di Mitte e nella zona della Porta di Brandeburgo.

I dimostranti protestano contro le nuove restrizioni mentre in Parlamento si discute del progetto di legge
che amplia i poteri dell’esecutivo in materia di restrizioni anti-covid.

Alle proteste di oggi hanno preso parte anche i delegati di Alternative fur Deutschland (AfD).

Un parlamentare, Hansjoerrg Müller, ha paragonato le modifiche alla costituzione tedesca in atto
alla Legge sull’abilitazione del 1933 dei nazisti, la “conditio sine qua non” della loro presa del potere.

Il tutto è degenerato all’arrivo della polizia, che ha respinto i manifestanti con gas lacrimogeni e idranti:
il diritto di manifestare sembra ormai una chimera nell’epoca in cui si sacrificano al controllo del virus assemblee e proteste,
nonché la libertà di criticare apertamente in piazza le decisioni dei governi.


Del resto, come potete leggere dal titolo del quotidiano conservatore Die Welt
ormai una parte dell’apparato di potere tedesco richiede, in modo aperto, la repressione violenta dei dissidenti, con manganelli e botte.

Si sta affermando chiaramente che la libertà va bene solo quando è quella guidata dal pensiero unico

e tutto il resto può, o meglio deve, essere manganellato.

Una situazione da governo pre-fascista o pre-nazista che dovrebbe far meditare.



 
Silvio Berlusconi dice sì all’appello di Sergio Mattarella,

Matteo Salvini teme un tradimento del Cavaliere,

Giuseppe Conte è aperto al dialogo ma non vuole sentir parlare di allargamenti,

Nicola Zingaretti invece va più in là del premier,

Luigi Di Maio replica “con Berlusconi mai!”.


Si dice che è il solito teatrino della politica.

In effetti, nei corsi e ricorsi della politica italiana non potevano non ritornare definizioni e parole antiche e recenti indicando,
a chi ha buone orecchie da intendere, che c’è un passato che non passa.

Alla parola o parolina “inciucio” di recente accusa all’imputato di turno, riemerge dal passato l’immortale invito di Aldo Moro alle “convergenze parallele”
proprio come alla necessità del dialogo di oggi corrispondono le larghe intese di ieri, e così via in quello che qualcuno chiama il gioco quattro cantoni.

Inviti, moniti, perorazioni, proposte e progetti che prevedono da sempre, nel loro ascolto e nella probabile attuazione,
colpi e contraccolpi fra chi governa e chi sta all’opposizione e, soprattutto, inevitabili sussulti interni ai partiti e alle alleanze.


Il caso del centrodestra è a suo modo esemplare, anche perché le ragioni del dissidio fra Berlusconi e Salvini,
con le recentissime accuse reciproche di tradimento dei patti dell’alleanza, hanno matrici complesse,
come complessi sono i caratteri dei due, complicate le motivazioni, difficili le composizioni.

L’aspetto curioso è che entrambi, premettendo eterna fedeltà al centrodestra,
giurano di tenere nella massima considerazione il monito del Quirinale alla concordanza
ma ne negano contestualmente la pratica, accusandosi reciprocamente di inseguire disegni incoerenti con la stessa,
perché tendenti, secondo l’accusa di Salvini, a confondere volutamente quello che Conte chiama il tavolo per proposte comuni
con quello per la spartizione di ministri e di posti: vale a dire all’allargamento della maggioranza.

Parliamo di matrici, più o meno lontane, di contrasti che hanno come sfondo, oltre alla caratterialità diversa, una divergenza che,
per dirla coi latini, è in re ipsa cioè nella tradizione di Lega e Forza Italia, con un ribaltamento dei consensi
ma anche con un cambiamento in corso d’opera compiuto da Salvini su un partito nato per l’autonomia del Nord ed ora nazionalista
e, asimmetricamente, un Berlusconi fermo nei suoi principi liberali, europei.

Nemici degli scontri all’arma bianca con l’opposizione preferiti da Matteo Salvini,
il cui partito sta diventando un’attrazione fatale per parlamentari di Forza Italia, con grande disappunto del Cavaliere.

Un disappunto da parte di un Berlusconi che non può dimenticare lo strappo salviniano,
col sospetto di nascoste alleanze con un M5S sempre odiatore del Cavaliere,
sulla vicenda dell’assalto a Mediaset di Vivendi, stoppato qualche giorno fa
ma tornata d’attualità ora e con il medesimo strappo leghista, firmando la pregiudiziale contro la norma che argina la scalata di Vivendi all’azienda italiana.


Una dichiarazione di guerra, dicono ad Arcore, un tradimento vero e proprio aggiunge Berlusconi.


E ,dunque, la conferma di una sempre più marcata distanza fra i due che non può non avere aspetti e conseguenze politiche,
giacché sono le amare considerazioni del leader di Forza Italia, la riaffermazione dell’accusa del conflitto d’interessi,
per molti aspetti sepolta dagli antichi nemici piddini, è ora riesumata e sottoscritta proprio da un alleato
– sempre più sospettato di una entente cordiale col M5S – cui non può sfuggire la difesa perinde ac cadaver di una azienda che fa tutt’uno con la persona del suo creatore.

Una persona per così dire doppia, che fa politica e che nella politica si muove e si muoverà
secondo dinamiche sempre più divergenti rispetto a chi ha infranto un patto fondato, fin dalla notte dei tempi, sulla garanzia di quella doppiezza.
 
I grandi creditori del mondo dei titoli derivati hanno deciso di deflazionare il mondo con i lockdown economici ?


Il debito sovrano del mondo rappresenta 3 volte il PIL mondiale,

mentre la bolla finanziaria di derivati vari, titoli tossici per definizione, rappresenta 50 volte il PIL del mondo.



Che dite, i creditori avranno previsto in tempo che ci sarebbe stato un problemino di riscossione,
tenuta del debito, stabilità dei titoli, tossici, incagliati e morosi?


Non è che si saranno organizzati per deflazionare il mondo in attesa di costruire il passaggio alla quarta rivoluzione industriale,
“green” per modo di dire e “digitale” letteralmente parlando?


Avvertimento importante: quando dico “pantomima” non voglio dire che il virus non esista o non sia esistito o non sia mutato,
voglio indicare l’uso strumentale che se ne fa, esibendo dati sospetti o dubbi,
basati su strumenti fallaci come i tamponi, e tutte le incongruenze di questo contesto pandemico strumentale al grande reset.

 
Non può esistere ambiguità sulla salute umana, specie in tempo di pandemia.

Non può esistere di conseguenza alcuna recondita clausola di segretezza su forniture, tempistiche, costi
quando si parla del Sacro Grall contemporaneo, dell’oggetto del contendere della più complessa partita di politica medica della storia moderna, il vaccino per il coronavirus.

E per questo non possiamo non sottolineare il fatto che mantenendo la segretezza degli accordi firmati
con le principali case farmaceutiche in corsa per produrre un vaccino efficiente contro il Covid-19
la Commissione europea stia creando un grave problema politico.


Ad oggi, la Commissione ha siglato quattro accordi per potersi accaparrare dosi dei futuri vaccini:

  • In base a un primo accordo firmato a fine agosto con la multinazionale britannico-svedese AstraZeneca
  • gli Stati membri potranno acquistare 300 milioni di dosi del suo vaccino, con un’opzione per l’acquisto di ulteriori 100 milioni di dosi.

  • Un secondo contratto è stato firmato a metà settembre per garantire fino a 300 milioni di dosi del vaccino prodotto da Sanofi-Gsk.

  • L’8 ottobre è stata la volta di Johnson&Johnson, che ha firmato un patto per consegnare tra le 200 e le 400 milioni di dosi del suo vaccino.

  • L’11 novembre, dopo l’annuncio dell’avanzamento sul vaccino Pfizer-BioNTech, la Commissione europea
  • ha firmato un quarto contratto con le due società farmaceutiche per l’acquisto iniziale di 200 milioni di dosi di vaccino
  • per conto di tutti gli Stati membri dell’Ue, più un’opzione di acquisto di fino ad altri 100 milioni di dosi, distribuibili proporzionalmente alla popolazione.
Un quinto accordo appare nell’aria dopo che Moderna ha parlato di un vaccino efficace al 94,5% nella terza fase di sperimentazione
(contro il 90% annunciato da Pfizer) le autorità di Bruxelles hanno virato anche verso un accordo con questa casa.

Palazzo Berlaymont, sede della commissione, ha spiegato di aver concluso un pre-accordo e
“concordato con Moderna la fornitura di 160 milioni di dosi di vaccino”, da trasformare in “contratto” vero e proprio.

Parliamo di accordi che potranno potenzialmente garantire da 1,16 a 1,56 miliardi di dosi di vaccino,
abbastanza per coprire l’intera popolazione europea e di garantire sia una riserva strategica per nuovi studi e adattamenti del siero
sia una possibile copertura degli aiuti a Paesi in via di sviluppo o in crisi economica.

Ma di nessuno di questi accordi c’è la possibilità di visionare i termini, le condizioni, i costi previsti e, nodo fondamentale,
le modalità di produzione e distribuzione.

Tutto resta nella più grande vaghezza, e questo crea un nodo politico fondamentale.


Il Financial Times ha sollevato la questione sottolineando come, dati i livelli di spesa messi in campo dagli Stati, senza precedenti per un progetto medico.

il vaccino dovrebbe essere un bene comune la cui distribuzione, che a sua volta comporterà spese miliardarie per i Paesi occidentali, dovrebbe avvenire nella massima trasparenza.

La Commissione europea sinora ha tentennato.

La Von der Leyen non ha parlato in prima persona del motivo per cui i contratti con i colossi del farmaco sono stati mantenuti nella massima segretezza.

Certo non può essere una semplice questione legata ai costi e al prezzo dei vaccini:
sotto la pressione dell’opinione pubblica molte case hanno annunciato i costi delle singole dosi dei loro vaccini
e dopo che il quotidiano della City di Londra ha segnalato che un trattamento in due dosi del vaccino Moderna
potrebbe costare tra i 50 e i 60 dollari la casa statunitense ha annunciato in 37 dollari il prezzo definitivo.

“Dal punto di vista legale, la Commissione europea non può rivelare le informazioni contenute nei contratti”,
ha dichiarato nell’ultima audizione al Parlamento europeo, tentennando, la Commissaria alla Salute, la cipriota Stella Kyriakides
, incalzata dal deputato francese macroniano Pascal Canfin e dalla Verde tedesca Jutta Paulus,
che hanno avvertito del profondo senso di sfiducia che la scelta della Commissione può generare in un’opinione pubblica
già soggetta a fenomeni di infodemia e all’ascesa di sospetti e complotti.

Oltre che una crisi istituzionale di ampio respiro:
il Parlamento europeo, che ha visto sforbiciati miliardi di euro di investimenti in ricerca e scienza nei nuovi budget europei pluriennali,
non ha nemmeno accesso agli atti dei contratti, come ha dichiarato l’eurodeputato leghista Marco Zanni a StartMagazine.

Una cosa è certa: sono gli interessi commerciali delle aziende in campo la causa della segretezza.

Illazioni?

Tutt’altro.

Per dimostrarlo basta leggere quanto scritto nella risposta inviata dall’italiana Sandra Gallina,
direttore generale della direzione generale Salute e sicurezza alimentare, al quotidiano La Verità,
che chiedeva lumi sugli accordi per l’arrivo dei vaccini AstraZeneca:

“I documenti che contengono informazioni commerciali sensibili,

la cui diffusione al pubblico potrebbe compromettere la protezione dei legittimi interessi delle aziende,

sono coperte dalla protezione degli interessi commerciali”.



Sgombriamo il tavolo della questione dei prezzi: nessuna casa farmaceutica, in un contesto tanto competitivo,
rischierebbe lo schianto di fronte all’opinione pubblica ponendo in essere un’operazione di speculazione
per lucrare corposi guadagni nel contesto della pandemia più dura del secolo.

Il punto sembra essere diverso.

Possiamo delineare due scenari, non mutualmente escludibili,
che possono esistere in contemporanea che appaiono giustificazioni credibili delle clausole di segretezza addotte dall’Unione Europea.


Il primo nodo è quello dell’effettiva sicurezza dei vaccini.

Come cittadini non possiamo fare a meno di aspettare l’arrivo di un vaccino pienamente funzionante contro il Covid-19,
ma fino ad ora non si può fare a meno di sottolineare come buona parte degli annunci siano arrivati sulla base di dichiarazioni a mezzo stampa
delle principali case farmaceutiche o degli istituti nazionali di sanità.

Ovvero parti in causa legittimamente interessate a porsi in vantaggio nella corsa al “bene pubblico globale” per eccellenza.

Manca per ora, però, il contraltare decisivo: una massiccia quantità di pubblicazioni scientifiche sulle più prestigiose riviste mediche
(una su tutte: The Lancet) circa i risultati delle sperimentazioni in “fase tre”.

Pubblicazioni che, è bene sottolinearlo, hanno dato corpose conferme della bontà delle ricerche nel contesto delle prime due frasi.

Ma proprio The Lancet, in un recente pubblicazione sul vaccino cinese Sinovac,
invita a guardare la questione organicamente e a valutare l’implementazione dei vaccini
e i risultati delle prime due fasi con la considerazione ex post legata ai risultati della fase 3.

Le compagnie di ricerca potrebbero dunque temere di esporsi alla concorrenza nel caso dovessero ammettere che le pubblicazioni in materia, ad ora,
non sono previste in tempi ragionevoli con gli annunci che parlano di vaccini pronti alla produzione in massa entro l’inizio del 2021.

Fatto che sarebbe del resto coerente con i tempi lunghi richiesti dalla ricerca medica.

E la Commissione europea temerebbe un analogo effetto stigma nel caso venisse certificato l’acquisto di dosi massicce di vaccino
senza la finale certificazione scientifica che ci auguriamo possa arrivare in tempi brevi.


Ma i tempi impongono un’altra notevole riflessione: quella della durata del processo di produzione e distribuzione dei vaccini.

Che si preannuncia complesso e macchinoso.

Nella sua “annuncite”, la Commissione, analogamente alle singole autorità nazionali europee,
si è ripromessa di fornire in tempi brevi centinaia di milioni di dosi.

Ma i vaccini vanno prodotti, stoccati, conservati e trasportati capillarmente, la sfida industriale e logistica è senza precedenti:
e il nodo delle tempistiche potrebbe dunque mettere in imbarazzo i proclami fatti in questi mesi.

I tempi e le cautele del metodo scientifico mal si conciliano con la caducità dei cicli politici
e con la volontà di un pronto ritorno alla normalità da parte di Paesi che sul vaccino hanno scommesso il pronto ritorno al business as usual dopo la pandemia.

Il vaccino, in questo contesto, potrebbe essere paragonato a un prodotto finanziario ben definito, un future.

E contratti futures appaiono i contratti siglati dalla Commissione per i vaccini:
acquistare futures significa impegnarsi ad acquistare alla scadenza ed al prezzo prefissati l’attività sottostante su cui il titolo è denominato, in genere una materia prima.

Chiaramente, l’acquirente spera che il prodotto aumenti di valore nel frattempo (leggasi: che il vaccino sia pronto all’uso) per avere un guadagno netto.


Finchè non vedremo i contratti, le pubblicazioni o le strategie europee e nazionali

per la distribuzione dei vaccini nella corsa all’immunità contro il Covid-19

potremo solo dire che la Commissione ha lanciato una grande scommessa.



Che si spera vincente nel lungo periodo: ma la segretezza degli accordi mina questa fiducia di fondo
in una fase in cui alle opinioni pubbliche e ai sistemi politici andrebbe lanciato un messaggio positivo.
 
Nella civilissima Svizzera patria delle più grandi multinazionali farmaceutiche
la mascherina non è obbligatoria in quanto considerata orpello del tutto inutile
e le piste da sci, notorio focolaio epidemico, sono già regolarmente aperte nella proletaria Saint Moritz.

Si tratta ovviamente di pericolosi bolscevichi che devono essere combattuti stenuamente
dal poderoso regime sanitatio borbonico nostrano: potrebbero anche contagiarci tutti!


Stop alla stagione sciistica da parte del governo giallorosso, più che una voce oramai quasi una certezza
che sta gettando nello sconforto tutti gli operatori del settore, compresi ovviamente ristoratori ed albergatori.


Le categorie che saranno colpite dal provvedimento potrebbero arrivare a perdere complessivamente 12 miliardi di euro, ovvero all'incirca il 30% del fatturato.

Ed il motivo è semplice da comprendere, visto che proprio le vacanze del periodo natalizio,
già da tempo nel mirino del governo con norme sui cenoni e divieti di festeggiamenti a Capodanno,
rappresentano proprio il picco delle attività in questione.


Il presidente dell'associazione degli operatori funiviari italiani Valeria Ghezzi si dice allarmata per la situazione.

"Ci si unisce per chiudere uno sport che si fa all’aria aperta,
che è per sua natura distanzato e solo perché secondo il governo
non siamo in grado di gestire la distanza nei punti di partenza delle cabinovie"
.

"Chiediamo che su questo si decida non seguendo l'emotività, ma il contesto generale delle riaperture."

"Se non andiamo al ristorante non andiamo nemmeno a sciare. Non chiediamo un trattamento diverso.
Ma nel momento in cui il Paese riapre, in qualsiasi modo riapra, lo sci non è da demonizzare.
Dietro questo mondo non ci sono ricchi italiani o stranieri che vogliono fare la vacanza sulla neve,
ma un industria che nel complesso vale 120 mila posti di lavoro".


Anche le regioni in condizioni ritenute meno gravi, ovvero quelle contraddistinte dalla "zona gialla", come ad esempio il Trentino,
hanno visto respingere da palazzo Chigi la richiesta di poter aprire gli impianti sciistici.

I presidenti delle regioni interessate promettono battaglia sulla questione.

"Possiamo trovare un punto di equilibrio. È uno sport e lo si può praticare in sicurezza.
Si potrebbe consentire l’attività sciistica, lasciando chiusi bar e ristoranti.
È una strada che dobbiamo percorrere insieme al governo",

ha dichiarato su RaiNews 24 il governatore del Piemonte Alberto Cirio.

Dopotutto proprio il turismo invernale rappresenta una parte fondamentale dell'economia della regione, come spiega ancora il presidente.

"I gestori degli impianti e i ristoratori nelle vacanze di Natale realizzano metà del loro fatturato annuale.
È evidente che se non verrà data la possibilità di riaprire, dovranno essere corrisposti ristori certi e adeguati alle imprese e alle persone danneggiate".

Luca Zaia si è allineato alle parole del collega, ed ha annunciato provvedimenti in merito al tema durante un intervento effettuato stamani.

"Con i presidenti delle Regioni, oggi in videoconferenza, abbiamo deciso di approvare le linee guida delle piste da sci.
Nel rinnovo del dpcm del 3 dicembre sembra si vogliano bloccare le piste da sci .
Ma noi comunque le linee guida per gli impianti sciistici le abbiamo fatte nel rispetto della salute pubblica
e di una economia che senza lo sci sarebbe messa a dura prova".


Anche Alberto Tomba si è espresso contro un'ipotesi di chiusura degli impianti.

"Lo sci è per eccellenza sport all’aperto ed individuale: in più, visto come ci si veste quando si va a sciare,
non è davvero un problema di mascherine, perché già ora si usano normalmente protezioni della bocca e del viso"
,

"Per gli impianti non vedo però problemi particolari: dove c’è un seggiovia a due o tre posti si va da soli, se è da cinque si va in tre.
E si possono benissimo diminuire e segnare anche i posti sulle cabinovie: non c’è dunque problema a mantenere il distanziamento sugli impianti".
 
Chi non farà il vaccino anti Covid non potrà salire sul bus, andare in pizzeria, a teatro, al cinema, allo stadio o al centro commerciale.

No, non è lo scenario inquietante di una trama distopica, ma la proposta lanciata su Facebook dal senatore di Italia Viva Davide Faraone.


L'ex sottosegretario all'Istruzione e Ricerca in alternativa alla vaccinazione obbligatoria
propone un passaporto sanitario integrato al vaccino anti Covid, da esibire per accedere ai luoghi pubblici.

Una sorta di lasciapassare per i vaccinati pensato per escludere tutti coloro che si rifiutano di sottoporsi al vaccino
dall'accesso a una serie di servizi essenziali, tra cui trasporti, scuola e sanità.

Una proposta in linea con il patentino informatico anticipato, a Repubblica, dal commissario per l'emergenza Domenico Arcuri.

"Stiamo progettando - dice - una piattaforma informatica che consentirà di sapere come si chiamano le persone che hanno fatto il vaccino e dove lo hanno fatto".
Anche se, assicura, "per ora non è previsto l’obbligo di vaccino".

Per ora, appunto.
A quanto pare il vaccino anti-Covid non sarà obbligatorio per non urtare la sensibilità di Fragolina76 e Uomotigre58 che...
Pubblicato da Davide Faraone su Sabato 21 novembre 2020
La motivazione, secondo l'ex capo siciliano del Pd, sarebbe introdurre

"un sistema alternativo per proteggere anziani, immunodepressi e categorie più a rischio e per tornare alla nostra vita normale".

Di fatto, chi non fa il vaccino anti Covid non potrebbe quasi uscire di casa.

Niente mezzi di trasporto (bus-treni-navi-aerei),
pubblici esercizi (bar-ristoranti-discoteche-negozi),
teatri, musei, stadi e centri commerciali.

Bandito l'accesso a luoghi pubblici con rilevante presenza di soggetti a rischio come scuole e ospedali.


L'ex sottosegretario all'Istruzione riaccende la polemica sulla questione vaccino,
dopo la bufera scatenata dalle dichiarazioni del virologo Andra Crisanti,
contrario a vaccinarsi senza una certificazione trasparente sulla sicurezza.

Nei giorni scorsi, intervenendo alla trasmissione televisiva Agorà, Faraone si era, infatti,
espresso a favore della vaccinazione gratuita contro il Covid-19, capillare e su larga scala.

"In legge bilancio - ha specificato il senatore renziano - abbiamo stanziato 400 mln per i vaccini e 70 mln per i test rapidi:
non possiamo pensare di arrivare al momento di svolta senza un piano.
Quando il vaccino sarà disponibile dobbiamo essere in condizione di distribuirlo nel modo più capillare:
sono convinto che debba essere gratuito e fornito su larghissima scala”.


Faraone correda l'ipotesi in stile Grande Fratello con una serie di ironie e caustici affondi contro gli scettici del vaccino
liquidati come generici sostenitori di teorie del complotto o categorici No-Vax.

"A quanto pare il vaccino anti-Covid non sarà obbligatorio per non urtare la sensibilità di Fragolina76 e Uomotigre58
che dopo approfonditi studi hanno appurato la presenza di un microchip collegato alle antenne del 5G
che ci trasformerà tutti in rettiliani con la faccia di Bill Gates",

scrive il senatore sul suo profilo.

"Caro No-Vax, vuoi essere “libero” di non vaccinarti? Prego fai pure...
Vuoi essere “libero” di infettare gli altri e costringere il Paese alla paralisi eterna? Scordatelo".


Ma gli slanci sarcastici del senatore non piacciono a molti follower che contestano la dubbia democraticità della proposta "incriminata".


"Lei è proprio un democratico: troppa democrazia nelle sue parole!
Pensi che esiste un Manoscritto antico, chiamato Costituzione,
nel cui articolo n. 32 si garantisce la libertà di cura e il diritto a scegliere per il proprio corpo.
Mi congratulo però con lei, pare sia un veggente", bacchetta una seguace.


"Ma magari qualcuno è contrario al vaccino per le conseguenze che può portare.
Attenersi alle regole è una cosa, iniettare dei veleni in corpo è un'altra.
Una persona a me molto vicina ha rischiato la vita a causa del vaccino antinfluenzale. Non facciamo solo slogan!", aggiunge un'altra.


E poi l'affondo, lapidario: "È un'idea abominevole".
 
Qui non si tratta solo di seguire l’antico adagio del fidarsi è bene non fidarsi è meglio,
si tratta di difendere quella libertà di pensiero e di giudizio che stanno cercando di togliere,
limitare, condizionare in tutti i modi e da prima del Covid.

Ci riferiamo al mancato ritorno al voto dopo la crisi dell’estate 2019,
insomma in quel momento fu impedito ai cittadini di tornare ad esprimersi e scegliere da chi essere governati,
una vera e propria forzatura nell’interpretazione della carta che non vietava affatto la possibilità delle urne, tanto è vero che esiste un precedente.

Oltretutto in quel momento c’erano molti più motivi costituzionali per tornare alle urne elettorali, del contrario,
il parlamento infatti era diviso tra gruppi politici contrapposti come mai nel passato,
all’interno degli stessi c’erano lotte senza quartiere, nessun programma dell’uno poteva minimamente sposarsi con l’altro.

Tanto è vero che tra Partito Democratico e grillini erano volate accuse pesanti e infamanti, seguite da giuramenti divisivi,
mentre nel il Pd la guerra tra renziani e non, si era accesa al punto tale da preannunciare una rottura fatale, che poi c’è stata.

E per finire, verso il premier Giuseppe Conte c’era un coro di critiche da stadio maggioritario:
per farla breve, non esisteva un solo segnale per una maggioranza eventuale che fosse armonica e protesa verso un programma e una politica coesa.


Eppure, agli italiani è stato impedito il giudizio elettorale e l’unica ragione plausibile o che possa ritenersi tale
è che fosse necessario assieme al voto impedire il successo del centrodestra,
perché l’Europa e tutto un certo mondo non avrebbero mai gradito e sopportato il Bel Paese in mano al centrodestra,
a partire da Francia e Germania e chissà magari la Cina.

Insomma. che la Cina fosse lo sponsor più forte dei grillini al Governo si sapeva,
come si sapeva che la Ue franco-tedesca avrebbe stappato champagne per ritrovarsi con l’Italia in mano al centrosinistra,
tanto è vero che quando è successo il contrario l’ostracismo è stato così forte da arrivare con Berlusconi nel 2011
a mettere in piedi un golpe da spread per farlo fuori, a favore di un Governo più funzionale all’Europa e all’asse franco-tedesco, quello di Mario Monti.

Del resto, non potrà sfuggire infatti che da quel momento da parte della Ue ci fu un allentamento delle rigidità e delle obbligazioni sul patto di stabilità,
in cambio però di una serie d’interventi economici sociali e fiscali, tasse immobiliari, previdenza, salvataggi bancari, porte aperte senza limite all’immigrazione,
che portarono l’Italia al lumicino e all’invasione di ogni clandestino.

Per farla breve, la Ue col Paese a guida centrosinistra ha sempre avuto buon gioco,
sia per la sottomissione
sia per la rinuncia al potere contrattuale, e
l’arrivo dei grillini antieuropeisti anziché generare timore come avrebbe dovuto essere, fu ben accolto.

E la ragione veniva dalla certezza di poterci contrattare perché con Beppe Grillo si tratta eccome,
soprattutto pensando ai legami dei Cinque Stelle con quella Cina che per Francia e Germania
è diventata un partner commerciale strategico, intoccabile e fondamentale.

Detto e fatto, perché i grillini con una “conversione ad U” sono passati guarda caso
dall’ostracismo al voto per la Ursula Von der Leyen, alla linea europeista franco-tedesca più convinta,
ecco perché in Europa, per Emmanuel Macron e per la Angela Merkel avere di fronte un Italia governata dai grillini,
ex comunisti, cattocomunisti e così via, è stato un piacere tanto grande da ripagare con nomine autorevoli e promesse di fondi più che agli altri Paesi.


Per farla breve, il vero ostacolo al disegno di un nuovo corso che stava nell’aria per Francia e Germania era il centrodestra,
specialmente Lega e Fratelli d’Italia, dunque nessun voto e nessun rischio, così come l’altro e infinitamente più potente ostacolo era Donald Trump,
che non solo si era messo di traverso all’espansione cinese ma per questo era entrato in rotta di collisione con l’asse franco-tedesco.

Ecco la ragione per cui anche dall’Europa sono partiti attacchi senza quartiere nei confronti del presidente degli States,
mentre per Joe Biden vincitore si spellano le mani e piovono fiumi di champagne perché con Biden la Cina resterà più che mai vicina.

Certo, per arrivare a questo, per controllare tutto, per stappare e fare il botto, c’era bisogno di qualcosa di straordinario e planetario,
togliere di mezzo Trump, isolare Boris Johnson in Inghilterra, emarginare definitivamente Visegrad, ridurre l’Italia al silenzio della disperazione.


Distrarre per terrore le attenzioni di intere popolazioni, non è mica una barzelletta
serve una motivazione universale e tragica, e la paura di una malattia la più terribile che ci sia fa ben oltre che “90”,
specialmente se la si propaga bene anche con l’informazione.


Per carità magari siamo dei pazzi e sbagliamo tutto, però se da una parte non neghiamo il Covid e rispettiamo le regole e le cautele,
dall’altra ci teniamo stretta la libertà del pensiero, della critica e della sfiducia,
almeno fintanto che qualche provvedimento non tolga pure la libertà d’espressione e informazione che la carta garantisce:

ecco perché insistiamo sul troppo che del virus non torna, ci stupisce e colpisce.


Ci stupisce che nel mondo mentre per molti virus che circolano e sono davvero mortali ci si preoccupi poco o niente,
col Covid si è arrivati a terrorizzare il pianeta tranne che la Cina,


ci stupisce che l’informazione che in passato ha trascurato la quantità incredibile di morti quotidiani,
molto molto maggiore di quella col Covid, a causa di altre malattie, oggi spari notizie a titoloni terrificanti sui contagi e sui defunti,


ci stupisce che si parli della gravità della polmonite come se fosse nata oggi anziché da sempre,


ci stupisce la ressa intorno ad un vaccino che sembra più un business che un rimedio definitivo.



Del resto, il semplice fatto di darlo per efficace ma non troppo, risolutivo ma non per sempre, monodose o con richiamo,
non tranquillizza come dovrebbe, ma soprattutto non tranquillizza.

Che da noi, perché è all’Italia che teniamo, si lasci che un Governo faccia l’opposto di ciò che serve
per contrastare e risolvere i problemi, sanitari ed economici, come se volesse distruggerci del tutto e ridurci all’impotenza silenziosa.

Perché basterebbe un po’ di buon senso per capire che il Conte bis opera al contrario del necessario, in confusione generale, crea un caos totale,
ci sta portando tutti contro un muro con provvedimenti sbagliati economicamente e socialmente.


Ecco perché non ci fidiamo e invitiamo tutti quanti a stare allerta e ben attenti.
 
Che bello, la giovane Janet Yelle è stata scelta da Biden come prossimo segretario al tesoro.

Direttamente dalla FED, dalla politica monetaria, al ministero, alla politica fiscale,
è un passaggio che raramente si vede nei paesi occidentali.

Quali sono le caratteristiche del prossimo “Governo Yellen”?

  • Innanzitutto, gli Stati Uniti stanno diventando una gerontocrazia?

  • Accanto a Biden (78), sulla crisi climatica è John Kerry (76) a guidare la “carica”, mentre Yellen ha 74 anni – e Nancy Pelosi alla camera ne ha 80.

  • Tutto questo sembra simile ai film originali del cast di Star Trek (o anche alla rinnovata serie Picard recentemente uscita),
  • dove gran parte del budget per gli effetti speciali è stato speso per parrucche e truss. (OK, non tanto la parrucca per Picard,…)

  • Secondo, cosa dice questo alle voci politiche più giovani e/o progressiste che spingono per un pensiero più fresco?

  • Il lungo arco di carriera di Yellen, dall’economia accademica a consigliere economico di presidenti,
  • poi a capo della Fed, e ora a capo dell’economia per un presidente,
  • non si è esattamente sovrapposto a un periodo di relativa ascesa economica americana – o almeno non per la maggior parte della sua popolazione.

  • Yellen ha naturalmente espresso le sue preoccupazioni per le disuguaglianze già nel settembre 2014:
  • eppure la conclusione centrale di quel discorso è stata che i poveri sarebbero stati meno poveri se solo avessero avuto più beni,
  • e il suo mandato alla Fed è stato l’ennesimo episodio del melodramma statunitense che è durato quasi quanto Star Trek: “Mercati ricchi, redditi bassi”.

  • Si capisce allora perché Wall Street applaude a questa nomina di Biden:
  • non dimentichiamoci anche che Yellen ha dichiarato nel giugno 2017 di non aspettarsi un’altra crisi finanziaria nella sua vita.

  • In terzo luogo, pur avendo un segretario del Tesoro che conosce la Fed a fondo “ha i suoi vantaggi”,
  • le banche centrali e i ministeri delle finanze sono sempre più alla moda in tutto il mondo.

  • Pensiamo, ad esempio , a Draghi in Italia.

  • Però la nomina di Yellen non aprirebbe ancora di più la porta della banca centrale politicizzata?

  • Dopo tutto, un membro del consiglio di amministrazione della Fed può ora considerare che non solo le decisioni che prende mentre è in carica
  • possono fargli guadagnare fino a 250.000 dollari per un discorso dopo cena dopo il pensionamento, ma possono anche condurli ad alte cariche.

  • Quarto, invece di sedere come presidente della Fed e desiderare impotentemente che il governo faccia di più dal punto di vista fiscale,
  • Yellen potrà forse ora sedere come segretario del Tesoro… e desiderare che il governo faccia di più dal punto di vista fiscale.

  • Non c’è garanzia che la Camera degli Stati Uniti, con la sua esigua maggioranza democratica,
  • o il Senato, con le sue due elezioni del 5 gennaio in Georgia, saranno disposti a fornire l’enorme stimolo di cui gli Stati Uniti potrebbero aver bisogno.

  • Quinto, e più ancora un’osservazione, almeno Yellen saprà cosa farà la Fed: niente.

  • Evans ieri ha dichiarato di non vedere tassi in movimento almeno fino alla fine del 2023 e forse anche fino al 2024.

  • Potrebbe anche essere il 2033. Non cambierebbe nulla.

In ogni caso, non aspettatevi una discussione seria di questi problemi sulla stampa finanziaria in questo momento.

La Grande Restaurazione è in pieno svolgimento* (*sfide legali in sospeso): Laisses les bon temps rouler!

Le azioni sono aumentate; i rendimenti delle obbligazioni sono scesi; il dollaro è sceso.



Tuttavia, rimanendo fedeli alla discussione seria e al tema della politica e delle banche centrali,
ci sono notizie dalla Nuova Zelanda, un piccolo paese con grandi idee –
ricordate che è stato il primo ad avviare una banca centrale indipendente e orientata all’inflazione.


A questo proposito, il nuovo ministro delle Finanze Robertson ha proposto di aggiungere i prezzi delle case al mandato della banca centrale.

In altre parole, non solo la RBNZ dovrebbe mantenere l’IPC intorno al 2%, ma dovrebbe anche mantenere stabile l’inflazione dei prezzi delle case.
 

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