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Le troppe giravolte dei 5 Stelle hanno fatto venire la nausea a parecchie persone.

Subalternità rispetto al Partito democratico, flirt con Forza Italia, ora pure la capitolazione sul Mes:

pur di rimanere incollati alla poltrona, i vertici del Movimento hanno tradito tutto quello che c’era da tradire.

Ecco perché quattro eurodeputati grillini hanno deciso di sbattere la porta in faccia al M5S.

Si tratta, nello specifico di Ignazio Corrao, Eleonora Evi, Rosa D’Amato e Piernicola Pedicini,
che proprio oggi annunceranno ufficialmente la loro fuoriuscita dalla delegazione pentastellata a Bruxelles.


I quattro eurodeputati ribelli del M5S appartengono tutti alla corrente che fa capo ad Alessandro Di Battista,
ma ci tengono a precisare che il loro addio è scaturito da una decisione «autonoma che non ha nulla a che fare con l’ex deputato».

E anzi spiegano che «la rottura è dettata dall’impossibilità di far rispettare il nostro programma elettorale.
Siamo fermi, non possiamo lottare contro i mulini a vento».

La frattura, insomma, era profonda, ed Eleonora Elvi usa parole che suonano come una sentenza:

«Rilevo un atteggiamento politico del M5S capovolto rispetto all’anno prima, una continua genuflessione verso il Pd, Forza Italia, i grandi potenti e il sistema»,
ha scritto l’europarlamentare sulla sua pagina Facebook.


Anche Corrao, un altro dei quattro eurodeputati ribelli del M5S, non ha remore a gettare fango sulla dirigenza pentastellata:

«I massimi esponenti del M5S non si consultano più con la base ma con i vari Gianni Letta e Massimo D’Alema,
e lo fanno con la stessa naturalezza con cui lo farebbero gli esponenti di Udc, Ncd e Udeur».

Anche l’attaccamento alla poltrona di molti compagni di partito non è andato giù a Corrao:

«Il tema del secondo mandato sembra uno spauracchio e mi sembra abbastanza evidente
che ci sia una condivisa volontà di superarlo (con delle deroghe) o aggirarlo (con le nomine)».

E infine, al termine del suo lunghissimo post intitolato Quando una storia finisce,
l’europarlamentare indica con chiarezza qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso:

«Dulcis in fundo la giravolta sul Mes, con annessa presa in giro. Dire lo avalliamo ma “non lo attiveremo”
è una clamorosa offesa a chiunque possiede un cervello e anche una incredibile violazione del programma elettorale».
 
Il medico chirurgo Giuseppe di Bella porta avanti con orgoglio l’eredità del padre Luigi
e prosegue la sua ricerca scientifica sulla base del cosiddetto “Metodo Di Bella”,
contestato tra la fine degli anni ’90 e il primo decennio del Duemila quando sia il Ministero della Salute
che il Consiglio Superiore di Sanità lo bocciarono definendolo inefficace.

Oggi Giuseppe Di Bella dice la sua riguardo il Covid-19:

“Si continua a dire il falso e a negare l’esistenza di una serie di elementi in grado di combattere con successo questo virus”.


Il riferimento è innanzitutto alla clorochina, “demonizzata – dice – quando tutti conoscono l’efficacia e la sicurezza di questo farmaco,
tra l’altro usato da moltissimi anni per altre patologie”.

Le maggiori multinazionali, lo diceva già mio padre nel 1998, hanno acquistato le più prestigiose testate scientifiche internazionali,
è sconvolgente quanto accaduto con “The Lancet” che ha pubblicato un falso clamoroso sulla pericolosità della clorochina,
che invece ha dei meccanismi d’azione documentati scientificamente sia nel tumore, sia nel Covid.

Per quale motivo fanno questo?

Per quale motivo hanno oscurato pubblicazioni sulla melatonina che si sa avere una potente capacità di attivazione immunitaria?


E sottolinea, poi, l’importanza delle prevenzione:

“Come per tutte le malattie, la prevenzione è la cura migliore, nel caso del Covid-19 il complesso vitaminico composto dalla C, D, E
può sicuramente contribuire a migliorare la nostra risposta immunitaria. Ma perché tutte queste cose non ce le dicono?”


Infine, sulla questione vaccino Di Bella appare molto scettico sia sulla sua sicurezza sia sulla sua efficacia:

Siamo di fronte ad un virus fortemente mutevole, sono altre le strade da percorrere”.
 
00:00 Il governo litiga su cosa vietare: ti do un po’ di messa al posto della colazione del 25 dicembre, ti apro gli hotel, ma ti chiudo i confini.

02:35 Nessuno pensa ai tanti anziani che rimarranno soli durante il Natale.

03:48 Sabino Cassese sugli errori commessi dalla regionalizzazione, ma anche su quelli della nazionalizzazione.

04:49 Berlusconi cambia idea sul Mes, e tutti impazziscono. Mentre Il Fatto, per non sapere nè leggere nè scrivere, dedica due pagine alle Olgettine.

05:43 Il caso Scopelliti…

06:20 Veltroni intervistato dal suo ex caporedattore che adesso però è suo direttore. Storia svelata da un favoloso Caruso sul Foglio.

09:15 Sul Mes ormai vige il caos, da leggere Carlo Cottarelli…

10:50 Fincantieri e quei geni dell’antitrust europea.

12:40 I Benetton comprano i frigoriferi a Zingaretti.

13:10 Unicredit, dice bene la Conti, è la nazionalizzazione strisciante.

14:25 Le mascherine di Arcuri e l’inchiesta sulle commissioni milionarie.
 
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A fare i conti senza l'oste magari poi qualcosa da dire lo ha.

Rasi ha lasciato il posto di direttore di EMA a Emer Cooke il 16 novembre (e non è una buona notizia),
e quindi parla della situazione a EMA aggiornata a due settimane fa, e non è che in due settimane cambi chissà cosa.

E' da settembre che Rasi rilascia interviste tutte dello stesso segno "vaccini già pronti? Non ne sappiamo niente"
da cui traspare una certa irritazione.

Irritazione del tutto motivata, visto che da luglio la politica in primis europea fa e disfa,
in materia di vaccini antiCOVID, comportandosi come se EMA non esistesse.

E a questo giro Rasi ribadisce:

- rolling review, ok, ma EMA i dati delle fasi III non li ha ancora ricevuti

- sull'efficacia i regolatori rifanno i conti da 0 (da interpretarsi come: rivedono i dati)

- Non si può dire al momento quando EMA approverà un vaccino

- E' probabile che uno o più vaccini ottengano una Conditional Marketing Authorization (CMA) SE le aziende integrano i dati attuali


Ecco, la CMA mi preoccupa un po', perché è molto diversa dall'Emergency Use Authorization:

di fatto ha il valore di un'approvazione (quindi teoricamente senza limiti all'uso) della durata di un anno.

Se l'EUA a un vaccino qualche problema lo pone, una CMA ne pone molti molti di più.



Comunque ricordo a tutti quelli "Pfizer ha detto che i dati li rilascerà dopo 4 anni e che non potranno essere usati in tribunale"
che anche per una CMA, EMA pubblica il dossier di approvazione, che contiene anche i dati clinici (anche se non i dati grezzi).

Ripeto: in questa storia il primo problema non sono le aziende: è la politica che vuole tagliare le curve.

https://rep.repubblica.it/…/guido_rasi_l_ex_direttore_ema_…/


E ogni maledetta volta in queste circostanze tornano le controballe.


E si ricicla come se non ci fosse domani, quindi ritorna il nonsenso: i vaccini mRNA modificano il nostro genoma,
che è roba che era venuta fuori in primavera
(https://www.globalist.it/science/2020/07/16/gismondo-accelerare-il-vaccino-moderna-ci-fa-correre-il-rischio-di-diventare-ogm-umani-2061...)


Perché un vaccino mRNA non può modificare il DNA umano più di quanto non faccia un raffreddore?

E chi spinge tizio e caio a dire che lo fa?

Gli spingitori di tizi e cai!

Su Rieducational Channel
https://ilchimicoscettico.blogspot.com/…/la-rana-dalla-bocc…
e per i bellaviteschi https://ilchimicoscettico.blogspot.com/…/frammenti-di-dna-s…
 
.......triste. Molto triste.


La Dottrina sociale della Chiesa è aggredita oggi da torsioni concettuali che ne minano i presupposti,
stravolgendone lo spirito sulla base di una supposta aderenza alla lettera.

Ma se, come afferma San Paolo, la lettera uccide e lo spirito vivifica,
è più a quest’ultimo che alla prima che dobbiamo badare, senza ovviamente commettere l’errore di distorcerla.

Casi minori di questa aggressione alla Dottrina sociale della Chiesa si possono vedere ogni giorno
sotto forma di dichiarazioni, messaggi o articoli, di svariata impostazione, con diverse intenzioni e con diversi centri dell’attenzione,
e tuttavia sempre con il medesimo risultato di disorientamento dei cristiani; ma spesso assistiamo anche a tentativi superiori, provenienti da vertici ecclesiastici o teologici.

Se però de minimis praetor non curat, dei maggiori e tanto più dei massimi bisogna assolutamente occuparsi (e preoccuparsi),
perché in questo caso non è in gioco un’interpretazione bensì una rivoluzione.


Quando Papa Bergoglio bolla il sistema capitalistico come iniquo e gli oppone una concezione comunistica,
e quando utilizza la dottrina sociale cristiana per questo scopo teologico-politico, sta compiendo un’azione legittima
dal punto di vista della libertà di pensiero oltre che, ovviamente, della sua posizione teologico-istituzionale, ma fallace da quello teorico.

Infatti, la Dottrina sociale della Chiesa non lascia dubbi su questo vagheggiato connubio:

il socialcomunismo è – e quindi dovrebbe restare – antitetico alla concezione cristiana del mondo, della vita e della società.


E dunque, pur orientandosi sul registro di un’economia che ponga in primo piano la persona – o forse proprio perciò –
la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre appoggiato il sistema produttivo capitalistico,
sia perché esso è nato e soprattutto sviluppatosi in sintonia e non in antitesi alla visione cristiana della società,
sia perché, in particolare, esso è l’unico nel quale può funzionare il principio fondamentale della sussidiarietà.

Chi mette in discussione questo assetto criticando i princìpi liberisti dell’economia capitalistica, contribuisce
– non importa per quale scopo e nemmeno se solo involontariamente – a quell’aggressione multipolare e pluristratificata.

Dinanzi a queste aporie, che investono lo spirito più ancora che la lettera, si delinea una soluzione, non al ribasso ma al rialzo,
perché innalza il problema pragmatico-sociale al livello culturale e spirituale.

Distinguendo fra liberismo e liberalismo, bisogna adottare senza indugio il primo e adattare il secondo alle istanze del conservatorismo del ventunesimo secolo,
generando quel nuovo piano che da parecchio tempo sta funzionando perfettamente in molti Paesi europei ed occidentali:

liberalconservatorismo, vale a dire liberismo sul terreno economico e conservatorismo su quello dei valori.

Il liberismo è la garanzia materiale del conservatorismo, il quale è oggi la garanzia spirituale del liberismo:
quest’ultimo si realizza virtuosamente nella sfera di conservazione dei valori tradizionali,
e il conservatorismo è possibile solo in un contesto di piena libertà di mercato.

Senza liberismo economico non c’è infatti nemmeno conservatorismo valoriale,
perché l’alternativa al liberismo è un sistema economico ideologizzato di stampo totalitario che, in forme marxiste-leniniste classiche
o in forme legate ai nuovi movimenti latinoamericani, allontana la Chiesa dal suo alveo tradizionale costituito dall’Occidente,
favorendone una che promuove quella sorta di nuovo politeismo che, absit iniuria verbis, viene promosso oggi dai vertici vaticani.

Un terrificante esempio di questa aggressione dottrinale è il recente convegno The Economy of Francesco,
svoltosi ad Assisi su impulso vaticano, centrato sulla figura di San Francesco e focalizzato sull’economia nel senso ampio del termine.

A questo incontro il Francesco Papa non era presente fisicamente, nemmeno a distanza, ma c’era, in collegamento video, una sua controfigura,
colui il quale, nel vasto e qualificato parco di relatori, era implicitamente – cioè contenutisticamente – deputato ad esprimere la posizione del pontefice,
del quale è da decenni interlocutore:

Leonardo Boff, uno dei principali esponenti della teologia della liberazione,
membro autorevole di una corrente politico-religiosa di estrema sinistra
e di estrema pericolosità non solo per la società occidentale ma per la Chiesa stessa:

Vangelo e Capitale, teologia e rivoluzione, crocefisso e mitra, come abbiamo visto fin dagli anni Sessanta in tutta l’America Latina.


Questa presenza al convegno vaticano è stata criticata, con indiscutibili ragioni, da Stefano Fontana in un articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana,
sostenendo che la radicalizzazione ideologica di Boff avrebbe dovuto suggerire agli organizzatori maggiore prudenza,
perché se è giusto che la Chiesa parli a tutti, non necessariamente essa deve – nelle proprie sedi – far parlare tutti.

Ma Fontana è anche consapevole del fatto che vi sia oggi una tendenza nella Chiesa che coincide con le posizioni di Boff, e ciò spiega la sua presenza.

Infatti, la vicinanza di Bergoglio a Boff risale addietro nel tempo, si fonda su quella visione teologico-politica che li ha sempre accomunati
e che oggi si esprime non più solo attraverso voci marginali come sostanzialmente erano un tempo quelle dei teologi latinoamericani,
bensì per mezzo della potenza amplificatrice del Vaticano, guidato appunto da un antico esponente, sia pure con toni personali e originali,
di quell’orientamento teologico che in Boff si chiama appunto teologia della liberazione
e in Bergoglio (tramite il trait d’union rappresentato da Juan Carlos Scannone) teologia del popolo.

Del resto, Boff aveva implicitamente anticipato l’accostamento con il Santo di Assisi e il fulcro stesso del convegno,
con il libro Francesco d’Assisi, Francesco di Roma, nel quale sosteneva che, a proposito di Bergoglio,

“l’importante è identificarsi non con la teologia della liberazione, ma con la liberazione degli oppressi, dei poveri e dei senza giustizia.
E “Papa Francesco” fa questo con indubitabile chiarezza” (Leonardo Boff, “Francesco d’Assisi, Francesco di Roma”, Bologna, 2015, pagina 85).


Mostrandosi interprete acuto del pensiero bergogliano, Boff dichiarava che con l’attuale papa “il Terzo mondo è entrato in Vaticano”,
portandovi le istanze più radicali, incluso quelle di Boff, che da Papa Giovanni Paolo II era invece stato ammonito e allontanato.


Con l’attuale pontefice entrano però non solo, come è giusto che sia, i drammatici e reali problemi del Terzo mondo,
ma anche le fanatiche e surreali teorie con cui la teologia della liberazione e i movimenti rivoluzionari li affrontano.

Infatti, spiega Boff, proprio perché Bergoglio proviene da un’area del pianeta in cui
“la Chiesa ha capito che, oltre alla sua missione specificatamente religiosa, non può sottrarsi a una missione sociale urgente:
stare a fianco dei deboli e degli oppressi, impegnandosi per la loro liberazione”, le opzioni a favore di una “evangelizzazione liberatrice
e di una Chiesa dei poveri gli appaiono come “realtà evidenti” che, invece, sarebbero a suo dire inaccessibili per la
vecchia cristianità europea, piena di tradizioni, teologie, cattedrali e di un sentimento del mondo impregnato
del modo greco-romano-germanico di articolare il messaggio cristiano
” (ivi, p. 139).

Il momento simbolico che ha suggellato questa introduzione e il conseguente cambio di paradigma sarebbe rappresentato, secondo Boff,
dall’udienza privata concessa a Gustavo Gutiérrez nel settembre 2013, perché “con questo gesto il papa ha manifestato la direzione
in cui procede la sua ispirazione pastorale: quella degli oppressi da liberare”.


La dislocazione in Europa di teoria e metodi di quel movimento teologico, nella rinnovata unione fra terzomondismo e socialismo
consacrata dalla benedizione di Bergoglio, comporta l’apertura di una nuova frontiera spirituale, culturale, ideale e dottrinale,
e al tempo stesso di un inedito – raggelante e devastante – fronte di scontro fra cattolici,
divisi fra coloro che accolgono le tesi “liberazionistiche”, intrise di ribellismo, anti-occidentalismo, socialismo e perfino di marxismo,
e coloro che invece credono nell’orientamento tradizionale della fede e della Chiesa, la quale guarda e parla al mondo intero da una prospettiva originaria,
unica e incontrovertibile, centrata storicamente nella civiltà occidentale e nella verità della Rivelazione.


Con Bergoglio questa divisione diventa un abisso, destinato ad allargarsi in misura direttamente proporzionale
all’aumento della radicalizzazione terzomondista da parte vaticana.

La teologia latinoamericana,
che certamente ha ricevuto impulsi fondamentali da teologi progressisti europei
come Jurgen Moltmann, Johann Baptist Metz e Karl Rahner, è lo strumento e insieme la causa di questa divaricazione,
che corre parallela alla congiunzione fra cristianesimo e ideologia comunista.


In riferimento all’analisi marxista della società, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, nel libro scritto con Gustavo Gutiérrez, ha sostenuto che
“non esiste una teoria capace di spiegare meglio i fenomeni e fatti relativi allo sfruttamento, alla povertà e all’oppressione”
(Gustavo Gutiérrez e Gerard Ludwig Müller, “Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa”, Padova 2013).

Dichiarata l’insuperabilità del marxismo nella spiegazione delle articolazioni sociali, resta solo da collegarlo all’ermeneutica teologica
ed ecco compiuta l’apologia del catto-comunismo, sotto l’egida della teologia della liberazione e con la benedizione papale.


Come chiarisce Julio Loredo nell’eccellente libro Teologia della liberazione,
“i teologi della liberazione assumono l’analisi marxista e ne applicano i postulati alle realtà sociali, economiche, politiche, culturali, storiche;
salvo poi spacciare le loro conclusioni come “teologia”” (Julio Loredo, “Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri”, Siena 2014).


Con Bergoglio la teologia della liberazione è entrata dunque in Europa dall’ingresso principale,
senza alcuno sforzo istituzionale e organizzativo, con il favore dei grandi media e l’aiuto collegiale di tutti quei cardinali,
vescovi e sacerdoti (la grande maggioranza degli ecclesiastici) che hanno potuto predicare senza più alcuna remora la dottrina del catto-comunismo.



Nella sua conferenza all’incontro assisiano, Boff inizia con un’affermazione che esprime – nella sua essenza –
la tesi centrale intorno alla quale ruota il convegno e, soprattutto, l’attuale orientamento economico-sociale del Vaticano:

“il Papa rifiuta risolutamente l’ordine economico attuale”,

respingendo il capitalismo e il paradigma socio-culturale che lo regge.

Boff trova la prova di ciò nell’enciclica Fratelli tutti, dove si chiarisce (o per meglio dire: si ammonisce) che

“se qualcuno pensa che si tratti solo di far funzionare meglio quello che già facevamo,
o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà” (Papa Francesco, Enciclica Fratelli tutti).


Bergoglio, prosegue Boff, “attacca esplicitamente i quattro pilastri che reggono l’ordine economico attuale:

il mercato (in termini di economia),
il neoliberalismo (in termini di politica),
l’individualismo (in termini di cultura)
e la devastazione della natura (in termini di ecologia)”,

e quindi non propone correttivi al sistema, non lo vuole modificare dall’interno, ma vuole cambiarlo il più radicalmente possibile.

Visione economico-sociale tipica dell’ideologia comunista, nella sua modulazione sessantottina:

il sistema si abbatte, non si cambia.


Questa la versione di Boff, che però non si distacca quasi per nulla dall’originale bergogliano.
 
Ora, affinché si possano trovare i mezzi per conseguire gli obiettivi di una teoria,
bisogna che questi ultimi siano ben definiti, nella forma e nel tempo,
e affinché essi trovino un’adeguata definizione è necessario che la teoria abbia un punto di appoggio solido e immodificabile.

Nella teoria economica francescana questo punto è rappresentato dalla dichiarazione di Boff: rigettiamo il sistema capitalistico.


L’alternativa sarebbe un’economia socialista non tanto nel senso dell’efficientismo statalista sovietico dei piani quinquennali,
quanto piuttosto nel senso di un socialismo utopistico ottocentesco, non meno statalista ma strutturalmente sgangherato
e ideologicamente modificato con l’inserimento di istanze indigeniste che agglutinano cristianesimo e sciamanesimo, tribalismo e marxismo.


Oggi infatti, dopo il Sinodo Amazzonico e dopo l’enciclica Fratelli tutti, la lungimirante affermazione (risalente al 1977) di Plinio Corrêa de Oliveira,
secondo cui “il tribalismo indigeno è l’ideale comunista-missionario per il Brasile del XXI secolo”,
può essere estesa a tutto il raggio d’azione del proselitismo bergogliano, che ormai mira a una sorta di indigenismo mondiale che sostituisca,
come vogliono i teologi della liberazione, “l’uomo nord-atlantico”, l’uomo occidentale.


Colto nella sua essenza, il nodo intorno al quale ruota tutta la nuova costruzione economica vaticana

consiste nella concezione della proprietà privata, che nell’enciclica Fratelli tutti viene severamente colpita,

bersaglio di una critica complessiva che mira a decostruirne il concetto e abolirne la prassi.



Se infatti la povertà è il tema privilegiato della riflessione di Bergoglio, la proprietà ne è il principale obiettivo critico.

La proprietà è un concetto originario, che deriva dall’esperienza storica fondamentale di quell’uomo occidentale
che i teologi della rivoluzione vorrebbero sostituire e che è, insieme con il concetto di libertà, alla base dell’idea cristiana della dignità della persona.

E, sia pure indirettamente, è contro questa coscienza storica che Bergoglio si dirige quando esorta a considerare
(in questo caso si rivolge ai giudici che si occupano di cause sociali) l’idea (in sé assolutamente balzana ma in questo contesto altamente suggestiva)
di una giustizia non tanto distributiva quanto restitutiva:

“Quando ripensate all'idea di giustizia sociale, fatelo essendo solidali e giusti (…).
Solidali nella lotta contro le cause strutturali di povertà, disuguaglianza, mancanza di lavoro, terra e alloggio (…).
Giusti sapendo che, quando decidiamo nell’ambito del diritto, diamo ai poveri le cose essenziali,
non diamo loro le nostre cose, né quelle di terzi, ma restituiamo loro ciò che è loro.

Abbiamo perso molte volte questa idea di restituire ciò che gli appartiene”
(Papa Francesco, Messaggio in occasione dell’Incontro internazionale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America, 30 novembre 2020).


Uno dei pericoli insiti in questa visione consiste nella possibilità che alle parole seguano i fatti

e che, dunque, qualcuno realizzi – inevitabilmente con la violenza –

questa forma di espropriazione come risarcimento di presunte precedenti sottrazioni.



Se infatti dare significa restituire, allora in qualche momento qualcuno ha tolto ciò che viene ora restituito,
e quindi ciò che si possiede sarebbe stato precedentemente estorto, mai guadagnato,
ed è perciò illegittimo o quanto meno improprio.

Follia.

Da questa tesi si arriva ad un passo dottrinale radicale e forzato che conduce a una prassi sostanzialmente espropriativa:

“Costruiamo la nuova giustizia sociale partendo dal presupposto che la tradizione cristiana
non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto e intoccabile”.

L’espropriazione come ri-appropriazione dei beni: un paradosso dai toni sofistico-decostruzionisti
che contiene un potenziale esplosivo di portata colossale, sia sul piano teorico sia su quello pratico.


La proprietà privata, in tutte le sue declinazioni, viene qui disintegrata.


Così si incita, palesemente, a impossessarsi di beni altrui

(terre e abitazioni, anzi le tre “t”: tierra e techo, il trabajo si troverà poi, chissà come)
semplicemente come atto di restituzione di un supposto maltolto storico,
sulla base di una premessa dottrinale che fa del Cristianesimo una sorta di comunismo primitivo,
nel quale “il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario derivato dal diritto che tutti hanno, nato dalla destinazione universale dei beni creati”.


Una dottrina sociale della Chiesa (versione bergogliana) come teoria della restituzione dei beni

non si differenzia infatti dalla teoria marxiana della proprietà come furto.



E di conseguenza «non c'è giustizia sociale che possa essere basata sull'ineguaglianza, la quale implica la concentrazione della ricchezza».

In quanto sistema della ricchezza concentrata, è il capitalismo qui ad essere posto sul banco degli imputati,
e in quanto estorsore di quella ricchezza è l’uomo occidentale che va corretto.

In questa chiave, l’”economia di Francesco” è una pesante rivoluzione antropologica,
perché si presenta come un progetto di trasformazione radicale non solo dei rapporti produttivi ma anche di quelli sociali e culturali.

Si delinea così un mondo in cui «l’organizzazione sociale si basa sul contribuire, condividere e distribuire, non sul possedere, escludere e accumulare»
(Papa Francesco, Messaggio ai partecipanti al Seminario virtuale “America Latina: Chiesa, Papa Francesco e gli scenari della pandemia”, 19 novembre 2020).


Contrapponendo condivisione a possesso, Bergoglio apre una spaccatura artificiale (e strumentale) nella coscienza dell’uomo occidentale,
nella quale invece possedere e condividere possono coesistere, purché non si intacchi la nozione di proprietà (e nemmeno quella di libertà).


Usando poi il concetto di accumulazione, egli svela tutta la sua implicita prossimità al marxismo.


Questo schema dicotomico contrappone dunque al sistema capitalistico
l’economia presuntamente salvifica dei movimenti sociali e di ciò che definirei lavoro di sussistenza.

E lo schema si estende a tutti gli ambiti della vita sociale, per risolvere i “malesseri sociali:
la mancanza di un tetto,
la mancanza di terra e
la mancanza di lavoro, le tre famose T” (ivi),
Bergoglio pensa infatti a «un nuovo modello culturale”
(Papa Francesco, Messaggio in occasione dell’incontro organizzato dalla Congregazione per l’educazione cattolica:
“Global compact on Education. Together to look beyond”, 15 ottobre 2020),

ad una “educazione integrale” e ad una “ecologia integrale”, che a loro volta rinviano,
nella loro struttura teorica e nella loro applicazione pratica, alla nuova “Economy of Francesco”.

Infatti, “l’economia, nel suo senso umanistico di “legge della casa del mondo”, è un campo privilegiato per il suo stretto legame con le situazioni reali e concrete.

Essa può diventare espressione di “cura”, che non esclude ma include, non mortifica ma vivifica,
non sacrifica la dignità dell’uomo agli idoli della finanza, non genera violenza e disuguaglianza, non usa il denaro per dominare ma per servire”,
poiché “l’autentico profitto, infatti, consiste in una ricchezza a cui tutti possano accedere”
(Papa Francesco, Messaggio al Forum di “European House” – Ambrosetti, 4-5 settembre 2020).

Questa accessibilità implica, nella sua essenza, la messa in comune dei beni: “Ciò che possiedo veramente è ciò che so donare”
(Papa Francesco, Udienza generale, 7 novembre 2018).


E' profondamente e distruttivamente errata la conseguenza teorica e pratica.

Catastrofica è l’esortazione:
“Al centro dell’economia di comunione ci sia la comunione dei vostri utili.
L’economia di comunione è anche comunione dei profitti”,
mentre “il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo”, diventando “una struttura idolatrica”
(Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro “Economia di comunione”, promosso dal Movimento dei Focolari, 4 febbraio 2017).

Così si colpisce al cuore non solo il meccanismo produttivo, ma anche l’intero schema di pensiero occidentale,
tentando assurdamente di mostrare come la Chiesa debba opporsi ad esso, senza però accorgersi che la religione cristiana
(e quindi la Chiesa) è parte integrante di quello schema, parte fondante – e risultante – dell’Occidente in tutti i suoi aspetti.



L’economia di Francesco è ora esplicita, “mettere i profitti in comune”, perché
“il modo migliore e più concreto per non fare del denaro un idolo è condividerlo, condividerlo con altri,
soprattutto con i poveri, vincendo la tentazione idolatrica con la comunione” (ivi).

Che nel sistema capitalistico il denaro sia un idolo (cioè un fine anziché un mezzo per vivere)

è una interpretazione fallace prodotta dall’ideologia comunistica, alla quale è connessa l’affermazione,

non meno fallace, generata dalla medesima ideologia e da un cristianesimo primitivistico-pauperistico, che il denaro sia sterco del demonio.



Ora, poiché “il capitalismo continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare”,
l’economia di comunione vuole invece costruire un sistema senza scarti,
ma al tal fine “bisogna cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale (…),
non farsi bloccare dalla meritocrazia invocata da tanti, che in nome del merito negano la misericordia” (ivi).

Cambiare le regole per cambiare anche il gioco: in questa prospettiva, profitto e accumulazione sono da bandire
in quanto strumenti di sfruttamento, produttori di scarti e idoli della crescita, a cui vanno contrapposte la condivisione e la decrescita:
“Tutte le volte che le persone, i popoli e persino la Chiesa hanno pensato di salvare il mondo crescendo nei numeri,
hanno prodotto strutture di potere, dimenticando i poveri” (ivi).


E arriviamo così al paradosso, secondo cui la povertà non si fronteggia dunque con la crescita economica, ma con il progressivo depauperamento:

“Per avere vita in abbondanza occorre imparare a donare: non solo i profitti delle imprese, ma voi stessi.
Il primo dono dell’imprenditore è la propria persona: il vostro denaro, seppure importante, è troppo poco.
Il denaro non salva se non è accompagnato dal dono della persona” (ivi).

Ma, culmine del paradosso, non basta donare qualcosa, bisogna donare tutto, e per farlo bisogna uscire dall’ingranaggio capitalistico:

“Il capitalismo conosce la filantropia, non la comunione.
È semplice donare una parte dei profitti, senza abbracciare e toccare le persone che ricevono quelle “briciole” (…).
Se non si dona tutto non si dona mai abbastanza” (ivi).

Così il cambio di paradigma sarebbe compiuto, affinché “il “no” ad un’economia che uccide diventi un “sì” ad una economia che fa vivere,
perché condivide, include i poveri, usa i profitti per creare comunione” (ivi).


In questo deliquio economico-sociale, Bergoglio si dichiara vicino al popolo, ma per lui,

nella linea ideologica della teologia della liberazione,

popolo non equivale all’insieme delle persone e dei gruppi che compongono un’etnia e formano una nazione,

bensì consiste in quella parte di popolazione che in date circostanze e per svariate ragioni appartiene agli strati più indigenti.



Egli taglia il concetto di popolo in classi (schema arcinoto), finendo con il sussumerlo sotto a una soltanto di esse:
i poveri (riformulazione del concetto marxista di classe proletaria).

In questo modo, Bergoglio
non riesce a capire e a conoscere il popolo in quanto tale,
non certamente quello italiano (e, possiamo dire, europeo);
non ne conosce il recondito sentire, i bisogni autentici, la visione storica e l’intrinseca polifonica unitarietà che lo unisce,
tutto, nella sua tradizione e nella sua esistenza storica.


Come può il contadino italiano accettare anche soltanto l’ipotesi di qualcosa come la comunizzazione della proprietà privata?

Come può Bergoglio ragionevolmente pensare che quello che Sandro Fontana ha elogiativamente definito “l’istinto proprietario” del contadino,
il quale con i consimili è sempre solidale, possa conciliarsi con la forzatura criptomarxista e palesemente terzomondista
di una dottrina economica socialista amalgamata con un Cristianesimo comunisteggiante?



Quando quell’istinto proprietario originario e identitario si vede minacciato da una dottrina ecclesiastica
che lo vuole reprimere, reagisce, legittimamente, e lo scontro è inevitabile.

Il contadino, proprietario istintivo e ostinato, ma anche razionale, non sarebbe dunque “popolo”?

Allora questa posizione sarebbe analoga a quella sovietica nei confronti dei kulaki:
la differenza è che i sovietici usarono nei confronti dei kulaki un trattamento di sterminio.

Ma pur con le più buone intenzioni, quella strada è impercorribile, non solo perché porta con sé sciagure economiche e sociali,
ma anche perché conduce al male, direttamente e inevitabilmente.


E per di più è una strada che il popolo in generale rifiuta.


Quindi Bergoglio si trova di fronte a un problema:

come fare per inculcare nel popolo princìpi economico-sociali che esso respinge?

Se insiste troppo nell’azione di persuasione forzata, rischia di spezzare quel filo di collegamento che già è diventato ormai molto logoro;

se allenta e ammorbidisce troppo, rischia di non raggiungere l’obiettivo.

Quindi deve imboccare una terza via: procedere a una sorta di istituzionalizzazione di questa anomala dottrina economica,
promulgando un documento ufficiale che la esponga in maniera e in forma definitiva, facendola diventare – ma con un’imposizione d’autorità –
la nuova dottrina sociale della Chiesa.


A 130 anni dalla promulgazione della Rerum Novarum di Leone XIII, dell’enciclica cioè che dà fondazione e sistematicità alla Dottrina sociale,
l’ipotesi che l’attuale pontefice ne promulghi un’altra che riveda quella Dottrina e che di fatto la sostituisca, non è per nulla infondata.

Anzi, si annuncia come una logica conseguenza della visione economico-sociale di Bergoglio
e una pragmatica soluzione per debellare le resistenze che la nuova dottrina, pienamente socialista e non più sociale,
incontra tra i cattolici di ogni parte del mondo.


Non c’è dunque speranza per i moltissimi cristiani che respingono questa radicalizzazione comunistica della Chiesa?


Un’opzione c’è, e andrebbe colta con determinazione e coraggio, a tutela non solo della Dottrina sociale della Chiesa ma anche del destino dei cristiani nella società.

Con tutto il rispetto, ma con tutta la legittimità di criticare – con onestà intellettuale – le tesi economico-sociali di Bergoglio,

va riaffermato il valore centrale del sistema capitalistico, la sua molteplice e pluralistica struttura di pensiero e di prassi,

nella quale i princìpi del liberalismo – ovviamente intesi non nel senso del liberalismo che ammirava la rivoluzione francese,

né in quello del libertinismo anarco-comunista sessantottino, né in quello del progressismo liberal della nostra epoca,

ma sotto la forma del liberismo economico e della libertà e dignità della persona, della libertà di impresa e di espressione,

di salvaguardia dell’identità e della tradizione della civiltà occidentale –, si coniugano con la difesa dei dieci Comandamenti,

con l’autonomia della religione, nella distinzione dei poteri ma nell’unione degli spiriti ovvero delle rispettive sfere spirituali

entro l’orizzonte della tradizione ebraico-cristiana.



Al di fuori di questo quadro liberale anti-progressista e liberista, conservatore e tradizionalista,

c’è soltanto l’inferno della società comunista (nel modello latinoamericano o in quello cinese, a seconda dei casi o delle preferenze)

o quanto meno il caos della società liquidata e disorientata in cui rischiamo di trovarci nel percorso verso la prima.



Dottrina sociale della Chiesa e liberalismo devono dunque trovare una sintonia sul piano spirituale ed economico
esattamente come, sul piano politico, l’hanno trovata il conservatorismo e il liberalismo con il paradigma oggi sperimentato
e consolidato del liberalconservatorismo, nel quale si sono ritrovati esponenti di primissimo piano della Chiesa
come, per fare solo alcuni nomi eminenti, i cardinali Camillo Ruini, Raymond Leo Burke, Giacomo Biffi, Carlo Caffarra
e, prima di loro, Stefan Wyszyński, campione di un anticomunismo razionale e inflessibile.


La sfida pauperista-comunista lanciata oggi a tutti i livelli non consente tentennamenti né equivoci, pena l’autodistruzione.
 
I dpcm sono ormai armi di distrazione di massa:

per distogliere l’attenzione dai problemi veri,

cioè dai fallimenti di governo e regioni, si fa propaganda,

scaricando sui cittadini le colpe e creando falsi miti.

Ad esempio, quello del Ferragosto devastante.

Peccato che l’impennata dei positivi sia cominciata un mese e mezzo dopo, a seguito della riapertura delle scuole.



L’inadeguata gestione di tale riapertura e il crack dei trasporti pubblici super-affollati sono,

in tutta evidenza, le cause principali del ritorno del coronavirus, insieme all’arrivo della stagione autunnale.


Cosi come davanti ai nostri occhi è la vergogna della totale disorganizzazione della sanità territoriale, che causa l’ospedalizzazione della malattia.


È incredibile che le persone siano abbandonate a se stesse a casa,

che non vi siano certezze diagnostiche celeri né protocolli terapeutici chiari,

che non si sia provveduto a mobilitare i medici di famiglia (dotandoli degli opportuni presidi di sicurezza).

Non sarà che l’alto numero dei decessi, in Italia, è anche l’effetto del fallimento radicale della sanità,

in particolare di quella territoriale, che impedisce di curare adeguatamente le persone a casa,

facendole affollare in ospedale, magari quando è tardi?



Tutto ciò viene rimosso, e l’attenzione spostata, fin dalla primavera scorsa, via via su obiettivi fittizi:

sui riders (anche se solitari),
la movida,
i giovani,
il Natale con i parenti (persino quelli stretti, se abitano in un’altra regione, pur gialla),
la Messa di Mezzanotte (notoriamente, il virus si sveglia a quell’ora).


Il coprifuoco è diventato la normalità
(come faranno, certi personaggi, a sopportare che le persone possano tornare a uscire liberamente quando vogliono, anche la sera,
quando saremo fuori da questo incubo, mettendo davanti ai loro occhi, come in uno specchio, la miseria della loro “non vita” sociale?).

Si dice: lo spaesamento è di tutto l’Occidente.

A parte il fatto che qualche eccezione, seppur esigua, c’è (non a caso, la Svezia del Welfare),
l’argomento del “mal comune” non può essere un alibi.

Anzi, dovrebbe suscitare qualche domanda di fondo, sul collasso di una civilizzazione.


Evidentemente, il cancro del finanzcapitalismo,

dell’omologazione consumistica e mediatica

aveva talmente scavato dal di dentro nelle nostre società da renderle fragilissime.

La risposta inadeguata e decivilizzante al virus è l’effetto plastico della follia neoliberista,

che ha negato la politica autonoma, il ruolo del pubblico e del lavoro, i diritti sociali.

Chi, delle classi dirigenti occidentali, ha chiesto scusa per l’azzardo della globalizzazione finanziaria?

Nessuno.



C’è un prezzo che deve essere pagato.

Come minimo, con la rimozione di una classe dirigente che ha fallito.

Si dice che il diritto alla salute debba prevalere su tutto.

Bene.

Ma perché sia realmente così, non servono isterismi e diversivi,
che minano la democrazia costituzionale rilanciando continuamente un emergenzialismo irrazionale,
ma strutture e servizi sul territorio, demoliti in questi ultimi trent’anni senza gloria sull’altare dell’austerità eurista.

Fideismo irrazionalistico e mancanza di buon senso sono funzionali a una strategia di disciplinamento biopsichico.


Invece di risolvere i problemi pratici, e di superare le gigantesche criticità emerse finora dal punto di vista organizzativo,

assumendosene la responsabilità, si sceglie di mandare messaggi simbolici terroristici,

ben al di là della necessità e dell’efficacia delle misure-manifesto individuate.



Misure che come al solito interiorizzano estremizzandola la logica delle raccomandazioni paternalistiche e tartufesche dell’UE,
mentre ad esempio persino Macron in Francia, più astutamente, evita certe scelte impopolari (e sostanzialmente inutili),
come il coprifuoco anche per Natale e Capodanno (addirittura rafforzato, in Italia),
o la proibizione degli spostamenti tra regioni e addirittura comuni (anche per raggiungere parenti stretti).



Ancora una volta, nell’uso politico e comunicativo che se ne fa, il coronavirus svolge una funzione analoga a quella dell’euro.

Il vero senso del dpcm natalizio, che sintetizza tutti quelli precedenti, è:

responsabili dovete essere voi,

perché di base siete colpevoli in quanto indebitati,

bamboccioni e dissennati,

mentre di responsabilità politiche,

economiche e amministrative delle classi dirigenti neppure si deve parlare.



Il tutto, mentre si assiste indifferenti all’aberrante cortocircuito tra comunicazione malata e virologi mediatici confusionari e vanesi.

Forse si pensa di trarne vantaggio.

L’effetto è, in ogni caso, culturalmente devastante, e non può che generare disorientamento, perdita di fiducia e angoscia nei cittadini.


L’UE al solito si segnala: con il consueto tono ammonitorio, mellifluo, dietro una coltre di retorica, pretende di stravolgere vite, principi, tradizioni, simboli.

Tutto per il nostro bene, s’intende (come per quello dei bambini greci, con l’austerity draconiana…).

Ferocia travestita da buonismo tecnocratico: la banalità del bene.


Allora anche i peggiori pensieri diventano giustificati, plausibili.

È incredibile come si faccia di tutto per dare argomenti a chi sospetta che ci sia qualcosa sotto.

Di fronte a un fallimento epocale, non solo non si scusano, ma rincarano la dose, intignano…

Probabilmente per cecità. E cinismo.


ll paternalismo nichilistico e bacchettone che proviene dall’alto

– un mix micidiale di arroganza, conformismo, pochezza intellettuale e morale –

pretende di guidarci pastoralmente, mantenendoci in un perenne stato di minorità.


Chi non crede a niente, se non al potere fine a se stesso, al governismo senza visione,

non può comprendere il valore complesso della libertà in relazione.

Eppure pontifica con il ditino alzato, in tv e sui social.



Del resto, si capisce che la sospensione della vita qualificata,
della polis sia il sogno di chi da decenni si è votato al vincolo esterno,
e pretende di governare senza legittimazione popolare.

Alla base c’è un pericoloso riduzionismo culturale, esso sì antipolitico,
e un’ostilità antipopolare che conduce dritti dritti a fare il cane da guardia dell’establishment.


Come può restare qualcosa di credibile a sinistra, così?


Conte, per una sorta di pragmatico istinto, ha provato a mediare (almeno così dicono le cronache),
probabilmente intuendo che questo dpcm natalizio approfondisce la frattura con un Paese stanco,
sfiduciato, avviato alla disperazione economica (soprattutto per alcune categorie esposte all’urto delle chiusure ripetute) e antropologica.

Ma il PD, che reclama i suoi feticci (lockdown e Mes), ha prevalso
(per ora solo sul primo; vedremo se la minoranza più critica del M5S riuscirà a fare argine sul secondo,
anche se il grosso del Movimento sembra ormai pronto a svendersi su tutto).


Ma del resto, con forze la cui ragion d’essere è unicamente la difesa dello status quo, del “sistema”, non ci si può attendere altro.


Particolarmente odioso è però che tale caricatura della responsabilità delle élites
sia condita con una melassa insopportabile di suprematismo morale,
tipico di chi pretende di fare la lezione non potendoselo permettere.

Purtroppo, attualmente un’alternativa adeguata non si vede.

Speriamo che quando tornerà il tempo della politica, emerga.

Ma almeno culturalmente bisogna cominciare a prepararla ora.


E ribellarsi al torpore sanitario di cui l’attuale quadro, fragilissimo, si alimenta, contrastando la tentazione di perpetuarlo.


Anche perché non solo non funziona, ma si illude assai chi ritiene di vedervi comunque un katéchon.

Siamo in una situazione che serba invece un rischio esiziale:


il mix di passivizzazione, asocialità e disperazione può preparare il terreno ad avventure catastrofiche.


Ecco allora che si intravede la logica obbedendo alla quale si adottano misure inutili o del tutto secondarie,
a fini simbolici, senza neppure tentare strade alternative.


Il senso di quella logica è:

non vi venga in mente di protestare, di organizzarvi, di avanzare dubbi.

Se volete salvare la pelle dovete abiurare la vita.



C’è una logica sadiana in questo accanimento irrazionale.

Il virus esiste, lo sappiamo bene.

Ma va affrontato con razionalità, predisponendo quanto serve davvero (ciò che non è stato fatto, largamente).

Non strumentalizzandolo.

Sarebbe stato un bel segnale tenere aperti cinema, teatro, musei, biblioteche che, com’è noto, non sono i luoghi del contagio.

Un segno non solo di speranza, ma di inversione di tendenza, in un Paese che da troppo tempo svaluta la cultura.

Responsabilità non può significare rassegnazione
(vale anche per le scuole e l’università, dove si è dato per scontato che l’unica soluzione fosse la DAD).


È un ricatto insopportabile, questo, che purtroppo viene veicolato anche da molti “intellettuali”:

non si può avanzare dubbi, sottolineare opacità ed errori, fare proposte alternative, pena lo stigma dell’irresponsabilità o peggio del negazionismo.

Un modo indecente di negare il pensiero critico, di pretendere una sorta di adesione cieca, sul ricatto della paura.


Invece, possiamo dire molto chiaramente che irresponsabile è chi si tappa occhi e orecchie;


negazionista chi ripete il mantra secondo cui tutto va bene, funziona ed è trasparente.


La rassegnazione è la responsabilità di chi è già morto alla vita civile, e quindi non ha più alcuna capacità di “rispondere” a una sfida.


Essere responsabili non significa essere rassegnati a tutto, pronti a ridimensionare, accettandolo, qualsiasi vulnus:

senza questionare, senza cercare, con intelligenza, soluzioni diverse e praticabili.


È assurdo che di fronte a un virus rispetto al quale ci sono poche certezze,

un solo dogma debba valere:

chiudere tutto (o quasi), senza discussione, a ripetizione.

Sarebbe come pulire una cristalleria affidandone il compito a un elefante.



Che si sia continuato a proseguire in modo tetragono su questa strada,
dopo quello che è successo nella primavera scorsa, sapendo bene che significa ferire duramente libertà fondamentali,
vita sociale e culturale, formazione dei giovani, è segno di una perseveranza inquietante.


Non c’è alternativa, si dice.

Questa storia l’abbiamo già sentita: è il mantra del neoliberismo.

Lo slogan malefico di un sistema ormai insostenibile non solo dal punto di vista economico,

perché ha generato un vero e proprio crollo di civiltà.

Ora basta.

Le alternative bisogna innanzitutto volerle cercare.

E stavolta, con la cosiddetta “seconda ondata” del coronavirus, c’è stato anche il tempo.



Solo se ci rendiamo conto ora della reale posta in gioco ideologica, culturale e politica,
potremo evitare che il post-pandemia sia persino peggiore di quanto l’ha preceduto.


Cioè eviteremo di ritrovarci nel girone infernale del grande resettaggio neoliberale:

non un altro “tutto cambi, perché tutto resti come prima”,

ma “tutto cambi, perché tutto sia ancora peggiore”,


affinché la feroce estrazione di plusvalore di un potere forse al tramonto, ma incattivito, possa proseguire senza ostacoli.


Siamo disposti a incamminarci verso una “non-società”, ancora più atomistica e senza relazioni, schiavi dei giganti tecnologici e finanziari?


A sopravvivere in preda all’angoscia,

schiacciati in un individualismo passivo e disumano,

che mira ad eternizzare la morte della politica,

distruggendo lo Stato, la vita privata, il nostro stesso codice antropologico e spirituale?



Contro questi scenari distopici, che non hanno nulla di smart (altro che smart working…),
la refrattarietà dell’agorà,
della libertà come valore collettivo di comunità di eguali,
delle persone incarnate che reagiscono ed escono all’aperto costituiranno
– questo è il vero seme della speranza, oggi, ben più del vaccino -,
un nuovo katéchon disarmato, ma irriducibile.


In questo tempo dell’attesa, ci viene ingiunto di non essere più cittadini liberi,

ma solo consumatori a comando, per prendere ancora un po’ di tempo e provare a dilazionare il crack economico in arrivo.



Alla Messa no, ma al centro commerciale si.


E arriviamo così alla profanazione del Natale.


C’è qualcosa di grottesco e allo stesso tempo di mostruoso in questo feroce e insensato accanimento.

Una disumanità talmente acuta e stupida da far sperare in una rivolta.

Anche chi vuol dominare, non può forzare troppo la mano,

sfiorare il pericoloso crinale che unisce il ridicolo al ripugnante.


Ma le classi dirigenti del perbenismo neoliberale e dell’europeismo che rinnega l’Europa sono irredimibili.


Sembrano quelle dell’URSS di Breznev: speriamo che la liberazione sia vicina.


Infatti, i loro doni sotto l’albero (virtuale) sono un incubo: Mes e covidworld.

Questo presepe non ci piace.


Anche perché è la negazione di tutto ciò in cui crediamo.


E anche del vero presepe.

Stavolta persino Lucariello sarebbe d’accordo…
 
Misure urgenti connesse all’emergenza COVID-19 (decreto-legge)

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro dell’economia e delle finanze Roberto Gualtieri,
ha approvato un decreto-legge che introduce ulteriori misure urgenti connesse all’emergenza COVID-19.


Il testo interviene con uno stanziamento aggiuntivo di risorse, pari a 8 miliardi, conseguenti al nuovo scostamento di bilancio,
per rafforzare ed estendere le misure necessarie al sostegno economico dei settori più colpiti dalla pandemia,
nonché con ulteriori disposizioni connesse all’emergenza in corso.


Di seguito le principali misure introdotte.


  1. Proroga del secondo acconto Irpef, Ires e Irap

  2. Il versamento del secondo acconto di Irpef, Ires e Irap viene prorogato dal 30 novembre al 10 dicembre
  3. per tutti i soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione.
  4. La proroga è estesa al 30 aprile per le imprese con un fatturato non superiore a 50 milioni di euro nel 2019
  5. e che hanno registrato un calo del 33% del fatturato nei primi sei mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.
  6. La proroga si applica inoltre alle attività oggetto delle misure restrittive del Dpcm del 3 novembre
  7. e a quelle operanti nelle zone rosse, nonché per i ristoranti in zona arancione,
  8. a prescindere dal volume di fatturato e dall’andamento dello stesso.

  9. Sospensione dei versamenti di contributi previdenziali, ritenute e Iva di dicembre

  10. È prevista la sospensione dei contributi previdenziali, dei versamenti delle ritenute alla fonte e dell’Iva che scadono nel mese di dicembre
  11. per tutte le imprese con un fatturato non superiore a 50 milioni di euro nel 2019 e che hanno registrato un calo del 33% del fatturato nel mese di novembre 2020 rispetto allo stesso mese del 2019.
  12. Sono sospesi i versamenti anche per chi ha aperto l’attività dopo il 30 novembre 2019.
  13. La sospensione si applica inoltre a tutte le attività economiche che vengono chiuse a seguito del Dpcm del 3 novembre,
  14. per quelle oggetto di misure restrittive con sede nelle zone rosse,
  15. per i ristoranti in zone arancioni e rosse, per tour operator, agenzie di viaggio e alberghi nelle zone rosse.

  16. Proroga del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi e dell’Irap

  17. Il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi e dell’Irap viene prorogato dal 30 novembre al 10 dicembre 2020.

  18. Proroga definizioni agevolate

  19. La proroga dei termini delle definizioni agevolate prevista dal decreto “Cura Italia”
  20. (decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18) viene estesa dal 10 dicembre 2020 al primo marzo 2021.
  21. In tal modo, si estende il termine per pagare le rate della “rottamazione-ter” e del “saldo e stralcio” in scadenza nel 2020,
  22. senza che si incorra nell’inefficacia della definizione agevolata.

  23. Razionalizzazione della rateizzazione concessa dall’agente della riscossione

  24. Vengono introdotte modifiche per rendere più organico e funzionale l’istituto della rateizzazione concessa dall’agente della riscossione.
  25. In particolare, si prevede che alla presentazione della richiesta di dilazione consegua la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza
  26. e il divieto di iscrivere nuovi fermi amministrativi e ipoteche o di avviare nuove procedure esecutive.
  27. Per le rateizzazioni richieste entro la fine del 2021, viene alzata a 100.000 euro la soglia per i controlli
  28. e sale da 5 a 10 il numero di rate che, se non pagate, determinano la decadenza della rateizzazione.
  29. Inoltre, i contribuenti decaduti dai piani di rateizzazione o dalle precedenti rottamazioni delle cartelle esattoriali
  30. potranno presentare una nuova richiesta di rateizzazione entro la fine del 2021.

  31. Proroga dei versamenti del prelievo erariale unico sugli apparecchi delle sale gioco
    Il saldo del prelievo erariale unico (PREU) sugli apparecchi delle sale gioco di settembre-ottobre 2020 può essere versato solo per un quinto del dovuto.
  32. La parte restante può essere versata con rate mensili, con la prima rata entro il 22 gennaio del 2021.

  33. Estensione codici Ateco
    La platea delle attività oggetto dei contributi a fondo perduto si amplia ulteriormente con l’ingresso di diverse categorie di agenti e rappresentanti di commercio.

  34. Indennità stagionali del turismo, terme e spettacolo
    Viene erogata una nuova indennità una tantum di 1.000 euro gli stagionali del turismo, degli stabilimenti termali e dello spettacolo
  35. danneggiati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, e ad altre categorie, tra i quali gli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo
  36. in possesso di determinati requisiti, gli stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali
  37. che hanno cessato il rapporto di lavoro involontariamente, gli intermittenti e gli incaricati di vendite a domicilio.

  38. Associazioni sportive
    È incrementata di 95 milioni la dotazione del Fondo unico per il sostegno delle associazioni sportive e società sportive.

  39. Indennità per i lavoratori sportivi
    Per il mese di dicembre è erogata da Sport e Salute Spa, un’indennità di 800 euro per i lavoratori del settore sportivo.
  40. Si tratta dei lavoratori del mondo dello sport titolari di rapporti di collaborazione con il Coni, il Comitato Italiano Paralimpico,
  41. le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate, gli Enti di Promozione Sportiva
  42. e le Società e Associazioni sportive dilettantistiche, riconosciuti dal Coni e dal Comitato Paralimpico.

  43. Fiere e Congressi, spettacolo e cultura
    Vengono stanziati 350 milioni di euro per il 2020 per i ristori delle perdite subite dal settore delle fiere e dei congressi,
  44. tramite l’incremento del Fondo per le emergenze delle imprese e delle istituzioni culturali
  45. istituito nello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali con il Decreto Rilancio.
  46. Si incrementano: di 90 milioni, per il 2021, la dotazione del fondo di parte corrente per le emergenze nei settori dello spettacolo e del cinema e audiovisivo;
  47. di 10 milioni, per il 2020, la dotazione del Fondo per il sostegno alle agenzie di viaggio e ai tour operator,
  48. le cui misure di sostegno sono estese alle aziende di trasporto di passeggeri mediante autobus scoperti (cosiddetto sightseeing).
  49. Si prevede, inoltre, che i ristori ricevuti dai fondi già citati non concorrano alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi,
  50. non rilevino ai fini del calcolo degli interessi passivi e delle spese deducibili né alla formazione del valore della produzione netta.


  51. Sicurezza e forze armate

  52. Vengono stanziati oltre 62 milioni di euro per la funzionalità delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco,
  53. in particolare per pagamento delle indennità di ordine pubblico del personale delle Forze di polizia e per il pagamento degli straordinari dei Vigili del fuoco.
  54. Ulteriori 6,5 milioni di euro sono destinati al pagamento dei compensi accessori del personale militare,
  55. compreso quello medico e paramedico, impegnato nel contrasto dell’emergenza COVID-19.

  56. Contributo alle Regioni per la riduzione del debito

  57. Alle Regioni a statuto ordinario viene assegnato un contributo per il 2020 di 250 milioni di euro
  58. destinato al finanziamento delle quote capitale dei debiti finanziari in scadenza nell’anno in corso.

  59. Sostegno alla internazionalizzazione delle imprese

  60. Si incrementa di 500 milioni, per il 2020, la disponibilità del fondo rotativo per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici.

  61. Fondo perequativo

  62. È istituito un fondo finalizzato a realizzare, nell’anno 2021, la perequazione delle misure fiscali e di ristoro
  63. concesse con i provvedimenti emergenziali adottati nell’ambito della emergenza COVID-19,
  64. da destinare ai soggetti che con i medesimi provvedimenti abbiano beneficiato di sospensione fiscali e contributive e che registrano una significativa perdita di fatturato.

  65. Facoltà di estensione del termine di durata dei fondi immobiliari quotati

  66. I gestori di fondi di investimento alternativi che gestiscono fondi immobiliari italiani ammessi alle negoziazioni in un mercato regolamentato
  67. o in un sistema multilaterale di negoziazione possono, entro il 31 dicembre 2020, nell’esclusivo interesse dei partecipanti,
  68. modificare il regolamento del fondo per prorogare il termine del fondo non oltre il 31 dicembre 2022, al solo fine di completare lo smobilizzo degli investimenti.

  69. Svolgimento delle elezioni suppletive per la Camera e il Senato per il 2020

  70. Le elezioni suppletive per i seggi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
  71. dichiarati vacanti entro il 31 dicembre 2020 si svolgono entro il 31 marzo 2021.

  72. Termini di permanenza dei territori negli scenari di rischio

  73. L’accertamento della permanenza per 14 giorni in un livello o scenario di rischio inferiore a quello che ha determinato le misure restrittive,
  74. comporta l’applicazione delle misure relative allo scenario immediatamente inferiore per un ulteriore periodo di 14 giorni,
  75. salva la possibilità, per la Cabina di regia, istituita dal Ministro della salute ai fini della valutazione dei livelli e degli scenari di rischio territoriali, di ridurre tale ultimo termine.
*****


Il Consiglio dei Ministri è terminato alle ore 23.45.
 
C’è qualcosa di oscuro e profondo che aleggia su di noi, se si arriva a “negare” persino il Natale

(niente messa di mezzanotte, vietati i raduni familiari fuori dal Comune di residenza).

Peggio ancora: il Vaticano tace, la Cei non protesta.

«La Chiesa cristiana, nella sua storia, è stata anche eroica: ha avuto martiri sbranati dai leoni. Dov’è finito, adesso, quel coraggio?».


Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” – straordinaria rivelazione sul ruolo del back-office del potere, che oggi qualcuno chiama Deep State –
denuncia il mutismo dell’alto clero cattolico di fronte al Natale 2020 “silenziato” da Conte con l’alibi della pandemia.

Cattolico lui stesso, anche se “eretico”, Magaldi prende nota:

è come se venisse colpita, anche simbolicamente, la valenza archetipica del Sol Invicuts,
la “rinascita cosmica” emblematizzata dalla stessa, potente figura del Cristo, ovvero dalla celebrazione cristiana della natività.
Come se “non dovessimo” risorgere, neppure noi, dalle tenebre nelle quali siamo stati sprofondati, da ormai quasi un anno?
E’ un messaggio anomalo e sinistro (una specie di resa), quello convalidato da Bergoglio e dai sui vescovi:
dovremmo dunque fingere di credere che è meglio stare chiusi in casa «ancora per settimane e mesi, forse per anni, magari per sempre»,
nell’attesa di uno strano messia – non esattamente cristiano – come il mitico vaccino, presentato come unica soluzione di un problema ingigantito in modo orwelliano?



I fatti sono sotto gli occhi di tutti, nonostante la grancassa terroristica dei media mainstream, fondata su dati non trasparenti:
per la prima volta nella storia, il mondo è stato paralizzato da un virus influenzale pericoloso, ma la cui letalità non supera lo 0,3%.

Un virus che comunque colpisce essenzialmente persone anziane e già prostrate da gravi malattie.

Le terapie ormai esistono, per trasformare il Covid in una patologia controllabile da casa, con opportuni farmaci.

Ma si continua a fingere di avere di fronte l’Ebola, la peste bubbonica.

Si sperava che “passasse”, come un temporale, dopo la drammatica primavera 2020.


Così non è stato: in un paese sanitariamente disastrato, con un governo incapace e senza più una medicina territoriale all’altezza della situazione,

gli ospedali sono tornati inevitabilmente ad affollarsi, nel corso dell’autunno.



Ed ora, che cosa si ripropone? Le stesse misure (fallimentari) che non hanno eliminato il problema nei mesi precedenti.

Fermare l'economia, chiudersi in casa: ma in attesa di che cosa?

E fino a quando, visto che il virus ha l’aria di essere diventato endemico?


L’unica certezza, infatti, riguarda le conseguenze catastrofiche dei lockdown, del coprifuoco, delle zone rosse:

l'economia sta crollando, il debito pubblico rischia di esplodere per via dei sussidi (comunque insufficienti)
e della cassa integrazione (erogata spesso in scandaloso ritardo).

L’Italia, poi, vanta veri e propri record: tra i grandi paesi, è quello più colpito.

Registra la peggior performace economica e il più alto numero di vittime.

Un fallimento cocente, quello italiano.

Il governo più severo e inflessibile coi cittadini è anche quello che sta collezionando i risultati peggiori, in ogni campo:
il rigore psico-panico del distanziamento affonda il Pil, disastra interi comparti economici,
mette in pericolo la sicurezza sociale ma anche la salute, non garantendo più la giusta assistenza ai pazienti affetti da malattie gravi (cardiologiche, oncologiche)
e senza nemmeno riuscire ad alleggerire il pesante bilancio della catastrofe Covid,
che vede l’Italia tra i paesi meno efficaci nel contrastare le conseguenze peggiori del virus.


La cosa sconcertante, osserva Magaldi, è che un vasto strato della popolazione si sia sottomesso ai diktat, senza protestare:

a che serve stare a casa, ancora, se poi – finito il lockdown – i contagi torneranno a salire?



Non è già abbastanza evidente il fatto che il distanziamento non può essere la soluzione?

Lo dimostrano paesi come la Svezia: niente coprifuoco, verso un’immunità di gregge da raggiungere velocemente.

Lo affermano anche i maggiori epidemiologi, quelli che hanno contastrato l’Ebola e che – insieme a decine di migliaia di medici –
hanno sottoscritto la Dichiarazione di Great Barrington:


dall’incubo Covid si esce in un solo modo, e cioè contagiandosi.


In altre parole: secondo quei luminari occorre avere più contagi (non meno) per consentire al virus di adattarsi al nostro organismo e diventare gradualmente inoffensivo.

Si tratta insomma di accettare un rischio ragionevole (e comunque inevitabile, come ben si vede anche in Italia),
dopo aver messo in sicurezza gli anziani e i malati gravi, quelli sì, da isolare strettamente, in attesa che la situazione migliori.


E invece no: si continua a fare la guerra ai contagi (distanziamento, mascherine) come se servisse a qualcosa.


Una parte della popolazione, nel frattempo, è come impazzita:

manipolata dalla politica e dai media, teme il ruolo degli “untori” e contribuisce così alla disgregazione della società,

della scuola, del lavoro e dei redditi, cominciando dal turismo e dal commercio.



«A chi ha paura, io dico: stia a casa.
Ma non pretenda di rinchiudere chi invece accetta di essere contagiato, e quindi poi immunizzato, come in tutte le epidemie della storia».


Gioele Magaldi è battagliero: il Movimento Roosevelt, di cui è presidente, assiste da mesi – in modo gratuito – i cittadini colpiti da sanzioni ingiuste:
gli avvocati del Sostegno Legale impugnano le multe, «che non saranno pagate mai, visto il carattere illegittimo dei Dcpm».

Non solo: i “rooseveltiani” hanno anche stoppato, insieme ai medici, la folle imposizione del vaccino antinfluenzale pretesa nel Lazio da Zingaretti, ma annullata dal Tar.

A proposito: Zingaretti ha fatto spendere al Lazio 14 milioni di euro per mascherine mai consegnate,
e poi – insieme alla Calabria – ha speso 118 milioni di euro per vaccini contro l’influenza,
che sperava di inoculare obbligatoriamente ad anziani, medici e infermieri.


Un classico esempio di sottopolitica a disposizione delle grandi lobby, come quella del farmaco,
che hanno bisogno di personaggi disposti a fare da apriprista, da battistrada.


Il ruolo dell’Italia – cavia prescelta, in Occidente, a causa dell’inconsistenza dei suoi politici – è ormai vistosamete lampante:
e ora infatti si aprirà l’analogo balletto dei vaccini, che gli stessi virologi televisivi temono,
e che il “British Medical Journal” definisce prematuri, non sicuri e di efficacia non dimostrata.



L’altra notizia, pessima, è lo stato narcolettico dell’opinione pubblica,

letteralmente rincoglionita dalle quotidiane fake news psico-terroristiche erogate dai media

e controllate, anche sul web, dal grottesco Ministero della Verità che Conte ha affidato al sottosegretario Andrea Martella,

nemmeno fossimo in Corea del Nord (e senza un fiato di protesta da parte delle redazioni e gli organismi di garanzia, a cominciare dall’Ordine dei Giornalisti).

“Andrà tutto bene”, recitava a marzo lo slogan perfetto della catastrofe incombente. S’è visto, infatti, quanto è andato “tutto bene”.


E il peggio è che, davanti, c’è il nulla: nessuna via d’uscita, né economica né sanitaria.


In pratica: una trappola micidiale, che qualcuno chiama Great Reset:

un’epidemia influenzale “cinese”, prontamente dichiarata pandemica dall’Oms

e usata come pretesto per disarticolare l'economia, in un sol colpo,

verticalizzando il controllo socio-economico (con lo strumento della paura)

su sette miliardi di esseri umani, che ora si vorrebbe sottoporre anche al dominio tecno-vaccinale universale,

pena la perdita delle libertà elementari.



Gioele Magaldi maneggia con cura la parola “fascismo”: evocando l’attivismo battagliero per reclamare il pieno ritorno alla democrazia,
«combattendo in modo nonviolento ma anche con durezza, contro il fascismo strisciante di oggi:
quello vero, imposto con la sopraffazione in nome di un pericolo sanitario vergognosamente sopravvalutato per danneggiare l’Occidente e soffocarne la libertà».


Fascismo? «Attenti alle parole», raccomanda Magaldi:

«A dare del fascista (cioè del dittatore) a chiunque non la pensasse come loro erano i comunisti, che democratici non erano mai stati».
 
Lo si è visto anche di recente:

«Non si è esitato a evocare il fascismo, quindi il razzismo e il militarismo, anche nei confronti di Trump:
ridicolo, visto che Trump è stato il meno bellicoso dei presidenti americani, avendo risolto ogni crisi con la diplomazia e senza ricorrere alle armi».

Eppure, è stato attaccato anche con il teppismo (squadristico) di una organizzazione come Antifa,
che pratica azioni violente (come quelle delle milizie fasciste) ma nel nome dell’antifascismo,
bandiera gloriosa ma oggi abusata da fascistelli d’ogni risma.

Fascio-comunisti, li definisce Magaldi.

«Quale “fascismo” fa paura, oggi? Quello di minoranze testimoniali come CasaPound e Forza Nuova?».

Siamo seri, per favore: che cosa sta attentando, in questo preciso istante, alla nostra libertà?


Risposta facile: a metterci nei guai è l’altro “fascismo”, quello vero: tecnocratico, finanziario, politico-sanitario.

E globale: «E’ un vero e proprio fascio-comunismo, che mette insieme la dittatura cinese e l’oligarchia occidentale,
euro-atlantica, che sta provando a mettere fine – con l’aibi del coronavirus – alla lunga “parentesi” della democrazia,
per restaurare una sorta di neo-feudalesimo, il potere assoluto dei pochi sui molti».


Anche con l’aiuto del Vaticano?

Dolenti note: «Alla vigilia delle presidenziali, Mike Pompeo venne a Roma per “strigliare” Bergoglio in mondovisione.
La sua colpa? Aver concesso al regime di Pechino il potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina, un paese brutalizzato dall’assenza totale di diritti».


A sdoganare la Cina – come possibile modello alternativo per l’Occidente – fu la Commissione Trilaterale di Kissinger,

campione della superloggia massonica “Three Eyes”, quella che progettò il golpe in Cile contro Allende (a proposito di fascismo).


Per chi ancora non l’avesse capito: la “malattia” da cui siamo aggrediti non è curabile all’ospedale.

E’ un morbo insidioso: sembra nuovissimo, e invece è antico. Si chiama: dittatura.


«Poveri illusi, quelli che ancora adesso – dopo un anno di mostruosi sacrifici completamente inutili –
tuttora sperano che basti aspettare un altro po’, rintanati in casa, confidando che la bufera passi da sola, prima o poi».


Non passerà, da sola: e non è per scansare la tempesta che siamo stati rinchiusi, maltrattati come animali d’allevamento.

Oggi, il “morbo” prevede la folle clausura – teoricamente infinita, sine die – di un’umanuità imbavagliata e traumatizzata, impoverita e ridotta a gregge impaurito.


Si scrive Covid, ma si legge Grande Reset: e non ha niente a che fare, con il virus “scappato” dal laboratorio di Wuhan
giusto in tempo per sabotare la rielezione (scontata) di Trump, vigoroso avversario del Great Reset.

A confermare la gravità della situazione, e la vastità della compromissione dei poteri coinvolti nel progetto,
ecco l’inaudita arrendevolezza di Bergolio di fronte alla tesi – bugiarda, e già smentita – degli autori del piano:

stiamo a casa (fino a quando?) e “andrà tutto bene”.

Una menzogna epocale, capace di oscurare persino il Natale.

Ora sì, siamo davvero in pericolo, se è vero che il “progetto” non si ferma davanti a niente,
e pretende di privare i nonni dell’abbraccio dei nipoti anche in un giorno sacro come il 25 dicembre.
Niente rinascita: è proibita, per decreto. Stavolta, l’agnello sacrificale siamo noi.
 

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