IlPorcospino
Forumer storico
ASCA) - Roma, 10 nov - Toni accesi e posizioni quanto mai distanti all'avvio della riunione del G20 a Seoul tra Europa, Stati Uniti e Cina che rendono arduo il raggiungimento di un accordo per ridurre gli squilibri tra economie emergenti, Cina in testa, ed i paesi piu' avanzati, alle prese con un processo di uscita stentato dalla crisi.
Termometro dello scontro in corso le dichiarazioni del presidente cinese Hu Jintao e la lettera inviata dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a tutti i leader dei paesi partecipanti al summit, in cui rinnova l'invito a Pechino a non insistere con la svalutazione dello yuan per sostenere le esportazioni.
Allo stesso tempo l'amministrazione Usa viene accusata di rispondere a svalutazione con altrettanta svalutazione, con manovre come quella varata dalla Fed che ha iniettato nell'economia americana altri 600 miliardi di dollari.
Proprio a questa misura ha fatto riferimento il cancelliere tedesco, Angela Merkel, spiegando che ''nessuno vuole piu' vedere esplodere bolle speculative'' e rilevando che ''il piu' grave rischio per una crescita sostenibile arriva dal protezionismo nelle piu' articolate forme''.
Obama, dal canto suo, ha tenuto a precisare che ''la forza del dollaro si basa sulla forza dell'economia Usa'' e che comunque ''nessun paese puo' raggiungere da solo l'obiettivo di una ripresa forte, sostenibile e bilanciata''.
Per questo, ha avvertito, ''come gli Stati Uniti devono cambiare, lo devono fare anche quelle economie che si sono affidate alle esportazioni per compensare la debolezza della domanda interna''. Il riferimento alla Cina e' evidente, nel giorno in cui Pechino ha annunciato un surplus commerciale salito ad oltre 27 miliardi di dollari solo lo scorso mese, mentre la bilancia degli Stati Uniti resta in profondo rosso.
Piccata la replica di Hu Jintao che ha invitato, senza mezze misure, gli altri paesi a ''pensare ai loro problemi'' piuttosto che attribuire la colpa a qualcuno per il divario tra paesi creditori e debitori.
Se non e' stallo poco ci manca, tanto da far dire alla delegazione coreana che ospita il vertice che ''ciascun paese e' fermo sulle sue posizioni originali'' e che l'esito delle negoziazioni e' quanto mai incerto.
Termometro dello scontro in corso le dichiarazioni del presidente cinese Hu Jintao e la lettera inviata dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a tutti i leader dei paesi partecipanti al summit, in cui rinnova l'invito a Pechino a non insistere con la svalutazione dello yuan per sostenere le esportazioni.
Allo stesso tempo l'amministrazione Usa viene accusata di rispondere a svalutazione con altrettanta svalutazione, con manovre come quella varata dalla Fed che ha iniettato nell'economia americana altri 600 miliardi di dollari.
Proprio a questa misura ha fatto riferimento il cancelliere tedesco, Angela Merkel, spiegando che ''nessuno vuole piu' vedere esplodere bolle speculative'' e rilevando che ''il piu' grave rischio per una crescita sostenibile arriva dal protezionismo nelle piu' articolate forme''.
Obama, dal canto suo, ha tenuto a precisare che ''la forza del dollaro si basa sulla forza dell'economia Usa'' e che comunque ''nessun paese puo' raggiungere da solo l'obiettivo di una ripresa forte, sostenibile e bilanciata''.
Per questo, ha avvertito, ''come gli Stati Uniti devono cambiare, lo devono fare anche quelle economie che si sono affidate alle esportazioni per compensare la debolezza della domanda interna''. Il riferimento alla Cina e' evidente, nel giorno in cui Pechino ha annunciato un surplus commerciale salito ad oltre 27 miliardi di dollari solo lo scorso mese, mentre la bilancia degli Stati Uniti resta in profondo rosso.
Piccata la replica di Hu Jintao che ha invitato, senza mezze misure, gli altri paesi a ''pensare ai loro problemi'' piuttosto che attribuire la colpa a qualcuno per il divario tra paesi creditori e debitori.
Se non e' stallo poco ci manca, tanto da far dire alla delegazione coreana che ospita il vertice che ''ciascun paese e' fermo sulle sue posizioni originali'' e che l'esito delle negoziazioni e' quanto mai incerto.