Se domani mattina, Silvio Berlusconi mollasse Palazzo Chigi e al suo posto arrivasse... scegliete chi più vi garba. Se domani mattina la manovra fiscale d’improvviso raddoppiasse la sua entità, con tagli virtuosi alla spesa pubblica. Se domani mattina i politici decidessero finalmente di dimezzare i propri appannaggi. Se domani mattina ci svegliassimo in questo quadretto; ebbene, nulla cambierebbe sui mercati finanziari. Dobbiamo metterci una volta per tutte nella zucca l’idea che la speculazione che sta colpendo l’Italia nulla ha a che vedere con la condotta della politica economica di questo governo. Lo abbiamo scritto prima dell’approvazione della manovra finanziaria e lo ribadiamo oggi con le Borse scese a capofitto e i titoli di Stato sulla via greca. L’attacco è all’euro e al suo fianco più debole.
Ma siccome il pregiudizio del nostro ombelico (cioè riportare al nostro misero dibattito politico, i grandi movimenti della storia) fa premio sulla ragione, conviene prendere a prestito qualche straniero. Al di sopra dei sospetti. Eccovi serviti. L’</B>Economist</B>, di questa settimana, pur criticando come sempre la politica del Cav, scrive: «Dopo tutto l’Italia, con tutti i suoi difetti, non è una grande Grecia. Il suo debito pubblico è alto ma è stato stabile per anni. Il suo bilancio è in avanzo primario. L’Italia ha un record nel tagliare le spese e aumentare le tasse quando è necessario farlo. Per gli standard europei le sue banche sono decentemente capitalizzate. Il suo ricco risparmio privato, comporta che molto del suo debito sia finanziato in casa». Il tedesco Wolfgang Munchau, ieri sul </B>Financial Times</B>: «È difficile capire perché i mercati hanno deciso di andare in panico sull’Italia. I suoi problemi non sono nuovi». E allora per quale motivo un titolo di Stato italiano a dieci anni è improvvisamente salito al 6 per cento? Perché ieri non c’era praticamente un operatore che si azzardasse a comprare Btp a due anni targati Roma? Perché all’ultima asta, gli uomini di Tremonti hanno dovuto usare tutta la loro «moral suasion» per piazzare un po’ di carta in giro? Perché le quotazioni delle banche italiane, che venerdì hanno brillantemente passato gli stress test europei, ieri dal fondo in cui erano piombate hanno iniziato a scavare ancora più in giù?
Partiamo da quest’ultima domanda la cui risposta purtroppo è anche la più semplice e che meglio indica la situazione in cui ci troviamo. Gli stress test mettono sotto sforzo la tenuta del bilancio di una banca. Come in laboratorio si ipotizzano in provetta degli eventi gravissimi e si vede la reazione ipotetica dei conti della banca. Sapete quale era uno degli eventi gravissimi ipotizzati dagli stress test? Che i tassi di interesse a lunga fossero del 5,9 per cento. Ieri avevano superato il sei per cento. Quello paventato dagli stress test non è più uno scenario futuribile, è la realtà. Siamo già stressati. È chiaro dunque che il mercato si sia bevuto questi test con la leggerezza di un bicchiere d’acqua e che ieri si sia messo a vendere le banche come ai tempi di Lehman.
La radice del male sono dunque i tassi di interesse a cui dobbiamo piazzare i nostri tanti titoli di Stato. E il contagio non si sta fermando. Parte dall’Irlanda, passa per la Grecia, il Portogallo, la Spagna. Arriva all’Italia. Ieri ha toccato persino i titoli francesi. I tassi sono il termometro di una malattia che si chiama euro. Quello è il vero obiettivo della speculazione: la moneta unica. Un esperimento mai provato in natura, che mette insieme le monete di 17 Paesi, la politica monetaria gestita da una banca centrale unica per tutti, ma mantiene divergenti politiche fiscali ed economiche.s