editoriale di Carmignac Gestion, ottobre 2011
lo posto in quanto i temi affrontati mi sembrano comunque inerenti al thread dei TDS
EDITORIALE
La Grecia continua ad essere al centro di ogni dibattito. Con un calo del PIL del 6% su base annuale, una flessione di 5 punti del tasso di occupazione e una contrazione del 15% del potere di acquisto, chi può ancora ragionevolmente pensare di imporre nuove misure di austerità al paese? Chi può ancora credere alla solvibilità della Grecia? Oltre al fatto che esso non raggiungerà gli obiettivi di riduzione del deficit di bilancio fissati dalla "troika" (FMI, UE e BCE), non si deve dimenticare che il paese registra un deficit dei conti con l’estero pari al 12% del PIL. Senza alcuna possibilità di ricorrere ad una svalutazione della moneta, allo stato attuale il salvataggio della Grecia equivale a cercare la quadratura del cerchio. Gli accantonamenti operati a copertura di una perdita del 21% per i detentori di bond greci (in linea con il nuovo mandato dell’EFSF) appaiono tutt’altro che sufficienti. Le banche francesi sono le sole ad essersi accontentate di tale percentuale: le omologhe tedesche sono state decisamente più prudenti, come dimostrano gli accantonamenti del 50% e del 100% operati rispettivamente da Allianz e Munich Re.
CONTAGIO IN EUROPA
L’incapacità politica di adottare misure energiche e di imporre una visione a lungo termine di ciò che dovrà essere la futura eurozona non fa che aumentare il rischio di contagio, pesando sulle prospettive economiche della vecchia Europa. Non si deve dimenticare che, se il debito greco ammonta a 450 miliardi di euro, quello italiano si avvicina ai duemila miliardi. Pertanto, si delineano già i limiti della capacità di intervento del FESF con una dotazione di solo 440 miliardi di euro. Ma allora, chi guiderà il cammino in un’Unione europea sprovvista di una vera leadership? Dovremo forse attendere il declassamento del rating della Francia, che allo stato attuale non sembra meritare la sua tripla A? È molto probabile.
La Francia detiene il record della più alta spesa pubblica, che ha raggiunto il 56% del PIL. Il debattito sul bilancio che sta per avviarsi, mira a ridurre il deficit pubblico dal 5,7% al 4,5% del PIL nel 2012, sulla base di una previsione ottimistica di crescita dell’1,75%. Questo tasso di crescita previsionale, rivisto al ribasso nel corso dell’estate, ha costretto a reperire 11 miliardi di euro di entrate supplementari, di cui 10 miliardi proverranno da prelievi fiscali e solo 1 miliardo da risparmi nella pubblica amministrazione. Ricordiamo che Spagna e Italia hanno contemporaneamente approvato dei piani di austerità, rispettivamente, per 50 e 80 miliardi di euro. In Francia l’ultimo bilancio in pareggio risale al 1975! Il debito francese è pari all’85% del PIL ed è detenuto per il 70% da investitori internazionali. Oltre al deficit pubblico, la Francia ha accumulato anche un forte deficit nei conti con l’estero con una bilancia commerciale che registra un saldo negativo di 75 miliardi di euro. Il declassamento del suo rating appare quindi ineluttabile, e costituirà uno shock. Ulteriori misure di austerità da parte del governo francese comporteranno un ulteriore rallentamento della crescita, il che penalizzerà anche la Germania, di cui la Francia è il primo partner commerciale. In un tale contesto, le probabilità di una nuova recessione aumentano.
QUALE SOSTEGNO PER LA CRESCITA EUROPEA ?
Nel breve periodo, l’unico sostegno possibile alla crescita europea può provenire solo dalla Banca centrale europea. Trichet, o il suo successore, saranno disposti ad abbandonare la loro viscerale ortodossia? Occorre che la BCE riduca i tassi di interesse, adotti apertamente misure di allentamento quantitativo ed attui deliberatamente una politica volta ad indebolire l’euro e ad aumentare il potenziale dell’eurozona sui mercati esteri. Senza queste misure, ci ritroveremo quasi certamente in una situazione di stallo. Non è più possibile trincerarsi dietro il solo mandato della stabilità dei prezzi. Qualcuno teme ancora che queste misure possano avere effetti inflazionistici, ma è un errore, poiché oggi il legame fra quantità di moneta emessa e inflazione è tenue. Le banche versano in uno stato pietoso e cercano solo di ridurre i loro bilanci. La contrazione di oltre 100 miliardi di dollari della capacità di finanziamento delle banche europee presso i fondi monetari americani, registrata nell’arco di qualche mese, rende tale riduzione indispensabile. La velocità della moneta rimarrà quindi molto bassa e non potrà in nessun caso condurre a una domanda eccessiva, che sarebbe fonte di inflazione. È a questo prezzo che l’Europa potrà forse evitare una recessione.
L’economia europea non potrà contare sul vigore dell’economia americana, che probabilmente rimarrà debole a lungo. Negli Stati Uniti, la riduzione dell’effetto leva è tuttora in atto. L’economia americana non crea nuova occupazione. Nel settore immobiliare, il numero di nuove costruzioni resta basso e ritarda la stabilizzazione dello squilibrio fra domanda e offerta, il cui continua di fatto a pesare sulla crescita. Le proposte dell’amministrazione Obama per rilanciare l’economia sono già diventate la posta in gioco della campagna elettorale, che inizia in un clima deleterio. La Fed, dal canto suo, non può ancora ricorrere agli elicotteri per il terzo episodio di "Quantitative Easing", ma il momento potrebbe non essere lontano. Nel frattempo, essa mantiene i tassi di interesse a zero (ZIRP) e ribilancia il suo portafoglio di buoni del Tesoro verso scadenze più lunghe (Operazione Twist). Ma queste mosse saranno poco efficaci. Come sottolinea l’FMI nel suo ultimo rapporto, l’economia americana ha aspetti dicotomici (bifurcated): da un lato le piccole e medie imprese hanno un accesso limitato ai finanziamenti bancari, pur avendone necessità, e quindi non beneficiano dei tassi di interesse ai minimi; dall’altro i grandi gruppi presentano una sovrabbondanza di liquidità e quindi non hanno bisogno di tassi bassi. Analogamente, i tassi ipotecari estremamente bassi (quelli trentennali sono scesi al minimo storico del 4,05%) non portano alcun vantaggio alle famiglie più necessitose; queste ultime non possono beneficiare della possibilità di rifinanziare integralmente i loro fabbisogni, poiché il valore dei loro beni immobili è inferiore a quello dei loro debiti. L’efficacia degli interventi della Fed in questa fase di rallentamento economico appare quindi molto limitata.
RALLENTAMENTO DELLE ECONOMIE EMERGENTI
L’economia europea dovrà la sua salvezza solamente al vigore della crescita delle economie emergenti? È probabile, ma sarà sufficiente? Anche i paesi emergenti registrano una decelerazione della crescita, non solo dal fatto del rallentamento delle economie occidentali, poiché questo rallentamento è anche orchestrato in modo da favorire la stabilizzazione dei prezzi. La Cina è oggi oggetto di discussione. Fino all’inizio dell’estate l’economia cinese erà in preda ad una crescita ritenuta troppo forte e fonte di eccessi di ogni genere e di tensioni inflazionistiche. Oggi invece il paese sarebbe sull’orlo del baratro, e prossimo a un brusco "hard landing". Certo, non tutto è infondato. L’eccessiva concessione di credito, prevalentemente al di fuori del sistema bancario tradizionale, sarà fonte di delusione per le principali istituzioni finanziarie del paese, ma la nostra analisi non avvalora in alcun modo l’idea di una crisi sistemica.
Gli eccessi non mancano neppure nel settore immobiliare. Oggi in Cina non si contano meno di 50 mila promotori immobiliari. Il settore è penalizzato dalla rarefazione della liquidità e da tassi di interesse in aumento. Esattamente ciò a cui puntava il governo, che intende favorire il consolidamento del settore, e molto utile per evitare lo scoppio tardivo di una bolla in formazione. Questo non significa che il settore immobiliare sia sull’orlo del baratro. Il governo cinese continua in effetti a promuovere la costruzione di alloggi "sociali" a basso costo, al ritmo impressionante di oltre 10 milioni di unità abitative all’anno. Il riequilibrio sociale passa anche attraverso tali misure, e non si deve dimenticare che la Cina registra non un’eccedenza ma una carenza di alloggi per via del processo di urbanizzazione. È fin troppo facile trovare esempi di immobili sfitti o di cantieri non chiusi in un’economia così vasta e non sempre ben organizzata. Ma ciò non deve distoglierci dalla realtà: l’economia cinese cresce ad un tasso annuale di quasi il 9%, e il suo governo si preoccupa di stabilizzare i prezzi ed eliminare gli eccessi derivanti dal massiccio piano di rilancio attuato a fine 2008. Pertanto, la Cina così come altre economie emergenti continueranno a generare una crescita soddisfacente, anche se inferiore a quella degli ultimi dodici mesi. Per quanto mi riguarda, sono molto più preoccupato per ciò che succede ad Atene, Roma o Parigi piuttosto che a Wenzhou.
PRESERVARE INNANZITUTTO IL CAPITALE
In un tale contesto, i nostri gestori si sono preoccupati innanzitutto di preservare il capitale, più che le valutazioni. Durante la quasi totalità del periodo, abbiamo ridotto l’esposizione azionaria dei nostri Fondi fino a livelli vicini ai minimi legali fissati per la gestione globale. Tale riduzione ha riguardato tutte le aree, incluso l’universo emergente, reso vulnerabile dalla generale avversione al rischio e da una temporanea rarefazione della liquidità dovuta alla contrazione globale in atto. Per quanto riguarda i portafogli obbligazionari, abbiamo mantenuto un livello elevato di duration modificata, privilegiando i titoli di Stato americani e tedeschi. Sul fronte valutario, l’esposizione all’euro è stata limitata durante l’intero periodo, in linea con un movimento di deprezzamento della moneta unica che ritenevamo ineluttabile.
Economie emergenti soddisfatte di crescere ad un passo un po’ più lento, un’economia americana in affanno che dispone di poche munizioni a breve termine, un’economia europea che vacilla sulle sue basi: ecco un quadro che non ci induce ad assumere rischi a breve termine. Eppure, la recessione non è inevitabile. Le banche centrali dei paesi emergenti hanno posto, o porranno, un termine alla stretta monetaria. E le banche centrali occidentali non hanno altra scelta che la reflazione. L’emergere di questi segnali ci indicherà che è arrivato il momento di esporre i nostri portafogli ai temi della crescita, che probabilmente saranno in larga misura emergenti.
Carmignac Gestion : Lettera Mensile