Il dramma italiano, spiegato | Phastidio.net
Oggi sul
Corriere c’è
un articolo del bravo
Federico Fubini che trae le mosse dalla trasferta americana del ministro dell’Economia,
Vittorio Grilli, ma amplia il proprio orizzonte ad un po’ di aritmetica vitale per il nostro paese ed a quello che ci attende. Ed è la lettura obbligatoria del giorno.
Sulla dinamica del debito, Fubini spiega:
«Se ne parla così di rado che solo gli addetti ai lavori sanno cos’è. La crescita del Pil n0minale è il risultato di quella reale – di cui si parla di solito – più l’inflazione. Oggi questo dato è attorno allo zero, perché nel 2012 il Pil reale è caduto del 2 per cento e l’inflazione è salita di circa altrettanto. Questa è la ragione principale che attualmente spinge verso l’alto il rapporto numerico tra debito e Pil, perché il Pil resta appunto fermo mentre il debito tende a salire in modo inerziale per il solo fatto che gli interessi da pagare sono attorno al 5 per cento»
L’Italia, prosegue Fubini citando Grilli, ha bisogno di portare la crescita del Pil nominale al 3 per cento, per contrastare la tendenza alla autoalimentazione “spontanea” del rapporto debito-Pil. Basterebbe (e scusate se è poco, visto da qui ed ora) una crescita reale dell’1 per cento ed un tasso di inflazione del 2 per cento. A quel punto, con un avanzo primario del 4-5 per cento di Pil (cioè la differenza tra entrate e spesa pubblica, senza considerare quella per interessi), l’Italia riuscirebbe a piegare il rapporto debito-Pil.
Serve quindi, tornare “competitivi”, visto che il nostro paese ha perso nei 13 anni dell’euro il 30 per cento di competitività contro la Germania, ed il 20 per cento contro le media dell’Eurozona. Per fare ciò, spiega Fubini, ci sono due vie teoricamente percorribili, ma è l’avverbio che ci frega:
«La prima sarebbe aumentare molto gli investimenti per la produttività, ma in questa fase di credito difficile sembra una strada preclusa; la seconda invece è quella di ridurre i costi, a partire da quelli del lavoro, ed è proprio ciò che sta succedendo. Il continuo aumento della disoccupazione spinge chi cerca un posto ad accettare compensi sempre minori pur di lavorare, ridando così un po’ di competitività di prezzo alle imprese. Ma comprimere compensi e costi tramite disoccupazione e intanto centrare il 3 per cento di crescita nominale non è facile: è come camminare con una gamba in un senso, e con l’altra in quello contrario»