La Guardia di Finanza ha arrestato, nelle prime ore di questa mattina,

l'ex ad di Veneto Banca, Vincenzo Consoli e sta compiendo numerose perquisizioni oltre a un sequestro per 45,425 milioni di euro (un immobile, liquidità e titoli) nei confronti di persone legate allo stesso istituto veneto. Sono inoltre in corso perquisizioni domiciliari per 14 indagati, fra i quali emerge, a fine mattinata, l'ex presidente Flavio Trinca.
Nell'elenco degli indagati figurano, tra gli altri, anche Stefano Bertolo, responsabile della Direzione centrale amministrazione dal 2008 al 2014 e poi Dirigente preposto di Veneto Banca, Flavio Marcolin, responsabile degli Affari societari e Legali dal marzo 2014 e in precedenza, a decorrere dal maggio 2008, impiegato presso la Divisione Amministrazione alle dipendenze dello stesso Bertolo, e poi Francesco Favotto, presidente del cda dall'aprile 2014 all'ottobre 2015, Mosé Fagiani, responsabile commerciale dal 2010 al dicembre 2014, Massimo Lembo, capo della Direzione Compliance, e poi Pietro D'Aguì, per anni ad di
Banca Intermobiliare
, coinvolto in questa vicenda nella veste di marito di Ivana Martino, formale acquirente delle obbligazioni Bond Tier 1 emesse da Veneto Banca, e Gianclaudio Giovannone, titolare della Mava ss, anch'essa acquirente di quelle obbligazioni. Completano la lista Diego Xausa, Marco Pezzetti, Michele Stiz, Martino Mazzoccato e Roberto D'Imperio, quali componenti del collegio sindacale di Veneto Banca, e Renato Merlo, responsabile Banche estere e Partecipazioni.
I provvedimenti, eseguiti da un centinaio di finanzieri, sono stati emessi dalla procura di Roma dopo un'ispezione di Bankitalia ed eseguiti dal Nucleo speciale di Polizia valutaria e dal Nucleo di polizia tributaria di Venezia. I reati contestati sono aggiotaggio e ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. Il periodo al centro dell'indagine è il 2013/2014.
Da quanto inizia ad emergere, le Fiamme gialle hanno contestato una serie di operazioni, definite "baciate", grazie alle quali la banca finanziava importanti clienti perché gli stessi acquistassero azioni dell'istituto di credito. Con la conseguenza che il cliente "finanziato" deteneva titoli di Veneto Banca per conto dello stesso istituto di credito.
Questo sarebbe avvenuto anche attraverso l'utilizzo di investitori compiacenti, disponibili ad intestarsi temporaneamente importanti quote di obbligazioni subordinate, sollevando la banca dall’onere di detrarne il controvalore dal patrimonio di vigilanza, come invece prescritto dalla Bankitalia. Si trattava di parcheggi temporanei di titoli che, in realtà, avrebbero dovuto rientrare nel perimetro dell'istituto di Montebelluna.
Fra i punti al centro dell'indagine, la concessione di finanziamenti a soggetti in difficoltà economiche o comunque non in grado di restituire le somme ricevute, senza un’adeguata verifica della capacità di rimborso da parte dei richiedenti. La banca non avrebbe quindi vigilato sul merito creditizio dei debitori. Il tutto avrebbe avuto come scopo quello di fornire all'esterno un'immagine di solidità patrimoniale che non corrispondeva alla realtà.
Attraverso queste operazioni i vertici di Veneto Banca potevano rappresentare agli organi di vigilanza (Banca d’Italia e Consob) una consistenza patrimoniale superiore al reale, rientrando in questo modo nei parametri di sicurezza che la legge prevede per gli istituti bancari. La creazione di questa situazione di patrimonio "virtuale" di buona qualità avrebbe poi consentito di fissare il sovrapprezzo delle azioni su valori più elevati rispetto allo stato reale dell'istituto di credito.
La banca è stata salvata un mese fa dal fondo Atlante 1 con un intervento tampone di un miliardo di euro per evitarne il fallimento. Consoli, attorno al quale è ruotata Veneto Banca ininterrottamente dal 1997, ha fra l’altro un contenzioso con l’istituto di Montebelluna. Dall’ultima relazione sulle politiche remunerative della banca, era emerso che l’ex manager ha chiesto tramite i propri legali il pagamento di 3,46 milioni di euro che non gli sono stati riconosciuti per le sue dimissioni. All’ex ad e poi direttore generale della banca sono stati infatti riconosciuti per i sette mesi di lavoro relativi allo scorso anno 730mila euro. Un contenzioso portato avanti nonostante la banca versasse in notevoli difficoltà economiche per poi essere salvata da Atlante.